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Paris
(18 Agosto - 23 Agosto 2001) |
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Il mio quarto viaggio nell'Unione Europea: Paris.
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Il mio quarto viaggio
nei paesi dell'UE l'ho effettuato nell''incantevole e spettacolare
Lutezia, antico nome della città dei Parisi, oggi
chiamata Paris (in italiano Parigi), capitale della
République française. Nell'immaginario di ogni europeo Parigi
rappresenta probabilmente la più forte connotazione simbolica del
vecchio continente. E i motivi sono tanti per dare ragione a chi la
pensa così. Non sono molte le città al mondo in grado di vantare una
storia e delle radici qualificate come quelle che vanta Parigi. Possiamo
far valere le nostre ragioni come vogliamo, ma non è possibile
nascondere cos'è e cosa rappresenta da secoli Parigi per tutti coloro
che amano l'Europa.
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Lei vanta gli scenari
storico-artistici più
maestosi che si possano immaginare e una pluralità di opere d'arte
che spaziano in tutti i settori dell'umana conoscenza. E' una grande città.
Anzi, è una grande metropoli. Qui l'aggettivo grande non è inteso come estensione
geografica o come mera altezza di grattacieli. Come è facile intendere,
l'aggettivo si riferisce alle "qualità" delle opere
insigni presenti nella città che spaziano, come poche al mondo, in tutti i campi
del sapere umano: dalla politica alla società, dalla scienza alla
filosofia, dalle lettere all'arte, dalla moda alla cinematografia, dalla
cucina allo sport, etc. Non ci sono settori
della vita umana ai quali Parigi non abbia messo l'imprimatur per
alcune delle cose più grandi
dell'ingegno umano. Ed è questa la città che sto per visitare.
Finalmente potrò coronare il sogno di una vita di vedere direttamente, con i miei
occhi, la capitale della France, la douce France. Un sogno che diventa realtà:
camminare nelle strade della città della Tour Eiffel come metafora per evidenziare
l'emozione del mio quarto viaggio nelle capitali dell'UE. |
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Premessa. Scrivere di Parigi in un
diario di viaggio è difficile. Le ragioni sono molteplici perchè la
capitale francese è talmente ricca di preziosi tesori che il solo fatto di
fare un cenno alla loro esistenza mette in crisi chiunque. La
preoccupazione è accresciuta dal fatto che da un lato è un
piacere parlare di lei,
mentre dall'altro è un timore per le troppe cose che è necessario conoscere per poterne
riferire con cognizione
di causa ed evitare banalità. Si risponda alla domanda:
«chi da
giovane studente non ha avuto a che fare negli studi con il pensiero
delle grandi figure della cultura francese»? Praticamente nessuno. Negli studi
secondari e universitari di tutte le scuole d'Europa non esiste campo della cultura in cui la
rappresentatività dei pensatori francesi non sia stata rilevante.
Moliere, Hugo, Zola, Descartes, Stendal, Baudelaire sono i primi sei nomi
che mi vengono in mente quando penso alla cultura francese. Narrativa,
teatro e filosofia non sono però tutto. |
Certo, quando si pensa all'immagine della
cultura di un paese per primo vengono subito in mente proprio
questi filoni del sapere umano. E tra essi, il grande romanzo dell'800 (a
parte quello russo) è quello che colpisce di più. Parlare di cultura francese significa
richiamare alla mente un
elenco interminabile di figure francesi presenti in tutti i campi.
Letteratura, arte, musica, scienza sono piene di insigne figure
francesi. A ragione di ciò Thomas Merton, il grande maestro della
spiritualità contemporanea, nel suo straordinario libro La montagna
dalle sette balze, Garzanti, 1997 ,esprime tutto il suo amore per la
Francia affermando che : "ma la cosa meravigliosa della Francia è il
modo in cui tutte le sue perfezioni si armonizzano".
Questa è la prima volta che vado a Paris.
France
è il nome originale della nazione e
Parigi
quello della sua stupenda capitale. Per evitare di essere definito
provinciale è bene che mi adegui subito a chiamare la nazione e la capitale con il loro vero nome. Quando ero bambino mi sembrava buffo
chiamare la capitale francese con la sua pronuncia corretta, e cioè
«Parì».
La questione della dizione corretta dei nomi delle capitali e delle
nazioni è una faccenda maledettamente seria che a mio parere viene
sottovalutata da molti in Italia. Sarà a causa del
provincialismo degli italiani, sarà perchè c'è molta ignoranza a proposito di
conoscenze di lingue straniere, fatto sta che è necessario essere più corretti
e precisi nella pronuncia delle parole straniere. Provate a Roma, nei
due quartieri di
Trastevere
o
di
Testaccio,
a dire il nome della città dei sette colli pronunciandola
Rome,
o
Rom
e vi accorgerete che anche se gli indigeni capiscono, mostrano di non
capire o, peggio, faranno malvagica derisione sghignazzando in forme
provocatorie. Non dimentichiamo che
durante i Vespri siciliani
per individuare i francesi che
si camuffavano fra la gente del luogo per non essere individuati, gli indigeni scelsero una parola che, per le sue difficoltà di
pronuncia, era molto difficile ai francesi da
articolare . La parola fu il sostantivo ceci, in lingua
siciliana («cìciri»).
Se avessero pronunciato
"sciscirì" sarebbero stati riconosciuti come francesi e per i poveretti
non ci sarebbe stato scampo.
Pertanto, prometto da questo momento in poi di tenerne
ragionevolmente conto. Di solito quando si ha un
progetto di visite numeroso come quello che ho in mente - di visitare
cioè
non solo Paris ma anche Wien, Madrid, Lisboa, Berlin (Amsterdam e
Londra le ho già visitate) e tutte le altre fino ad arrivare a
diciassette quante sono oggi le nazioni dell'UE - è evidente che sarebbe difficile pensare di ritornare di
nuovo in una città già visitata. Le altre città ancora non
svelate da un viaggio che mi manca hanno
evidentemente la precedenza. Ma Paris è Paris. A questo proposito ho molta confusione su questa visita. Sono troppe le cose che vorrei vedere. Mi trovo
in uno stato di "euforia da viaggiatore" che vuole vedere tutto. Un’idea ce l’ho
comunque chiara in mente. Paris è una città tanto straordinaria
quanto completa che la adotterei come la “mia città”. Sono del parere
che ci vivrei benissimo per tutta la
vita. O almeno credo. Lo stesso non potrei dire di altre città capitali
dell’Unione Europea, pur esse belle nella loro originalità e peculiarità. Non parliamo
poi di città extraeuropee. Per carità. Prendiamo per esempio Città del
Lussemburgo. Sono convinto che la bella città del Granducato è molto
carina (lo verificherò quando ci andrò prossimamente) ma a viverci tutta la vita no.
Dunque, perchè per Paris mi sento di dire si e per altre no? Penso che
uno dei motivi fondamentali sia la storia di questa città e quanto il suo
ruolo sia stato tanto importante nella mia educazione tanto da averne fatto un
mio modello di stile di
vita personale. Quando penso a Paris, e quindi alla France, uno dei miei
primi pensieri è la
Rivoluzione francese.
Pensare che i parigini abbiano potuto tagliare la testa ai coniugi reali Luigi XVI e Maria Antonietta, annullando in un solo colpo i famosi “diritti” del trono, mi ha sempre
colpito come fatto storico necessario e come male minore. Sono consapevole del fatto
rivoluzionario che il loro
gesto ha significato, nella storia e nella politica dell'umanità tutta,
la conquista irreversibile della democrazia moderna. Avreste mai
immaginato possibile un evento del genere in Italia? Impossibile. E poi
l’Italia ancora non esisteva come nazione unita. E perché non lo hanno fatto gli altri
prima? Si, è vero nel secondo decennio del ‘900 con la
Rivoluzione di Ottobre del '17
in Russia si è verificata la stessa cosa con lo Zar e la Zarina. Ma lo
hanno fatto quasi 130 anni dopo la
presa della Bastiglia! Non solo i russi sono stati secondi, e non primi,
ma hanno goduto del privilegio di avere avuta la strada spianata da Karl Marx, il
quale con le sue idee politiche agevolò il compito ai rivoluzionari
russi indicando loro la strada da intraprendere. La differenza non è
marginale. Dunque, i parigini hanno fatto una
vera e propria rivoluzione storica, sociale e politica e meritano stima e considerazione per le conseguenze che il
loro gesto ha portato nel mondo dei diritti umani.
Liberté, égalité, fraternité
fu il motto ufficiale della
République française.
Tutto questo per dire che la France, non solo è
douce
ma, per me, è anche superbe. Noi italiani siamo considerati i loro cugini. E in effetti è
così. Ma cugini non vuol dire che siamo come loro e spesso cadono le
braccia nel vedere lo squallore di alcuni nostri comportamenti. Pertanto, permettetemi di dirlo qui una
volta per tutte: stimo e amo
Paris
e
toute
les
parisienne.
Non mi ripeterò più. A conclusione di questa premessa dico che quando finirò il mio
tour
non escludo di poterci tornare, perché qui c’è tanto da vedere che non
basterebbero dieci, cento visite. |
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Primo
giorno Sabato 18 Agosto.
Iniziamo dal viaggio aereo che mi porta
da Roma a Paris.
Partenza alle ore 08.00 dalla stazione ferroviaria di Roma Ostiense,
vicino alla Piramide,
con il treno per Roma Fiumicino. Arrivo all'aeroporto
Leonardo da Vinci in orario. Al gate5
mi aspetta un aereo dell'Alitalia delle 11.00 per Paris
Roissy
Charles de Gaulle. Il
biglietto ha il codice AZ 320 posto 27A all'andata. Il
biglietto l'ho
acquistato il 7 agosto all'agenzia Sfogliaviaggi Srl di viale
Londra a Roma. Il ritorno avverrà
il 23 agosto
da Paris CDG per Roma FCO, codice AZ 327 delle 18.25.
Rapide formalità al check-in ed eccitante sensazione al gate5 in
attesa che scocchino le ore 9.30 per l'imbarco.
Trascorro più di mezz'ora a passeggiare piacevolmente e a osservare
il via vai dei passeggeri. Nei vari
spazi di attesa c'è di che
recriminare per la pessima pulizia e l'igiene della sala in cui mi
trovo che è sporca e
piena di cartacce. I sedili in "simil pelle" di plastica rossa sono sgualciti e
unti di sporcizia. I vasi con le piante sono colmi di cicche di
sigarette. Un pessimo biglietto da visita per i turisti che
rientrano a Paris e che vedono tutto questo. Pochi minuti dopo
sono seduto comodamente sull’aereo.
Speriamo bene. Penso a questo viaggio con
grande gioia.
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Dopo Roma, Amsterdam e Londra, questo è il
mio quarto viaggio nelle capitali dell'UE. La sensazione che provo in questi momenti è
dello stesso tenore dell'ultimo viaggio che ho effettuato l'anno scorso, a
Londra. Paura di volare ma forte emozione di atterrare fra un
paio di ore al
Charles De Gaulle di Paris, non più Heathrow a Londra. La guida di viaggio che ho in
borsello è piena di informazioni preziose che ho studiato con
attenzione. Prevede molte visite da effettuare in tutte le giornate.
Il programma di massima delle visite che ho stilato a casa è così
schematizzato.
Sabato:
Teatro dell'Opera.
Domenica:
La Villette, Les Invalides, Place de la Concorde, la Madeleine,
Notre Dame e la Bastille,
Lunedì:
Champ de Mars e Tour Eiffel, Radio
France.
Martedì:
Champ Elysée, Palais de Couvert, Arc du Triomphe,
la Défense.
Mercoledì
Montmartre, Pigalle, Louvre.
Giovedì
si ritorna a casa a Roma.
E’ ovvio che questo è il programma di base.
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Vedremo come si svilupperà nel concreto della vita parigina. Non avrò
problemi a modificarlo in itinere adattandolo con elasticità alle
varie esigenze. Il viaggio lo effettuerò con una
gentile compagna di viaggio seduta nella foto ad aspettare la
partenza insieme a me.
All'arrivo non avrò problemi col cambio
perchè questa volta ho acquistato in Italia in banca la valuta
francese. Si tratta di 3250 FRF che mi permetteranno di
muovermi nella bella capitale francese. |
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Penso a come troverò Paris e a cosa proverò nel vedere alcuni
dei preziosi tesori della cultura francese.
Avenue des Champs-Elysées,
Montmartre,
il
Louvre
e la
Villette
sono alcune mete che desidero vedere da una vita.
Non faccio in tempo a pensare ai luoghi più
affascinanti di Paris che l'aereo sta rullando sulla
pista. Si parte in perfetto orario.
Il volo è piacevole nonostante la preoccupazione di trovarmi a 10 km
di altezza sostenuto solo e soltanto dalla diversità di pressione
dell'aria sotto e sopra le ali. Difficile da crederci ma è così.
Faccio di tutto per non pensarci. Al finestrino ammiro le cime delle Alpi
ancora innevate e riesco anche a osservare alcuni grandi
laghi svizzeri. Il volo è gradevole anche in considerazione
della parte ludica che l'Alitalia offre ai passeggeri, intrattenendoci con la solita visione delle gag
comiche nel
piccolo monitor davanti a me. Ogni volta che viaggio in aereo è uno
dei momenti più piacevoli perchè mi permettono di dimenticare la
paura del volo e di ridere spesso con molta partecipazione.
Il viaggio dura 2 ore e dieci minuti e poco dopo, sono al
gate
di uscita del
Terminal 9
della città della
Tour Eiffel.
In aeroporto compro l'abbonamento ai trasporti della città di
Paris per cinque giorni. Mi danno un piccolo biglietto, chiamato
PARIS VISITE
zones5,
apparentemente rigido a forma rettangolare, con una striscia
argentata longitudinale al bordo superiore, da inserire, immagino, nelle
macchinette dei tornelli d'entrata del metro. Nella foto mi trovo
nella banchina in attesa del treno per Paris. Per spostarmi in
centro città prendo la
RER,
ovvero la rete espressa regionale, che dall'Aéroport
Charles de Gaulle
attraverso
Le Bourget
e
Stade de France
mi porta a
Les Halles.
Il biglietto acquistato mi permette di girare sia in metro, sia in
RER, sia sugli autobus, evitando fastidiosi casi e conseguenze
antipatiche di aver dimenticato
l'acquisto del biglietto. |
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A Les Halles prendo la linea 14 per
Saint-Lazare
e scendo a
Madeleine dalla quale, con l'ultimo cambio, prendo la linea 8 per
Balard,
fermata
Boucicaut.
L'albergo è a poche decine di metri.
Ho preteso dalla mia agenzia viaggi che l’albergo non si trovasse in
periferia. In ogni caso che fosse all'interno del
B.P. cioè del
Boulevard Péripherique. Si chiama
Hotel
Montcalm e si trova al numero 50 di
Avenue
Fèlix Faure, nel
XV arrondissement. Attenzione a non confondere Avenue
Fèlix Faure con Rue Fèlix Faure. Sono vicine ma differenti.
Il nome Fèlix Faure si riferisce al Presidente della Terza
Repubblica francese che fu Capo dello Stato alla fine della seconda
metà dell'Ottocento. |
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Come ho detto prima
la sua posizione è praticissima perchè si trova a poche decine di
metri dalla fermata della metropolitana di
Boucicaut, linea 8,
che parte a sud da
Balard
e arriva a nord all'altro capolinea di
Pointe
du Lac.
Questa linea del metro parigino mi sarà familiare nei prossimi giorni,
perchè non solo c'è l'albergo dove alloggio ma anche perchè ha molte stazioni
importanti nelle quale mi fermerò ripetutamente. Basta ricordare che si ferma a Invalides, Concorde, Madeleine, Opéra,
Bastille, etc..
In pratica il meglio di Paris. L'hotel
Moncalm (Latitudine 48°50'26"N Longitudine:
2°17'13"E)
è un tre stelle che mi permette di
contenere le spese di pernottamento e contemporaneamente di essere
vicino al centro. Ho accuratamente evitato di prenotare la camera in una
zona del quartiere latino. Una mia collega, insegnante di francese
in un liceo della capitale italiana, mi ha suggerito di evitare quei posti. A suo dire sono
pericolosi e, dunque, alla larga. Dico la verità: questi avvertimenti mi
condizionano non poco e quindi ho seguito alla lettera i suoi consigli.
Probabilmente sbaglierò ma quando non si conosce il luogo di arrivo
che si intende visitare è
meglio ascoltare gli altri. Vedremo se il mio giudizio è stato o
meno un
pregiudizio.
L’albergo si trova a
sud-ovest, nella parte meridionale di Paris, nell’area interna del B.P.,
il G.R.A. parigino.
Tanto per intenderci, è come se a Roma abitassi nella zona EUR
all’interno del Gran Raccordo Anulare. |
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Il quartiere non è residenziale ma popolare
e si tratta di un quartiere poco caratteristico ma tipico delle zone in
cui vivono i ceti sociali costituiti da salariati e impiegati. Gli edifici
di via Félix Faure non sono molto alti, hanno quattro o cinque piani
al massimo, le linee semplici e gli angoli smussati; niente tapparelle
alle finestre e le strade che la circondano sono poco curate. Quello che
mi colpisce di più sono le vie diritte e lunghe in modo pressoché senza
soluzione di continuità. Avenue Félix Faure, Rue Lecourbe, Rue
de Vaugirard, Rue Saint Charles, Rue Balard, Rue de la Covention, per
esempio, sono sei strade che soddisfano la condizione della rettilineità
per almeno un chilometro. Rue Saint Charles addirittura è la
strada più lunga dell'intera capitale francese. Almeno così dice la
mia guida di Paris. Nelle città italiane, specie quelle antiche,
le strade non solo non sono quasi mai rettilinee e spesso
presentano ampie curve ma sono corte e cambiano addirittura nome in
alcuni tratti. Tutto ciò non è il risultato di una disposizione
dovuta al caso ma una scelta precisa degli amministratore parigini il
cui inizio è dovuto al barone Georges E. Haussmann che sotto le
direttive di Napoleone III decise di risistemare Paris in maniera
tale da manifestare un ordine più geometrico con lunghe strade che si
tagliassero in linee rette. In Italia, invece, tra vincoli
paesaggistici, scelte architettoniche sbagliate e interessi personali di
gruppi di potere municipali ci troviamo città completamente lasciate
alla deriva con episodi di saccheggio paesaggistico vergognosi. Ma
questa è un'altra storia che qui interessa poco. All’interno dell’albergo,
subito sulla sinistra,
vicino alla porta
d’entrata, c’è la reception, piccola e ristretta in un angolo che
dà un'immagine di alberghetto di provincia. L’impiegato
addetto alla reception è un signore, immigrato del Magreb, che parla italiano
abbastanza fluentemente, che mi mette a proprio agio. Si chiama Jalouali Mohamed
Mehdi ed è una persona molto gentile. Le poche cose che ci siamo detti al primo
contatto è che a entrambi piace il cuscus, una delle pietanze
nazionali di ogni paese arabo del nord Africa. |
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In verità a me
piacciono anche altre pietanze della cucina araba. I "falafel" e l"'hummus"
prodotti con farina di ceci,
il "ful mudammas" con le fave, le olive verdi e nere con il
peperoncino, i
datteri e i "magrudi". Datteri e gherigli di noci poi sono un'accoppiata
classica molto gustosa di fine pasto in grado di sostituire il
dessert. La simpatia, la professionalità e la reciproca stima lo portano
a darmi la sua mail per eventuali spiegazioni. Ma ritorniamo
all'albergo. La camera che mi viene assegnata si trova al quarto
piano. Non è spaziosa, ha un letto e dei mobili in vecchio stile anni '60 di
colore scuro deprimente. C'è una
finestra, dalla quale si può vedere il giardino privato dell'hotel nel retro,
immerso nel verde di piante rampicanti. La sistemazione non è di mio
gradimento ma non è possibile fare altro e a malincuore confermo la mia
prenotazione. |
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Sono quasi le 16.00 e
ho mangiato solo qualche crackers. Urge mangiare qualcosa. E' meglio che mi prepari per uscire la prima
volta a Paris. So già che andrò nel centro, in Place de l'Opéra,
dove inizia il Boulevard des Italiens, e là cercherò un
ristorantino per mettere qualcosa sotto i denti. Paris
è una città così bella e interessante che apprenderne i
segreti e conoscerla fino in fondo è un esercizio piacevole e avvincente.
Conoscere la mappa e il modo in cui sono distribuiti
nella città i posti più interessanti è utile e necessario. Se si
vogliono conoscere poi anche i dettagli dei distretti parigini, relativi alle circoscrizioni
municipali, è necessario conoscere i quartieri che qui si chiamano
Arrondissement.
Paris ne ha
venti. A seconda del loro numero sono più o meno importanti. La
gerarchia si sviluppa secondo la logica che più il numero dell’Arrondissement
è grande più il quartiere si trova nella fascia esterna e periferica
della città. In altre parole la sequenza dell’importanza degli
Arrondissement segue la voluta di una curva a chiocciola, dal primo
che si trova al centro fino all'ultimo, il ventesimo, situato all’estremo finale. Per dire la verità avevo
sentito parlare una volta di questa stranezza parigina, ma non avevo
prestato attenzione. Adesso, finalmente, l'ho capita. Si prova una certa
soddisfazione nel conoscere una novità del genere che permette di sperimentare direttamente e concretamente
la sua utilità nell'esercizio di una
visita turistica. Muoversi con maggiore o minore facilità in una
grande città dipende dal grado di conoscenza dei meccanismi municipali
che possono aiutare molto il viaggiatore. Certo, con una guida
in mano e con tutte le informazioni su Paris che circolano su stampa,
televisione e, adesso anche in internet, tutto è ormai agevole. Sono
lontani i tempi in cui spostarsi in una città straniera era come
un'avventura. Rimane il fatto che si tratta sempre di una
città straniera che propone informazioni in una lingua straniera con
metodi e prassi differenti da quelli italiani. Un esempio? Prendiamo
Roma. Anche la capitale italiana ha i suoi quartieri. A parte il fatto
che Roma ha 35 quartieri, anzi è meglio dire XXXV quartieri, con
il numero romano, la sequenza con la quale questi ultimi si
distribuiscono nella città è caotica e disordinata. Personalmente
non ho mai capito il senso del perché dopo il Q.XX chiamato Ardeatino,
dove abito io a sud della città, il successivo Q.XXI si chiama
Pietralata e si trova a nord est, completamente fuori
zona. Una vera e propria assurdità logica e geometrica, per non
parlare di confusione vera e propria, senza
raziocinio e all’insegna, come si dice a Roma, del “volemose bene”.
Ritornando a Paris la sequenza degli Arrondissement segue
invece una logica ferrea. Si sviluppa pressappoco secondo
la forma di una curva a spirale, con tre anelli. La spirale è una curva
che si avvolge attorno a un determinato punto centrale, partendo dal
centro e allontanandosi progressivamente. In matematica ci sono tanti
tipi di spirale, una delle quali è quella “logaritmica”, che ha una
forma matematica bellissima e cioè r = a e^bθ o, meglio,
θ=(1/b)ln(r/a) da cui il nome logaritmica che si ritrova spesso in
natura come nel caso di una conchiglia o di un ciclone o di una
galassia. Ho citato la spirale logaritmica perché il primo ad averla
studiata è stato un grande francese dal nome famoso Descartes (in italiano
Cartesio) che merita di essere citato non foss'altro perchè dire
cartesiano significa sinonimo di matematico, di rigore e di certezze
scientifiche. Il mio hotel si trova nel 15° Arrondissement (codice
postale 750215) dove si trova la fermata Boucicaut del Metro,
linea 8. In un certo senso c’è una analogia tra la posizione del mio
albergo a Paris (codice postale 750215) e quella di casa mia a Roma (cap
00142) posti entrambi nella parte sud della città.
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La mia prima uscita parigina prevede dunque di dirigermi
verso il centro. Non voglio fare soste inopportune da nessuna parte (anche perchè è
già tardi) e prendere
subito la linea 8 del metro a Boucicaut e scendere alla fermata
davanti al Teatro dell'Opera. Mi sposto così dal 15° al 9°
Arrondissement. L'imponente facciata in stile Napoleone III del
teatro si staglia davanti a me all'uscita del Metro. Bellissima e straordinaria. In caratteri
dorati giganteggia la scritta "Academie Nationale de Musique -
Choregraphie - Poesie Lyrique" a testimonianza che canto, musica, poesia
e lirica sono una felice sintesi del sublime ingegno umano di cui i francesi
possono vantarsi di essere anche qui ai primi posti in tutte le categorie dello
scibile umano. Che bella sensazione provo nell'ammirare tutto ciò che i
miei occhi possono vedere. Mi seggo sugli
scalini del teatro come se fossi a Piccadilly Circus. Ma qui è
tutta un'altra musica. Mi sento più a mio agio e la sensazione di
trovarmi a casa mia è forte. Pochi minuti
perchè a due passi, nella Rue Aubert, c'è una brasserie dove si
mangia anche la pizza. Una "margherita" con un piatto di insalata e una
bottiglia di birra dolce d'Abbazia a doppio malto bionda
"Leffe" costituiscono un piacevole momento
di rilassamento all'interno del locale. Ne avevo proprio bisogno. Avevo
fame. Sento un impulso irresistibile di rimanere in zona. Tutto è troppo
bello per non continuare a rimanere qui e osservare il via vai della
gente e l’architettura dei palazzi. Anche se ci sono molte persone che
stazionano all’uscita del Metro di Place de l’Opéra vedo
intorno a me molto ordine e pulizia. Mi colpisce di vedere in pieno
centro di Paris, qui vicino, il Boulevard des Italiens. Di
solito nelle altre città d’Europa c’è poco di nomi italiani. Ad
Amsterdam e a Londra quasi nulla e se proprio si vuole trovare qualche
via che ricordi l’Italia c’è un solo nome di un italiano in cui sperare: Giuseppe
Garibaldi. E' il solo nome italiano che si può trovare all’estero e mette tutti d’accordo. Qui
viceversa c’è un intero viale dedicato a una collettività di persone,
anonime e famose, d’Italia. Traducendo, il nome suona pressappoco così:
"Viale degli Italiani". Bello. Mi piace. Attenzione, non “Bolulevard de
l’Italie” ma “des Italiens” per rimarcare che la scelta non è caduta sul
nome dello Stato o della Nazione come Piazza di Spagna a Roma (e
non "Piazza degli Spagnoli"), tanto
per intenderci ma dei cittadini. Fa una
certa differenza, no? E siccome io sono italiano, vuol dire che il viale
è anche dedicato a me. Inferenza logica, si dice in questi casi. Dunque,
abbandono ogni altra tentazione per dedicarmi al nutrimento della mente
e del cuore e provare sensazioni piacevoli. In che modo? Lo percorro per
intero, a piedi, godendo della visione. Place de l’Opéra divide
quasi a metà l’intera strada, che va da Place de la Madeleine,
con i due nomi di Boulevard de la Madeleine e Boulevard des
Capucines, fino a Boulevard de Montmatre fermata Metro Richelieu-Drouot che si chiama Boulevard des Italiens. Una delle
cose che mi colpiscono lungo il viale dedicato agli italiani è che a
ogni angolo di strada c’è il cartello con lo sfondo blu sul quale è
scritto il nome della via. A ogni angolo c’è la targa con il nome. Una
attenzione che lascia piacevolmente meravigliati. La cura con la quale
sono presenti le targhe con i nomi delle vie è veramente notevole, segno
di organizzazione e di sensibilità degli amministratori che allontanano l’idea di
pressapochismo e di sciatteria. Per rimanere in tema di indicazioni
topografiche dedicate agli italiani c’è da dire che a Paris ben sei
fermate del
Metro hanno sei chiari nomi italiani e sono: Garibaldi (linea 13),
Rome (linea 2), Port d’Italie (linea 7), Place d’Italie
(linee 5, 6 7), Magenta (linea E), Solferino (linea 12). Poi ci sono le
strade, una delle quali si chiama rue de Mondovì (fermata metro di
Concorde). Altre sono Rue Galilée, Avenue Léonard de Vinci,
Rue de Bassano e altre. Non sono poche. Anzi. Credo che sia un record mondiale. In
nessun'altra città straniera si è data tanta importanza ai nomi italiani
come a Paris. Un vero record. A Roma, poco specularmente, ci sono un
Corso Francia e una via Paris. Certo a Roma c'è l'ambasciata francese a
Piazza Farnese il cui edificio è uno dei più belli ed apprezzati di
Roma. Ma secondo me non basta per equilibrare il tutto. E' tardi e la
stanchezza si fa sentire. Una sosta notturna in hotel dovrebbe
rigenerarmi per l'indomani. |
Secondo giorno Domenica 19 agosto.
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Il programma di
questa prima mattina di visita alla città prevede di andare a vedere il
più grande museo della scienza di Francia e cioè La Cité des Sciences et de l'Industrie,
comunemente chiamato La Villette. Prendo il metro a Bucicaut,
linea8, fino all'Opéra, da cui con la linea 7 vado a Porte de la
Villette. Da qui a piedi arrivo nell'enorme piazzale davanti all'edificio
centrale. C'è molta animazione e tanti bambini. La città
della scienza è un edificio imponente in cui si possono visitare molte aree
nelle quali sono presenti tanti temi che interessano vasti settori del
sapere scientifico. Io sono interessato alla sezione museale; in
particolare a quella della strumentazione scientifica relativa alla
fisica dei secoli XVIII, XIX e XX. E' di mio interesse anche la sezione
Explora che prevede approfondimenti su società industriale,
strumenti, la Terra e l'Universo. In
Explora le mostre sono di due tipologie, permanenti e temporanee e,
a latere, c'è la sezione astronomica con il suo ottimo planetario. |
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La
città si struttura su cinque livelli. Al livello -2 c'è il
Geode, una sfera di 36 metri di diametro in cui si vedono dei
documentari scientifici in tre dimensioni, come al cinema IMAX di
Londra, dove sono stato lo scorso anno. I livelli che mi
interessano sono il primo e il secondo. Al primo livello ci sono le immagini
scientifiche, la matematica, la terra e i pianeti. Al secondo livello
giochi di luce, l'Universo con approfondimenti astronomici, in
particolare il Planetario. Anche a livello 0 ci sono altre interessanti
proposte come la cinematografia dei fratelli Lumière. Sono un po'
perplesso perchè l'edificio non ha la forma classica del museo della
scienza. In più è un edificio moderno, costruito qualche decina di anni
fa. In realtà la città della scienza non ha nulla a che vedere con il
normale museo come lo intendiamo noi, pertanto affronto la visita con un
animo poco disposto a gironzolare senza chiare indicazioni di ciò che
devo vedere. |
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Al piano ingresso, accanto al chiosco
dell'accoglienza, c'è la biglietteria. C'è molta gente
nell'androne, gente che va e che viene e ragazzi in libertà. Vado nella
sezione Explora che raggruppa le principali esposizioni permanenti incentrate sui
alcuni temi: le matematiche, l'immagine, i suoni, i giochi di luci, lo
spazio, l'oceano, l'energia, rocce e vulcani, stelle
e galassie ecc. Poi vado a vedere
il Planetarium, che è il più grande della Francia,
per un viaggio nello spazio alla scoperta dei pianeti e delle stelle. Lo
spettacolo è straordinario e le stelle sembrano vere nel cielo del
soffitto del planetario. E' bello girare per i vari livelli. Sembra di
essere in dimensioni minori e in forme meno raffinate e moderne, in
una fiera di paese, quando ci si sposta dalla mostra dei muli e degli
asini in cui si acquistano gli animali guardando loro i denti alla
sezione alimentare, dove troneggiano formaggi e salumi.
Più in là c'è il mulinello dello zucchero filato, il banco delle
noccioline e dei ceci tostati nonché quello dei vari tipi di liquirizia e di dolcetti.
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Qui invece c'è il
cilindro rotante in cui a una determinata velocità di rotazione si apre il pavimento e i ragazzi con le
spalle appoggiate alla superficie interna del cilindro riescono a
rimanere letteralmente incollati alla parete senza cadere. Oppure
c'è il raggio laser e le immagini spettacolari dello spazio, dove
pianeti, satelliti e stelle la fanno da padrone. Spettacolare è
anche la cinematografia della natura negli oceani,
della savana come ai poli con orsi e pinguini. In pratica c'è di
tutto, e c'è più di ogni altra cosa l'atmosfera magica del
divertimento per far sognare i
ragazzi e interessarsi della scienza. Avete mai visto qualcosa del
genere a Roma? |
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Ho scelto di proposito La Villette
come mio primo museo parigino perchè è un museo scientifico. La mia
curiosità nel vedere un museo del genere in un grande paese
sviluppato come la Francia é enorme. Adesso però intendo spostare
la mia attenzione alle strade della città, ai monumenti e ai palazzi. |
In senso inverso prendo il metro a
Porte de la Villette e scendo alla
fermata di
Invalides. La Esplanade (Spianata) des
Invalides, con il suo grande e perfetto parco verde, si
presenta davanti a me nella sua memorabile bellezza. Tra Place
des Invalides e Pont Alexandre III c’è l’enorme
Boulevard du Marêchal Gallieni che sembra essere fatto apposto
per ricordare un viale da sfilata di forze armate, tanto è grande,
bello e lineare, con lampioni da primato nel numero, nell'altezza e
nella forma. |
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Qui tutto è grande. Nell’area
degli Invalides ci sono ben tre fermate Metro e una RER, a
testimonianza dell’importanza di questo bellissimo luogo nel
centro città. Non parliamo poi della bellezza della forma
dell’Hôtel des Invalides, con la sua cupola maestosa e il
gruppo di edifici circostanti. Si tratta di un'autentica rarità di architettura e
un balsamo efficace per gli occhi. Semplicemente spettacolare. Verità
mi
impone di ricordare che questo complesso è stato costruito per
i vecchi soldati invalidi ed ex combattenti. Qui, dalla fine
del '600, c'è tanta storia della Francia che sarebbe bello poter
ricordare. E' stato caserma, hotel, giardino, chiesa, museo, ci sono
stati i funerali di Stato di Napoleone, o, meglio, della salma
inumata a Sant'Elena e riportata qui dopo vent'anni, e tanto altro. Addirittura
esiste all'interno degli edifici una manifattura che confeziona, pensate un po',
uniformi per i militari e una stamperia, nonché un ospizio e un
ospedale militare. Con tutta questa lungimirante organizzazione alle
spalle. di supporto e di psicologia, sfido io se l'esercito francese
non fosse stato temibile per tutti. Nella foto alle mie spalle si riconosce il
complesso degli Invalides con al centro la cupola dorata. Tra
la cupola e il frontone c'è un enorme cortile che non è visibile
dall'esterno. Alle spalle del complesso la spianata si restringe di
molto, riducendosi a un bel viale, chiamato Avenue de Breteuil, anch'esso molto
lungo con al centro dei bei prati verdi molto curati. Questo viale termina dove inizia la
lunga Rue Lecourbe che, lo abbiamo già detto prima, porta vicinissimo al mio albergo
in Via Félix Faure. Per questo particolare poco significativo
possiamo affermare che Paris è piccola? |
No di certo. Ma fa piacere
avere sotto controllo la geografia della città. All'interno della
cupola, come soffitto, nella parte superiore dell'abside c'è un
dipinto molto bello dai colori accesi e forti che ricorda il
giudizio universale di Michelangelo. La chiesa è spaziosa e bella. Mi ricorda, sebbene in forme
rimpicciolite, la parte absidale della Basilica di S. Paolo fuori le mura
a Roma. |
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Certamente a S. Paolo c'è lo splendido mosaico dell'abside
semi circolare, della prima
metà del XII secolo, con la grande figura del Cristo benedicente in
mezzo agli apostoli. Ho molti ricordi di questo splendido mosaico
tutti relativi alle numerose volte che sono andato di domenica ad
ascoltare la messa. Seduto su una delle panche di fronte al coro ho
spesso alzato lo sguardo a osservare la figura del Redentore seduto
sul trono con il libro dei Vangeli aperto nella mano sinistra ed in
atto di benedire. Ai suoi lati, si vedono i santi Pietro e Paolo,
affiancati dai santi Andrea apostolo e Luca evangelista. Nella
striscia semicircolare immediatamente sotto, alternati da palme,
appaiono dodici apostoli e due angeli al centro. I loro nomi sono
scritti in greco e sono di difficile lettura per la grafia antica
adoperata. Il particolare che mi ha sempre colpito è che ai piedi
del trono, è raffigurato Papa Onorio III in dimensioni piccolissime
che rende omaggio a Cristo. La sensazione che si prova a stare lì è
di essere dei piccoli attori su un palcoscenico prezioso immerso in
uno spazio chiuso straordinariamente grande e pieno di fascino
dovuto alla antichità del luogo. L'accostamento tra le due cripte è un po' forzato ma lo ritengo
utile per un mio personale raffronto. In entrambe le chiese, al
centro, c'è una specie di cripta circolare che qui, in una bara,
contiene i resti di Napoleone mentre a S. Paolo a Roma nell'analoga cripta si trovano i resti del corpo di
S.
Paolo con le catene che lo tennero legato durante l'esecuzione e
sepolto qui dopo il martirio. |
All'esterno gli Invalides mi ricordano la Basilica di
S. Pietro, naturalmente a causa della bellezza simmetrica e perfetta
della cupola non certo per le dimensioni. Tra
il viale centrale e il grande prato si respira un'atmosfera surreale
che comunica l'idea di una grandiosità discreta, da osservare con
celata attenzione, senza tanto stupore ma con consapevolezza della
meraviglia. Nell'altra foto, sullo fondo, si vede il ponte
Alexander III nella sua magnifica esuberanza di ninfe,
ghirlande, candelabri di bronzo e statue equestri luccicanti d'oro.
Ho eletto questo ponte come il mio preferito su tutti i trentasette
esistenti in città. E' regale, ha una balaustra bellissima e dei
lampioni che più decorati di come sono non potrebbero essere. Cosa
si vuole di più? Noto tuttavia che c'è qualcosa fuori
posto. Non capisco bene che cosa, ma sono a disagio. In un primo
momento non colgo la vera ragione del mio disorientamento. Ma ad una
osservazione più attenta vedo un graffito che deturpa l'immagine
pulita della facciata interna del ponte. Un vero attentato all'arte.
L'orrore però è su ciò che c'è scritto:
«Luca
e Fabio Roma» seguito da uno
scarabocchio di data, scritto con
una bomboletta spray di colore nero sul bianco pulito della
balaustra. Vergogna e
irritazione sono i primi sentimenti che provo. "Eccoli là", mi dico,
"sono i soliti idioti romani che hanno mostrato il loro
biglietto da visita". Percorro il ponte con una forte
vena polemica per questo volgare cenno di stupidità umana. Oltre la
Senna intravvedo il Neuf du Grand Palais, un insieme di musei
interessanti che voglio visitare. Oltre il ponte giro a destra sul Voie Georges
Pompidou e, attraverso il Pont de la Concorde (altro
ponte bellissimo), mi trovo così nella straordinaria Place de la Concorde all'inizio degli
Champs-Élysées. Al centro c'è l'obelisco egizio di Luxor, vecchio
del XIII secolo a.C. (avanti Cristo e non dopo Cristo), che è una meraviglia.
Adesso che lo vedo da vicino posso veramente farmi un'idea della sua
bellezza e perfezione e soprattutto del perchè Napoleone si fermò in
Egitto, sorprese gli egiziani, li sottomise con una semplice battaglia
lasciandoli di stucco per la velocità e l'efficacia con le quali
il suo esercito batté quello egiziano. Per ingraziarselo gli egiziani
gli regalarono l'obelisco. Qui, in questa bellissima piazza, lo
ricordo a me stesso e a voi tutti, nel 1793 fu ghigliottinato Luigi XVI, a quel tempo chiamata
piazza della Rivoluzione. Ricordiamoci chi fu Maria
Antonietta. Quando la folla rumoreggiava e stava assaltando il
palazzo, chiese alla governante il perchè di quel baccano. La
risposta fu che la folla protesta perchè la gente non aveva pane. E
lei rispose: "perchè non mangiano delle brioches"? Chissà in quale
punto preciso. Dal centro della piazza proseguo
nella Rue Royale che arriva direttamente alla Madeleine. Ah!
La Madeleine. Questa antica e celeberrima chiesa cattolica costruita in stile neoclassico
che nessuno considera una chiesa ma un vero e proprio monumento, circondato da una
quantità enorme di perfette colonne corinzie, è a mio giudizio un complesso
architettonico straordinario, bello e spettacolare. Non mi stancherei
mai di osservarlo per ore. Decido di fare il giro della struttura e
guardarla con cura. Ripeto il giro un'altra volta con l'intento di
osservare anche i palazzi adiacenti che la circondano. In fondo alla piazza,
all'angolo con Rue Tronchet, c'è "Fauchon", il ristorante Fauchon.
Ho detto all'angolo, in realtà prima di arrivare all'angolo si
susseguono qualcosa come una decina di vetrine tutte appartenenti allo
stesso locale che lasciano intravvedere
la completezza della proposta culinaria: ristorante, pasticceria, sala
da thè, cioccolateria e molto altro. Lo terrò a mente perchè qui
voglio venire a mangiare. |
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A pranzo vado al Cafè de la Paix, al numero 5 di Place de l'Opéra
per mangiare qualcosa.
Forse sarà utile ricordare che il Cafè de la Paix a Paris è un
locale di classe, molto fine. A Place de l’Operà poi il Cafè è
un’autentica istituzione. Il Café si trova vicinissimo all'Opéra
Garnier a circa alcune decine di metri e rappresenta la
quintessenza del XIX secolo. E' stato progettato da Charles Garnier, ha
specchi alle pareti e soffitti neoclassici. Oscar Wilde frequentò il
locale. Avevo promesso a me stesso che se fossi andato a Paris non mi
sarei fatto sfuggire l'occasione di pranzare in questo prestigioso
locale. Anni di letture e di attenzioni sui locali di Paris hanno sempre prodotto in me
curiosità e desiderio di conoscere e toccare con mano un mito della mia
infanzia. Il locale è veramente fine. All'interno ci sono molte colonne
e sulle pareti, molte applique dorate con le loro belle luci diffuse. |
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Sui tavoli tovaglie color crema e sedie alla
coloniale di colore chiaro con cuscini di colore verde. Un giovane
cameriere, gentile e attento, mi invita a sedermi e mi chiede se voglio
il menù alla carta o accettare il suggerimento di ordinare un menù
veloce, costituito da un Plateau de fromages affinés e salade, un
calice di vin rouges Chapelle de Potensac Médoc e un dessert
Millefeuille du Café de la Paix. Mi lascio tentare dall'impegnativo
ed eccessivo francesismo e accetto volentieri il suggerimento. Nel
menù trovo elencato un altro tipo di vino rosso, ovvero lo Château
Haut-Brion Graves Premier Grand Cru Classé. Per la cronaca questa
bottiglia costa venti volte quella a cui si riferisce il vino contenuto
nel mio calice. Come dire che se una bottiglia di normale rosso da pasto
da me ordinato costasse 10000 lire lo Château Haut-Brion
costerebbe 200000 lire. Roba da regnanti. Il cibo è squisito e l’atmosfera piacevole.
L'immagine a fianco rappresenta un dipinto a olio su tela di Antoine Blanchard dal titolo Place de L'Opéra, Café de la Paix
(*). |
Ricordo che Antoine Blanchard è lo
pseudonimo sotto il quale si nascose il pittore francese Marcel Masson,
morto esattamente tredici anni fa. E' autore di numerose e interessanti tele in cui dipinse
alcune strade e monumenti di Paris di cui il Café de la Paix e
il vivace Boulevard des Capucines è uno dei tanti eccellenti
esempi di scene di strade parigine del suo tempo (anni '60) proiettate
nell'immaginario dell'Ottocento. A guardarle con attenzione sembra essere
risucchiati nel tempo e fatti precipitare nella Paris dei secoli passati. Che
spettacolo. Esco dal ristorante più che soddisfatto. In parte
alleggerito per il costo del mini pasto, in parte arricchito per avere
conseguito l'obiettivo di una visita gradita e desiderata mi guardo in
giro per un ultimo sguardo. Imbocco l'Avenue de l'Opéra per andare a
fare una prima visita a Notre Dame e successivamente a guardare
cosa succede lì vicino sul lungo Senna. |
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Place du
Carrousel, la lunghissima Rue de Rivoli, Rue du Point Neuf, Quai
de la Mégisserie, Pont Notre Dame, Rue de la Cité e ultima Place du
Parvis de Notre Dame. La bellissima cattedrale di Paris si
presenta con la sua imponente e straordinaria facciata nella grande
Île de la Cité. Fa un certo effetto osservare la cattedrale
dalla piazza Parvis, antistante l'edificio. Sono in
contemplazione come davanti a un totem e non è facile spiegare cosa
provo sul piano emotivo. In questo momento, dico la verità, non vedo
una semplice chiesa, ancorché cattedrale. No. Vedo un simbolo famoso
e desiderato, dai contorni precisi e conosciuti, che racchiude
l'intera storia della città di Paris. Ricordo che la cattedrale
divenne tale perchè la sua storia iniziò circa duemila anni fa come tempio
gallo-romano e poi, via via nel tempo, divenne prima una basilica
cristiana e chiesa romana e poi a metà circa del 1100 il
vescovo Maurice de Sully decise che era giunto il momento di
dare alla città una sede religiosa prestigiosa più adeguata
trasformando la chiesa del tempo nell'attuale costruzione più
all'altezza dei compiti di Paris. E' sempre stato così. Tutte le
storie delle più grandi chiese hanno sempre seguito questo percorso
standard. Fino a un certo momento ci si è accontentati del
preesistente. Successivamente arriva un vescovo, quasi sempre
intraprendente, che rompe la continuità dell'esistente e introduce la
novità del cambiamento con una costruzione superba, realizzando un
salto di qualità rivoluzionario. |
Non è un caso che si
parla di "rivoluzioni concettuali" in tutto lo scibile umano come
architettura, arte, musica, letteratura, storia, filosofia e
scienza. Thomas S. Kuhn, nel suo libro La struttura delle
rivoluzioni scientifiche, introdusse nel secolo scorso lka
giustificazione del cambiamento di un paradigma esistente in un altro rivoluzionario.
Ritornando a
Île de la Cité ho voluto aggiungere l'aggettivo grande perchè
c'è un'altra isola, più piccola lì vicino, che è Île Saint Louis,
meno interessante di cui si parla poco. L'aggettivo grande poi ha un
altro significato perchè chi viene come me da Roma non può non
ricordare che nel Tevere, nel centro di Roma, c'è qualcosa del genere
che rassomiglia alla Île de la Cité ed è l'antica e
attraente Isola Tiberina che è molto più piccola di quella
parigina ma che può permettere di effettuare un confronto e
individuare alcune analogie fra le due città. |
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La piccolezza
dell'isolotto romano si traduce concretamente nell'esistenza di un minuscolo
ospedale, il Fatebenefratelli, di una farmacia, di un antico
Caffè e di una tipica trattoria romana (da "Sora Lella") che ne interpreta
l'essenza cittadina. Nulla a che vedere con
Île de la Cité che rispetto all'isolotto sul Tevere è un
complesso grande e completo della municipalità. In fondo in fondo, in molte città europee
ci sono analogie e similitudini sorprendenti che si manifestano in
mille modi, a testimonianza della sempre valida considerazione
dell'unicità della cultura del Continente Europa. Volete un altro
esempio che non riguarda l'Italia? Andiamo in Belgio, nella
capitale, a Bruxelles e parliamo della Cattedrale di S. Michele.
Basta poco per verificare che c'è una analogia sorprendente con
Notre Dame. Certamente
Bruxelles ha sempre subito il fascino e la cultura francese ed in
più è un paese che si richiama a due culture, una delle quali è
francofona al 100%. Dunque è normale la somiglianza delle due
cattedrali. |
Sulla piazza ci sono
tante targhette che indicano i punti in cui sorgevano dei palazzi, poi
demoliti per far spazio. C'è anche una piccola lastra di bronzo posta nel
pavimento al centro di piazza Parvis da cui sono misurate le
distanze di tutte le strade francesi. Un po' come a Roma nel centro
della Piazza del campidoglio che rappresenta il punto di riferimento
di tutte le distanze chilometriche dalla capitale. Parvis significa "sagrato"
che permette di entrare nel Paradiso perchè il portale della
cattedrale rappresenta simbolicamente l'ingresso nel Paradiso. Gli interni di Notre Dame sono grandiosi e
imponenti. C'è di tutto. E' difficile descrivere cosa si vede. Tra
cappelle, transetto, coro, sagrestia, galleria, torri e cripta
archeologica c'è tanta carne
sul fuoco della storia dell'arte. In sintesi si tratta di una magnifica
cattedrale, splendida icona della bella capitale francese. A cento metri
di distanza c'è la Conciergerie, antico palazzo, che durante la
Rivoluzione fu chiamato l'«anticamera
della ghigliottina».
Tra i tanti personaggi che in essa furono rinchiusi prima dell'esecuzione
ci fu lo scienziato Lavoiser famoso per avere inventato una delle leggi
fondamentali della chimica, cioè la legge di conservazione della massa
tra reagenti e prodotti di una reazione chimica. Questo nome è stato per
me da sempre uno dei primi nomi francesi incontrati nello studio della
scienza chimica quando andavo alla scuola media. E siccome la lingua
straniera che si insegnava nella mia scuola era il francese, potete
immaginare quanto io amassi Lavoiser nella doppia veste di
francese e di scienziato. Desidero raccontare a questo proposito un
piccolo avvenimento accadutomi quando ero studente. Avevo come professore di
francese il Direttore della scuola, il quale era un uomo che si auto
compiaceva sistematicamente e si lodava in continuazione. Una mattina lo
incontrai vicino a scuola e mi avvicinai a lui per chiedergli qualcosa
della vita di Lavoiser. Lo salutai dicendogli, in rigoroso francese, "Bonjour
Directeur". Come risposta mi diede un sonoro schiaffo sul viso
dicendomi: "Monsieur le Directeur". Mi devi chiamare Signor
Direttore disse con l'indice della mano che faceva da monito. Rimasi di stucco per la risposta
poco signorile e molto maleducata. In compenso approfondii da solo la
vita e l'opera di Lavoiser, di cui rimasi sempre un fedele ammiratore per
essere stato condannato alla ghigliottina dal suo principale accusatore,
un rivoluzionario e chimico dilettante, di cui non ricordo il
nome, al quale Lavoisier aveva
in precedenza rigettato la domanda di accesso alla Académie des
Sciences (Accademia delle Scienze). Con molta ironia ho sempre detto a me stesso che a me andò meglio di Lavoiser.
Ma ritorniamo a noi.
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Com'è noto ogni fiume ha due sponde: quella
sinistra e quella destra. Anche la Senna non fa eccezione a questa
regola. I due Lungosenna, qui chiamati "Quais", si trovano sulla "riva
gauche e la rive droite". A Notre Dame sono arrivato dalla riva
destra e adesso mi dirigo alla riva sinistra. Il Pont Neuf
soddisfa egregiamente a questo scopo. Particolarità è che il Point
Neuf, che vuol dire Ponte Nuovo, non è vero che è un ponte nuovo.
Anzi. E' il più vecchio ponte dell'intero Lungosenna di Paris. Dicevo
che il ponte mi permette di immettermi nel Quais des Grand Augustins
che poi diventa Quais Montebello (altro nome italiano) e dare uno
sguardo indiscreto ai "bouquinistes", ovvero ai venditori ambulanti
di libri, ma anche di disegni e altro. Sarà una mia
impressione ma la riva sinistra mi sembra più popolare della
aristocratica riva destra. Ho sentito parlare molto di questi
venditori di libri usati per cui devo soddisfare la mia
curiosità di cosa e come vendono queste rarità librarie.
Esistono anche a Roma, sul lungotevere e in alcune piazze dove è
presente una fermata della metro.
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Alcuni anni fa vicino al
Vaticano, nella Piazza Mazzini,
ho trovato uno di questi bouquinistes romani che mi ha
venduto per tremila lire il bel libro di Ivo Andrić, Na
Drini Ćuprija (Il Ponte sulla Drina), che sarebbe una specie di "I
Promessi Sposi" nella tradizione storica e culturale dei Balcani.
Quindi niente
«Quel
ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non
interrotte di monti, tutto a seni e golfi, [...]»
ma «Per la maggior parte del suo corso il fiume Drina s'apre la strada
attraverso anguste gole tra scoscese montagne [...]». I due incipit
coincidono nella loro straordinaria differenza. Un vero e generoso
regalo di questi preziosi ambulanti del libro. La passeggiata è un po'
lunga e mi ricorda l'analoga visione di questi venditori
di libri usati a Londra nella
Bayswater Road che
anche lì mi hanno ricordato le bancarelle romane che vendono disegni e libri usati
o fuori commercio. Tutto sommato è piacevole e interessante guardare qua
e là con calma. Non
dimentichiamo che mi trovo nel 1° Arrondissement, come dire a
Roma vicino al Campidoglio. Qui tutto è intrigante, compreso il traffico
delle auto che appare molto meno caotico di quello romano. Le insegne
dei supermercati, le scritte dei cartelli stradali, le vetrine dei
negozi mi appaiono familiari e nello stesso tempo nuovi e differenti da
quelli usualmente presenti in Italia, segno che c'è un filo di
continuità nella mia memoria tra l'essere italiano con le mie
immagini e i ricordi della lingua di Voltaire e la
predisposizione nell'accettare tout court tutto ciò che è
francese. Si è vero, lo scorso anno sono andato a Londra che mi ha
affascinato non poco, tanto da sentirla mia nella sua caratteristica più
intima di vita british. Qui però è tutta un'altra cosa. Qui oltre
all'ammirazione per tutto ciò che è francese c'è anche quel tanto di
colore e di passione per gli aspetti continentali e, perchè no, mediterranei
della specificità francese. Dunque, mi sento veramente a mio agio. La stessa lingua è
morfologicamente più vicina all'italiano di quanto non possa essere
quella inglese. Un esempio per tutti. Le desinenze maschili e femminili degli
aggettivi sono come all'italiana differenti, mentre nella lingua inglese non è così.
L'italiano e il francese poi sono due lingue romanze che appartengono
allo stesso ceppo linguistico, hanno la stessa etimologia latina nel
lessico e la stessa origine comune. Tutto questo per dire che mi trovo
veramente a mio agio a Paris più che a London. Intanto ho raggiunto
Quai de la Tournelle e francamente mi sono stancato di vedere le
stesse bancarelle con i medesimi oggetti esposti. L'obiettivo della mia
passeggiata è la Bastiglia. A Pont de Sully sulla sinistra
imbocco il Boulevard Henri IV per Place de la Bastiglie.
La camminata è un po' lunga. La accorcio prendendo un autobus. Alla fine, la vista della Colonne de
Jouillet (Colonna di Luglio) mi informa che sono arrivato. La prima
cosa che salta all'occhio è, sulla destra all'entrata
nella rotonda della Bastiglia, la nuova Opéra Bastille.
Teatro lirico e per concerti nuovo di zecca come una moneta coniata da
poco. Tutta vetri di cristallo, rotondeggiante, moderna, ipertecnologica, flessibile
alle esigenze di scena ma anonima, si presenta,
a mio parere, come un
corpo estraneo nella piazza. Tutti ne parlano bene: funzionale,
armoniosa, equilibrata nelle forme e nelle proporzioni, originale e
tanto altro. Non lo metto in dubbio. Ma è triste pensare che la modernità
frequentemente impone
il passaggio forzato da una rarità architettonica a una struttura da
"palazzetto dello sport". Questo è purtroppo il prezzo da pagare
nel cambio di testimone dalla prima Opéra, la
Garnier, all'altra Opéra, la Bastille.
Succede sempre così.
E' il prezzo che dobbiamo pagare tutte le volte che nella nostra vita
effettuiamo il passaggio dal vecchio al moderno. Un tradizionalista come me prova dispiacere nel
vedere questo cambiamento, sinonimo di fine di un'era. A Roma vado spesso
al Teatro dell'Opera a vedere balletti e ad ascoltare musica
lirica. Anche qui Il passaggio del testimone da Piazza del Viminale
all'Auditorium della via Flaminia mi produce la stessa sensazione
di tristezza e di malinconia. La Bastiglia non c'è più. E' stata fatta
fuori più di due secoli fa dai francesi. L'hanno demolita pezzo per
pezzo. Adesso al suo posto c'è una piazza, famosa ma che non sostituisce
la vera Bastiglia finita di costruire nel 1382 e demolita nel 1789 cioè
durante il
periodo della rivoluzione francese. La ghigliottina lasciò Place de
la Concorde e passò qui in questa piazza. Adesso non si vede nulla
di come fu a quel tempo. Lascia però tutta la memoria dei fatti francesi
e della nascita della Republique, che qui ha il suo reliquario.
Rimane come detto una colonna, quella dei fatti di Luglio, eretta nel
1840 in memoria dei parigini uccisi, con in cima il Genietto della
Libertà. In ogni caso valeva la pena venire qui. Mi è venuta fame e un panino caldo a
base di prosciutto e formaggio è quello che ci vuole. Ma siamo in
Francia e il panino o il toast non sono piatti autoctoni. L'alternativa
sono il croque monsieur e il croque madame, accettabili per
uno spuntino veloce. Un bel bicchiere di birra Leffe mi rimette
un po' in piedi dopo la lunga camminata per i lungosenna del 1°
Arrondissement. L'entrata del metro è a due passi. Qui transitano
vetture della linea 8
che mi riportano direttamente a via Félix Faure in albergo. |
Terzo giorno Lunedì 20 agosto.
Dopo un'abbondante
colazione, di buon'ora, prendo il metro, linea 8, e scendo a École
Militaire. L'Avenue de la Bourdonnais mi invita ad
avvicinarmi alla Tour Eiffel ai bordi del Parc du Champ
de Mars. L'atmosfera nella quale mi trovo immerso è quella di una
scampagnata. |
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Gli immensi ed
esagerati giardini di Champ de Mars mi accolgono come
se stessi andando allo stadio a vedere la partita. L'atmosfera è
quella della gita fuori porta, gioiosa e piena di ansia di arrivare,
per trascorrere una bella mattinata. Manca solo il Luna Park e poi
saremmo come all'EUR a Roma tra banchetti del tiro a segno e
montagne russe. C'è già una discreta coda
davanti al botteghino per poter prendere uno dei due ascensori che
mi porteranno in cima. Sono un po' emozionato, perchè non capita
spesso essere davanti alla Tour Eiffel e far finta di
niente non è proprio possibile. In realtà è la prima volta che la vedo davanti a me. Il mito
della gita a Paris prevede con certezza la visita alla Torre. Non
ci sono dubbi. Vedo gente di tutte le nazionalità, almeno questo è
quello che mi appare, tutti impazienti di vedere Paris dalla
cima di questa famosa e leggendaria costruzione. Sono un po'
preoccupato di salire lassù. L'ascensore potrebbe bloccarsi o peggio
cadere e le altezze non consentono ottimismo. In piccolo è come la
paura di volare. E se l'aereo cade? Cerco di non pensarci. Non vale
la pena rovinare gita e fegato. Pago il biglietto e prendo
l'ascensore che mi porterà al primo livello dove c'è la prima
piattaforma (altezza 57 m). Arrivo dopo una veloce
salita. Osservo attentamente le enormi teste dei bulloni (ce
ne sono più di due milioni) che
tengono unita la struttura. Devono essere enormi, esagerati, come
tutto qui. Salgo al secondo livello (115 m). L'orizzonte si
amplia decisamente più del primo livello. |
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La
gente è numerosa e si entra e si esce dagli ascensori a blocchi
contingentati. C'è gente anziana e
bambini. Ci sono donne giovani e anziani. C'è di tutto. Una umanità che
sale e scende determinata a "vedere" e provare sensazioni tanto
desiderate. Vado al terzo e ultimo livello della Torre (276 m). Da qui
la vista è, come spesso si verifica in terra di Francia, "esagerata".
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Volendo, ci
sono le scale per fare l'ascensione. Quanti scalini saranno? Faccio la
stima del loro numero con un
rapido calcolo. L'altezza totale è 324 m ma per una stima approssimativa
vanno bene anche 300 m. Ogni scalino sarà 20 cm di
altezza, cioè 0,20 m. Divido il primo per il secondo e ottengo 1500. Abbastanza per
evitarli. Eppure ci sono molte persone che io definisco "kamikaze della
salita"
che salgono a piedi. Dall'alto della torre la capitale francese si
svela, davanti agli occhi dei turisti, in tutto il suo splendore. Si
ha la sensazione di essere vicino alle nuvole. Siamo a circa 300 m dal suolo. C'è anche un po' di
vento e si ha l'impressione che qui faccia meno caldo di giù.
Bello. Veramente bello. La visibilità è buona e il panorama è
magnifico. Si vedono benissimo la
Basilique du Sacré-Cœur
a Montmartre, la Tour
Montparnasse, La Défense e il Grande Arche, l'Arc de
Triomphe, la Maison de la Radio, l'École Militaire.
Insomma, tutti gli edifici che svettano più in alto degli altri sono
perfettamente visibili e facilmente individuabili. C'è un
via vai di ragazzi che si muovono velocemente ai piani relativi ai
due livelli più bassi. Non si
ha l'obbligo di scendere subito e, volendo, ci si può soffermare a
piacere guardando dai quattro lati il panorama. Nel mentre
scendo giù incontro i nuovi
arrivati che salgono con eccitazione e alla fine la sensazione che
provo è come se fossi stato sulle montagne russe. Stessa
impressione di inebriante
eccitazione. Dalla base la torre sembra ancora più grande.
Conservo il biglietto d'entrata dell'ascensore e cerco di orientarmi.
Avere riacquistato la visione terrestre dello sguardo mi fa sentire
rimpicciolito nell'osservazione del panorama ma più a mio agio. Ai
piedi della Torre c'è il busto di Eiffel che ricorda l'ingegnere più
famoso di Francia che con i 250 milioni di visitatori è uno dei
tesori più visitati in assoluto al mondo. |
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Lassù sembrava di essere
sospesi nello spazio e tutto aveva dimensioni piccole. La mancanza di un
binocolo, in grado di ingrandire la parte osservata, dava la sensazione
di guardare qualcosa che non mi appartenesse. Altra cosa è
guardare la École Militaire a sud e il Palais de
Châtillon dall'altra parte della Senna, da lassù e da
quaggiù. |
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Due modalità di osservare la stessa realtà offrono in
verità la visione di due mondi differenti, come l'osservazione
della materia dal punto di vista microscopico e macroscopico. Il
paragone che mi viene in mente è che da un lato, da lassù, ho
osservato la realtà del panorama con uno sguardo più completo e
raffinato ma meno dettagliato, mentre da quaggiù vedo cose completamente differenti
da prima. E' questa forse la condanna dell'uomo: vedere la
stessa realtà in due modi completamente differenti. Certo,
l'integrazione fra le due modalità produce più conoscenza e
soprattutto più consapevolezza delle cose del mondo. Mi piace
ricordare che dagli Champ de Mars nel 1783 il fisico Jacques-Alexandre
Charles professore di fisica alla Sorbona, incaricato
dall'Accademia delle scienze di riprodurre le esperienze dei
fratelli Montgolfier, fece alzare in volo un pallone gonfiato
(aerostatico) di idrogeno piuttosto che di aria calda. |
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Il 1873 è un anno famoso nella storia
francese perchè fu firmato il Trattato di Versailles in cui
ha termine la guerra di indipendenza americana. |
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A proposito di
Charles, autore di una legge dei gas perfetti e di alcuni altri
fisici francesi è forse l'ora adatta di andare
alla casa della radio, ovvero alla Maison de la Radio,
che si trova qui vicino, al 116 di Avenue du Président
Kennedy, dall'altra parte della Senna. Per
arrivarci scelgo di prendere il bus n. 72 della Ratp in
Avenue de New York dopo avere attraversato la Senna sul
Pont du Iéna. Sono appena quattro le fermate per arrivare
a fianco del gigantesco edificio circolare della Maison de
Radio France. E' il più grande edificio di tutta la Francia.
Ospita uffici e studi di registrazione dell'emittente francese.
Io sono interessato a un altro aspetto presente nella Maison.
Mi interessa visitare il museo scientifico di strumenti e
dispositivi elettrici (trasmettitori e ricevitori, nonché
il telegrafo di Claude Chappe, pioniere delle
comunicazioni che ha letteralmente inventato la
parola "telegraph") che ha sede nella prestigiosa
Maison.
Il museo ha dei reperti eccezionali che ripercorrono
l'evoluzione delle comunicazioni radiofoniche e televisive. Così
con spirito di servizio volto ad acquisire migliori conoscenze e
competenze sulla strumentazione elettrica dei secoli scorsi
entro nella Maison de la Radio. |
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Alla Reception
pago il biglietto e chiedo del responsabile delle relazioni
esterne. Poco dopo si
presenta una gentile signora, che è una dirigente del servizio
museale, che si offre di aiutarmi come Cicerone e a spiegarmi il ruolo del museo
nel panorama più generale dei servizi radio e televisivi della radio
televisione francese. |
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La cortesia della
Maison de la Radio mi lascia piacevolmente impressionato
e seguo la dirigente per le sale del museo. In breve mi dice
che il museo ha lo scopo di certificare l'evoluzione delle
comunicazioni radiofoniche e televisive in Francia dalla nascita
delle scoperte scientifiche, nonché dei diversi tipi
di trasmettitori e ricevitori utilizzati nella fase pioneristica
del sistema di radiocomunicazione, a cominciare proprio dalla
nascita della radio diffusione con il tedesco Hertz e il francese Branly.
Di quest'ultimo, ovviamente, vi sono testimonianze dirette e
documenti abbastanza completi (foto, documenti, ricostruzione del suo
laboratorio, apparecchiature, pannelli informativi) dei suoi tentativi di produrre
radiosegnali che trasmessi dalla finestra del suo studio
percorsero una distanza di circa 30m. Una successiva
trasmissione e ricezione si verificò, come prevedibile,
dalla sommità della Tour Eiffel a opera dello stesso
Branly e, successivamente, a distanza di diversi chilometri da
Ducruet. C'è un'intera ala della sede dedicata a museo. Vedo
molta strumentazione e ricca è anche la parte descrittiva e
didascalica con pannelli in francese e inglese abbastanza
chiari. C'è anche una sezione dedicata a Claude Chappe per la
nascita del telegrafo ottico e meccanico. Lui non
fu parigino ma morì a Paris nel 1805. Dopo più di un'ora di percorso, soddisfatta
dell'attività di divulgazione,
la signora mi saluta e si congeda. Rimango colpito dalle sue
qualità relazionali e intellettuali. |
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Bassina
e rotondetta nel fisico, bionda nei capelli, vispa nello sguardo, la
signora si muove a suo agio e velocemente nei vari reparti visitati,
mostrando una eccellente padronanza delle dinamiche museali. Ho avuto
delle difficoltà a comprendere il filo di certe sue spiegazioni a causa
della mia "non perfetta" conoscenza della lingua francese. Con le sue qualità
comunicative e relazionali mi dimostra concretamente come si possa conseguire
contemporaneamente il doppio risultato di evidenziare competenza e
disponibilità. Non è facile, in analoghi contesti italiani,
trovare esemplari di professionisti così ben preparati e dotati di tante qualità. In fondo
in fondo io ero un semplice turista anche se insegnante di fisica. Avrebbe potuto impegnarsi di meno
ma non l'ha fatto. Chapeau!
Esco dalla Maison veramente ben impressionato della visita, e riconosco alla
direzione del museo qualità notevoli di professionalità e sensibilità che non sospettavo potessero emergere così facilmente.
Difficilmente dimenticherò questa piacevole e interessante esperienza di
visita museale. Non mi rimane che prendere di nuovo il bus e spostarmi
verso il centro. Sono
fortunato perchè qui all'uscita dell'edificio della Maison de
Radio France passa il bus n.70 per Hôtel de la Ville. Lo
prendo quasi subito e scendo in Rue de Rivoli, a due passi dal
Musée du Louvre. In pratica ho attraversato due volte la Senna. Ma
ho fame e prima mangerò qualcosa. |
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In Voie Georges
Pompidou scelgo una brasserie. Scopro, dopo essermi seduto, che il
ristorante è di proprietà di un signore algerino, per l'esattezza
berbero, orgoglioso delle sue origini magrebine. Chiedo un classico piatto
della cucina algerina: il cous cous Kabyle (Kabyle è il nome
di una popolazione berbera dell’Algeria). Vengo accontentato facendo
felice il proprietario della brasserie che nel frattempo si premura
di spiegarmi la sua origine berbera. L'atmosfera è quella di un
ristorantino arabo dove si respira aria familiare, con poche persone
sedute ai tavoli vicino al mio. C'è un'ampia vetrata che dà sul
voie Georges Pompidou. Oltre il muro che costeggia la strada c'è
la Senna che divide la sponda destra dove mi trovo da quella sinistra di
Paris.
Una fetta di formaggio francese con una insalata verde conclude il
pasto. Il costo è contenuto e le pietanze sono abbastanza gustose.
Saluto con il classico assalamu alaikum contraccambiato con
piacevole sorpresa. |
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Una passeggiata è il
minimo che adesso voglio fare per smaltire le abbondanti libagioni del
menù berbero. Lungo la strada vedo un supermercato nel quale entro più
per soddisfare la mia curiosità di vedere gli scaffali e i prodotti in
vendita, e fare un confronto con quelli italiani, che per necessità. Fin
da bambino ho sempre saputo che Paris è la capitale mondiale
della qualità, che fa tendenza, che nel nostro immaginario e un modello
di riferimento. Si va dalla moda all'abbigliamento, dai prodotti di
bellezza alla chirurgia estetica, dai prodotti per la casa a quelli
culinari, dai vini e lo champagne ai gourmet specializzati, dai
gingilli tecnologici alle auto, dallo sport allo spettacolo, etc.
Insomma, c'è tanto da vedere che suscitano in me la curiosità per novità
significative. La mia curiosità è massima quando penso ai reparti
gastronomici e alle loro proposte culinarie. Dopo aver girato e
osservato attentamente i prodotti sia per qualità che per prezzi mi
convinco che tutto sommato non ci sono differenze significative.
Cambiano solo i nomi delle marche dei prodotti più comuni che non altro.
L'unica eccezione è il reparto alimentare. Qui una novità c'è ed è, a
mio parere, rilevante. Si tratta delle confezioni di cibo
preconfezionato che si trovano in alcuni scaffali. Con sorpresa, noto
che abbondano negli scaffali proposte di cibi precotti e confezionati
pronti all'uso, tramite solo riscaldamento nel forno. Attenzione, non mi
riferisco ai surgelati. No. Ci sono molte proposte di confezioni già
preparate e pronte non alla cottura ma al riscaldamento. Per esempio, si
compra una bella cotoletta di vitello già impanata e pronta per essere
fritta in padella o arrostita al forno, disposta nei vari scomparti in
sacchetti a vuoto preconfezionati . Naturalmente ci sono molte pietanze
tipicamente francesi, ma la logica non cambia. Si compra un cibo
disposto in un contenitore di plastica trasparente freddo che a casa si
mette direttamente senza scongelare in forno e ... oplà ecco una
famosa pietanza francese come se fosse stata prodotta dal migliore
chef de France. Non metto in dubbio la praticità e il risparmio di
costi ed energie. Un conto è mettersi in cucina a sbucciare la cipolla,
farla soffriggere con olio extra vergine d'oliva, aggiungere un po' di
brodo prodotto la sera prima, a fuoco lento. In cucina la fiamma alta e
la temperatura eccessiva uccide il gusto. Poi soffriggere della carne
(per esempio carne macinata ) o delle verdure fresche (per esempio dei
piselli) e cuocere lentamente. Intanto bollire l'acqua per la pasta,
salarla e alla fine scolare il tutto e condire con il ragù di carne o
col delicato condimento alle verdure. C'è differenza? Si. Ed è abissale.
Almeno "in my opinion". Sono quasi scandalizzato. Non comprerei mai
questi cibi preconfezionati "per tutto l'oro del mondo". Si fa per dire.
Per me, una vera pietanza squisita si può realizzare solo e soltanto
cucinandola direttamente, dall'inizio alla fine, senza intermediazioni
di catene alimentari industriali e commerciali. E poi a me piace
cucinare. Il gusto è una felice sintesi non solo di qualità degli
ingredienti ma soprattutto di modalità di cottura. Non dimentichiamo che
qui siamo a Paris uno dei luoghi più famosi dove la cucina è
considerata, a ragione, arte. Qui il cibo e, dunque, la cucina è prima
di tutto cultura, ma è anche antropologia, è arte, è economia, è
politica, financo finanza. Basta infatti prendere uno solo degli
ingredienti del cibo francese (ma anche di quello italiano), che è il
vino, e vedere quanto business gira intorno alla viticoltura tanto da
considerare la cucina sinonimo di "enogastronomia" e viceversa. Avremo
modi di ritornare su questo aspetto, molto importante nell'economia del
mio viaggio. |
Quarto giorno Martedì 21 agosto.
Avenue des Champs
Élysées e Arc de Triomphe. Il titolo di questo paragrafo del
diario è didascalico ma ricco di possibili interpretazioni. Intanto sto
parlando di una delle icone turistiche della città che non è possibile
ignorare. I "Campi Elisi" nell'immaginario di un turista "affamato" di
panorami e di bellezze architettoniche costituiscono un unicum che ha un valore
incommensurabile. Pensate che gli Champs Élysées e l'Arc de
Triomphe vengono chiamati dai parigini come a "Vole Triomphale"
ovvero via trionfale perchè la prospettiva che si vede fra Place de
la Concorde (dove c'è l'Obelisco) e Place Charles de Gaulle dove
c'è l'Arc du Triomphe è il trionfo della francesità e dei valori nazionali e patriottici dei francesi. Più in
generale, il percorso segue l'asse storico che inizia dal Louvre e finisce al Grand Arche de La Defense. |
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Dunque, stiamo attenti ai simboli, perchè qui è necessario soffermarsi un po'
e parlare di questi aspetti.
In questa zona della città ci sono
centri commerciali, luoghi di divertimento, caffè concerti, ristoranti,
boutique di moda e cento altre attrattive per una folla elegante e affamata di socialità
e di divertimento.
Basta percorrerlo nel tratto finale tra il rondò chiamato Rond Point
e l'Arc de Triomphe e si avrà un assaggio di cosa è stato ed è questo
bellissimo viale non solo per i francesi ma per tutti i turisti, me
compreso. Il quadro accanto di Jean Beraud e dal titolo
Della modista sul-Champs Elysees rappresenta la sintesi di
ciò che rappresentò nell'immaginario della moda e dell'arte questo
viale. Ricordo solo si sfuggita che qui ha luogo la sfilata
militare del 14 luglio. Un po' come a Roma in via dei Fori Imperiali
il 2 Giugno per l'analoga sfilata dei reparti militari in occasione
della festa della Repubblica. E' bello copiare i francesi in questo
campo. Loro sono stati i nostri maestri, non c'è che dire. Non per
niente siamo considerati i loro "cugini". Certo i due
viali imbottiti di patriottismo non sono uguali. Ci sono delle diversità anche notevoli.
L'Avenue des Champs Élysées è molto più lunga (circa 2 chilometri) e larga dei Fori
Imperiali. E' fuori di dubbio che è più maestoso e imponente. Ha molti più alberi di quello romano
ma non si
respira l'aria dei fasti romani. |
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Il viale
romano ha meno grandeur di quello parigino ma si trova immerso, da
una parte e dall'altra per un lungo tratto, tra le rovine antiche dei Fori.
Questo parallelo mi fa capire che ci possono essere altre analogie fra i
due luoghi. In ogni caso, qualunque guida ne parlerà meglio di me. A me
invece interessano cose diverse dalla elencazione asettica dei luoghi e
dei monumenti da visitare. Io vado alla ricerca di emozioni, si
sensazioni, di
visioni, di spettacoli panoramici che mi possano spiegare alcuni perchè circa
le emozioni provate nei luoghi che visito nei miei viaggi. Ora che ci penso trovo un'altra analogia fra i
due percorsi storici delle due capitali. Entrambe le città, accanto al viale
centrale, hanno delle strade laterali, meno importanti e parallele al
primo. Prendiamo Paris. Avenue Gabriel è il viale,
molto alberato sul lato nord, parallelo ad Avenue des Champs Élysées.
Prendiamo adesso Roma. Qui c'è Via di Valle delle Camene al Circo Massimo
che è una via poco alberata e parallela al viale centrale che si chiama Via delle Terme di Caracalla. Notevole. In
più, posso forzare un tantino l'analogia presentando un parallelo questa
volta tra le due piazze di Place de la Concorde a Paris e Piazzale Numa Pompilio a
Roma. I
due elementi della mappa presentano una forte analogia e si riesce a giocare
benissimo in questi accostamenti tra le due città. A una condizione: che
si comprenda bene che nella capitale francese tutte le dimensioni sono
dilatate e ingigantite. Tutto è più grande e più mastodontico.
Ritorniamo all'inizio degli Champs Élysées. L'area a verde tra le
due vie è un parco, con bellissimi giochi di verde, alcune ovali
altre semicircolari. C'è anche all'interno una strada pedonale ondulata che si chiama
Allée
Marcel Proust. Ci sono molte panchine ai bordi delle aiuole con persone sedute di tutti i
tipi. Mi siedo per qualche minuto anch'io. Le osservo con interesse perchè mi viene in mente
un film che vidi molti anni fa sul modo insolito e straordinario di un
giovane di dichiarare il proprio amore alla sua ragazza. Il luogo dell'appuntamento era gli Champs Élysées,
unico luogo che potesse soddisfare il requisito di essere facile da individuare
e sicuro, di ritrovarsi. Il film dimostra come nella cinematografia gli Champs Élysées
potessero rappresentare contemporaneamente un luogo geografico e la
passione dell'amore. Si tratta dell'episodio in cui un giovane militare statunitense dà appuntamento
alla donna di cui è innamorato, una crocerossina francese, su una
panchina agli Champs Élysées "la prima domenica dopo la fine
della seconda guerra mondiale". Disse proprio così. Indimenticabile. Ci sono persone di tutte
le età che sedute pensano, leggono, ascoltano musica con la cuffia
parlano tra loro. Vedo anche una bella ragazza dal viso alla Brigitte
Bardot e dal naso all'insù. Mi ricorda una ragazza quindicenne che
trascorse due settimane di vacanza nel paese di montagna in cui vivevo, quando ero
ragazzo, in Sicilia.
Eravamo tutti innamorati di lei e fremevamo di incontrarla per
guardarla. Con la minigonna vertiginosa, i capelli biondi, il nasino
all'insù e il suo pessimo italiano
francesizzato la guardavamo in trance come degli stupidi incapaci di
discutere con lei. Così come apparve dal nulla scomparve improvvisamente lasciandoci nel lutto generalizzato. Adesso, dopo
circa quarant''anni in Francia, a Paris,
osservo un altro esemplare come il precedente e penso inevitabilmente al
tempo trascorso in tutti questi anni, dalla mia gioventù alla maturità. Sono
consapevole che il tempo trasforma le
persone, gli umori e i pensieri ed io non sono più il ragazzo ingenuo e
romantico del tempo della gioventù. |
 |
Mi rimetto in
movimento per vedere il primo tratto degli Champs Élysées. A Place Clemenceau
(sulla sinistra si vede Avenue Winston Churchill che porta al Pont Alexandre III)
c'è il Grand Palais e a fianco il Palais de la Découvert, cioè il palazzo della scienza.
Il primo è
un
grande padiglione espositivo di vetro, costruito per
l'Esposizione Universale del 1900. Il secondo è
un vero
e proprio museo di astronomia, astrofisica, planetario, chimica,
matematica, fisica, geofisica e biologia. Non posso vederli
entrambi. Scelgo di vedere il secondo, sebbene il primo sia il
luogo in cui uno dei miei scrittori francesi preferiti, Alain
Fournier, incontrò la bellissima ed elegante Yvonne de
Quiévrecourt alla quale diede il ruolo di donna incantevole
in grado di far innamorare i due protagonisti del romanzo Il
Grande Meaulnes. Ho sempre amato questo romanzo pubblicato
dalla Garzanti l'anno in cui mi iscrissi all'Università nel
1965. |
|
Anche se i tempi sono contingentati devo assolutamente vedere quest'altro
museo scientifico, tra l'altro molto più vicino della Villette.
Mi prendo una pausa per l'Arc de Triomphe ed entro. E'
evidente che qui a Paris in cinque giorni non posso vedere tutto e
devo sacrificare qualcosa. Ma perdere la visita di un museo
della scienza mi sembra una rinuncia esagerata. La visita è
breve e sorvolo i particolari. Arrivo al Rond Point
de Île-de-France, che è la piazza circolare in cui si incrociano ben
quattro viali: Avenue Matignon, Avenue Montaigne, Avenue
Franklin Delano Rooselvelt e Champs Élysées. In fondo l'Arc de Triomphe
lo vedo sempre più avvicinarsi a me e lo distinguo più nettamente di
prima. Dal
Rond Point in poi gli alberi posti ai lati degli Champs Élysées
si diradano e lasciano vedere nettamente tutti i dettagli dei negozi e
dei locali eleganti di questa lunghissima vetrina parigina.
Avvicinandomi a Place Charles de Gaulle le gambe riacquistano
leggerezza e nelle ultime decine di metri vanno per proprio conto,
irrefrenabili, imponendomi una corsa podistica alla Abdon Pamich. |
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Sono arrivato alla
meta. Eccomi nel gigantesco rondò con le macchine che corrono
velocemente senza soluzione di continuità. Imbocco il sottopassaggio
che mi porta in sicurezza sotto l'Arco. Ammutolito, faccio due giri completi per osservarne la
bellezza. Cosa dire? E' spettacolare, altissimo e bellissimo. Non
sto parlando della pubblicità di un'acqua minerale. Sto parlando del
secondo più grande monumento ad arco di tutto il mondo, dopo quello
nordcoreano di Pyongyang. Forme armoniose, architettura
simmetrica e bellezza artistica si fondono in una struttura che
lascia senza parole. Senza ombra di dubbio questo monumento
costituisce uno dei luoghi più prestigiosi di Paris. Le sculture
che lo orlano sono belle. Sono quattro, due per facciata. In
particolare ci sono dal lato sud a sinistra la celebrazione
della Pace di Vienna e a destra La Marsigliese.
Dall'altro lato La Resistenza a destra e La Pace a
sinistra. |
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Mi viene in mente il detto napoletano: "vedi Napoli e poi muori". Penso
che abbia lo stesso senso affermare per Paris lo stesso detto "vedi Paris e
poi muori". Ernest Hemingway confidò a un amico che
«se sei così fortunato da aver
vissuto a Paris da giovane, ovunque tu vada poi, Paris rimarrà sempre
con te».
Per certi aspetti mi ricorda l'analoga dichiarazione d'amore ma questa
volta per Londra fatta da
Samuel Johnson,
il letterato più illustre nella storia inglese. Disse che
«dopo
aver visto Londra ho conosciuto il massimo della vita che il mondo può
mostrare».
Probabilmente sono esagerazioni ma perfettamente giustificabili. Quando
ci si innamora di una città si prova la stessa sensazione di quando ci
si innamora di una donna. Si perdono sia il senso della misura, sia
la sobrietà dei giudizi. E poi chi rifiuterebbe di innamorarsi di
qualcuno o di qualcosa? Dunque, rispettiamo l'amore, anche quello per le
città e concentriamoci sulle cose belle che esse possono darci. Che poi siano veramente belle, meglio. Vuol dire che la ragione è
doppia. Ma ritorniamo a noi. Ci può essere anche qui una
analogia tra l'Arco parigino e l'Arco romano di Costantino, situato
accanto al Colosseo? Io direi di si, con una precisazione che è
condizione discriminante per dare senso all'ipotesi. Cioè che è
necessario tenere conto degli aspetti geometrici prima
che tecnici e artistici. L'arco di Costantino è alto 20 m ed è stato
costruito nel 312 a.C., mentre quello parigino è alto 50 m (due volte e
mezzo) ed è stato costruito nel 1836 (duemilacentoquarantotto anni
dopo). Non è questa la sede per discutere dei tre Archi incluso quello
coreano. Dico solo che
quello parigino ha una forte somiglianza (e non poteva non essere che
così, visti i profondi legami culturali che esistono tra le due nazioni) con quello romano mentre quello
coreano è in uno stile completamente differente dagli altri due. In
poche parole non c'è omogeneità per alcun confronto. Bene. Ritorniamo a
noi. Nel frattempo credo di avere recuperato
bene la stanchezza della lunga passeggiata fatta per arrivare qui da
Place de la Concorde. Adesso mi accingo a
"completare" la visita alle bellezze dell'Asse est-ovest affrontando un quartiere interessante
per le sue caratteristiche artistiche e architettoniche. Parlo della Defense.
Con il Metro vado adesso nel quartiere moderno della capitale, che per
Paris
mutatis mutandis è ciò che rappresenta l'EUR per Roma:
la modernità. Defense = EUR. E' credibile questa uguaglianza? Non
certo se facciamo un'analogia acritica con criteri e unità di misura basati sulle
dimensioni. La Defense è dieci volte più grande dell'EUR.
E' completa, modernissima, piena di grattacieli con il Grand Arche
che calamita l'attenzione di turisti, passanti e dei media di
tutti i generi. Insomma, non c'è storia, perchè la Defense è più
importante dell'EUR. Ma se l'analogia viene effettuata senza
tenere conto delle dimensioni dei quartieri e del "grado di
modernità" delle strutture, forse, si riesce a cogliere meglio il
parallelismo di entrambi le località. Effettivamente si rimane
letteralmente a bocca aperta nell'osservare la gigantesca serie di
costruzioni avveniristiche presenti. Alcuni edifici sono ancora in
costruzione e quello che io mi propongo in questo breve lasso di tempo
che intendo dedicare alla Defense è semplicemente di
effettuare una breve passeggiata, anche negli spazi che ci sono
all'interno del centro commerciale sulla spianata. Sono sicuro che sono
stati dati tonnellate di giudizi tecnici ed estetici sull'intero
quartiere. Non è quindi questa la sede per ritornare su questi giudizi.
Quello che voglio assolutamente rimarcare è lo stupore di chi è abituato
a vivere in una città come Roma in cui l'altezza massima di un palazzo è
il settimo piano. L''impressione che ricavo è di una festa della
modernità in misura considerevole per la capacità che ha avuto Paris di
dotarsi anche di questo modello di architettura. Osservare con il viso
all'insù il Grand Arche fa molta impressione. Questo enorme cubo,
con due facce su sei aperte colpisce per la sua insolita forma. Che sia
originale non ci sono dubbi. Ma non solo. Intanto è faticoso
raggiungerlo e passarci dentro. Salire la scalinata e raggiungere la
superficie di base non è facile. Alla fine riprendo il
metro perchè è l'ora di pranzo e desidero mangiare nella zona della
Madeleine. Lo avevo promesso a me stesso in precedenza. Percorro la Rue
Royale alla fine della quale svolto a destra in Place de
la Madeleine dove c'è il Café Fauchon che serve di
tutto. Nella sala del ristorante mi seggo a un tavolo libero. in realtà
tutti i tavoli sono liberi perchè non c'è alcun cliente che sta
mangiando. I tavoli sono tutti lindi, con tovaglia e tovaglioli
bianchissimi. Un cameriere distratto che passa velocemente vicino alla
sedia dove sono seduto mi porta il menù, che guardo con attenzione per
scegliere qualche pietanza poco cara e gradevole. In realtà di economico
non c'è nulla. Anatra, astice, terrina di foie gras, tonno
rosso, e tanti altri piatti hanno prezzi inaccessibili.
|
 |
Una leggera ansia mi pervade, perchè
nonostante l'impegno profuso non riesco a trovare nessuna pietanza
a basso prezzo di mio gradimento. Preoccupato di dovere a tutti i costi ordinare
qualche piatto poco appetibile e costoso decido di andare via senza
aspettare il cameriere. In pochi secondi esco dalla sala ristorante
e mi accontento di sedermi in una brasserie, non lontano da Place
de la Madeleine, al numero 7 del Boulevard de la Madeleine.
Il locale si chiama «Madeleine7» ed è contemporaneamente una sala
da thè, Cafè e brasserie. A fianco mostro il biglietto da visita del
locale datomi dal cameriere per ricordo. Entro mi seggo a un tavolo
e questa volta la scelta è molto più facile. Ordino un croccante
panino (mezza baguette) imbottito di fromage francese, una
insalata verde e un buon bicchiere di birra Artois.
Decisamente molto più pratico ed economico del più famoso e
ambizioso Fauchon. Il locale è piacevole e l'atmosfera che si
respira è anche qui di tipo quasi familiare. Vedo seduti vicino a me due
uomini e una donna. Parlano come se stessero dicendo cose
importanti. In verità il francese è una lingua che fa sentire
importanti tutti coloro che la parlano. Non capisco la
conversazione, ma i tre mi fanno venire in mente il bel romanzo
autobiografico dello scrittore francese Henri-Pierre Roché dal nome Jules
e Jim. Si tratta di un romanzo che ho letto molti anni fa in
gioventù pubblicato da Garzanti in edizione economica. Lo ricordo
benissimo perchè costituì per me quando lo lessi una specie di
modello di manuale dello scandalo. È la storia di un triangolo
amoroso tra due uomini (un francese e un tedesco) e una donna,
anch'essa tedesca, che suscitò in me l'idea di un libro scabroso
dalla trama non certo per educande. Il motivo del mio ricordo è
dovuto al fatto che quando sono uscito dal ristorante Fauchon mi
sono messo a correre per scappare via come fecero Jules e Jim in un
capitolo del romanzo. |
|
La trama mi ha colpito
così fortemente da non averla mai più dimenticata. Particolare curioso è
poi che l'autore, vissuto a cavallo tra la fine dell'Ottocento fino agli
anni '50 del Novecento, scrisse il romanzo ormai settantenne,
ambientandolo nel primo decennio dello stesso secolo. Nel frattempo sono
rimasto senza banconote francesi in tasca. Avendo problemi di
contante decido di andare a cambiare delle lire in franchi in banca.
Al numero 47 di Rue La Boétie si trova l'agenzia parigina della
mia banca in Italia, cioè Banca Intesa France SA. Percorro il
Boulevard Malesherbes e all'intersezione con il Boulevard
Haussmann giro a sinistra in Rue La Boétia. Se non fosse per
la gradita coincidenza di trovarmi a due passi dalla mia banca mi verrebbe di pensare che
Paris è piccola. Il
che non è vero, ma è piacevole pensarlo.
|
Quinto giorno Mercoledì 22 Agosto. Oggi è il penultimo giorno di
permanenza nella capitale francese. Domani si ritorna a casa a Roma. Il
programma di oggi prevede ancora una tappa importante: Montmartre e
la
Basilique du Sacré-Cœur.
Parlare di Paris senza parlare di Montmartre è come mangiare un
cannolo siciliano senza la ricotta. Il paragone potrà sembrare
inadeguato o fuori luogo ma, parodiando un celebre proverbio, mi sento di
poter dire che "dolci e buoi dei paesi tuoi".
«Su
tutto si può scherzare ma non sul dessert»
disse con acume Marcello Marchesi in un'intervista. Togliete a un
valtellinese la
«bisciola»
e a un siciliano la
«cassata»
e capirete che cosa significherebbe per Paris toglierle Montmartre.
Questo luogo straordinario e meraviglioso non è solo
Sacré-Cœur
o artisti del disegno e della pittura. E' molto di più. Anzi, è quanto di
più diverso e sorprendente si possa immaginare. E' l'aria che respiri sulla "Butte", la
collinetta su cui si erge maestosa la basilica bianca e rotondeggiante
della cupola. E' la vita da
bohèmien e la ricerca dell'ispirazione degli "imbrattatele". E' il
suo cielo, sono i suoi colori, i suoi bleu. E' il Moulin Rouge,
con le pale del mulino, colorate in rosso mattone. E' un
centro originale di attività artistica e letteraria. E' la Place Pigalle
di Simenon e dei suoi romanzi gialli. E' il Cimetiére Saint-Vincent,
con le sue tombe che conservano gli illustri geni che spaziano dalla narrativa alla
musica, dalla pittura alla scienza, dalla letteratura al balletto,
dall'arte alla coreografia. Alcuni nomi sono Zola, Berlioz, Heine, Degas,
Dumas, Stendhal, Nijinsky, Ampère, Truffaut. Insomma, è un enorme pezzo di
cultura europea che ha fatto grande la Francia nel mondo di cui,
diciamolo a tutto tondo, non se ne può fare a meno. Ci crederete o no ma
per essere qui, adesso, ho atteso una vita per visitare questi cari
luoghi delle mie prime conoscenze di cultura francese che mi hanno
accompagnato finora nella memoria e nei ricordi. Mi spiegherò meglio tra
poco. Nel frattempo cominciamo dall'inizio. Arrivo in metro con la
linea 12 alla fermata Lamarck Caulaincourt a nord della basilica. Ritornerò in centro
prendendo la stessa linea ma un'altra fermata, più a sud,
forse Pigalle. La ragione
è che scendendo a Lamarck Caulaincourt, sotto la scalinata, a due
passi c'è, sulla strada della basilica, chiamata Rue Saint Vincent,
il Cimetiére Saint-Vincent (cimitero di San Vincenzo). Qui sembra
proprio che S. Vincenzo l'abbia fatta da padrone nella toponomastica. E
siccome io mi chiamo Vincenzo capirete benissimo che mi trovo a mio agio.
Anzi, direi che mi sento di casa. So che in questo cimitero ci sono le tombe
di tante figure importanti della cultura, alcune delle quali le ho
elencate poco prima. Se avessi tempo lo visiterei con piacere. So per
certo che qui c'è anche la tomba del fisico francese André-Marie Ampère,
una delle figure della scienza a me più care. La
sua fama nel mondo della scienza è dovuta, in generale, alla scoperta
della relazione tra "elettricità e magnetismo" (elettromagnetismo), con l'invenzione del
cosiddetto "teorema della circuitazione" di Ampère che lega l'intensità
della corrente elettrica che attraversa un filo metallico al valore
del campo magnetico generato. Più in generale afferma che l'«integrale
lungo una linea chiusa del campo magnetico nel vuoto è uguale alla somma
algebrica delle correnti elettriche concatenate per la
costante di permeabilità magnetica del vuoto : C(B) = μo Σ i
».
Lui, il nostro Alessandro Volta e il tedesco George Simon Ohm da soli
con i loro nomi hanno dato senso metrologico, legislativo ed esplicativo
alle due leggi di Ohm sui circuiti elettrici. Di Ampère si potrebbe parlare per ore e non nego che è sempre stato uno
dei miei scienziati preferiti. Ma qui dobbiamo parlare di altro. Dimentico pertanto Ampère
anche perchè, a metà della Rue Saint Vincent, c'è
una seconda rarità.
Si tratta di un piccolo appezzamento di terreno, salendo sulla destra
nella piccola stradina acciottolata, nel quale è coltivata la vite per
fare l'uva e, conoscendo i francesi e il loro amore per la buona
tavola, aggiungo subito, il vino. Se non è una trovata
pubblicitaria di cui i francesi sono maestri poco ci manca. Fa impressione vedere a due passi della
Basilique du Sacré-Cœur
in piena
Paris un terreno dove si produce uva. Più in generale sembra che
il tempo qui si sia fermato nel secolo scorso. Il panorama è quello
tipico dei paesini di montagna, con i muri della stradina in pietra.
Potremmo vedere lo stesso panorama in un qualunque paesino d'Europa e
d'Italia. Ad Assisi, in Umbria, ho visto qualcosa del genere ma anche in
Valtellina ci sono tanti paesini che mostrano
identiche connotazioni architettoniche e paesaggistiche. L'aspetto più
piacevole della questione è che si perde la sensazione di trovarsi in un
paese straniero. Dopo quattro giorni di intenso movimento per
le strade di Paris il panorama mi sembra familiare. Tutto mi è caro. E' come se fossi
vissuto qui da sempre e provo la stessa sensazione che provavo da
giovane quando per motivi di studio o di lavoro mi trasferivo in Italia da una
città del Sud a una del Nord e viceversa. In pratica, dopo uno
o due giorni nella nuova sede tutto mi sembrava familiare come se fossi
vissuto là da sempre. Se non fosse per piccoli dettagli (la forma
e il colore delle targhe ai muri dei nomi delle vie, il colore dello sfondo
delle targhe delle auto vecchie, le indicazioni in lingua francese,
ecc..) non ci sarebbero ragioni di dubitare di trovarmi in Italia. Alla
fine della stradina sono alle spalle della basilica.
La
Basilique du Sacré-Cœur
è molto
bella. Certo è completamente diversa da Notre Dame e non è in
stile gotico. Ma è molto bella lo stesso. Con la cupola completamente in marmo bianco
con uno stile differente da tutte le altre chiese gotiche, si fa
ammirare in tutto il suo splendore. Una rapida visita all'interno mi
informa che valeva la pena venire qui per la bellezza degli interni e
per il panorama che si gode di Paris. L'interno mostra i bei colori
delle vetrate. Bellissima è poi la volta della cupola, con Cristo
Redentore su sfondo blu di colore bianco è tutta la serie di arcate che la
sorreggono. Volendo si può visitare il Duomo e la cripta. Ma il numero
degli scalini da fare a piedi è così elevato che mi trattengo dal
provare. Lascio la basilica e mi dirigo nella vivace Place du Tertre, il
vero cuore bohémien parigino. Arrivo nello spiazzo, punto di
incontro di artisti e pittori, e trovo una tipica piazza da cartolina
con tante bancarelle, cavalletti e pittori di dubbio talento che si
spacciano per artisti con pennelli in mano a dipingere e disegnare.
In
genere si tratta di ritrattisti il cui scopo è rifilare ai turisti
sprovveduti orrende caricature. Ci sono esposti ritratti in
bianco e nero, oli e tele, quadri colorati con colori più o meno caldi, c'è di
tutto. Ed è tutto un pot pourrie di arte del disegno e
della pittura. Una
considerazione che ripeto per la terza volta a margine di questo altro pezzo di visita alla
capitale francese riguarda il fatto che
a Paris tutto è esagerato. Dalla larghezza dei viali all'altezza
degli archi; dalla grandezza dei capolavori presenti nel Louvre
all'intensità della violenza della rivoluzione francese; dal grado
di laicità della Republique francais all'idea avveniristica e
spericolata della costruzione della Torre Eiffel;
dall'intensità del coloro blu del cielo montmartrino alla
leggenda del capo mozzato di S.Dionigi e così via. |
 |
Non esiste al mondo una città così esagerata e allo stesso tempo
così ricca di tesori architettonici. I parigini pensano sempre in grande. Me li immagino come
tanti "Napoleoni" con manie di grandezza. E devo dire che
solitamente ci riescono.
Ecco un breve e incompleto elenco
di pittori impressionisti, ma anche di scultori parigini doc,
famosi. Edgar Degas, Robert Delaunay, Paul Gauguin, Édouard Manet,
Claude Monet. Mi sposto adesso dalla scalinata, vicino alla
funicolare in Rue Chappe,
al numero 5 (vedi targa e foto). E' l'abitazione in cui avrei dovuto abitare
trent'anni fa circa, quando sono stato invitato qui dallo stesso artista,
mio amico, che mi ha ospitato due settimane ad
Amsterdam esattamente venti anni fa a casa sua, a trascorrere
una vacanza a Paris. |
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Sono
state tante le lettere che gli ho scritto indirizzate tutte a Rue
Chappe 5
che non dimenticherò mai il nome di questa via. Anche perché non
posso dimenticare le forti sensazioni che provavo quando da
adolescente, al termine delle lezioni scolastiche
mattutine, frequentavo il pomeriggio il suo studio artistico nel
quale lavorava dipingendo al cavalletto. |
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Andavo a trovarlo in quella che lui
chiamava la sua “bottega d’arte”, piena di tubetti di colori
e odori impossibili, di pennelli di tutte le dimensioni, di tele arrotolate,
di solventi e liquidi variegati che lo rendevano loquace e maestro
di pittura e di vita. Parlava di tecniche di pittura, di disegno
artistico, di arte colorimetrica, di impressionismo, di quadri, di
capolavori artistici e di grandi figure tra i quali gli
impressionisti, di cui conosceva tutto. Mi diceva che voleva andare in Francia a
trovare lo spirito dell’arte post-impressionista per seguire il suo
istinto di artista. E mentre i forti odori della trielina si facevano
sentire anche da lontano avvertivo l’atmosfera di forte carica di vita e
di ambizione che lo caratterizzava. In verità c'è
un'altra ragione che riguarda la mia visita fatta Lunedì alla Maison
de Radio. Riguarda il fatto che
Monsieur Chappe fu uno dei pionieri delle telecomunicazioni e sulla
targa non c'è il nome, che è Claude. |
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La Rue Chappe prima si chiamava Rue Telegraph.
Vado adesso in
Boulevard de Clichy. Al numero 82 c'è un altro mito di
Paris che mi aspetta. E' il Moulin Rouge, famoso locale nel
quartiere a luci rosse di Pigalle, nel XVIII Arrondissement
di Paris. Questo locale ormai non brilla più come una volta. Esiste quasi
esclusivamente per testimoniare la sua presenza nella più che centenaria
esistenza. In pratica, è solo un'icona turistica e basta. Tuttavia, dal
punto di vista storico e musicale non si può non ricordare che cos'è stato il
Moulin Rouge nell'immaginario degli uomini di tutta Europa. Con il suo repertorio di danze e spettacoli
spesso licenziosi, fra i quali il can-can,
diede fama e fu palestra di studio a Henry de Toulouse-Lautrec,
l'artista del pennello assiduo
frequentatore dei quartieri di Pigalle e Montmartre. Chi non ricorda le
famose locandine post-impressioniste che pubblicizzavano il locale e le
ballerine? Chi può dimenticare i successi degli artisti francesi come Josephine Baker ed Edith Piaf
in questo allora affascinante locale? In Italia non esistono casi del
genere di locali artistico-musicali in grado di rimanere famosi
ininterrottamente per più di un secolo. Pochi minuti davanti alle pale del mulino
che non girano più è il risultato di una visita che mi lascia la
nostalgia dei tempi che furono e il triste realismo del tempo che
trascorre inesorabilmente. |
Il primo giorno a Paris ho
fatto visita alla Villette, il museo scientifico più famoso di Francia. Adesso,
come ultimo giorno desidero fare una visitina al Louvre e concludere
così in
bellezza. Le Musée du Louvre
si trova in centro, a due passi da Place de la Concorde e, in pochi minuti, raggiungo la piramide di vetro che
è l'entrata principale del museo. So bene che non potrò vedere molto ma solo una minima
parte. Non è possibile con i tempi che mi sono dato poter effettuare una
visita completa. L'unico problema è quello di seguire con chiarezza e
coerenza un breve percorso prestabilito che ho studiato sulla guida
della città.
Il Museo è grande e non vale la pena perdere tempo a raccapezzarsi o
vagare a vuoto per corridoi e piani. |
 |
Il Louvre è il
museo più importante del mondo. Come tale nasconde il fascino della
grande memoria collettiva dell’intera storia dell'umanità. Pochi
musei al mondo possono vantare l’universalità che caratterizza il
museo parigino. Ex residenza reale si trova in centro, lungo l’asse
storico per Arc de Triomphe-Defense. L'entrata principale del
museo è come ho già detto prima attraverso la piramide di vetro. In prima battuta sembra che
questa entrata sia bizzarra o quanto meno una nota stonata in cui le
rigorose linee geometriche contrastano con lo stile classico
dell'ambiente circostante. Altro particolare interessante è che a
due passi dalla Pyramide trasparente c'è un altro Arc de
Triomphe, chiamato du Carrusel, imitazione questa volta
più verosimile dell'Arco di Settimio Severo a Roma. In realtà è una
caratteristica del Musée du Louvre alternare e miscelare
antico e moderno in modo sapiente ed efficace. Non credo sia
utile fare il diario delle poche cose viste. Troppo impegnativa sarebbe la descrizione dei
tesori sia in termini di nomi e temi sia per l'altissimo numero di
reperti messi in mostra. Si dice che al Louvre ci siamo più di
300000 pezzi d'arte. Per fare una stima dei tempi necessari per
vedere tutte le opere presenti al suo interno usiamo un po' di
matematica. |
|
Nell'ipotesi di fermarci
100 secondi appena per ciascuna opera,
il risultato calcolato sarebbe un po' più di 347 giorni ininterrotti, ovvero
un anno, tutti i giorni 24 ore su 24! Dunque, non ha
senso tentare di vedere troppe cose. Meglio è se si decide di vedere
poche opere impiegando più del minuto e mezzo a disposizione per avere
il tempo di osservare più attentamente ciò che si vuole vedere e dare un
minimo di credibilità alla visita. Dico solo che l'atmosfera che ho trovato è una
miscela dosata di passeggiata al chiuso in un grande palazzo come un centro
commerciale e di attenta osservazione in soggezione davanti ai capolavori esposti. Tele enormi, statue di tutti i
tipi, sculture e dipinti a non finire. Il Louvre è il Louvre.
Dalla guido ottengo informazioni preziose circa l'ubicazione delle poche opere
alle quali sono interessato. Su qualunque guida si possono trovare le informazioni
adeguate. Dico solo che il mio primo pensiero è di vedere la "Gioconda" di Leonardo da Vinci. La trovo al primo piano tra
dipinti francesi e italiani. La vedo subito nonostante il quadro sia di
piccole dimensioni. Il resto è una corsa ad ostacoli per cercare di
vedere altro. Fra ascensori e scale si cammina molto anche perchè c'è
tanta di quella roba che alla fine non si apprezza nulla come dovuto.
Nell'area egizia c'è il codice Hammurabi e in quella greca la
venere di Milo. Mi fermo qui perchè fra il desiderio di vedere
qualcos'altro e la stanchezza vince la seconda. |
Mi
sposto adesso verso Notre Dame.
Questa volta con
diverso intento, visto che l'ho già visitata domenica.
La trovo immensa, imponente, straordinaria, più grande di prima. Si
avvertono i secoli di vita e di storia solo a guardarla. Se poi si
immaginano tutti gli avvenimenti di cui è stata testimone si viene presi
da un forte senso di ammirazione e ci si sente schiacciati da tonnellate
di storia che l'hanno attraversata e vista al centro dell'interesse
generale. |
 |
Tra una vetrata e una volta riesco a immaginare il suo ruolo nei secoli. Il
minimo che posso fare è sedermi su un banco e osservarne con calma forma e icone. Oltre alla bellezza delle vetrate e ai dipinti mi dedico a osservare
il via via delle persone che visitano come me la cattedrale. Ci sono
molti turisti che vagano da una parte all'altra degli spazi offerti
dai vari luoghi. Transetti, navate, cappelle, absidi, deambulatori,
pinnacoli con le cosiddette gargouille (in italiano gargolle),
cioè
doccioni in pietra con figure mostruose come tipici
dell'architettura gotica francese, sono tutti osservati speciali da una umanità variegata
che sfila con il naso all'insù e macchina fotografica per guardare e ammirare la maestria
di chi li ha costruiti. Volendo ci si potrebbe sedere e pregare, ma
è impossibile. Troppi sono i momenti di distrazione. E' anche
impossibile riuscire a pensare, a ricordare. La
concentrazione non fa parte di questo luogo ma solo di chiese
secondarie, piccole, poco frequentate. Chissà se tra tutta questa
gente c'è qualcuno tra loro che la pensa come me e che sta
facendo i miei stessi pensieri.
Statisticamente dovrebbe essercene alcuni. Guardo una coppia di
turisti giovani ed eleganti e mi domando: come sarà la a loro vita?
Saranno felici insieme o no? |
|
Tutti pensieri in libertà
che mi vengono in mente nelle chiese e nei luoghi della memoria. Forse
le visite turistiche hanno anche questo risvolto. E cioè che
uscendo dalle vecchie abitudini e preoccupazioni quotidiane di non
arrivare in ritardo al lavoro o di compare la tal o la tal altra cosa per
se e per la casa non c'è tempo per pensare e riflettere su dove si sta andando o
meno. I pensieri passano nella mia mente, nel frattempo imbocco il
Boulevard St-Michel. |
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L'obiettivo è di fare
un piccolo giretto nel quartiere latino. Ammiro Place Rostand e arrivo
a Place du Pantheon dove c'è il bellissimo edificio, ex chiesa
cattolica, diventato successivamente una specie di mausoleo dei
resti mortali dei personaggi che hanno segnato la storia francese.
L'analogia con il Pantheon di Roma è il minimo che posso fare.
Ironia della sorte la chiesa fu fatta costruire da Luigi XV e
inaugurata, pensate un po', nell'anno 1789, anno della rivoluzione
francese. Con la sepoltura di Victor Hugo è stata soppresso
qualunque richiamo alle origini cattoliche e venne destinato a
simbolo laico di luogo di memoria. Il Pantheon romano è meno alto,
appena 43 m contro gli ottanta metri di quello parigino e
ricostruito intorno al 120 d.C. Questo che sto ammirando proprio ora
è alto più di ottanta metri. Per me questo edificio è famoso anche
per un altro motivo, e cioè perchè qui fu costruito e messo in
funzione da Foucault il famoso "pendolo di Foucault". Ho letto il
bellissimo libro di S. Deligeorges, Foucault e la prova del
pendolo. La storia di un rivoluzionario esperimento scientifico,
Milano, Bompiani, 1990 che mi ha appassionato molto. Ci sarebbero
tante cose da dire a questo proposito ma non posso trasformare un
diario di viaggio nella bella Paris in un noioso saggio di storia ed
epistemologia della fisica. |
|
Il quartiere latino non è sicuramente fine
come gli Champs Élysées ma devo dire che tutte le mie
preoccupazioni che avevo su questo Arrondissement si sono
mostrate false. Non ho visto criminalità che avesse dovuto delinquere
lasciata in libertà. Rimane il fatto che i miei pregiudizi si sono
rivelati tali e faccio ammenda per essere stato un credulone. Imparare
dai propri errori è una buona cosa. |
Sesto giorno Giovedì 23 agosto.
Oggi è il giorno della partenza. Si ritorna a Roma con un po' di
nostalgia per la bella visita alla capitale francese che finisce qui. La
partenza dall'aeroporto Charles de Gaulle (CDC) per Roma Fiumicino (FCO)
è prevista con il volo Alitalia AZ 0327 delle ore 18.25 del 23
agosto 2001. A tutt'oggi ho trascorso cinque giorni interi di intensa
visita a Paris. Tutte le giornate mi hanno sempre visto in movimento, da
una parte all'altra della città, consapevole di dover sfruttare al
massimo il limitato periodo di tempo a mia disposizione che mi ha
permesso di vivere in questa città il sogno di una vita. Sono
consapevole che non sarà facile ritornarvi. Anche se ho raccontato
diversi fatti del mio diario parigino resta ancora molto da dire.
Nell'ultima mattinata mi viene in mente che questa è una città che
lascia molto nella mia mente e nel mio cuore. Confesso di essere rimasto
profondamente colpito dalle bellezze della città, dai suoi palazzi
piacevoli da guardare nella loro unica e perfetta architettura,
soprattutto nella forma spiovente dei tetti. |
 |
Belle e romantiche poi mi sono sembrate
alcune strade del 1° Arrondissement vicine ai lungo Senna, con i
marciapiedi ben tenuti, le strade pulite e la città intera così
disponibile e aperta. Un altro ricordo che porterò con me è la
facciata del palazzo di fronte alla mia camera in hotel,
frequentemente osservata tutte le volte che sono rientrato in
camera. Dalla finestra lo sguardo che si apre non è ampio e
profondo, nè è possibile vedere alcun monumento famoso come la
Tour Eiffel o la Basilique du Sacré-Cœur sulla collina di
Montmartre. Eppure ha un suo fascino discreto. Il cielo è blu
come nel quadro che mi ha regalato il mio amico artista, nel quale
mi ha dipinto come uno scrittore dell'Ottocento, seduto in una
cameretta della Parigi dai tetti spioventi con il cielo azzurro. La
facciata del palazzo di fronte è di colore mattone con delle
traversine bianche. C'è un bellissimo albero che raggiunge l'altezza
del 4° piano che si staglia su altri palazzi bianchi sullo sfondo.
La stessa camera dove ho abitato finora non si può dire che è una
bella camera d'albergo. Il letto a due piazze occupa quasi
interamente tutto lo spazio disponibile mentre ai lati si trovano i
pochi arredi essenziali. C'è un armadio con specchio, ci sono due
comodini ai lati del letto, c'è uno sgabello che permette di
sostenere la valigia, c'è un bagno piccolo ma pulito. Niente di più.
Non credo che questi dettagli mi mancheranno. |
|
Tuttavia questo orizzonte mi appartiene.
Così come mi appartiene più di tutto la sensazione di piacevole e
incontrollata eccitazione che mi pervade per il solo fatto di trovarmi
nella capitale francese. Respirare l'aria della città, osservare la
gente che cammina, guardare le insegne dei negozi e la vita che scorre
davanti ai miei occhi mi rende felice di soddisfare il grande desiderio
di trovarmi a contatto con la realtà parigina, non solo e non più con
l'immaginazione della mente, come ho potuto fare fino adesso dovuta alla
lettura di pagine di libri su Paris e la France ma con la realtà
dei miei sensi. Ritorno a Roma consapevole più che mai della bontà del
mio progetto di "vedere e toccare con mano" la realtà di questo grande
sogno che è l'Unione Europea. Arrivederci al prossimo viaggio a
Vienna.
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