Sukkot, normalmente tradotto con capanne o
tabernacoli, è la festa delle feste di pellegrinaggio e del raccolto dell’anno
(Lev. 23,29)
Questa festa è definita da Giuseppe Flavio
come "la festa più santa e più grande presso gli Ebrei". Essa si
caratterizza per una grande gioia popolare, che si protrae per sette giorni e si
conclude con un ottavo significativamente chiamato Sìmhat Tora
h, "Gioia
della e per la Torah". Anticamente in questa festa le ragazze di
Gerusalemme uscivano con abiti bianchi e si recavano a ballare nelle vigne
cantando:<<Giovanotto, alza gli occhi e vedi quello che devi scegliere>>.
Al tempo del Nuovo Testamento, gli uomini pii
ed importanti della città ballavano nell’atrio del Tempio cantando e tenendo
in mano torce accese.
Festa dell’ultimo raccolto dell’anno,
soprattutto del vino e dell’olio, Sukkot veniva celebrata con un rituale molto
ricco ed originale.
Di particolare importanza è il cosiddetto
rito di lulav e la libagione dell’acqua.
Il rito di lulav è legato all’ordine del
Levitico per il quale la festa delle capanne deve essere così
celebrata:<<Il primo giorno prenderete frutti del cedro, dei rami di
palma, delle frasche di mirto, dei salici di torrente e gioirete davanti al
Signore vostro Dio per sette giorni>>. Fedeli a questa norma, i
pellegrini, provenienti dai quattro punti cardinali si recavano al Tempio di
Gerusalemme portando nella mano sinistra un cedro ( in ebraico ‘etrog ).
Del rito della libagione dell’acqua abbiamo
testimonianza nello stesso Vangelo di Giovanni ( Gv 7,37-39 ) e la sua
festosità era tale che, secondo la Mishnah, "chi non ha visto la gioia
nell’attingere l’acqua, non ha mai conosciuto la gioia in vita sua" (
Surrah 5,1 ). Il rito si svolgeva così: i Sacerdoti per tutta la notte
trasportavano l’acqua in ampolle dorate, dalla fontana di Siloe all’atrio
del Tempio, accompagnati dalla popolazione in festa, con torce, canti, danze e
strumenti musicali.
Il significato è il ricordo che tutti gli
abitanti di Israele hanno dimorato in capanne quando Dio li condusse fuori dal
paese d’Egitto, vincendo la fame e la sete, e vivere poi nel paese accogliente
e "spazioso" per dono di Dio.