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Stockholm
(26 giugno – 30 giugno
2006) |
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Il mio dodicesimo viaggio nell'Unione Europea: Stoccolma.
Premessa.
Il mio dodicesimo viaggio nei paesi dell'Unione
Europea ha questa volta l'obiettivo di visitare l’armoniosa e incantevole
Holmia, antico nome latino della bella capitale svedese, oggi
chiamata Stockholm (in italiano Stoccolma), capitale del
Konungariket Sverige (För
Sverige i tiden), cioè del Regno di Svezia, informalmente
chiamato in svedese soltanto Sverige e in italiano
Svezia. |
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Nell'immaginario di ogni europeo interessato alle questioni della
comunicazione letteraria di viaggio, Stockholm a mio parere rappresenta la sintesi di
una nazione che si riconosce in una monarchia paradossalmente
intesa come il massimo della democrazia e del welfare, cioè
di quel sistema di tutele sociali e politiche che ogni cittadino del
Regno di Svezia possiede dalla nascita fino alla sua morte. Ma essere svedesi significa anche andare oltre i
caratteri della sicurezza sociale e dei diritti di libertà, perché
la Svezia è quel paese nel quale esiste un senso di armonia della
vita che sembra pervadere tutta l’esistenza dell’intero popolo.
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Si va dal senso profondo del concetto di civiltà che gli svedesi
posseggono in pieno alla concezione quasi mistica del rispetto della
natura. Ci si sposta dalla capacità di insegnare
concretamente nella realtà a tutti i cittadini l'educazione sessuale
nelle scuole alla consapevolezza di utilizzare sempre le norme per la sicurezza stradale. Si continua coniugando
tecnologia sovrabbondante e spinte di vita naturiste. Ci si muove dalla
convivenza tra correttezza e serietà da una parte alla semplicità e
genuinità di comportamento dei cittadini. Si va
dalla doppia idea di sintesi che riguarda la tradizione con il progresso alla coscienza ambientale
dell'amore per lo Stato e per l'uguaglianza sociale.
Per finire, realizza efficacemente due qualità culturalmente
significative del pacifismo e delle libertà civili. Si tratta di una
sorta di contraddizione nazionale che comunque permette di riuscire a coniugare fatti e
comportamenti apparentemente in opposizione ma che nella realtà trovano
una sintesi egregia nel DNA dei cittadini svedesi, i quali riescono a
trovare il punto giusto di equilibrio nel pragmatismo sociale e nella
purezza delle idee sottese. E’ sorprendente come questo popolo abbia
sempre inviato al mondo messaggi coerentemente significativi del suo
stile di vita che da sempre ha costituito un modello di riferimento
nell’intera Europa. E si potrebbe continuare per molte righe
ancora nel solco
di una tradizione che permette al popolo svedese di insegnare una
qualità straordinaria del proprio carattere nazionale qual è quello che
emerge leggendo il famoso motto svedese dell'Università di Uppsala, nel
quale mi riconosco pienamente: «Tänka Fritt är Stort, men Tänka Rätt är
Störr», che tradotto in italiano suona pressappoco così: «Pensare
libero è grande, ma pensare retto lo è ancora di più». Tutta la Svezia è
un territorio invidiato a livello mondiale per la capacità dei suoi
politici di avere creato il miracolo del benessere economico e
finanziario dei cittadini senza mai trascurare di aiutare i più
svantaggiati. Stockholm, da questo punto di vista, è un esempio
significativo di luogo di welfare di cui io sono testimone (un
solo esempio per tutti: la "casa della cultura" ovvero kulturhuset che dà libertà di accedere
gratuitamente all'emeroteca, leggendo gratuitamente tutti i giornali
disponibili, guardando la tv, ecc..) perché è una città tranquilla
ma anche attraente, nella quale si svolge una vita semplice ma
tremendamente efficace nelle proposte culturali disponibili in città,
contenuta ma libera, e via discorrendo.
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Ci sono però altri
motivi per cui Stockholm è una città molto desiderata e apprezzata.
Prima di accennarli mi preme dire subito qui che
il mio viaggio a Stoccolma, ma in generale tutti i miei viaggi, non
riguardano soltanto il prendere un aereo, arrivare in albergo, pranzare
in alcuni ristoranti caratteristici del luogo, assaggiando qualche
pietanza caratteristica, con qualche visita a un museo più o meno sui
generis. In realtà, io sono alla ricerca di emozioni. Mi interessano
le suggestioni che producono in me la visione di luoghi che nel mio
immaginario costituiscono la ragion d’essere dei miei viaggi.
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Questi ultimi sono per me viaggi di studio e di scoperta perchè sono
interessato alla storia del paese che visito, ai suoi miti, ai valori e
alle sensibilità della popolazione indigena che vive in quei luoghi da
sempre. Insomma, sono fortemente interessato alla cultura della gente
che vi abita, che è fatta di mille piccole abitudini e di minuscole
grandi cose che per me hanno un valore enorme. Viaggiare, a mio
giudizio, significa osservare, sforzarsi di comprendere, spesso con
difficoltà, mai in maniera facile e, alcune volte lo riconosco, non
riuscendovi. Significa studiare, leggere libri e manuali, opere e
narrativa delle grandi figure del luogo, perchè il risultato di questo
sforzo è crescere con la conoscenza dei popoli visitati, amare gli altri
con l’abitudine alla diversità, partecipare ai mille usi della gente del
luogo. In una parola vivere. Paul Morand, il
grande narratore di viaggi che viaggiò in tutto il mondo nel secolo
scorso, ha detto una bella frase che, se non ricordo male, afferma:
«quando
torniamo da un viaggio ci domandiamo se è la Terra che si è
rimpicciolita o se siamo noi che siamo cresciuti».
E visto che è impossibile che il nostro pianeta abbia cambiato
dimensioni nel poco tempo necessario per il nostro viaggio è ovvio che
siamo stati noi a essere cresciuti come conseguenza del viaggio. Spesso
non ce ne accorgiamo ma dentro di noi avvengono cambiamenti, anche
piccoli e impercettibili, ma avvengono e, prima o poi, si fanno sentire. Morand aveva ragione. In realtà i viaggi ci arricchiscono e ci fanno
crescere. Mai ci derubano di qualcosa. Al contrario, ci regalano
emozioni e risorse. E se qualcosa, a nostro parere, di
negativo accade durante il nostro viaggio nonostante tutto si cresce e
si impara lo stesso e forse meglio. E Carlo Goldoni, il grande commediografo veneziano,
ha ribadito
che
«chi
non ha mai viaggiato è pieno di pregiudizi».
Sono d’accordo. Chi non ha mai viaggiato è una persona dall’orizzonte
ristretto, chiuso, spesso inadeguato. Non capisce la realtà e i
cambiamenti che avvengono nella vita di tutti noi e nella società, anno dopo anno. Esplorare una città, guardare attentamente gli
elementi di cui essa è costituita, osservare i ritmi di vita, le strade
più o meno affollate, i mercati oggi sostituiti dai centri commerciali,
le apparenti stranezze della vita dei residenti, rappresentano pertanto
una autentica filosofia di vita. George Bernard Shaw soleva dire: I
dislike feeling at home when I am abroad, cioè
«non
mi piace sentirmi a casa quando sono all'estero».
Ecco la ragione per la quale non ho mai mangiato un solo piatto di
spaghetti all’estero. Nei paesi stranieri in cui vado mi alimento con
piatti rigorosamente del luogo. Al di fuori di un esempio metaforico di
dietetica ho l'abitudine di presentarmi all'estero come un viaggiatore
europeo, interessato ai fatti dell'Europa e di quel paese, offuscando
volutamente la mia componente di italianità. Mi piace ricordare a me
stesso prima che agli altri, che la concezione che ho del viaggio è
fondamentalmente di crescita personale per mezzo della scoperta. Si,
perché ogni viaggio è una scoperta ma anche un'avventura. Sono interessato a visitare i luoghi
caratteristici delle città dove sono avvenuti eventi storici e politici
importanti nella vita degli indigeni, che al turista distratto magari
non esprimono nulla ma che per me sono una parte interessante del
viaggio. Mi interessa osservare la gente normale nei luoghi più comuni e
frequentati delle città (mercati, terminal di autobus, negozi, ecc..), le loro
consuetudini e i loro stili di vita. Fuori dal cliché turistico mi piace
immaginare la vita tra le mura della città rievocata da
«frantumi
di annali e di vecchie riviste illustrate, vecchie canzoni da fiera e
leggende, immagini di poeti e pittori».
Sono parole di Angelo Maria Ripellino che rendono bene l’immagine che ho
io del viaggio. Mi piace prima documentarmi, per quel che è possibile,
sulla narrativa, la letteratura, il cinema, la poesia, la musica, l’arte
di quel paese che nei secoli ha sviluppato la sua caratteristica di vita
e dato “senso” al modo di essere dei suoi abitanti. E se riesco a
scoprire o comprendere con le mie sole forze alcuni fatti e aspetti,
anche marginali, della vita della gente del luogo mi sento appagato. La
Svezia ha anche un valore aggiunto in più. Essa ha tantissimo da insegnare a me e a noi europei ed io ho
molto da imparare da questo popolo da me mitizzato per decenni nella mia
adolescenza e successivamente consapevolizzato ulteriormente.
Per tornare
a parlare dei motivi per cui
Stoccolma è una città molto desiderata ed apprezzata dirò che spiccano ragioni di carattere storico, letterario e politico
per la grandezza della nazione svedese manifestata nei secoli. Stoccolma
vanta poi una storia e delle fondamenta culturali che la rendono una
nazione veramente stimolante in Europa. Ricordo solo alcune grandi
figure della cultura svedese: Alfred Nobel, Johan August Strindberg,
Carl Linneus, Pär Lagerkvist, Carl Hammarskjöld, Gunnar Asplund, Selma
Lagerlöf, Ingmar e Ingrid Bergman, Greta Garbo, Max von
Sydow, Anita Ekberg, gli Abba, Astrid Lindgren, la regina Cristina di
Svezia, Björn Borg e altri. Avremo modo di parlarne in seguito.
Adesso è però importante riconoscere che la capitale svedese scritta in
originale dal doppio costituente
«Stock»
e «holm» è un crogiolo di
cultura, di arte, di architettura e di storia che oso definire
magnifico. Il tutto condito con un'architettura moderna, sobria e bella
da fare invidia ai modernismi beceri di certe città orribili. |
Prima di parlare della Stoccolma che ho
visto nei cinque giorni di permanenza nella città delle acque della baia
di Riddarfjärden mi sembra opportuno spiegare le ragioni del
perchè - dopo Roma, Amsterdam, Londra, Parigi, Vienna, Madrid, Berlino,
Lisbona, Budapest, Varsavia e Praga - ho scelto la bella e accattivante
capitale svedese come viaggio successivo e non un'altra. Diciamo che
diversi sono i motivi del mio amore per la Svezia, della mia ammirazione
per la sua società e per gli svedesi in generale. In primo luogo sentivo
il bisogno urgente di toccare con mano il mito di una società che fin
dai primi anni '60 del secolo scorso mi aveva preso e affascinato
attraverso le notizie che filtravano sui giornali italiani a proposito
dei film di quel genio della cinematografia svedese che è stato
Bergman, della cerimonia di consegna del premio Nobel ai maggiori
scienziati, letterati, economisti dell'intero pianeta, della musica
degli altrettanto geniali cantanti e musicisti che sono stati gli Abba
e, soprattutto, della leggenda del famoso welfare svedese che
permette a tutti i cittadini di questo straordinario e quasi
perfetto paese di non essere considerati sudditi venduti all'ammasso di
una società ingiusta come quella italiana e di una religione cattolica
bigotta ma cittadini con eguali diritti e parità di doveri anche
dei più abbienti. Non è poco. Anzi è molto. E' moltissimo, soprattutto
per un giovane come me che nel periodo adolescenziale con le sue letture
di narrativa inglese, francese e russa cominciava a comprendere non
senza difficoltà che il meridione d'Italia e il paese tutto non offriva
uno Stato giusto, equo e imparziale ai suoi cittadini ma pretendeva
sacrifici solo dai più svantaggiati. Non è secondaria l'osservazione che
era palese l'incapacità di cambiare le strutture dei rapporti tra Stato
e cittadini perchè era palese e ineliminabile la contraddittorietà tra
dichiarazioni di principio della politica e comportamenti pratici delle
autorità. Era palesemente impossibili sradicare comportamenti aetici e
immorali dalla vita pubblica e non solo. E poi le biondissime e
disinibite ragazze svedesi che calavano dal profondo nord scandinavo al nostro assolato sud a usufruire del bellissimo sole e e del seducente
mare incantato di località turistiche come l'accoppiata Taormina-Naxos
o Tindari-Marinello. Ma la ragione più profonda è, come ho
accennato prima, da ricercare nel fatto che avevo "contratto" un vecchio
debito di riconoscenza con lo svedesissimo Ingmar Bergman, per
essermi cibato al tavolo della sua cinematografia durante la mia prima
adolescenza e che qui pubblicamente ringrazio per avermi aiutato a
sostituire nella mia educazione un modello educativo di società moderna
alternativo a quello siciliano nel quale avevo vissuto fino a quegli
anni. E' stato orribile e difficile per me apprendere per esempio
che l'adulazione non era il comportamento giusto e corretto da
manifestare nei confronti del padroncino di turno e che la lusinga e l'adulazione non era un gesto di eleganza nei rapporti tra differenti
ceti sociali. Avremo modo di ritornare su questo tema interessante
della vita, della società e della cultura svedese. Quello che conta in
questa premessa è chiarire le ragioni della visita che sono
integrative e complementari alla scelta del mio entusiasmante europeismo. Qui in questo
diario di viaggio sebbene in modo parziale e incompleto sono dell'avviso
che vale la massima di un proverbio svedese o ritenuto tale che
testualmente recita: «Varav
hjärtat är fullt talar munnen»,
cioè La bocca parla di ciò di cui il cuore è pieno. E avete
inteso bene se avete compreso che io sono pieno di stima e di amore per
questo paese. |
Primo giorno
Lunedì 26 giugno.
Iniziamo dal viaggio aereo che mi porta
da Roma a Stoccolma.
Intanto la novità assoluta del mio primo viaggio "multi-tratta", non
diretto con scalo in un'altra città. Non avevo mai viaggiato fino ad ora facendo
l'andata e il ritorno mediante quattro voli aerei differenti. La
prenotazione di questo viaggio è stata una sofferenza. L'agenzia viaggi
Der Viaggi, filiale estera della Der Deutsches Reisebüro
di Piazza dell'Esquilino 28 a Roma, mi ha convocato almeno cinque volte
prima di decidere quale proposta accettare. La più economica è stata
quella della compagnia aerea ceca Csa Czech Airlines. Le altre o
costavano molto di più o prevedevano strani e scomodissimi
orari di partenza, di coincidenza e di arrivo. |
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E' stata una decisione sofferta
ma necessaria. Raro esempio di sacrificio della comodità per
privilegiare il prezzo. Non rifarò mai più una sciocchezza del genere.
Il volo aereo fa parte integrante del viaggio e come tale deve essere
goduto fino in fondo e non deve costituire una sofferenza come lo è
stato per me in questa occasione. Ne parleremo dopo più
approfonditamente. Per adesso la cronaca inizia col volo aereo, un
Boeing 737-500, in
partenza da Roma Fiumicino dal Terminal C alle 8,50 col volo OK 0727 e arrivo
a Praga Ruzynĕ
al terminal 2
alle 10.45. Due ore e un quarto di attesa nella capitale ceca che, ricordo, è stata la
destinataria del mio precedente viaggio (l'undicesimo) e nuova partenza,
un altro Boeing 737-500, dal Terminal 2 di Praga
Ruzynĕ
col volo OK 0490
alle 13.00 per
Stockholm-Arlanda con arrivo a destinazione alle ore 15,00.
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Ricordo
che per arrivare a Roma Fiumicino in orario ho dovuto prendere il
treno a Roma Ostiense alle 6,30 del mattino. E per essere a
Roma Ostiense a quell'ora sono dovuto partire all'alba da
casa con il primo bus alle ore 5,45. Una mattinata veramente
movimentata, con un dispendio di energie esagerato. All'aeroporto romano di Fiumicino non sto nella pelle. E'
la prima volta che mi avventuro in un viaggio così lontano per
raggiungere una città scandinava. Finalmente vedrò direttamente con i
miei occhi questo favoloso "mondo nordico", da me mitizzato fino
all'inverosimile. Sono emozionato. Durante questo intervallo guardo
nelle sale di attesa molti passeggeri biondi e spilungoni. "Devono
essere svedesi che prendono come me lo stesso aereo per ritornare a
casa" mi dico. Li osservo con interesse, come per dire loro che anch'io
volerò per Stoccolma. Forse viaggeremo in entrambi i voli nei
medesimi due aerei e magari seduti vicini. Chissà, anche se è molto
improbabile. L'eccitazione del momento mi fa passare di mente che non
arriverò direttamente a Stocccolma ma in una città intermedia e
che sarà necessario ripartire una seconda volta per la destinazione
finale. Non mi sento stanco per niente, tutt'altro; osservo tutto ciò
che mi circonda. Al check in, in una lunga fila di passeggeri, caso raro
per non dire unico, incontro una mia collega di lavoro che va
a Bruxelles a trovare la figlia. Sorrisi e saluti
caratterizzano il mio stato d'animo. Finalmente si parte. L'hostess addetta al controllo
degli imbarchi mi stacca il biglietto e dopo pochi minuti sono
nell'aereo. In quel momento ricordo l'analogo viaggio aereo effettuato
il 22 agosto dello scorso anno da Roma a Praga.
Anche in questa occasione
sfoglio la rivista presente nella
tasca del sedile posto davanti a me ma, questa volta, la compagnia aerea
è quella ceca e la bandiera non è tricolore ma bianca e rossa. Non solo,
ma all'aeroporto di Stoccolma non prenderò l'autobus come a Praga ma il
treno come a Roma. Stranezze di un viaggio che si profila impegnativo dal
punto di vista degli spostamenti,
accettare. Un treno speciale e velocissimo, l'Arlanda Express, mi
trasporterà da Arlanda a Stoccolma centro. L'aereo è pilotato
come da copione da un pilota molto bravo. Anche qui nè vuoti
d'aria, nè turbolenze, sicuramente per la bravura del pilota. I piloti
cechi di aerei commerciali provengono quasi tutti da una bravissima
scuola aeronautica che prima della caduta del muro di Berlino faceva parte del
novero dei paesi del comunismo dell'est. Ogni tanto l'aereo viene fatto
planare con un certo angolo di rotazione per poi ristendersi di nuovo
in orizzontale. Non so come si chiami tecnicamente questa manovra ma il
messaggio che mi arriva in testa da parte del pilota è di quelli di
tranquillità e di sicurezza. Dunque, un volo aereo senza alcuna
preoccupazione. Il ritorno
da Stoccolma avverrà fra quattro giorni, il 30 giugno, con le stesse
formalità dell'andata e cioè doppio volo ceco, con la preoccupazione in
più che a Praga la sosta purtroppo sarà più breve, appena quarantacinque
minuti. Infatti partenza da Stoccolma Arlanda alle 15.45 col volo
O726 al Terminal 5 e arrivo a Praga
Ruzynĕ
al terminal 2 alle 17.45 . Partenza da Praga
Ruzynĕ
alle 18.30 terminal 2 con il volo O0491 e arrivo a Roma
Fiumicino alle 20,15. Dunque a Praga ci sono
solo 45 minuti per prendere la coincidenza per Roma. Il
che mi preoccupa un po' perchè, vista la ristrettezza dei tempi,corro seri rischi. Ma mi sollevo subito pensando che un volo Stoccolma-Praga offre maggiore sicurezza e garanzia di puntualità di un
volo Roma-Palermo il quale, dicono le statistiche, è quasi certezza un
ritardo di non poche decine di minuti. Il primo tratto dell'andata è tutto
veloce. Il secondo un po' meno perchè sull'aereo partito da
Praga siamo in tanti, silenziosi, ognuno immerso nei propri pensieri e per giunta fa
anche freddo. Da questo punto di vista i pantaloni estivi permettono un
raffreddamento delle gambe particolarmente significativo che mi fa
avvertire qualche brivido di freddo. Anche perchè il mio abbigliamento non è invernale.
Chiedo a una hostess ceca di poter avere una coperta da mettere sulle
gambe ma la risposta è negativa perchè sembra che non ce ne siano. A
Roma faceva un caldo insopportabile mentre qui la temperatura è molto
più bassa. All'arrivo a
Stockholm-Arlanda non riesco a vedere nulla dell'aeroporto
perchè l'aereo come contrariamente avviene spesso a Fiumicino non viene
posteggiato in una piazzola di sosta distante dalla sala di sbarco.
Infatti il portellone una volta aperto immette direttamente nella zona
passeggeri dell'aeroporto. La prima novità che osservo con stupore è il
pavimento, che è in legno. Non avevo mai visto prima d'ora un pavimento
a parquet in un aeroporto. Mi colpisce la novità, ma comprendo
che qui deve essere una cosa comune. La Svezia è piena di boschi e il
design di oggettistica in legno è una specificità oserei dire culturale
degli indigeni. Ci
sono molte vetrate trasparenti nei corridoi fino a che non arrivo al
rullo trasportatore dei bagagli. Passa pochissimo tempo ed entro in
possesso della mia valigia. Tutto
soddisfatto seguo il flusso dei viaggiatori che nel frattempo si è
ridotto notevolmente. Non sono sicuro di essere nella fila giusta ma vedendo un
cartello indicatore contenente l'iconcina di un treno che dice
Arlanda Express mi sento sollevato e seguo il percorso del corridoio
con maggiore celerità. All'improvviso una cella fotoelettrica mi apre
automaticamente una doppia porta scorrevole ed io entro in un tunnel che immagino mi porterà alla fermata della stazione
ferroviaria. Sento alle mie spalle che la porta attraverso la quale
sono passato si rinchiude e da quel momento in poi la
luminosità del tunnel si riduce notevolmente, tanto da mettermi in
apprensione. Accanto a me non c'è nessuno. Penso che sia improbabile che
tra più di centocinquanta persone quanti eravamo all'uscita dalla
carlinga dell'aereo sia rimasto solo io a prendere il treno. Vedo in fondo una luce più
intensa che illumina un binario e improvvisamente una preoccupazione mi
prende : "ma io non ho ancora acquistato alcun biglietto del
treno" mi dico. La tentazione di ritornare indietro è forte ma ormai non
è più possibile effettuare lo stesso percorso perchè in fondo la porta è
chiusa. Mi innervosisco un po' e inizio a cercare qualche chiosco o
macchinetta automatica che mi possa aiutare e invece, per la seconda
volta, sono colto da una crisi di nervi perchè non ho in tasca nessuna
moneta locale, suppongo in corone svedesi. Fortuna vuole che in quel
momento mi ricordo che nei paesi scandinavi quasi tutti usano la carta
di credito ed io ho in tasca la mia, che a quel punto per scaramanzia
tocco con mano per farmi coraggio. Mi viene in mente un fatto che ho
letto in un resoconto di viaggio svedese. Accadde qualche anno fa a un
viaggiatore italiano che prenotò in internet un hotel di una
cittadina svedese. Arrivato all'una di notte e scaricato in strada da un taxi trovò la porta dell'hotel chiusa, senza portiere. Dovette rimuginare
qualcosa per almeno mezz'ora nel freddo di una notte invernale a -5 °C
per ricordare che nella sua prenotazione c'era un codice numerico di
cinque cifre che doveva essere digitato su un tastierino vicino alla
porta di ingresso, affinché la porta si aprisse, come con
la formula magica “Apriti
Sesamo”, utilizzata in Persia nella fiaba di
"Alì Babà e i
quaranta ladroni"
per accedere alla caverna del
tesoro. Qui il tesoro in ballo era chiaramente una camera d'albergo
riscaldata nel mezzo di un ambiente ostile, freddo, implacabile e in
perfetta solitudine. In un angolo vedo una specie di totem con uno
schermo e vengo preso dall'ansia da prestazione digitale nella speranza
che la macchinetta dei biglietti funzioni. Inserisco la mia carta di
credito nell'apposita fessura nella speranza che gli svedesi siano più
attenti di quelli italiani alle esigenze degli utenti, permettendomi di
comprendere facilmente i messaggi sul monitor con un inglese facile e
non come in Italia dove la vecchia e comprensibile "macchinetta" si
chiama "obliteratrice". Invece qui è tutto facile. Premendo un pulsante
si cambia lingua e si passa dallo svedese all'inglese. Dopo una
schermata di benvenuto mi si invita a scegliere tra un biglietto di sola
andata o di andate e ritorno. Scelgo questo secondo tipo per mettermi al
sicuro da eventuali problemi analoghi durante il tragitto inverso di
ritorno e dopo pochi minuti da una fessura esce la stampa del ticket
di andata e ritorno al prezzo di 380 kr (1 € = 9 kr). "Ah come
amo questi svedesi!" mi dico e ritorno ad essere entusiasta del viaggio.
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Pochi minuti dopo il
treno Arlanda Express si ferma davanti a me. "E' proprio un
vero treno e non un trenino da metro" mi dico. Neanche il tempo di
sedermi vicino al finestrino che arriva il controllore che mi vidima
il biglietto. "Da questo momento in poi nessuno mi disturberà più"
mi dico nella mente e mi seggo. Nell'altra fila vedo una
signora che legge un libro e non mi degna di uno sguardo. Sono un po'
preoccupato perchè il mio maglioncino è insufficiente a coprirmi dal
freddo che provo nella carrozza e non mi va di aprire la valigia,
facendo spettacolo davanti ai pochi passeggeri della carrozza, per
indossare il mio k-way impermeabilizzato. Così mi abbasso le
maniche del maglioncino e mi rannicchio nel sedile, guardando il panorama
fuori dal finestrino. Intorno a me da una parte e dall'altra della
vettura vedo alberi di betulla, diritti e sottili che formano un bosco
bellissimo senza soluzione di
continuità.
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Gli alberi e il
sottobosco di colore grigio chiaro sembrano surreali, perchè è come se fossero stati curati
e messi là per una scenografia di un film. Eppure quello che vedono i miei
occhi è la pura realtà. Sembra un bosco finto per esigenze
cinematografiche. Ogni tanto si vede un muretto di pietre disposte
con cura una accanto all'altra, con grande ordine e simmetria. Il bosco
continua per chilometri mentre il treno assume un'andatura costante.
La sensazione che provo è straordinaria, di innamoramento, quasi come se
il regno della foresta fosse la mia destinazione finale. Mi viene da pensare che gli operai della ferrovia quando
sono intervenuti per sistemare i vari tratti di binario che sto
percorrendo si sono sentiti talmente coinvolti nella
loro opera professionale che hanno curato con impegno anche i bordi esterni
del bosco limitanti la ferrovia. In giro non si vede nessuno. Sono al
corrente che la Svezia è un paese poco popolato con una bassissima
densità di popolazione per km2. Nonostante l'enorme
estensione dei boschi nell'intero paese credo che qui non esistano delle
figure fittizie o virtuali di guardie forestali come quelle siciliane o
calabresi che i loro boschi non li curano mai nonostante siano decine
di migliaia. Il pensiero che sto andando a Stoccolma mi rende felice
anche se sono perplesso nel conciliare l'enorme quantità di magnifici e
bellissimi alberi con una città che si struttura su isole e corsi
d'acqua. Sono del parere che sarà uno spettacolo osservarla da vicino. Dicono che questo treno sia uno dei più veloci collegamenti
esistenti tra
l'aeroporto e il centro città di tutta Europa. Parte alle 15.35. Infatti, dopo solo
venti minuti circa mi
trovo nel binario esterno della Stockholm centralstation,
cioè della Stazione centrale di Stoccolma. |
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Visto che l'aeroporto
di Arlanda si trova a 45 km a nord di Stoccolma e il treno ha
impiegato venti minuti vuol dire che è sfrecciato a una velocità
media di 135 km/h. Ho detto «velocità
media»,
perchè in realtà alcuni tratti dell'intera distanza sono stati percorsi a velocità inferiore
ma altri a velocità superiore a quella media. Dunque, in alcuni tratti,
si sarà sicuramente avvicinato ai 200 km/h. Sono le 15,55 quando
scendo dal treno in un tranquillo, sereno ma freddo lunedì di fine giugno 2006. Nella
Stockholm centralstation
mi fermo solo pochi minuti a una Pressbyrån (edicola) per
comperare un Förköpt Enkelbiljett, cioè un blocchetto di
10 biglietti singoli validi per tutta la rete per i trasporti di Stoccolma,
al prezzo di 180 Sk. Il mio albergo si trova a pochi passi dalla stazione ferroviaria, a non
più di cinquanta metri dall'uscita del binario principale d'arrivo!
Nelle città italiane questo binario si chiama sempre binario 1 per
indicare che è quello più vicino all'uscita. |
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Ho un grande desiderio di
vedere la Centralstationen perchè mi ricorda un
cortometraggio svedese che vidi alcuni decenni fa, di sera tardi in tv, su
una storia di alienazione di un uomo che aveva perduto il senso della
vita a causa di una crisi esistenziale. Il film metteva al centro l'arrivo
di notte di quest'uomo in un'anonima stazione ferroviaria svedese.
Costui sceso dal treno si trova solo a vagare prima nella stazione e poi nella
città. Scene terribili di solitudine e di isolamento dalla società.
Quelle immagini mi hanno segnato in modo terribile su questo tema
relativo alla solitudine nelle moderne società scandinave. Ma ho premura
di andare in hotel perchè il freddo e la fame mi inducono alla fretta. L'albergo si chiama Nordic Hotel,
appartiene al gruppo Nordic Sea Hotel
e si trova in Vasaplan 7, nel quartiere centrale della City,
chiamato Norrmalm. Scendo dal treno e mi
guardo intorno. L'atmosfera che si respira è la stessa di
quella che si nota in qualunque stazione ferroviaria
di una qualunque città d'Europa. Quante volte ho visto nella mia vita un
assembramento di gente che dopo essere scesa da un treno
al capolinea si muove verso l'uscita per prendere un mezzo di trasporto
per arrivare a casa o in ufficio. Qui però noto
una differenza e cioè che al termine dei binari c'è una grande hall
piena zeppa di negozi, bar, chioschi di tutti i tipi, tavole calde, self
service, banche e molte panchine di legno pulite, comode e invitanti a sedersi che
non esistono nelle stazioni ferroviarie italiane. Tranne il solito
piccolo e squallido bar e un'angusta edicola di giornali nelle città italiane c'è molto poco. Qui tutto è
invitante. Non solo, ma all'interno non c'è freddo. Insomma una sala
appetibile e interessante. "Ne terrò conto per i prossimi giorni" mi
dissi. Intanto ne approfitto per rifornirmi di banconote locali che mi
serviranno nei prossimi giorni. Il cambiavalute si chiama Forex.
Consegno 100 € ottenendo 932 corone svedesi, al cambio di 1€=9,3Sk. All'uscita
della stazione, oltre ai treni c'è una fermata della metro, diverse linee
di bus e un parcheggio di taxi in attesa. Anche qui una novità: il logo
della metropolitana non è la solita M color rosso, più
o meno vivo che si trova nelle città del sud Europa, iniziale della parola Metropolitana ma una anonima
e ignota T in colore blu su sfondo
bianco, iniziale della parola svedese Tunnelbana. L'uscita dalla
stazione e il breve tratto per raggiungere l'albergo mi ricorda il mio primo giorno di lavoro in una cittadina
italiana posta nel profondo nord tra le Alpi retiche e le Prealpi
orobiche quando, arrivato di domenica, esattamente il 4 novembre
1973 in una fredda mattinata e con la neve sulle montagne, all'uscita della stazione ferroviaria vidi i tetti
grigi delle case costituiti da grigissime e sottili lastre di copertura
dei tetti in pietra di ardesia, ricca di carbonato di calcio in
contrasto con le rosse tegole ondulate del profondo meridione d'Italia.
Mi sembrò una cosa "fuori dal mondo" perchè per la prima volta osservavo
direttamente con i miei occhi un fatto del genere che non era solo un
fatto di colore ma di vita. |
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All'angolo della strada vedo
il mio albergo. L'hotel è un quattro stelle. La facciata è moderna,
realizzata in vetro con una grande pensilina anch'essa di vetro. Le
strade non sono asfaltate di bitume come in Italia ma pavimentate con pietra in ardesia o
porfido con superficie ruvida e antiscivolo, in pavé. All'entrata dell'albergo noto
un'altra differenza costituita da un gigantesco acquario e un
ambiente moderno dal'ottimo design decisamente differente da quello
classico degli alberghi italiani. Alla Reception una
gentile impiegata dietro il suo computer dopo aver controllato il
mio passaporto mi fornisce una card
magnetica che costituirà per i prossimi quattro giorni la mia chiave personale della
camera, numero 1307, e mi scrive il numero della stanza su di un piccolo porta
tessere entro il quale viene alloggiata la card apri
porta. Salgo su e trovo una camera singola di piccola superficie,
essenziale e moderna, non certo "de luxe" o "superior" ma
semplicemente standard con una piattaforma di formica scura sulla
quale è posizionato un monitor che funge da televisore. La luce è
diffusa, fredda, estranea, adeguata alo stile di un albergo
funzionale e moderno. La finestra dà in un anonimo cortile
interno che non permette di vedere alcunché delle strade
adiacenti. Unica nota positiva è quella di avere una accettabile visibilità
del cielo e
la tenda grigio scura che è sovrapposta alla tendina bianca
trasparente è abbastanza opaca da produrre, almeno lo spero, il
necessario buio durante la notte. |
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Si sa che a queste latitudini, d'estate è quasi impossibile avere
il buio in camera se
non con una tenda opaca, perchè il sole cala all'orizzonte
oltre le ventitré e rimane
sempre un diffuso chiarore notturno fastidioso per chi vuole
dormire. Anni fa, durante il mio
secondo viaggio nelle capitali dell'UE, ad Amsterdam ho dovuto
dormire con una tenda poco opaca e comunque insufficiente a
impedire la troppa luce che invadeva la stanza. Sono
tutto sommato soddisfatto della camera. Mi poteva accadere di
peggio. Il tempo
di rinfrescarmi un po' e sono subito in strada perchè scopro di
avere desiderio di qualcosa di caldo. Vero è che in aereo ho avuto la
possibilità di bere un bicchiere di acqua minerale e di
mangiare una minuscola porzione di pollo con riso, una insalatina, un micro-panino,
una mini confezione di burro e un dessert -
peraltro avente un gusto discutibile e poco allettante -
ma proprio per questo avverto la necessità di bere una bevanda al
tempo stesso tonica e rigenerante. Esco con il maglioncino addosso ma il freddo è
pungente. Sono tentato di rientrare in hotel e prendere il mio k-way
ma alla fine desisto perchè non ho intenzione di rimanere
fuori per molto tempo. Mi chiudo il colletto col bottone della camicia e mi muovo
velocemente per andare a deglutire una tazza di thè, il resto verrà con
la cena. Non ho le idee chiare dove andare e così girovago per
alcune strade vicino l'hotel senza trovare nessun locale di
mio gradimento. Nel frattempo voglio vedere un pezzettino di
città. Presa la decisione che a quell'ora è necessario
"saltare" il pranzo, vorrà dire che anticiperò la cena,
previo consumo immediato della bevanda calda accompagnata
magari da un dolce. Dicono che a Stoccolma le
torte ai mirtilli neri (sylt blåbär) sono gustosissime. La passeggiata mi porta a
percorrere alcune strade della City che si trovano fuori
di Gamla Stan (Città Vecchia), che è l'isola più grande della città
vecchia dove si trovano il Palazzo Reale (Kungliga Slottet),
la piazza di Gamla Stan (Stortorget) e la Cattedrale (Storkyrkan)
che visiterò domani con un giro in autobus del tipo
sightseeng.
Penso a quanto siano strani questi nomi che contengono molti
"costituenti" di parole composte (kung=re / stor=grande
/ slott=palazzo / gata=via / holm=leccio
/ hus=casa / torg o torget=piazza /
ecc..) che si ripetono per luoghi differenti. Un classico di
queste ripetizioni è l'esempio di alcuni quartieri della città
che hanno tutte in comune la parte finale: Riddarholmen,
Stadsholmen, Skeppsholmen, Kungsholmen. Per una persona
come me, che non ha molta memoria, riuscire a memorizzare
esattamente la loro posizione nella geografia della città è
una cosa non certo facile. Sono dell'idea
che la ragione della stranezza di questi costituenti è la poca
dimestichezza che noi italiani abbiamo con le lingue
straniere in
generale e con la lingua svedese in particolare, che ricordo
essere di ceppo germanico. In poche
parole sappiamo molto poco di "cose" svedesi perchè
siamo un popolo provinciale, radicato solo a tutto ciò che è
usuale e consueto (per esempio alcuni italiani studiano solo
lingua inglese e spagnola, molto meno il francese, poco il tedesco e il
portoghese, pochissimi lo svedese, il polacco e il russo).
Eppure le ultime tre lingue sono molto più adoperate
dell'italiano in tutta Europa.
Risponde infatti al vero l'osservazione che in molte città
europee del
nostro continente ci sono cartelli, audio-guide e spiegazioni in
svedese, polacco e russo ma non in italiano. Negli stessi
alberghi nei quali ho soggiornato in tanti viaggi nessun impiegato di
alcuna reception sapeva parlare una sola parola di italiano. La spiegazione ha a che fare col fatto che a noi italiani non interessano le lingue straniere, sono
difficili da apprendere, prevedono sforzi e sacrifici costanti
che non ci piace sostenere anche perchè frequentemente si
scopre che addirittura non possediamo bene le basi
linguistiche della nostra lingua tanto che parlare di
grammatica, di morfologia e di sintassi equivale a
parlare di cose ostrogote e per molti versi inutili. Tanto se
qualche italiano va in vacanza all'estero va solo per il mare
e non nutre alcun interesse di imparare un minimo di lessico
della lingua indigena del luogo. In una sola parola siamo
provinciali. Sfido chiunque a dire che cosa l'«italiano
quadratico medio» conosce di letteratura,
di storia, di
politica, di musica, ecc.. di paesi comuni occidentali come il Canada o
l'Australia, per non
parlare della Nuova Zelanda o del Sud Africa. Quasi nulla.
Se poi chiedessimo qualche informazione relativamente a paesi
asiatici, peraltro molto importanti come Cina, India, Indonesia o dei
paesi arabi del Golfo, la conoscenza da inadeguata diventerebbe zero
tagliato. D'altronde i nostri organi di informazione
sono ancora più provinciali perchè le nostre radio, televisioni, giornali,
settimanali, ecc.. non parlano mai di questi paesi. Scrivono e
parlano solo di cose italiane, di cortile, e se si sforzano
parlano solo di Londra, Parigi e Madrid. Siamo provinciali
perchè l'informazione è provinciale e, ultimo ma non di meno,
perchè la nostra classe politica è mediocre e provinciale. Volendo essere
pungenti (critico lo sono per principio) c'è un'altra spiegazione vergognosa ma più efficace
alla domanda, che riguarda il fatto che nei paesi scandinavi o dell'est
europeo l'italiano non sa nulla e non si informa di
niente, perchè
in quelle capitali non ci sono squadre di calcio famose e
ambite. Ritornando al lessico svedese e alla sua
morfologia dico tra me che devo abituarmi un
po' a queste parole che non sono radici o temi ma
"costituenti". Per dire la verità alcune paroline svedesi le
ho imparate a memoria per tutte le evenienze. So cosa
significano. Penso che
mi basteranno. C'è da dire comunque che dal punto di vista
grafico lo svedese è molto più semplice della lingua ceca
relativa al mio ultimo viaggio, perchè i
segni diacritici sono solo tre: å ö ä
questo perchè l'alfabeto
svedese, oltre alle venticinque normali lettere latine,
contiene tre vocali in più messe alla fine dopo la zeta con
segni diacritici sopra, come
«Å»,
«Ä»
e
«Ö».
La Å, cioè la A con il pallino vuoto, è una lettera che
conosco bene perchè è l'iniziale del cognome
Ångström
e in metrologia esso rappresenta una unità di lunghezza piccolissima,
cioè 1 Å = 10-10 m, cioè un decimo di miliardesimo di metro.
Tra l'altro a un congresso di fisica in Italia ho conosciuto un
insegnate norvegese che mi ha assicurato che questa lettera si legge
come la O italiana. E, dunque, la lettura corretta del nome è "Ongstrom"
e non "Angstrom". A proposito, nel Sistema Internazionale di
misura i segni diacritici non sono ammessi. Perdonatemi ma ho sempre avuto il
pallino della
correttezza della pronuncia di un cognome secondo la lingua
dell'interessato e non secondo quella italiana che spesso è fuorviante e
ridicola. Per esempio, il cognome del fisico inglese James
Prescott Joule non si legge "giaul" ma "giul",
James Watt non si legge "vatt"
ma "uòt", Isaac Newton non si legge "nevton" ma "niùton" e via discorrendo. Nel frattempo entro in un
caffè che possiede una buona proposta di pasticceria e mangio una
fetta di torta alla mandorla
sovrastata da una "palude" di mirtilli. Una tazza di thè caldo al latte
poi mi rinfranca notevolmente. Esco dal
caffè per fare una
passeggiata e prendere contatto con la città.
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Il freddo continua a
essere spietato con me senza pietà nonostante sia estate. Anzi, a un
certo punto «una corrente
d'aria fredda mi sferzò più volte il viso». Sono le parole del
protagonista del romanzo Inferno, di August Strindberg,
riportate a pag.6 del primo capitolo dell'edizione italiana
Mondadori.
Tra le tante cose, come monito, aggiunge: "quella notte di Natale
dormii male". Ecco, quando si dice che esistono le
coincidenze. E' la pura verità: Stoccolma mi ha fatto la
stessa impressione che fece Parigi al protagonista di
Enfer, cioè Inferno. L'unica differenza è che Strindberg
ambienta l'evento a Parigi vicino al boulevard Saint-Michel
mentre io lo localizzo nella sua città natale, nella Vasagaten,
investito
da
correnti d'aria gelate. Questo
clima polare mi rende nervoso perchè ho lasciato Roma con un caldo
intenso. Qui sembra inverno, là ho lasciato l'estate. Lungo la strada
alzo lo sguardo e vedo chiaramente non molto lontano da
me la sagoma di una chiesa svettare orgogliosamente dietro i palazzi. E' la
Klara Kyrka, cioè la chiesa di S. Clara, costruita in
mattoni rossi e neri. Sarebbe da visitare ma in questo momento
non me la sento perchè ho una grande curiosità di vedere tutto ciò
che è possibile e subito in strada. Non credo che ritornerò di nuovo
a Stockholm facilmente. Dunque, preferisco camminare nelle strade e osservare
il panorama. Percorro la Vasagatan, la Olof Palmes gata, la
Sveavägen e la Klarabergsgatan per ritornare
nella Vasagaten. Questa sera non voglio allontanarmi
dai pressi del mio albergo, anche perchè comincio ad avvertire la
fatica di un doppio viaggio aereo. |
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In una traversa vedo un piccolo
ristorante arabo che mi ricorda che una possibile alternativa
alla cucina svedese può essere,
in circostanze di emergenza come quella che sto vivendo
attualmente, un buon piatto di cuscus caldo di qualunque tipo,
carne o vegetale,
alternativo a tutto. Decido
così di entrare e di mangiare qualcosa. All'uscita rientrerò
immediatamente in albergo. Dopo solo una decina di
minuti di attesa mi trovo davanti un piatto caldo di cuscus alle
verdure e un contorno di riso allo zafferano. Il
piatto non è per niente squisito. Tutt'altro. Mi ricorda lo strano gusto
dello spuntino in aereo, alla "plastica" tanto per essere più
chiari. La cena è veloce e all'uscita vedo che sta piovendo. La pioggia, fastidiosa e fredda come
poche, mi complica il rientro in hotel. Fortuna vuole che non sono
distante dalla Vasaplan. In hotel la camera è fredda
e il pigiama di cotone che ho portato da Roma non mi
aiuta per niente a riscaldarmi. Tutt'altro. Nel letto c'è uno scomodo
piumino che ostacola non poco il mio tentativo di addormentarmi,
soprattutto nella prospettiva di una
notte che non fa mai completamente buio. "Chissà", mi dico,
"domani non è Natale ma probabilmente avrò una notte in cui dormirò
male". E con la faringe probabilmente infiammata cerco
di addormentarmi. Quello che posso augurarmi è che arrivi
presto il giorno della partenza per ritornare a casa il più
presto possibile. Il tempo qui scorre lentamente. Non riesco a
prendere sonno. A ogni ora mi alzo per vedere una luce di vespro come se
c'è un tramonto continuativo in atto. La stanchezza però ebbe il sopravvento e
mi addormentai. |
Secondo giorno Martedì 27 giugno.
Nella mia prima mattinata di visita alla
città sono pronto a vedere e "toccare con mano" alcune
immagini di capolavori della
magnifica Stoccolma. Sono le 9.30 di una fredda e di nuovo piovosa mattinata di
fine giugno. Ho già fatto colazione in albergo a base di latte caldo con
miele, panini imburrati con uno strano ma piacevole sapore di burro
molto differente da quello italiano con su spalmata una squisita
marmellata di mirtilli nerissimi e un buon caffè caldo. Oggi ho in
calendario la visita della città con il tour su un autobus Sightseeing. Voglio vedere la parte più interessante
della città comodamente seduto al di dentro, in un ambiente sicuramente
meno freddo dell’esterno e, soprattutto, al riparo della fredda pioggia e
dell’umidità che questa mattinata insalubre produce in ogni luogo della
città. Mi trovo già al punto di ritrovo in anticipo di
un quarto d’ora sull’orario previsto delle ore 10.20. Con il mio
ombrello tascabile che mi ripara con difficoltà dalla pioggia battente
sono in attesa muovendo le gambe infreddolite. Avverto un fastidioso
senso di mal di gola, amplificato da una sensazione dolorosa nel momento della deglutizione. Sono
dell'avviso che è
senz’altro colpa del freddo e delle correnti d'aria gelide che ho preso ieri pomeriggio
all'arrivo. Mi sento anche la
fronte un po' calda. Non oso pensare alle
conseguenze di una probabile infiammazione alla gola che potrebbe indurmi
di rimanere a letto per giorni, per cui mi concentro
nelle operazioni di attesa del bus. Accanto a me le solite coppie di
turisti tedeschi, più o meno avanzate negli anni, ben coperti e
soprattutto con un abbigliamento adeguato alle difficoltà climatiche.
Li invidio per la loro precisione e tempestività nell'organizzare
l'abbigliamento sempre in modo giusto e sicuro. Parlano tra loro a bassa voce. Non capisco quasi niente di quello che
dicono ma penso che stiano parlando dell’imminente arrivo dell’autobus
del tour Citysightseeing. Pochi minuti prima dell'orario di
partenza si materializza all’improvviso l'autobus in maniera così veloce
che sono colto di sorpresa e soprattutto sono costretto ad entrare in
coda agli altri, perdendo il "diritto" a sedermi al primo posto in cui si
ha la possibilità di avere l’intera visuale del percorso nelle migliori
condizioni di visibilità. Nulla di male per carità, ma sono costretto a sedermi in
un anonimo posto centrale con una visione purtroppo solo laterale della
vista delle strade e dei palazzi. Pago il biglietto del tour al
costo di 200 Sk all'addetto e
ricevo in cambio una cuffietta per seguire l’audio-guida del giro
turistico. Naturalmente il selettore delle lingue non
comprende il numero al quale è associato il sonoro in italiano. Le
lingue disponibili sono sei e il giro turistico durerà 1 ora e 30 min. Sono
costretto a scegliere il selettore della lingua inglese che mi farà
perdere i dettagli della guida. Al solito, in queste sciagurate città
europee l’italiano sembra essere una lingua sconosciuta, extraeuropea,
da terzo mondo. Avrei tanto da dire e da polemizzare su questo fatto
discriminante ma taccio per signorilità, anche perché non si
possono incolpare decine di paesi europei se non inseriscono l’italiano
nelle loro guide. Avranno avuto le loro ragioni. Ma è insopportabilmente
inaccettabile. Il bus si mette in moto e inizia la corsa. Il mio
finestrino non permette di vedere bene le strade con le loro ermetiche e
incomprensibili insegne
perché le numerose gocce d’acqua che scorrono sul vetro e la poca luce
che filtra dai vetri producono uno svedesissimo senso di pessimismo
cosmico e di distanza alienante fra me e la realtà circostante in grado di
condizionarmi nella conoscenza del dove mi trovo e cosa c’è intorno.
Senza quest’autobus non avrei mai potuto fare questo importante giro di
conoscenza iniziale della città. Se smettesse di piovere e se non facesse così
freddo e se io non avessi un così inadatto abbigliamento e se non avessi
questo fastidioso mal di gola sicuramente avrei fatto questo percorso a
piedi. Ma con i se non si va lontano e da nessuna parte. Quindi
“godiamoci questo tour” mi dico con insincero ottimismo. Facendo
buon viso a cattiva sorte penso a questa città che ogni minuto che passa
mi sembra sempre più bella, affascinante e ordinata con un misto di gratitudine per le
decine di cose interessanti che essa ha prodotto e per il sincero
riconoscimento che faccio proprio alle grandi figure della cultura
svedese. Partendo dalla fermata di Gustav Adolfs Torg del bus
Sightseeing, vicinissima alla
magnifica e imperiale Kungliga Svenska Operan (Teatro reale dell’Opera), scorrono poco dopo davanti a me
le immagini delle seguenti meraviglie di Gamla Stan (Città
vecchia): Kungliga slottet (Palazzo Reale, ovvero la residenza ufficiale del re),
Storkyrkan (la Cattedrale di Stoccolma). A Sodermalm invece c'è
Fjällgatan
mentre successivamente
a Norrmalm vedo Stortorget, Kungsträdgärden, Kulturhuset,
Nibroplan, Gröna Lund & Skansen, Karlaplan e infine a Kungsholmen
c'è il Rådhuset. L’ordine della visione se non ricordo male
dovrebbe essere questo ma potrebbe essere anche differente ma le
meraviglie e le vedute architettoniche sono quelle qui elencate,
certe e sicure al 100%, e non temono alcuna smentita. Bella città
Stoccolma, veramente bella. Mi piace. Dire che si
presenta come una città "a misura d'uomo" è poco e comunque è un luogo comune che non
permette di "misurare" la sua vera bellezza. In alcune fermate
c’è la possibilità di abbandonare il bus e prendere il battello, che è
anch’esso a tutti gli effetti un Citysightseeing. Naturalmente
pagando di più, ma stavolta navigando nei vari tratti di mare come a
Venezia col
vaporetto. Peccato
che la pioggia, non eccessiva ma continua e fastidiosa abbia rovinato un
bel giro della città. Scendo di nuovo davanti al Kungliga Svenska Operan da
dove sono partito. Ho a questo punto incassato una prima conoscenza
della città che
mi sarà utile nei successivi giorni di visita a piedi. Adesso provo a trovare un
ristorante dove mangiare qualcosa di caratteristico del luogo. Me lo
merito e soprattutto mi è necessario. Sono in dubbio se scegliere nel
menù kottbullar, cioè quelle famose polpettine di carne a forma
di palline con salsina brunsås a mo' di besciamella con panna e noce moscata
accompagnate dall'immancabile marmellata di mirtilli rossi o di ribes, oppure
dei pezzi di gravlax, cioè salmone cucinato al forno o anche
marinato in zucchero e sale servito con quel bellissimo contorno di
verdure dai colori strani (carote non solo di colore arancione ma anche
gialle e patate bollite) e una salsina bianca che manifesta sapori
svedesissimi con il
cardamomo. Prima di avviarmi però vedo sulla facciata del Teatro Reale
dell'Opera Svedese, cioè del Kungliga Svenska Operan, che è affisso il
Kalendarium, ovvero il programma delle rappresentazioni dell'anno in corso. Dico tra me che se c'è qualcosa
di interessante verrò a vederla. Leggo velocemente l'elenco con
ansia e trovo che durante la mia permanenza non c'è nulla, assolutamente
nulla da vedere e sentire, mentre nel
mese di agosto ci saranno due appuntamenti interessantissimi, così
presentati:
August 2006
26 Sat Cavalleria Rusticana/I Pagliacci 7.30 p.m. Public Day;
31 Thu Cavalleria Rusticana/I Pagliacci 7.30 p.m.! Fine della
speranza di vedere un'opera di Mascagni o di Leoncavallo nel profondo nord
della Scandinavia. A
proposito di musica c'è da dire che la Svezia non ha avuto grandi compositori
se non Franz Adolf Berwald rimasto praticamente ignorato.
A due passi da dove mi trovo adesso c'è, nella City, la parte che
preferisco di più frequentare per svariate ragioni. Da Sergels Torg
a Kungsträdgarden si trova una delle parti più interessanti di
Stoccolma perchè essa rappresenta l'anima commerciale e turistica per
eccellenza. Poi nella Hamngatan, a due passi dalla Kulturhuset,
c'è il NK Stockholm (dove NK sta per Nordiska Kompaniet)
che è un ottimo centro commerciale nel quale trovare, oltre alle decine
di negozi di abbigliamento e profumi, bar,
self service e pasticcerie a volontà che mi possono salvare dal freddo
delle strade per mettermi
sotto un tetto a temperature decisamente maggiori di quelle esterne. L'edificio è
bellissimo. Classico ma anche moderno. Ha quattro piani (il quinto è
solo una terrazza chiusa nel quale c'è un grande e spoglio self service).
Ogni piano presenta una bella
balconata dove lo sguardo può soffermarsi anche sui dettagli degli altri
piani. Il piano terra presenta una scalinata superata la quale ci sono
moltissimi negozi per la cura e la bellezza del corpo e della pelle. Io
sono interessato, come è prevedibile, alla ristorazione perchè desidero
assaggiare in loco una semplice pietanza di salmone con contorno di
patate, verdure cotte e salsina variegata. Il pasto è frugale, ma intenso perchè la fame fa
sentire i suoi morsi. Mi sposto al piano sottostante dove c'è una
fornita e ricca pasticceria. Nel frattempo osservo un po' la gente e i
negozi. Vedo molte donne, non proprio giovani, che sono sole ai tavoli. Mi
ricordano alcuni personaggi femminili dei film di Ingmar Bergmann e
credo di non sbagliare di molto se affermo che le rassomigliano
abbastanza, anche fisicamente, nonostante sia passato mezzo secolo tra
le due generazioni. Cito solo due film "Sinfonia d'autunno" e "Il
silenzio" nei quali le caratteristiche somatiche delle attrici che
recitano sono molto vicine a quelle che vedo adesso davanti e di lato a
me. In entrambi i film le interpreti hanno rappresentato a quel tempo un
prototipo ideale di donna svedese, dalla personalità complessa e dalla
forte impronta libertaria. Saranno i loro volti, saranno le luci fredde
e le tante modernissime vetrate dell'intero centro commerciale, saranno
i caratteri delle insegne dei negozi nella bella lingua di Carl
Strindberg, sarò io che mi sento esaltato nell'osservare direttamente i
caratteri visivi della bella capitale svedese, fatto sta che tutto
mi sembra una rappresentazione cinematografica, come se ciò che sto
vedendo in questo momento davanti a me fosse il frutto di un film o di
un documentario televisivo. Penso a me che mi trovo a duemila chilometri
circa di distanza da casa in linea retta sullo stesso fuso orario di
quello italiano, per cui l'ora locale coincide con quella del mio
orologio in Italia. A pensare queste cose mi aiuta l'abitudine a vedere
la cartina geografica dell'Europa con al nord la Svezia e gli altri
paesi scandinavi. La longitudine di Stoccolma (18° E) è maggiore di
quella di Roma (12° E) di sei gradi circa, essendo spostata più a destra
verso oriente dal meridiano, mentre la differenza di latitudine è molto
maggiore. Adesso mi trovo a 59° 23' N. Il che significa che sono a
17° circa in più di quella di Roma. Capperi sono molto spostato verso i
paesi delle aurore boreali. E' il punto più distante da Roma verso il
polo nord in cui io sia mai stato. Un vero record di posizione
geografica nel profondo nord d'Europa. Penso che sia giunto il momento
di rientrare in hotel. All'entrata trovo una gentile impiegata che mi
propone, per un prezzo scontato, di fare l'esperienza dell'icebar,
che io chiamo con il suo vero nome di igloo di
ghiaccio. Non capisco bene la proposta, tuttavia appena ho contezza
dalle immagini del depliant che mi porge e capisco che mi si vuole far
fare un'esperienza "di freddo" nell'attrezzato sottoscala dell'albergo
taglio subito corto e rifiuto la proposta. Sembra che si abbia diritto di
rimanere 45 minuti in un'avventura che prevede di trascorrere il tempo con altri
clienti in un ambiente "cool", e per giunta pensate un po', con un nuovo design!
"Questi sono matti", mi dico. Io ho la fronte calda, sento freddo, sono
mezzo ammalato e secondo loro dovrei entrare in un igloo per
peggiorare il mio stato di salute. Ma stiamo scherzando? Invece di entrare in un ambiente da frigorifero e bere un
liquore alcolico a temperature polari, da loro definito fabulous
drink, la Direzione dell'hotel se mi avesse voluto fare una
cortesia avrebbe dovuto propormi una visita in ambulatorio con un
otorinolaringoiatra magari a prezzo scontato. Altro che igloo!
Rientro in camera. La trovo come
era prevedibile terribilmente fredda. La cameriera ha fatto finta di sistemare il
letto. In realtà ha solo sistemato meglio il piumino e sistemato le
lenzuola. Tra l'altro io non posso soffrire i piumini di qualunque forma
e colore. Preferisco le coperte. Riflettendo sulla proposta scandalo
dell'esperienza dell'icebar mi viene in mente un episodio raccontatomi da un mio amico. Si
tratta di come, in momenti difficili della nostra esistenza in cui un
nostro familiare corre pericolo di morte a causa di una malattia al
cuore, si possono prendere decisioni imprevedibili e inconsuete.
Dunque,
il mio amico preoccupato delle
conseguenze della malattia del fratello e avendo constatato che in Sicilia negli
anni '70 era praticamente impossibile trovare un ospedale attrezzato per
interventi al cuore, stufo di essere preso in giro da medici dai nomi
altisonanti ma in realtà da affaristi congeniti incompetenti a cui interessavano solo
parcelle salate, decide un piano diabolico. Prende un volo insieme al
fratello su un aereo da Catania per Stoccolma. L'aereo
era pieno di turisti svedesi che ritornavano al loro paese dopo una
vacanza in Sicilia a Taormina e Naxos. Arrivati di sera in albergo dopo
alcune ore ha
fatto simulare al fratello un forte dolore al petto chiedendo alla
reception dell'hotel un'autoambulanza per essere portato al pronto
soccorso. La visita mostrò una forte sofferenza al cuore e nel giro di
alcune ore viene operato d'urgenza da una equipe di medici che
praticamente gli salvano la vita. Dunque, da quel momento ho sempre avuto
grande considerazione della sanità svedese. Spero adesso che
l'infreddatura presa mi consenta di poter partire venerdì per Roma e non
viceversa di ricorrere anch'io ai servizi sanitari di Stoccolma. |
Nel tardo pomeriggio esco
dall'hotel per un motivo stringente che riguarda il mio abbigliamento.
Ho deciso di comperare una maglietta di lana e un cappello per il
freddo. A piedi fino alla fermata T-Centralen prendo il bus
numero 2 e scendo in Hamngatan, dopo il ponte, nella quale c'è un
grande magazzino H&M. In un camerino indosso la maglietta mista
cotone-lana. I due acquisti mi galvanizzano un po' e decido di
percorrere la strada a piedi con il cappellino. Mi ricordo a questo
proposito un passo del
dramma teatrale Danza di morte (Dödsdansen) di August Strindberg quando nel
primo atto Alice, la moglie, definisce suo marito, il Capitano, un ammalato. Per tutta risposta il Capitano dice: «Io non sono stato
malato. Solo indisposto, e una volta soltanto». Ebbene adesso dopo
essere uscito da H&M mi sento come il Capitano, solo indisposto e non ammalato. Nel frattempo sono arrivato ai giardini di Kungsträdgården.
Questo parco è molto bello. Mi piace, tanto che è la seconda volta che lo
visito. Si trova vicino alla Kungliga Operan, vicino al ponte
Strömbron
che collega la terraferma all'isola di Gamla Stan. Ma il freddo si fa
sentire, eccome. Decido di prendere la Tunnelbana di Kungsträdgården e
scendere alla prossima fermata T-Centralen. Alla stazione ferroviaria
nell'ampia e bella hall che funge anche da centro commerciale si può passeggiare, sedersi in una
panchina, osservare la vivacità del luogo e tanto altro. Trascorrerò
qualche oretta e poi per cena andrò a mangiare la pizza in
una pizzeria italiana. Le mie condizioni di salute non mi
permettono di fare sciocchezze col cibo svedese, perchè non posso assolutamente
permettermi una indigestione a base di pesce scandinavo. Di nuovo con la
T-bana per arrivare nella
Sveavägen al ristorante pizzeria "Da Pino". La pizzeria è gestita da un
signore italiano. Ordino una pizza margherita all'italiana con
ingredienti possibilmente italiani. Il titolare mi raggiunge al tavolo e dopo pochi
minuti ci siamo messi a chiacchierare del suo ristorante e dell'olio e
del pomodoro che lui importa dall'Italia. La serata si mette bene perchè
alla fine mi saluta calorosamente e mi fa promettere che prima di
partire ritornerò di nuovo per un'altra pizza speciale. Fuori
«fa un
freddo cane, questa sera» ed io precipito un'altra volta nello sconforto del mal di
gola. L'asserzione tra virgolette angolari, così come l'ho proposta io,
non è mia. Si trova nella terza scena del primo atto del dramma
teatrale Il Padre (Fadren), di Carl Strindberg, quando il
Pastore si congeda dal Capitano per uscire nelle strade di
Stoccolma. Mai le parole scritte da Strindberg sono state più vere di
così. |
Rientro in albergo stanco
con la fronte calda. Mi attende una notte sicuramente peggiore della
precedente. Mi metto il pigiama di cotone e il pullover sopra la
maglietta acquistata per migliorare la tenuta del calore corporeo e
ridurre la leggerezza del pigiama. Domani dovrò comprare
anche una sciarpa di lana. Trovo una coperta in un'anta dell'armadietto e la
indosso sulle spalle per vedere un po' di televisione. Naturalmente non capisco una sola
parola di quello che annunciatrici, lettori del telegiornale e conduttori di programmi
dicono. E' normale. Intanto si è fatto tardi e cerco di
addormentarmi ma due pensieri mi ritornano in mente. Il primo è, come
ieri sera, il
ricordo del passo dell'Inferno di Strindberg che anticipa una notte
prevedibilmente dura. L'altro riguarda il famoso passo scritto da Alessandro Manzoni
nei "Promessi Sposi" nel Capitolo XXXIII. Racconta della notte insonne
passata da Don Rodrigo quando dopo essere rincasato e seguito dal
Griso in camera da letto che teneva in mano un lume (Manzoni lo fa
chiamare a Don Rodrigo "maledetto lume. Diavolo! che m’abbia a dar tanto
fastidio!") cercò di addormentarsi come sto cercando di fare io qui
nella fredda Stoccolma:
«ma
le coperte gli parvero una montagna. Le buttò via, e si rannicchiò, per
dormire; ché infatti moriva dal sonno. Ma, appena velato l’occhio, si
svegliava con un riscossone, come se uno, per dispetto, fosse venuto a
dargli una tentennata; e sentiva cresciuto il caldo, cresciuta la
smania. Ricorreva col pensiero all’agosto, alla vernaccia, al disordine;
avrebbe voluto poter dar loro tutta la colpa; ma a queste idee si
sostituiva sempre da sé quella che allora era associata con tutte,
ch’entrava, per dir così, da tutti i sensi, che s’era ficcata in tutti i
discorsi dello stravizio, giacché era ancor più facile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio: la peste».
Certamente sono al corrente delle differenza che esiste tra la peste e
una volgare faringite. Ma con questo freddo le sensazioni si
ingigantiscono e possono fare brutti scherzi al sonno della notte. Devo anche dire che la
faringite sarà anche volgare ma mi sta togliendo "'o suonno e a
fantasia" direbbe un napoletano. Alle 23 mi alzo, scosto la tenda e
osservo dalla finestra un chiarore che mi ricorda la luce
zodiacale. Si tratta di una luce diffusa, inutile, che non permette di
mettere a fuoco nulla del panorama ma che esiste e gioca il suo ruolo
aumentando l'estraneità di una terra molto diversa da quella mediterranea. La serata di oggi è stata finora la peggiore. Di solito nei
miei viaggi la sera in hotel mi svago piacevolmente vedendo la TV e cambiando canale
spesso per farmi un'idea dell'offerta televisiva del paese. Ma questa
sera è traumatica perchè il freddo, l'insufficiente mio abbigliamento e
le mie condizioni di salute mi hanno prostrato più sul piano psicologico
che su quello fisico. Stoccolma è la città dove nacque e visse
Strindberg. Inferno (Enfer) e Danza di morte sono state le prime due opere
che ho letto del Principe tra i vari scrittori letterari svedesi.
E certamente avrei voluto ricordarlo in un contesto più piacevole
dell'attuale. La notte è lunga e io alterno momenti di spossatezza che
mi fanno sperare nell'addormentarmi da momenti di lucidità che mi fanno
pensare ai vari protagonisti di Strindberg: la contessina Julie ed
Edgar, Alice e Kurt, il Capitano, Laura e il Pastore, Tekla, Adolf
e Gustav, e via discorrendo. Alla fine lo stress e le preoccupazioni
sono vinte dalla stanchezza.
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Terzo
giorno Mercoledì 28 giugno.
Oggi mi propongo di andare di nuovo a
Gamla Stan questa volta a piedi per una visita più mirata e
consapevole percorrendo alcune vie della City che ho già visto il primo giorno
e altre nell'isola.
Inizio dalla Vasagaten, quindi la Klarabergsgatan e arrivo
a Sergels Torg e Kulturhuset. La fermata qui è d'obbligo. La piazza dell'obelisco è
bellissima. L'enorme stele di Sergels Torg, chiamata in
svedese Pinnen, cioè "Bastone", si erge
maestosamente in alto all'interno di un'area riservata circolare che è
da ammirare intensamente e con calma. L'intera area è ben tenuta e
piacevole. La piazza ha due livelli: uno a livello stradale per il
traffico delle auto e l'altro sottostante. Lungo il perimetro della piazza e nel piano
sottopedonale c'è
praticamente di tutto. Negozi, alberghi, banche, uffici, caffè, ristoranti e altro. C'è
soprattutto un'idea di architettura prettamente svedese, moderna,
nordica, distaccata e, se mi è permesso, anche funzionale come si dice
qui, che fa respirare un'atmosfera autenticamente scandinava. Il grigio predomina su tutto ma è presente anche il marrone,
con sfumature più o meno scure delle facciate di alcuni palazzi,
comunque tutti in stile modernista. Frequente è la presenza di vetrate nei
palazzi, soprattutto della Kulturhuset, cioè della Casa della cultura. Rimarrei qui seduto su
una panchina per ore e ore al solo scopo di guardare. L'occhio
qui vede cose completamente diverse da quelle che normalmente si vedono
nelle piazze italiane o di qualche altra città mediterranea. A chi piace il moderno qui c'è da rimanere
soddisfatti per un'intera vita. Invece mi inquieta la stele di
Sergels Torg. Più che una colonna più o meno lavorata sembra di
vedere uno di quei totem di forma vichinga che sembra essere una
divinità da adorare. Tuttavia il colore grigio inganna perchè la stele
non è di pietra ma è rivestita di vetro traslucido che di sera immagino
si illumina mediante luci interne di diversi colori offrendo uno spettacolo veramente
grandioso. Ovunque si vede il logo della banca SEB e di IKEA, mentre sul
lato sud della piazza si vede la lunga facciata della Kulturhuset. Qui su questo palazzo di
vetro ho da fare una riflessione personale. L'anno scorso in estate ho
trascorso una vacanza al mare a Castiglione della Pescaia in
Toscana. Nell'albergo ristorante nel quale ho alloggiato ho
conosciuto una coppia anziana molto bizzarra, lei di Stoccolma e il
marito siciliano. La cosa buffa era che lei parlava pochissimo e
non perchè non capiva l'italiano ma perchè il marito, che parlava un
italiano molto approssimativo e con fortissimo accento siciliano,
praticamente era il leader di coppia esuberante e un po' spavaldo. Quando in un momento di
socializzazione mi dissero che abitavano a Stoccolma feci loro presente
che il prossimo anno sarei andato in visita nella loro città. Alla mia domanda di come un siciliano potesse trascorrere le lunghe giornate
invernali mi rispose candidamente che ogni mattina frequentava Kulturhuset
per leggere gratuitamente nell'emeroteca i giornali
italiani. Venni a conoscenza dunque dell'eccezionale servizio che la
Casa della cultura propone ai cittadini di Stoccolma. Con spirito di
grande curiosità entro e mi lancio in una veloce visita dei tre piani
del grande palazzo. Anche qui c'è di tutto. Si va dai negozi di
design ai bar e self service, da una galleria a un auditorium, da un
kindergarten con stanza da gioco a una biblioteca per bambini, da un
cinema a un teatro, da una sala per l'ascolto della musica all'emeroteca
e a sale di lettura, c'è persino una terrazza al quarto piano. Il caffè
Access è un internet point in cui si può navigare in internet. Aveva
ragione quel signore quando mi disse che trascorrere le fredde e grigie
giornate d'inverno a Stockholm era proprio possibile e forse anche
invidiabile. Riprendo il cammino per Gamla Stan con l'avvertenza però
che adesso, invece di imboccare a sinistra la Sveävagen come ho fatto ieri
per ritornare in hotel, dove c'è la
rotonda di Sergelfontanen, prendo a destra in Malmtorgsgatan.
Dopo aver superato
Gustav Adolfs torg imbocco decisamente l'ampia Norrbro che mi fa
arrivare a Gamla Stan. Questa isola com'è noto è il vecchio
centro storico di Stoccolma con in più che qui c'è la residenza dei
reali di Svezia. Io sono interessato alle stradine del centro storico.
Al centro della Gustav Adolfs torg c'è la statua equestre del re
Gustav II Adolf. Alla fine della piazza c'è un lungo ponte che porta a
Slottskajen all'entrata di Gamla Stan. I nomi delle vie e
delle piazza hanno nomi così strani che mi fanno vedere il tutto come
estremamente lontano dalla toponomastica mediterranea. E' ovvio che la lingua
svedese sia poco familiare a un mediterraneo come me. Eppure è la lingua
più diffusa nell'intera Scandinavia.
Superato il ponte chiamato Norrbro eccomi nella parte più
turistica di Stoccolma, da me visitata in autobus ieri mattina con
un'incursione solitaria e insufficiente. Oggi voglio vederla con più
calma sperando che il mal di gola che mi produce anche qualche colpo di
tosse mi dia un po' di scampo al bruciore che si ostina a non cessare.
Gamla Stan non è grande. Il quartiere, non considerando
Riddarholmen, ha una superficie pressappoco come quella di un
quadrato di lato di cinquecento metri, cioè duecentocinquantamila metri
quadrati, cioè venticinque ettari. In fondo alla
Slottskajen si vede la maestosa
Riddarholmskyrkan che io, insieme all'isolotto fiancheggiante Gamla
Stan, ho escluso nel calcolo della stima della superficie di
Gamla Stan. Mi immetto
nel dedalo delle stradine interne per guardare i piccoli negozi di
artigianato. Brända Tomten, Mårten Trotzigs Gränd, le bellissime
facciate dei palazzi di Stortorget sono alcuni dei posti
bellissimi che vedo dinnanzi a me. Qui ci sono il Nobelmuseet
e il Medeltimuseet che sarebbero da vedere ma il tempo è
implacabile A due passi dalla Strömbron ci sono il National
Museet e l'isola di Skeppholmen. Tuttavia mi rendo conto che Gamla Stan non è
una città che ha un centro storico
all'italiana, con strade molto strette, piazze piccole e negozietti
artigianali che
incuriosiscono. A parte Mårten Trotzigs Gränd che ha una
larghezza di meno di un metro le altre strade non sono vere e proprie
stradine. Nelle mie intenzioni c'era l'idea molto mediterranea che
Gamla
Stan percorsa a piedi nelle stradine, potesse mostrare negozietti che
esponessero prodotti dell'artigianato del luogo. Insomma, da ingenuo
credevo che potessi essere testimone di un percorso turistico come si
vede a Taormina in Sicilia. Qui le strade sono curatissime, con
acciottolato di granito perfettamente disposto in maniera simmetrica e
uniforme, ad arte, senza alcun elemento stradale e architettonico fuori posto. Le
pareti delle abitazioni e dei palazzi sono molto curate e sfiorano la
perfezione. In tutto questo si nota l'ambizione ad essere perfetti, forse perchè l'anima svedese è profondamente esigente e
intransigente secondo un luteranesimo che non lascia alcuno spazio
all'improvvisazione e alla casualità. Ammiro questo comportamento, tutto
orientato a dare il meglio di se stessi producendo una società che non a
torto chiamiamo "svedese" con tutti i connotati positivi
inclusi nell'aggettivo
qualificativo. |
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La mia non è delusione ma consapevolezza
della diversità di modelli e stili di architettura non condivisi. Decido
adesso di vedere la Stockholms Domkyrkoförsamling. Si
chiama così la Cattedrale di Stoccolma di rito protestante luterano. Si
trova adiacente al Kungliga slotted, cioè al Palazzo reale ed ha una torre campanaria non molto
alta con quattro campane. C'è poca gente
che segue una messa rapida ed efficiente. Siamo in tutto sette persone, compreso me e il
sacerdote che è poi una donna, vestita in completo abito talare color
nero. Non so se sia un semplice pastore o qualcosa di più. Com'è noto
nella religione protestante le donne hanno parità di diritti come gli
uomini anche in questo settore della vita sociale. I fedeli che prendono
la comunione sono esattamente cinque. Alla fine della messa riesco a
vedere la pastora luterana che si ferma a discutere con i pochi fedeli
presenti. Saluto con un cenno della testa ed esco. Non avevo mai
partecipato, nè visto una funzione religiosa condotta da una donna. Non
sono sorpreso, anzi. La reale parità di sesso qui è forse intesa più del
vincolo del sacerdozio al maschile. E' come se ci fossero due aspetti che
confliggono. Tra i due, nei paesi scandinavi e forse anche in altri paesi
europei limitrofi, si accetta quello che si ritiene più importante nella
vita della società. Il numero di fedeli nella cattedrale mi fa tornare alla mente il film
svedese Nattvardsgästerna (il titolo italiano è "Luci d'inverno" ma
la traduzione letterale è «i comunicandi») di Ingmar Bergman del 1963. |
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All’inizio di questo film, nella
chiesetta di un villaggio svedese, il pastore protestante luterano Tomas
Ericsson mentre officia la messa dà a cinque fedeli inginocchiati alla
balaustra dell'altare l’ostia della comunione esattamente come ha fatto qui
oggi, cioè quarantatrè anni dopo l'uscita del film di Bergman, la
pastora in una sorta di similitudine che mi colpisce più per le
analogie che per le differenze.
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La cosa che però mi preme
di più sottolineare, e che a questo proposito considero con ironia, è che nel film alla fine della messa il pastore Tomas si ritira
nella piccola sagrestia della chiesa e, tossendo di tanto in tanto,
mette al corrente il sacrestano che ha un forte dolore di gola
mentre la sua fronte scotta a causa della febbre. In pratica ha una
faringite, causata da un raffreddore, esattamente come quella che ho
preso io all'arrivo a Stoccolma alcuni giorni fa a causa del mio
insufficiente abbigliamento. Sorrido piacevolmente. Tra l'altro e in coincidenza della
mia visita alla Storkyrkan (la cattedrale, ma la traduzione è
"grande chiesa") il mio mal di gola si è risvegliato
facendomi tossire ripetutamente.
Se penso alle domande che mi sto ponendo in questi
giorni, soprattutto nel chiuso della mia camera d'albergo, circa
la mia impossibilità a vagare per la città come avrei voluto,
arrivo alla conclusione che sono se non identiche a quelle che
si è posto il pastore Tomas almeno presentano una sintonia di
emozioni convincentemente somiglianti. Certo le domande del pastore sono di tipo
filosofico e fortemente angoscianti circa il perchè della morte della
sua amata moglie e soprattutto per "i silenzi di Dio", mentre per
me in perfetta solitudine - come e più di quella del pastore - mi sento
non abbandonato da Dio ma semplicemente sfortunato a causa del fatto che
la faringite non mi permette quella libertà che avrei voluto
avere per visitare al meglio Stoccolma a mio piacimento.
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In condizioni "normali" avrei preso il vaporetto,
sarei andato nelle isole adiacenti, avrei visitato alcuni musei
all'aperto, ecc.. Non
dimentichiamo che tra una decina di giorni, esattamente il 10 luglio,
partirò di nuovo da Roma Fiumicino per Copenhagen per effettuare il prossimo viaggio,
il tredicesimo, nella
capitale danese. Intanto si è fatto tardi e mi è venuta fame. Debbo ritornare nella City.
Si ma senza correre. Non voglio che il mio corpo corra troppo perchè non
vorrei che la mia anima rimanesse indietro. E' la frase che spesso ho
sentito dire a mia madre quando non voleva che io da bambino corressi. Davanti al palazzo reale ci sono alcuni bus pieni di turisti che vanno e
vengono. Li supero, questa volta dall'altra parte da dove sono venuto e
lascio Gamla Stan
imboccando la
Norrbro e dopo poco mi trovo davanti alla Kungliga Operan.
Adiacente al bar Opera, sulla Karl XII:s torg, c'è
l'alternativa all'Opera Källaren
il ristorante dell'alta cucine svedese. Si tratta di
un ristorantino più abbordabile e meno pretenzioso del fratello maggiore
ma sempre elegante col quale condivide probabilmente una parte della
cucina. Non ho capito bene come si chiami ma non importa. Quello che è
importante è che
nonostante sia di piccole dimensioni
c'è un'atmosfera più amichevole e nello stesso tempo mi permette di
scegliere un menù che è contemporaneamente tradizionale ma anche
di qualità. Manzo bollito con rafano grattugiato fresco, patate e carote
bollite immerse in una salsina gustosa e una bottiglia di birra locale
mi permettono di conciliare, stomaco, gola e palato. E adesso alla
stazione centrale per prendere un caffè, al caldo del seminterrato pieno
di luci e di colori. Prendo il bus e durante il breve tragitto penso a
come sarebbe bello vivere
qui a Stoccolma. Tutto funziona alla perfezione, la gente ha bandito
l'esagerazione dai suoi costumi e vive bene. |
Sarei uno
sciocco se non volessi riconoscere che
sono preso da ammirazione sconfinata per il modo in
cui gli svedesi interagiscono nella loro società fra di loro e con
lo Stato sebbene, come si suole dire sempre in questi casi, "non è oro
ciò che luccica"! Leggendo i testi del teatro di Strindberg escono
fuori delle tematiche terribili a proposito del rapporto tra i sessi
in chiave di conflitto. Tuttavia, nonostante tutto e nonostante
Strindberg mi viene da dire che i love Sweden. Dal mio
lititato angolo visuale, per
giustificare un po' la ragione della mia dipendenza da tutto
ciò che suona come svedese introduco adesso alcuni nomi di personalità
della cultura svedese che non hanno bisogno di presentazione ma che,
per un motivo e l'altro, hanno rappresentato per me un modello di
comportamento certamente importante. Si
tratta di registi e attrici cinematografici come Ingmar Bergman,
Greta Garbo e Ingrid Bergman; di marche automobilistiche come Volvo
e Saab; di artisti del design e dell'arredo come Greger
Paulsson, il Principe Sigvard Bernadotte, Pia Wallén, Estrid Ericson
e gli architetti Gunnar Asplund e Sven Hermelin; del rispetto per l'ambiente
come il medico ambientalista Karl-Henrik Robèrt; della neutralità
politica e di uomini di governo come Dag Hammarskjöld, Olof Palmer e
Raoul Wallenberg; del welfare e della legislazione familiare
con il riconoscimento della parità assoluta di diritti tra i due
sessi; di musica come quella degli Abba; di sport come Björn Borg, Ingemar
Stenmark, Sven Utterström, Erik Larsson, Martin Lundström e Thomas
Wassberg; di economia come Gunnar Myrdal; di premio Nobel; di
arte come Carl Larsson; di scienza come Carlo Linneo, Anders Jonas
Ångström, Anders Celsius, Jöns Jacob Berzelius e Johannes Rydberg; di scrittori come
August Strindberg; di teatro svedese di nuovo con il grande Strindberg
ma anche di Ingmar Bergman; di aziende commerciali come IKEA e
H&M; di gastronomia e cucina svedese come Mathias Dahlgren, e altri
ancora. |
 |
Ebbene, a questo proposito desidero raccontare un fatto personale della mia
infanzia che coincide in maniera inverosimile con quello descritto da
altri.
Si tratta di un fatto
vissuto personalmente in gioventù che mi permette di introdurre il concetto del
perchè dire Svezia o svedese mi emoziona sempre. Il fatto ha a che fare con
il mio vissuto personale di studente che mi ricorda il tempo della mia infanzia trascorsa in
un paesino della Sicilia. Come nelle favole, "c'era una volta" in un
paesino di montagna una
stanzetta rivolta a nord verso le isole Eolie che fungeva da studio a me giovane studente. Nella stanzetta avevo una piccola scrivania, dalle linee semplici e lineari
sulla quale si trovavano un completo da scrittoio in pelle per scrivere, un porta
penna, un tagliacarte, un calendario a foglietti, una lampada, una sedia
e, accanto, due piccole librerie, con ripiani sostenuti da asticciole metalliche. Sui ripiani
trovavano posto l'enciclopedia
il milione, il dizionario enciclopedico in due volumi di Giovanni
Battista Melzi e tanti libri di narrativa, di storia, di
filosofia, di letteratura italiana e di fisica. |
|
Alla fine degli anni '50
questo genere di librerie si chiamavano "librerie svedesi", per la loro forma che
coniugavano efficienza, semplicità e, non ci crederete, anche solidità. In quella stanzetta,
da studente, facevo i compiti
e sugli scaffali della libreria tenevo i libri dei miei studi, dalle
medie all'università. I tre scaffali della libreria li aveva comprati mia madre da
Postal Market, famosa azienda milanese di spedizioni -
anticipatrice dell'attuale Amazon moderna società di vendite
online - che li ricevette per posta in due scatoloni, poi montati da
mio padre. Ogni giorno trascorrevo ore
e ore a studiare nel freddo della stanza riscaldata con una stufetta a
gas, uno scaldino elettrico per i piedi e una pesante giacca da camera
come quelle di una volta. Valerio Griffa nel suo eccellente manuale italiano di
viaggio, dal titolo "Svezia", nella sua interessante introduzione
dedicata ad "Anita e Marcello", dice: "E quel colore chiaro, quelle linee che poco
concedevano a estrosità mediterranee, mi sono entrati dentro. Come
un'educazione estetica". Si. Proprio così. Una educazione e per giunta
estetica. La libreria era per alcuni versi inadeguata. Nulla a che
vedere con quella di Giacomo Leopardi nella sua casa gentilizia di
Recanati. Quella libreria che guardavo ogni giorno e che ammiravo nella
sua splendida forma piena di simmetria e di armonica bellezza era stata
inventata, progettata e costruita nella lontana Svezia che io dopo molti
ragionamenti elessi culla del design e matrice di equilibrio,
eleganza e
sobrietà. Da quelle lunghe osservazioni di forme, profili e configurazioni
armoniche imparai ad associare alle cose belle il cinema di Ingmar Bergmann, la recitazione di Ingrid Bergman, la solidità e la
essenzialità delle auto Volvo, la brillante atmosfera prodotta dalle
canzoni degli Abba, l'interpretazione di Anita Ekberg con Marcello
Mastroianni nel film "La dolce vita" di Federico Fellini e mille altri
risvolti associati alle decine di nomi che ho riportato prima in tutti i
campi del sapere. Come fu possibile tutto questo si può spiegare alla
luce di un fatto personale che si verificò durante la mia infanzia. |
Avevo tredici anni quando i miei genitori mi
misero a pensione presso una famiglia del mio paese che aveva
affittato una casa
nel capoluogo di provincia, vicino all'orto botanico. Fui costretto ad
abitare lontano da casa, a novanta chilometri, per continuare gli studi
dopo le medie. Fino ad allora avevo vissuto sempre in famiglia, in un piccolo
paesino di montagna della Sicilia, "sotto la gonna" di mia madre. Nella
pensione io ero, tra studenti e figli della titolare, il più piccolo di tutti
e in quanto tale destinato a perdere e subire sempre.
In quell'anno un cinema della città mise in programmazione la
visione di alcuni film di Ingmar Bergman, vietati ai minori di sedici
anni. I miei amici, trasgressori da sempre e alla ricerca spasmodica delle novità,
soprattutto quando si trattava di film vietati, con la complicità
dell'addetto al controllo dell'entrata degli spettatori, riuscirono a
portarmi insieme a loro a vedere le pellicole in bianco e nero del regista svedese. Non capivo quasi niente della trama di quelle
storie. Consideravo quei film noiosi, abituato com'ero a vedere i
film del neorealismo italiani o i western statunitensi alla John Wayne che mi
entusiasmavano di gran lunga di più. Tuttavia,i film di Bergman avevano
qualcosa che mi colpivano, perchè mi facevano vedere un mondo
completamente differente da quello che la realtà del mio piccolo paese
bigotto e ristretto mi proponeva quotidianamente. Mi colpivano i
dialoghi, lenti e snervanti dei protagonisti fra i quali notavo delle
belle donne bionde, raro esempio di bellezza differente da quella
siciliana. La visione di questi film fu per me da un lato un vero e
proprio vento di novità che coinvolgeva il mondo delle relazioni umane e
dall'altro un laboratorio di relazioni tra me e tutto ciò che le
interpretazioni degli attori resero possibile fare vedere ai miei occhi.
Non li avrei mai più dimenticati. E se oggi sono qua a godere la visione
di questa bella città e dei suoi abitanti è perchè allora la mia
curiosità, introdotta dai film di Bergman, si tramutò in desiderio di
vedere la società che aveva prodotto un talento cinematografico come
quello del regista svedese. In seguito, vidi quasi tutti i film di Bergman e mi
interessai anche al teatro svedese di cui Strindberg e lo stesso Bergman
sono considerati maestri e protagonisti. |
Nel frattempo arrivo nella hall della Stockholms centralstation,
nella quale
c'è il solito movimento ma io non mi sento a mio agio. Adesso starnutisco frequentemente e accuso dei dolori muscolari alle gambe e in
maniera diffusa all'intero corpo. Mi chiedo cosa faccio qui in mezzo a
questa gente sconosciuta nelle mie condizioni di salute. In un bar prendo un thè caldo per
rinfrancarmi. Presso il solito cambiavalute del Forex cambio del
denaro. Ma l'idea di rientrare in camera si fa sempre più forte.
In un minimarket acquisto un pacchetto di cracker, due banane e un
pacchetto di caramelle e rientro in albergo. Uscirò dalla camera solo
domani mattina. |
Quarto giorno Giovedì 29 giugno. Oggi è
l'ultimo giorno di permanenza a Stoccolma. Domani si parte per Roma.
Dire che sono contento non è sbagliato perchè la partenza si avvicina e
il ritorno a Roma è desiderato tanto. Il programma di oggi è semplice.
Ho da vedere il museo Strindberg e tutto il suo contenuto. Il Museo
Strindberg (Strindbergsmuseet) è il museo di
Stoccolma dedicato allo scrittore August Strindberg e si trova nella sua
ultima dimora, al numero 85 di Drottninggatan. |
 |
A me piace il teatro e
Strindberg è un maestro del teatro. A me piacciono tutti gli
autori di teatro e per me è piacevole vedere in teatro sia il dramma "Il
Padre" di August Strindberg, sia "Natale in casa Cupiello" di Eduardo De
Filippo, come di Shakespeare, Ibsen, Brecht o Pirandello & C. Qui sono a Stoccolma e
parlerò solo di Strindberg. Dopo colazione mi avvio a piedi. Oggi mi
sento un po' meglio di ieri e spero meno bene di domani. Sarà stata la
colazione a base di latte bollente, miele, fette di pane imburrate con
marmellata e caffè, sarà perchè si avvicina la partenza, sarà perchè
sto andando a casa di uno dei miei autori teatrali preferiti, fatto
sta che mi sento un
po' meglio. Mi piace continuare a giocare a vedere i tratti della mia
vita qui a Stoccolma con alcuni brani
teatrali di Strindberg che segnalo per la loro estrema
validità ed efficacia a rappresentare bene il dramma, in chiave ironica,
del mio stato di salute. A questo proposito mi viene in mente che
all'inizio dell'unico atto della tragicommedia Creditori (Fordringsägare) di
August Strindberg, Adolf risponde a Gustav dicendo: "la testa, già
affaticata dalla febbre, andò riequilibrandosi, e i miei vecchi pensieri
d'un tempo andarono risvegliandosi". Ecco, diciamo che mi sento
come, in questa scena, un po' Adolf nel momento in cui non pensa a sua moglie Tekla. Arrivare alla casa museo è
facile. |
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Basta andare diritto per circa cento metri dalla Vasaplan, che è
la brevissima strada dove c'è il mio albergo, fino a intersecare la
Drottninggatan, ovvero "strada della regina". Qui svoltare a sinistra e
dopo altri trecento metri circa in salita si arriva sul lato sinistro
della strada al n. 85. Siamo proprio all'intersezione tra la
Drottninggatan con la Tegnérgatan, nella parte nord
della City chiamata Norrmalm. Qui intorno ci sono la
Adolf Fredriks kyrka, lo Spokparken e l'altro parco
delimitato da Tegnérlunden. Attenzione perchè la
Adolf Fredriks kyrka è un chiesa importantissima, a causa del fatto
che qui fu
sepolto inizialmente nel 1650 il filosofo francese Descartes e, fatto più
importante, qui è sepolto Olof Palme il primo ministro svedese in carica
assassinato nel 1986. Qui visse August Strindberg per
molti anni della sua vita quando non fu all'estero a Parigi, a
Berna, in Austria, in Danimarca e in Germania. La prima volta in vita
mia che sentii parlare di Strindberg fu in Sicilia. Ero studente e avevo
avuto il piacere di essere stato invitato a cena in una pizzeria di
Taormina perchè avevo fatto da arbitro a una partita a tennis a due
miei amici che reciprocamente ed eufemisticamente non si amavano. Le
condizioni della sfida erano: partita arbitrata da me, che godevo
fiducia di
entrambi, e chi dei due avesse perso avrebbe
dovuto pagare la pizza per tutti e tre. La sera a cena ci servì un bel
giovane dai capelli biondi. Era un ragazzone svedese che si pagava da
vivere durante l'estate nella cittadina ionica facendo il cameriere
nella pizzeria. Non avevo mai visto prima di allora uno svedese vis a
vis. Si chiamava Edgar ed era gentile e premuroso. Fu uno dei
commensali, più grande di me, il più intellettuale nonché colui che era
più colto e informato di tutti, che fece notare che si chiamava come
uno dei personaggi di Strindberg. E fu così che io sentii per la prima
volta il nome del grande
drammaturgo svedese. |
 |
Arrivo quasi subito
al museo,
varco il portoncino ed entro nella sala della reception che era una piccola stanza di ingresso
dell'appartamento di Strindberg. Al tavolo una gentile e simpatica
impiegata mi fa pagare l'entrata e mi indica le stanze aperte al
pubblico. Non tutto ciò che si vede nella casa è originale e una buona
parte è stata ricostruita fedelmente. Fa sensazione immaginare il
grande August vivere in queste stanze, con questi mobili.
Ingresso, camera da letto, sala da pranzo, studio e libreria sono
veramente belli in stile primo novecento. Lo scrittoio e il letto sono veramente interessanti
da osservare. Sembra tutto
irreale. E non è facile immaginare che è passato più di un secolo
da quando mise su casa. Eppure qui visse gli ultimi anni della sua vita,
anni in cui probabilmente prese una faringite come nel mio caso. Un
particolare mi attrae. C'è una specie di cannocchiale che mi ricorda
alcuni brani di due drammi in cui Strindberg mette in bocca al
Capitano che lui effettua osservazioni empiriche con strumenti
fisici quali lo spettroscopio, il microscopio, il manometro, e
soprattutto che si interessa allo studio dei fenomeni chimici di
trasformazione della materia. E' strabiliante che nel teatro, ovvero
in un ramo dell'arte e della conoscenza fortemente apparentato con
la cultura umanistica e letteraria un autore, il poeta e linguista come
Strindberg conoscesse a fondo alcune discipline scientifiche come la
fisica e la chimica e inserisse parole e idee scientifiche. In Italia sarebbe inconcepibile pretendere che
Eduardo de Filippo o Luigi Pirandello o altri ancora conoscessero la
scienza e soprattutto ne mettessero un po' nel loro lavoro di autori
teatrali. Alla
fine della visita vedo in un angolo della reception in uno
scaffale, dei libri in vendita. Sono libri di diverse lingue tutti su
Strindberg. Con meraviglia ne vedo uno della casa editrice milanese
Iperborea in italiano e lo compro. |
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Pubblico a fianco la
foto della copertina del libro di Franco Perrelli, August
Strindberg il teatro della vita, Iperborea, 2003, 10.50 €, per
due ragioni. La prima perché è un buon libro, sicuramente da leggere
per chi fosse interessato ad approfondire le conoscenze su
Strindberg. La seconda riguarda una nota di colore personale dovuta
al fatto che questo libro l’ho comprato proprio nella reception del
museo. E’ pubblicato in lingua italiana dalla
Iperborea, famosa casa editrice milanese che è specializzata
nella pubblicazione di autori scandinavi. Alla cassa l'impiegata si mostra sorpresa dell'esistenza stessa del libro.
Quello che mi colpisce è lo
stupore della gentile commessa che deve fare un esercizio di alta
acrobazia di cambio con una calcolatrice per il semplice motivo che
deve cambiare il prezzo dagli euro alle korone
svedesi. Più di una volta ho pensato che forse sarebbe stato il caso
che io quel libro non lo avessi mai comprato. Il dubbio mi è venuto
quando nello scaffale apposito delle pubblicazioni in vendita
esposte nella sala d’entrata del museo scoprii che quel libro era il
solo libro in lingua italiana presente tra i tanti.
Riflettendo a posteriori su quella stranezza mi è venuto in mente
che forse è stato inviato al museo dall’autore per essere messo a
disposizione del pubblico e invece per errore è stato
inserito nello scaffale delle vendite. La mia è evidentemente una
ipotesi ma la stranezza dei fatti mi hanno fatto maturare questa
convinzione. Esco dal museo e mi avvio a piedi verso sud.
Voglio vedere di nuovo Sergels Torg e pranzare allo stesso
ristorante presente nei grandi magazzini NK Stockholm in
Hamngatan. Ho ancora desiderio di mangiare il salmone perchè da
domani col mio ritorno a Roma non mi sarà possibile gustarlo di nuovo. Alla
mia mente il viaggio di ritorno mi è ancora lontano. Comincerò a
pensarci su in tarda serata dopo avere fatto visita alla pizzeria "Pino"
per rientrare definitivamente in camera. Il clima di oggi è leggermente
meno freddo ma sempre in un ambiente grigio, col cielo annuvolato.
Praticamente non ho mai visto il sole.
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Siamo in estate e le vacanze al mare sono
alle porte. Proprio alcuni giorni fa gli svedesi hanno festeggiato il
Midsommar, cioè la festa di mezza estate. Addobbi e decori di
fiori in ogni villaggio e cibi speciali hanno caratterizzano questa festa. Il
giorno è il 24 Giugno che è poi la giornata più lunga dell'anno o quasi.
E noi sappiamo quanto sia importante la luce del sole per gli svedesi.
Peccato che io sia arrivato a Stoccolma l'altro ieri il 26 giugno ed
quindi l'ho perduta per soli due giorni.
Stranamente quando ho effettuato la prenotazione non ci ho pensato. Mi
consolo con l'idea che Stoccolma non è un piccolo e sperduto villaggio
del nord della Svezia dove qui la festa è meno sentita che in un
villaggio, nel quale i festeggiamenti sono preparati ed eseguiti con
maggiore attenzione e cura. In verità, quando penso alle festività
svedesi mi viene subito in mente non la festa di mezza estate ma
quella di "mezzo inverno", cioè la festa di S. Lucia, che cade il 13
Dicembre. Coincidenza vuole che quel giorno sia il più corto di tutto
l'anno o quasi. Qui si che si tratta di una vera festa, la cosiddetta
Festa della Luce che tutti gli svedesi festeggiano in allegria. E qui ho
qualcosa da dire visto che conosco benissimo la città di Siracusa nella
quale vado in vacanza al mare quasi ogni anno. D'altronde Santa
Lucia è di Siracusa e conosco bene i festeggiamenti che avvengono nella
città siciliana del papiro per avervi partecipato direttamente. Se è vero come è vero che gli svedesi hanno
in Santa Lucia una complice efficace nel festeggiare la luce e il suo
splendore, con candele e luminarie varie, è altrettanto vero che a Siracusa fanno le cose veramente in
grande. Qui in Svezia le ragazze si vestono di bianco e indossano una
corona di candele accese in testa sfilando per strada o nella case o
negli uffici offrendo caffè, biscotti alla cannella e glögg,
una specie di vin brulé, cioè vino caldo aromatizzato. A Siracusa si esagera. Infatti nella
città siciliana il 13 dicembre sono previste due processioni. La prima, ogni anno, con la statua d'argento che si trova nella cattedrale di Siracusa che
viene portata in spalla e fatta sfilare per le strade della città aretusea
alla presenza di una folla di persone
enorme. Molte donne camminano scalze con una candela in mano e la
processione dura dal pomeriggio fino a notte fonda. La seconda avviene ogni dieci anni
in cui a Siracusa viene trasportato il corpo di S. Lucia che giace a
Venezia. I festeggiamenti prevedono cibi a base di pesce e pasticceria alla
mandorla con un dolce tipico regionale che è prodotto proprio in
occasione della festa: si chiama cuccìa. Il dolce ha una base di grano
bollito nel quale viene distribuita della ricotta di pecora lavorata a
mano. Viene
guarnito con zuccata, cannella e pezzetti di cioccolato. Purtroppo non
ho mai assistito alla festa di S. Lucia in nessuna città svedese. So per
certo però che durante la festa di S. Lucia a Siracusa spesso è presente
una delegazione di autorità svedesi invitata dal Sindaco di Siracusa che
si riconosce nei festeggiamenti della medesima patrona. Non
dimentichiamo che la città di Siracusa è gemellata fin dal 1970 con
Stoccolma proprio nel nome di S. Lucia, obiettivo comune delle autorità
delle due città. Dopo il pranzo desidero fare una passeggiata prima di
rientrare in albergo. |
In Vasagatan 18 c'è, oltre la T-bana, una fermata del bus che si trova proprio davanti all'Hotel Terminus. A
questa fermata, oltre alle linee 196 e 197 che mi servono per rientrare
in albergo, c'è il servizio Ikea che
consiste in un bus navetta gratuita con su scritto IKEA che a ogni ora
della giornata porta i clienti al centro Ikea e ritorno. Sul fenomeno IKEA credo di poter dire
che esso sia un elemento caratteristico del modo di fare svedese tanto
da essere considerata una immagine sacrale della svedesità chiamata la
"democrazia del mobile". Nonostante abbia pronunciato molte volte il
nome IKEA ed essere stato in uno dei due negozi di Roma h
oappreso da poco il significato dell'acronimo delle quattro lettere del
nome. Le prime due IK sono le iniziali del proprietario, Ingvar
Kamprad, che non credo si possa lamentare dei risultati raggiunti
dalla sua azienda. Delle altre due lettere rimanenti la prima è
l'iniziali del nome della fattoria di famiglia Emtaryd e la
seconda è il nome del paese di nascita Agunnaryd. Dunque IKEA
è l'acronimo di quattro lettere tutte relative all'anagrafica del suo
proprietario. Per comprendere meglio il senso della parola Ikea mi
voglio divertire un po' a immaginare se fossi stato io al posto di
mister Kamprad che tipo di parola sarebbe uscita fuori al posto
di IKEA? Seguendo la logica della costruzione "nome-cognome-quartiere-luogo
di nascita" e applicando questo protocollo alla mia persona otterremmo
l'orrendo acronimo VCSM. Solo che VCSM suona male per due
ragioni. Una prima volta perchè è impronunciabile. Sembra più la radice
di un verbo quadrilittero arabo con sole consonanti che un acronimo vero
e proprio nel quale oltre alle consonanti è presente anche la giusta
dose di vocali. E una seconda volta perché non essendo familiare
come la parola Ikea, nè avendo nulla del "portato" della
cultura svedese e del valore aggiunto della laboriosità di questo
straordinario popolo, sarebbe destinato a un sicuro fallimento
commerciale e finanziario. Devo dire altresì che sono un frequentatore
abituale dell'Ikea
di Roma. Ci vado più per gli aspetti relativi al cibo e
all'alimentazione che per l'arredamento. Addirittura, alcune volte
approfitto della mia presenza nel centro commerciale per pranzare
velocemente al self service, quasi sempre scegliendo una portata di salmone
con le gustosissime verdure cotte con salsina come contorno, dal sapore tipicamente svedese. Nel
settore alimentare poi compro sempre con piacere alcuni prodotti che mi
permettono a casa di preparare una specie di smörgåsbord alla
romana, cioè un insieme di prodotti che copiano senza ritegno il famoso
buffet svedese, spesso presente nelle occasioni di festività familiari
come a natale, infarcito di alcuni prodotti alimentari laziali, come il
pane e il vino di cui ne preferisco il gusto. Un esempio? Eccolo. |
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Innanzitutto aringhe marinate con cipolle Sill Inlagd, fettine di salmone affumicato
Lax Kallrökt
con burro piemontese (altra intrusione non indigena), cetrioli sottaceto a fette
Gurka Inlagd, salsiccia
di alce affumicata Vilt Korv, tranci di salmone al forno, polpette di
carne Köttbullar, del formaggio erborinato Ost Blåmögel e qualche
dessert con biscotti allo zenzero Pepparkakor e, più raramente, birra lager
Öl Ljus Lager
cosiddetta biologica. Certo non posso pretendere di trovare il
sublime Janssons frestelse (pasticcio di patate, cipolle e sarde
al forno) ma nel complesso il pasto può senz'altro certificare un alto
tasso di sapori svedesi. E a proposito di "svedesità" come non si
può non ricordare la musica degli Abba. Penso che tutto il mondo
conosce l'Ikea ma altrettanto si può dire di questo formidabile
quartetto di cantanti svedesi che ha contribuito molto a fare la
storia della musica europea. |
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Al pari dei Beatles, gli Abba hanno fatto
conoscere il loro paese al mondo intero. Io li ricordo con molto piacere
e spesso ascolto con interesse le loro canzoni. Il rientro in
albergo avviene con una breve corsa in autobus. La serata si conclude
con una nuova visita alla pizzeria da Pino per un pasto caldo e un
ultimo saluto al centro città. Mi rimane solo di fare la valigia e
chiudere qui questa esperienza stoccolmese che ha visto chiari e scuri
come poche volte mi sia successo nei miei viaggi. |
Quinto e ultimo giorno Venerdì 30 giugno.
Oggi si ritorna a casa. Il programma prevede
specularmente la stessa tempistica di viaggio dell'andata, ma col
percorso in senso inverso. C'è però una differenza che mi tiene in ansia.
Il tempo di attesa a Praga, tra l'arrivo da Stoccolma e la partenza per
Roma, mi sembra troppo breve. Appena quarantacinque minuti. Rischio pertanto
a praga di non prendere la
coincidenza per Roma. Tuttavia, confido nella serietà della
compagnia ceca da una parte e soprattutto del rispetto dei tempi di
partenza dai servizi dell'aeroporto svedese di Arlanda. Prima di venire
a Stoccolma ho letto il breve istant book in lingua
italiana di Peter Berlin, dal titolo che suscita
curiosità: "Svedesi. Se li conosci non li eviti", della casa
editrice Sonda di Casale Monferrato, stampato nel 1994. Si garantisce
che gli svedesi sono gente seria che all'occorrenza e se ben conosciuti
si aprono un po' ma sempre rimanendo fedeli al loro Dna di scandinavi
alla tedesca. L'aereo dovrebbe partire da Stoccolma in orario. Dunque,
massima fiducia, sebbene io nutra qualche presentimento che mi tiene in
ansia. La mattina alle 11.30 dopo colazione al check out della
reception pago con carta di credito le
spese del frigo-bar alla gentile impiegata della reception, di
nome Clara, operatrice 34. Molto efficiente e gentile mi augura buon
viaggio. La distanza dal mio hotel al Terminalen di Arlanda Express
alla Centralstationen di Stoccolma è di alcune decine di metri,
non di più. Mai scelta è stata così azzeccata come quella di prenotare l'albergo a Stoccolma presso il
Nordic Hotel di via Vasaplan. In un
battibaleno sono su una carrozza del treno speciale col biglietto già
acquistato all'andata. Stesso percorso veloce, stessi pensieri sul
paesaggio. Cambia solo il mio umore che non è proprio alle stelle. La
gola mi brucia più del solito e il viaggio sarà faticoso. Dico a me stesso
che non prenoterò mai più un viaggio aereo con scalo intermedio in un altro
aeroporto. Alle 12.15 sono alla stazione Arlanda dell'aeroporto di
Stoccolma. Mancano poco più di tre ore, ma non sono irrequieto per l'attesa.
Al contrario, l'aeroporto di Arlanda è accogliente, ha un bel design,
è comodo e interessante, è pieno di bella gente che fa piacere osservare.
Il volo aereo, come
ho anticipato prima, è su
un Boeing 737-500 della Csa Czech Airlines, in partenza da
Stockholm-Arlanda alle 15.45, volo OK 0726
e arrivo a Praga Ruzynĕ
al Terminal 2
alle 17.45. Appena tre quarti d'ora di attesa nella capitale ceca e
nuova partenza con
un altro Boeing 737-500, dal Terminal 2 di Praga
Ruzynĕ
col volo OK 0491
alle 18:30 per
Roma-Fiumicino
con arrivo a destinazione alle ore
20,15.
All'ora di pranzo mi seggo a un
chiosco che propone una specie di baguette alla francese con un
misto di formaggi brie, Saint-Marcellin e banon aop, un piattino
di insalata verde e un buon bicchiere ballon di vino rosso.
Seduto su uno sgabello mangio ed osservo il via vai dei viaggiatori. Il
tempo trascorre piacevolmente e alla fine dopo in check-in, al gate,
vengo imbarcato sull'aereo. Stranamente la partenza avviene con ben
venti minuti di ritardo! Sono nervosissimo. Vicino
a me è seduta una coppia di giovani sposi turchi, forse in
viaggio di nozze, che rientrano via Praga a Istambul. Vicino a me è
seduto il marito il quale parla un accettabile italiano. Io non ho
voglia di parlare ma lui chiacchiera in continuazione, solidarizzando con
me sia per la coincidenza a Praga che sicuramente, afferma, prenderò con
certezza, sia per la finale di calcio dei mondiali che l'Italia
sicuramente farà. Sono veramente sorpreso dalla carica
di simpatia che mostra questo giovine signore nei miei confronti. Mi parla di calcio, dei
giocatori italiani molto famosi in Turchia, del fatto che la compagnia
ceca è sempre puntuale ma io mi sento estraneo ai suoi discorsi anche
perchè l'insistere sui nomi dei giocatori italiani di calcio mi irrita, perchè
a me non piace il gioco del calcio. Sua moglie sta zitta per tutto il
viaggio. Chiedo lumi a una hostess per il tragitto a piedi da compiere
all'interno dell'aeroporto Ruzynĕ
di Praga nel "percorso transiti" ma non ottengo risposte. All'uscita cerco di accelerare i tempi
ma vengo bloccato dalla fila al controllo passaporti. Un ruvido
doganiere nonostante cerchi di far capire che devo andare al "varco
transiti" per la coincidenza mi guarda in modo provocatorio e,
soprattutto, agisce con una lentezza esasperante, costringendomi a subire un controllo
minuzioso e facendomi perdere tempo prezioso. Si rifiuta di indicarmi la
via da seguire, come se ogni viaggiatore fosse messo alla prova con un
test di conoscenza sulla topografia dell'aeroporto. Alla fine
trovo la direzione giusta ma non vedo passeggeri al gate perchè sta
chiudendo. E' una gara podistica vera e propria contro il tempo. Riesco con una
corsa velocissima ad arrivare al cancello di imbarco ansimando e
cogliendo di sorpresa le due addette. Tutti i passeggeri
sono stati caricati sul bus di trasferimento. In un inglese rozzo e
con una pronuncia antipatica mi dice praticamente che "voi italiani
siete sempre in ritardo". Quasi a malincuore accetta di farmi passare
telefonando all'autista del bus di aspettarmi alcuni secondi.
Praticamente sarebbe bastato arrivare con 15 secondi di ritardo ed io
avrei perduto l'aereo. In volo per Roma Fiumicino riprendo contezza delle mie condizioni
di salute e, nonostante tutto, comincio a pensare al mio prossimo
viaggio nella città della sirenetta di Copenhagen.
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