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London
(22 Agosto- 28 Agosto 2000) |
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Il mio
terzo viaggio nelle capitali dell'Unione Europea: Londra.
Introduzione. Sono andato a Londra a
visitare la bella capitale del Regno Unito come uno dei punti fermi del
mio progetto di visita di tutte le capitali dell'Unione Europea. Il
viaggio, il terzo dopo Roma e Amsterdam, mi ha portato dal 22 agosto
2000 al 28 agosto dello stesso anno nella bella e incantevole città
inglese. Questo diario di viaggio è la cronaca sobria e personale
di un'esperienza di vita, breve ma intensa, vissuta con autenticità,
lontano da lussi ostentati e consumi superflui. Obiettivo del viaggio è
da un lato la verifica e la conferma delle mie conoscenze del mondo
londinese e, più in generale, di quello inglese mai certificate sul
campo. Dall'altro, ricercare apprendimenti, verità per me poco conosciute,
sensazioni ed emozioni di viaggio e voglia di vivere a diretto
contatto con la realtà londinese. Si dice che un viaggio significa
vacanza, divertimento, tregua, avventura e ricerca culturale. Tutto
vero. Il mio viaggio a Londra è tutto questo. Ma non è solo questo. E'
anche qualcos'altro in più e diversamente. Qualcosa che ho tenuto dentro
di me una vita e che adesso posso rielaborare con libertà e
consapevolezza. All'inizio
del Terzo Millennio dò concretezza al mio senso del viaggio: viaggiare
per ricordare chi io sia, da dove vengo, che cosa sono stato da giovane
e seguire la passione della piccola ma intensa luce interiore che mi ha
finora tenuto in vita con molto ottimismo e gioia di vivere. |
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La visita si propone di
farmi vedere, direttamente e senza intermediazioni, la città della Regina d'Inghilterra e dei
cosiddetti "famous londoners", tra i quali desidero ricordare
per il debito di riconoscenza che ho verso di essi
Francis
Bacon, Michael Faraday, Edmund Halley, Sir William
Crookes, William Blake,
Geoffrey
Chaucer,
Daniel Defoe,
John Milton, John Donne, John Keats, Robert Browning e tanti
altri non londinesi che è qui impossibile riportare. L'elencazione delle personalità di
grande cultura nate a Londra non è casuale ma segue la logica della
bipartizione, perchè le prime sono personalità scientifiche e le seconde
sono figure di spiccata cultura umanistica. Scienza e letteratura
costituiscono a mio parere i due assi culturali portanti lungo i quali
si specchia la società contemporanea e il mio modo di essere nella vita.
In questa straordinaria città, dove convivono moderno e passato,
avveniristici grattacieli e vecchi edifici storici, si possono vedere
coabitare insieme tradizione e innovazione, vecchio e nuovo in armonia e
buon gusto.
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Informo subito i lettori
che questo resoconto di viaggio non è un asettico elenco di date e tappe
nella città londinese con qualche fotografia di contorno. Se qualcuno lo volesse
intendere così,
sappia che rimarrà deluso leggendomi, perchè qui troverà qualcosa di molto diverso. La sua
delusione sarebbe per me inaccettabile senza averlo prima informato dei
fatti. Il report che qui presento è un racconto del viaggio che ho fatto a Londra nell'anno del giubileo
-
25 anni dopo il primo viaggio effettuato in occasione del giubileo
precedente a Roma - e si pone l'obiettivo di essere
una rievocazione dei momenti più interessanti del viaggio alla luce dei
motivi fondanti che mi hanno spinto a visitare Londra e le altre
capitali dell'UE. C'è pertanto la precisa condizione di rievocare passi
autobiografici come condizione per spiegare meglio e più
approfonditamente il "senso" della mia visita turistica alla città. Dunque, le
descrizioni di fatti personali costituiscono a tutti gli effetti
elementi qualificanti e di sviluppo delle riflessioni
necessari
per parlare dei fatti londinesi. Se volete, non è secondaria in me l'idea di
avere scritto ciò che propongo di me stesso nelle righe sottostanti con lo
scopo preciso di riconoscermi nel resoconto relativo a un periodo della mia
vita che coincide con il giubileo del 2000. |
Londra è la città della metropolitana
chiamata Tube, con le sue lungimiranti dodici linee di metropolitana,
dei College e dell'educazione inglese, con i suoi studenti
vestiti in divisa, delle tante culture che vivono nel paese, della
monarchia e della democrazia, del Commonwealth, con il suo sogno
di benessere comune in opposizione allo
stato dittatoriale, delle code alle fermate degli autobus e della
libertà di parola dei cittadini nei parchi, dei taxi neri e degli autobus rossi a due piani,
e tanto, tanto altro.
Non mi vergogno di affermare che ho la sensazione che
vivrò certamente una settimana di intense emozioni che mi vedranno
godere questa esperienza come uno scolaretto di un borgo di campagna che
va per la prima volta in gita in città. L'idea che mi passa per la mente
è semmai un'altra. Quella cioè che questo viaggio, mitizzato per anni e
desiderato da sempre,
lo avrei dovuto fare molto tempo prima. Avrei cioè dovuto pensarci
qualche decennio fa quando ancora avevo l'età di un giovane innamorato
della lingua e della società inglese, della letteratura e del patrimonio
del sapere anglosassone, in grado cioè di vedere e sentire storia e cultura
inglese con i sensi della giovinezza. Ma "con i se e con i ma" non si
arriva da nessuna parte. D'altronde, le capitali dell'Unione Europea
sono diciassette. Non sono poche. Tolte Roma, Amsterdam e adesso Londra,
me ne rimangono
ancora quattordici. Avrò sicuramente di che preoccuparmi in futuro di
organizzazione di viaggi e di conoscenze linguistiche. Adesso mi interessa principalmente parlare
della città il cui fiume che la attraversa viene chiamato semplicemente The River.
Samuel Johnson, il letterato più illustre nella storia inglese, ha detto
che "dopo aver visto Londra ho conosciuto il massimo della vita che il
mondo può mostrare". E successivamente aggiunse: "Quando un uomo è
stanco di Londra, vuol dire che è stanco della vita". Molto probabilmente il Dr. Johnson
ha esagerato, ma le esagerazioni possono solo amplificare un evento, non
mistificarlo. Voglio dire che Londra non sarà stata così sublime come il
famoso letterato e lessicografo inglese volle far intendere. Tuttavia,
dovette essere comunque una città splendida e sorprendentemente
accattivante. Sono arciconvinto che lo è ancora oggi a distanza di circa
tre secoli, da quando l'autore del famoso
Dictionary of the English Language
nacque. Dunque, con il mio arrivo nella città del Tamigi corono un sogno.
Devo dire che al solo
pensiero di aver deciso di fare questo viaggio, tanto voluto e tanto
desiderato, provo
immediatamente una specie di turbamento in grado di sentirmi addosso la
tipica ansia di chi ha atteso decenni per realizzare uno dei più grandi
sogni della sua vita. Fin da quando ero giovane e avevo iniziato a
studiare lingua straniera a scuola, avevo scoperto in me la
voglia di conoscere il mondo londinese. Alla scuola media avevo studiato
francese per tre anni, a dire la verità senza molto entusiasmo. Alle superiori,
invece, per ragioni di cattedre dei docenti della mia nuova scuola, fui costretto a cambiare lingua e affrontare per la prima volta lo
studio dell'inglese. |
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"The book is on the table" ripeteva il mio
insegnate di inglese e
immediatamente il mio interesse
per questa lingua, e per tutto ciò che essa avrebbe veicolato nella mia
vita, saliva alle stelle. In seguito comprai da un amico libraio, l'edizione del 1969
del volume "Qui
Londra" del TCI. Un autentico manuale dell'anglofilia, ovvero
un inno affascinante e divertente all'universo anglosassone. Questo
libro è stato per me una specie di manuale dei sogni e un glossario dei
desideri col quale soddisfare, con frenesia e impazienza mai venute
meno, la mia sete di curiosità e di conoscenza su Londra. Insomma lo
considero un inno alla gioia. Mi
sorprendevo frequentemente a sfogliare le pagine del volume contenenti fotografie patinate, che a
quel tempo era raro trovare nei libri, fantasticando sulla
realtà delle immagini. Le foto, alcune a colori e la maggior parte in
bianco e nero, erano
bellissime e producevano in me profonde emozioni. |
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La City
con le immagini di quei signori vestiti di nero con bombetta in testa e il
classico ombrello appeso al braccio, come nel film di Alberto Sordi
"Fumo di Londra", rappresenta per me l'immaginario di un viaggio indimenticabile per conoscere da vicino
l'Inghilterra, e la House of Parliament con il suo Big Ben e
l'orologio in bella vista. E continuando, Westmister Abbey, l'abbazia nella quale si
incoronano i reali inglesi, Piccadilly Circus con le famose insegne sulle facciate dei palazzi
e Trafalgar Square con i quattro leoni e al centro la colonna di
Orazio Nelson. Quel Nelson, Ammiraglio della flotta inglese che
in suo onore, il padre di Charlotte, Emily ed Anne, Reverendo
Patrick Brunty, cambiò il suo cognome in quello attuale e più
famoso Brontë,
con la dieresi sulla e finale,
visto che la e in inglese a fine
parola è muta,
fu costretto a mettere la dieresi per costringere tutti a "pronunciarlo all'italiana" (ma sarà poi
vero? non lo so, non ne sono sicuro. So solo che Bronte è il paesino
siciliano in provincia di Catania che è famoso perché produce una delle
varietà più famose di pistacchio).
In questo libro tutto è un inno e una lode al patrimonio culturale inglese. Ma più di tutte, per la maggiore carica di
libertà di cui erano peraltro fieri gli stessi inglesi, mi
colpivano le immagini di
giovani di entrambi i sessi distesi nell'erba sui prati a
prendere il sole perchè mostravano tutta quella autonomia e libertà di
cui loro potevano disporre come sudditi di
HMTQ (Her Majesty The Queen), mentre noi, poveri conformisti
italiani, potevamo solo sognare. Ma c'è molto altro. Dall'angolo degli oratori, ovvero "Speakers corner", dove chiunque poteva
dare libero sfogo ai propri desideri di comunicazione alla disinibizione
di molte ragazze che vestivano la minigonna di Mary Quant
con naturalezza e sobrietà. Mi colpivano ancora di più i visi delle ragazze,
al tempo stesso semplici e disinvolti, che indossavano "eccitanti" miniabiti
che lasciavano scoperte le loro lunghe e bianche gambe. Da Carnaby Street e dalla moda
contestataria degli anni '60 a Portobello road. Dai pub alle discoteche
a luci rosse, dalle manifestazioni per la libertà del Vietnam alle aste
di Sotheby's. E tanto, tanto altro. Insomma, c'erano a Londra mille
originalità e novità che sono sempre state presenti nella capitale
inglese e che in Italia era impossibile vedere. A
Londra, dunque, senza indugio, perchè da europeista convinto non potevo
non visitare tutte le capitali dell'Unione Europea e Londra ne è uno
degli assi portanti dell'esperienza di conoscenza che intendo realizzare.
Sono cosciente che il viaggio mi impone di passare attraverso una strettoia
tra la consapevolezza di avere preso una decisione importante di
sapere e di cultura da una parte e la necessità di prendere atto che
l'impresa non sarà facile da realizzare dall'altra. Non sarà semplice ed
economico effettuare tutte queste visite e in speciale modo questa
che è, e rimane, una delle capitali più care
del mondo. Ma i desideri di una vita
sono un obbligo nell'età adulta.
Prima di affrontare il
resoconto del viaggio
e di
come si è svolto desidererei aggiungere qualche altra considerazione
personale sul perchè questa meta rappresenta per me la conclusione di un
ciclo di vita e l'inizio di un altro, che mi ha segnato positivamente per sempre.
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Iniziamo da lontano. Iniziamo cioè dalle
cause più remote di questo viaggio. In fondo in fondo c'è sempre una
causa prima negli eventi più importanti della nostra vita. Soprattutto
in quella categoria di eventi ai quali si dà molta importanza e si
associano le ragioni primarie della nostra esistenza. Il viaggio a
Londra è l'effetto di molte letture inerenti al mondo della cultura
anglosassone. Ho iniziato a leggere narrativa inglese fin da bambino.
All'età dell'adolescenza trascorrevo ore a leggere romanzi di tutti i
più famosi romanzieri e poeti dell'isola Albione. Nell'età delicata
dello sviluppo adolescenziale e della scoperta dell'Io compresi
con concretezza, a mie spese, di avere pochi amici su cui contare. La
solitudine che ha caratterizzato quella particolare "estate" della mia
vita mi fece prendere coscienza che l'unica possibilità che avevo
per non rimanere schiacciato da amicizie pericolose era di creare da me gli amici, a mio piacere, che coincidevano con i protagonisti dei romanzi
delle mie letture, quasi esclusivamente
inglesi. Ogni tanto c'era un'opere narrativa russa o francese che rompeva la
successione dei romanzi ma frequentemente erano inglesi. Avevo tredici anni quando venni mandato dai miei genitori a studiare
in città. Vivevo in una pensione a più di cento chilometri di distanza
da casa e avevo pochi amici. Anzi, non ne avevo
nessuno perchè quei pochi che frequentavo il più delle volte o mi
deridevano o, peggio, mi costringevano a
seguirli in percorsi di passeggiate nella città poco raccomandabili. Mi
prendevano in giro per il mio modo poco rude di rapportarmi con gli
altri. Io ero un ragazzo timido e amavo la vita semplice e innocente. Così, dopo un anno
di iniziazione terribile e di continui soprusi che dovetti subire,
cominciai a convincermi che questo genere di amici era meglio perderli
piuttosto che conservarli. Così nei lunghi pomeriggi invernali al ritorno
dalle lezioni scolastiche cominciai a
leggere narrativa inglese (quella italiana era pressoché inesistente per
ragioni riguardanti l'insussistenza di una tradizione del romanzo
settecentesco e l'inesistenza di un qualsivoglia contesto basato sulla rivoluzione
industriale che in Italia non ci fu mai, almeno ai livelli inglesi) per trovare conforto ed esperienze di vita.
Sebbene immaginarie e fuori schema dalla tradizione italiana, le
esperienze di vita descritte nei romanzi inglesi,
mi affascinavano ed erano sicuramente più fidate di quelle reali da me
vissute quotidianamente in un ambiente che mi vedeva sostanzialmente
estraneo. Molti di questi romanzi erano ambientati nella Londra del
tempo. Queste esperienze mi rassicuravano non poco e i personaggi delle mie
letture apparivano ai miei occhi di ragazzo inesperto e timido sempre più avvincenti
e suggestive.
Il
Circolo Pickwick, Oliver Twist e David Copperfield di Charles Dickens, Jane Eyre e Cime tempestose
delle sorelle Brontë, Tom Jones di Henry Fielding, Robinson Crusoe di Daniel De Foe,
Fortune e sfortune e Moll Flanders anch'essi di Defoe, La ballata
del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, Orgoglio e pregiudizio
di Jane Austen, L'abbazia di Northanger e Persuasione
della stessa autrice, Alfred Tennyson, Robert Browning e sua moglie,
Elizabeth Barrett Browning, e ancora W. H. Auden, Aldous Huxley, G. K. Chesterton, fino ai più moderni e contemporanei P.
G. Wodehouse e Agatha Christie. Quelle letture mi incantavano perchè
comprendevo che esistevano altri mondi oltre quello limitato e
inadeguato del paesino di montagna della Sicilia orientale nel quale vivevo. Ed è da qui che è
necessario partire per comprendere la mia sconfinata ammirazione per il
mondo anglosassone di cui Londra era per me il luogo per antonomasia più
rappresentativo. Stravedevo per l'Inghilterra tutta e per la cultura
inglese fino al punto di tifare per le squadre di calcio inglesi negli
incontri internazionali. Vero è che faceva breccia nel mio cuore anche la grande
narrativa francese e russa, con i suoi appassionanti romanzi e
le sue avvincenti storie di vita. Tuttavia, la disponibilità di libri economici inglesi sul
mercato siciliano erano a quel tempo a favore della letteratura inglese. Avevo
scovato negli anni '60 una piccola ma fornita libreria che mostrava in
tutto il suo splendore la serie di libri in edizione economica della
Editrice Lucchi di Milano e della Garzanti che offrivano ai
lettori opere di straordinaria efficacia letteraria e di appassionante
interesse. Spesso, per comprare il volume della settimana spendevo quasi
tutto il danaro che avevo, alcune volte addirittura togliendolo all'alimentazione
quotidiana. E se non fosse stato per i bicchieri di "nutella", che
frequentemente sostituirono i pasti del giorno, a quest'ora non sarei
qui a narrare le mie vicende. Dunque,
Londra come tappa fondamentale di questo tour europeo. La sua
cultura, il suo cosmopolitismo, il suo senso civico e il suo grandioso
senso di libertà hanno rappresentato per me il modello più significativo
di cultura illuminata europea. E poi non solo letteratura e poesia. Ci sono i
grandi orizzonti dell'arte, dell'architettura, della scienza, della
fisica, dei musei, in una sola parola della vita. Vi sembra poco? Direi
di no. Ecco perchè Londra può essere considerata la "mia" città, più della
stessa Roma che da cittadino periferico del paese vedevo, nelle poche
circostanze in cui sono andato, più come
capitale asettica della nazione che come meta ambita di insegnamenti, di modi di
vivere e di stili di vita. E poi, ironia a parte, dove la mettiamo la
rara combinazione di casualità e di incredibile coincidenza che mi porta
a vivere nella capitale italiana da quasi dieci anni, indovinate dove?
Non ci crederete, eppure è la verità: abito in viale Londra! Cosa mi aspetto da questa visita? Bella domanda. Mi aspetto
di vedere confermate le mie tesi. La prima è quella che riguarda i
luoghi simboli di Londra. Trafalgar Square, The Thames, Hyde Park,
i palazzi di Buckingam Palace e House of Parliament,
the Bridges on Thames,
le cattedrali di Westmister e di S. Paolo, il British Museum,
la City, le
Galleries, le piazze e le strade, i teatri e i cinema, gli autobus rossi
e la metro, il planetario e le tante altre mille sfaccettature della vita londinese.
Sette giorni non basteranno per vedere tutto. Ne sono più che convinto.
Sarò costretto a fare delle scelte. Poco male. L'importante è immergermi
nel mondo della Londra tanto desiderata. Credo che questa città sia per me come una sorella. Grande rispetto ma conoscenza
completa del suo modo di essere e di manifestarsi. A Roma
di solito viene affibbiato l'aggettivo gagliarda. Londra la trovo
stupefacente e, soprattutto, educativa. Per me è stata più che una
insegnante. In pratica la considero, indirettamente, la mia vera educatrice, colei cioè che mi
ha permesso di sviluppare il piacere alla lettura di romanzi di vita e
di poesia.
Il mio libro preferito era il bellissimo volume di Mario Praz, Storia
della Letteratura inglese, della casa editrice Sansoni, che ho letto
più volte. Credo
che sia stato per me una vera miniera di risorse e di nutrimento per il
mio spirito leggere tutta quella montagna di idee e di storie presenti nei
romanzi. Da queste letture ho sicuramente tratto un grande regalo:
quello di essere riuscito ad effettuare una virata di 180° nella
concezione della vita. E' stupefacente quello che sto per dire ma è la
pura verità. Se non ci fossero state tutte quelle letture sarei stato
probabilmente un siciliano limitato, di cultura inadeguata,
giustificazionista dell'idea di mafia, verosimilmente incapace di comprendere etica, morale e società. Sono state quelle letture
che mi hanno allontanato dalla cosiddetta "sicilianità" e dico grazie a Londra e alla
sua cultura per avermi aiutato tanto. In fondo in fondo, le
organizzazioni criminali, come la mafia e le altre sigle omonime della
Campania e della Calabria, non
sono altro che il frutto dell'ignoranza dei cittadini che non posseggono gli
strumenti culturali adeguati a comprenderne la pericolosità del fenomeno e a
combatterlo in prima persona. Mi ha sempre colpito in negativo l'assuefazione dei siciliani,
ma dovrei aggiungere dei popoli meridionali d'Italia, alla negazione dei
propri diritti civili e alla rinuncia alle regole dell'etica. E allora a Londra, anche per dimenticare l'esistenza di un
meridione d'Italia che spesso mi fa più vergognare che essere orgoglioso
delle mie radici.
La vera mediterraneità è quella radice culturale che considera i doveri
e le regole come le virtù principali dell'uomo. Solo chi li segue con ostinata
regolarità e impegno merita l'attenzione e il plauso degli altri.
Il resto no. Ma questa è un'altra storia e non è questo il momento
migliore per discuterla. E ritorniamo a noi. Sarà un piacere seguire le
tracce del percorso che ho costruito in molti mesi di preparazione con
guide e mappe varie. Quante volte nei mesi precedenti ho consultato la
guida della città e le varie mappe nella quali ho sottolineato,
cerchiato, evidenziato, colorato, scritto, appuntato, richiamato cento e
una osservazione sulle mie guide. Da questo punto di vista mi sento ferrato a dovere ed
è lontana da me qualunque forma di ansia o di preoccupazione per
l'ignoto. Quale ignoto? Londra alle soglie del terzo millennio è una
gentile signorina che conosco benissimo. Non c'è un solo angolo
della città che non è conosciuto dal grande pubblico che la visita ogni
anno. Da dove
cominciare? Ognuno di noi ha il suo percorso preferito e più desiderato.
Ogni viaggiatore ha le sue idee che differiscono dagli altri per scelte,
gusti, sogni e fantasie, per piaceri e interessi e guai se non fosse così. Pertanto, a
ognuno il suo percorso di iniziazione nella visita a una città. Io
conosco troppo bene la "mia Londra" per avere dei dubbi. In verità la
topografia della città è stata per me oggetto di mille e più attenzioni in
tanti anni di studi e di letture. |
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Da studente universitario, durante la fine
dell'estate del
1972 se non ricordo male, a cavallo dei mesi di agosto e
settembre per circa tre settimane, ho frequentato una piacevole
ragazza inglese innamorata dell'architettura italiana. Ricordo che più
di una volta facemmo insieme delle belle passeggiate nei prati di periferia di un paesino di montagna
della Sicilia, discutendo in italiano sia delle mie "conoscenze" inglesi,
sia dei
suoi interessi culturali italiani, che spaziavano arditamente dall'architettura alla musica,
dalla storia della tradizione cattolica musicale e rinascimentale alla storia italiana
vera e propria. Avevamo letto entrambi di Denis Mack Smith, la Storia
d'Italia dal 1861 al 1969 in italiano io e Italy. A Modern
history in inglese lei e, come ciliegina sulla torta, di Moses I.
Finley, Storia della Sicilia antica sempre in italiano io e A
History of Sicily: Medieval Sicily 800-1713 in inglese lei. Rimase
di stucco quando prese atto delle mie accurate descrizioni della città
di Londra. |
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A suo dire, di nomi di strade e di palazzi
londinesi ne sapevo più io da italiano che lei da britannica senza
che io avessi mai paradossalmente calpestato fino allora il suolo
inglese. Questo fatto ai suo occhi mi valsero molta stima e attenzioni
gradite
vista la mia più che discreta conoscenza di luoghi, personaggi e,
in generale, di narrativa inglese. Come ringraziamento alla mia
attività di "Cicerone" in Sicilia mi regalò il libro di P.G.Wodehouse,
Molto obbligato Jeeves con la dedica "In memory of english
humor". Fu lei, perplessa della quantità di cose che le
illustravo su Londra, che mi costrinse a ideare un percorso di strade
a mio parere molto significativo
che adesso a distanza di circa ventotto anni sperimenterò concretamente in prima persona e senza la
mediazione di libri o guide turistiche. |
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Ricordando questo percorso la prima sortita
londinese nel passeggiare per le strade del centro sarà sicuramente il
tragitto che più mi affascina: Marble Arch, Oxford Street, Regent
Street, Piccadilly Circus,
Trafalgar Square, Downing Street, Westminster Cathedral, House of Parlament,
Westminster Bridge e Waterloo Station. C'è anche l'altro tragitto
interessante che tocca molti punti di interesse turistico tutti a nord
del Tamigi. So di non essere originale ma in questi casi
l'originalità non ha molto valore in sè.
E adesso vediamo di affrontare i particolari
della visita iniziando dall'aereo.
Il volo per Londra è un
volo Alitalia in partenza da Roma Fiumicino per Londra
Heathrow. Devo dire con sincerità che non avrei mai concepito di
arrivare in un altro aeroporto londinese che non fosse l'autentico
Heathrow. Lo stesso Gatwick o peggio Stansted e
Luton mi danno l'idea dei viaggi economici pieni di disagi per gli
orari impossibili e che inducono a immaginare preoccupanti e insicuri
scenari di "porte che sbattono" e di "pavimenti che scricchiolano". Non è che io avessi le mani
bucate ma dopo decenni di desiderio era arrivato il momento di fare le
"cose in grande" come si dice in questi casi. E' la
seconda volta che prendo l'aereo dall'aeroporto di Roma Fiumicino.
La prima volta è stato molti anni fa in occasione di uno dei momenti più
belli della mia vita quando nella tarda mattinata di un giorno di marzo
del 1978 con l'ultimo esame vinsi il concorso nazionale a cattedre per diventare professore
di ruolo di fisica nella scuola media statale superiore. Avevo superato in tre
tappe le difficili prove concorsuali consistenti in primo luogo a una prova scritta effettuata tre anni prima
a Roma presso l'Istituto Tecnico Industriale "Galileo Galilei". In
secondo luogo a una prova
pratica sempre nello stesso Istituto e in terzo luogo a una prova orale sempre a Roma
e sempre nella stessa scuola quando affrontai, quella
mattina di buon'ora, la prova finale di didattica. Dovevo convincere la
Commissione che oltre alla preparazione specifica sapevo anche "fare
lezione". La prova andò bene. Avuta
assicurazione dalla Commissione di aver superato l'esame decisi di
ritornare a Milano non con il treno come avevo fatto per spostarmi a
Roma ma con l'aereo, il solo mezzo per recuperare tempo e
arrivare a casa prima possibile. Fu un viaggio indimenticabile, pieno
di sensazioni straordinarie dovute contemporaneamente all'eccitazione
del risultato positivo della prova concorsuale e al turbamento del volo
a diecimila metri di altezza. Adesso, riparto dallo stesso aeroporto per
guardare dal finestrino durante la prima parte del tragitto aereo la stessa
orografia del centro Italia dagli stessi dieci chilometri di altezza con la
medesima sensazione di leggerezza e di entusiasmo di allora. E' difficile
rappresentare con le parole ciò che si prova quando si realizza il sogno
di una vita. Dunque, Roma Fiumicino è l'aeroporto al quale devo andare questa mattina,
in una bella giornata
romana di
agosto. Raggiungo l'aeroporto in taxi. Purtroppo non ho alcuna esperienza di
mezzi pubblici per raggiungere Fiumicino. Così il taxi mi semba
la maniera più sicura per "non perdere" l'aereo. E per essere ancora più
sicuro avevo qualche giorno prima personalmente contattato un tassista
romano che stazionava a
Piazza dei
Navigatori, a Roma, vicino alla frequentatissima via Cristoforo Colombo,
con una procedura poco ortodossa. Gli avevo
chiesto se era disponibile a trasportarmi all'aeroporto garantendomi
certezza di orario e tariffa concordata. Piuttosto che perdere il cliente
il tassista accettò la proposta. Così questa mattina, alle 6.30 del 22 agosto del 2000, inizia la mia avventura
di viaggio.
Arrivo a Roma Fiumicino in abbondante anticipo. Alle ore 7.00 sono nel
piazzale di arrivo. Mi aspetta un aereo Alitalia in partenza alle 9.50 per Londra Heathrow. A causa del diverso fuso orario guadagnerò
provvisoriamente un'ora di tempo nel cambiamento di longitudine. Naturalmente
la "perderò" di nuovo durante il viaggio di ritorno. E' la prima
volta in vita mia che faccio un viaggio in cui mi si presenta la
necessità di un cambiamento di fuso orario. Certo, un'ora è un
intervallo di tempo quasi impercettibile che non influenzerà per nulla la
mia vita nelle strade della swinging London. Ma anche questa è
una novità che si aggiunge alle altre. Avevo già volato in precedenza
sia nel tratto internazionale Milano-Amsterdam che su alcune tratte nazionali, come Roma-Milano, Catania-Roma e,
per la prima volta
in assoluto, sul tratto Catania-Reggio Calabria. Pensate che in questo
caso avevo preso l'aereo per provare il "brivido" della prima volta in
aria partendo dall'aeroporto Fontanarossa di Catania per atterrare
dopo poche decine di chilometri di distanza nel piccolo aeroporto di
Reggio Calabria. Un viaggio della durata di circa dieci minuti che
trascorsero
quasi tutti
nel fare il giro panoramico del vulcano siciliano Etna per i passeggeri. Ma adesso le
cose sono diverse perchè questo sarà il volo più lungo della mia vita. Arriverò a
Londra dopo circa tre ore di viaggio. Un record. |
Primo giorno.
Iniziamo dal viaggio aereo che mi ha portato
da Roma a Londra.
L'attesa a Roma Fiumicino è
breve perchè l'Alitalia ha fatto le cose per bene e all'orario previsto
avviene sia l'imbarco, sia il decollo. Le poche ore che trascorro
all'aeroporto di Fiumicino sono tra le più belle perchè l'ansia
del viaggio e il contatto con l'ambiente internazionale che si respira
all'interno di un aeroporto grande come quello di Fiumicino è una
iniezione di piacere e una preziosa miniera di conoscenza. Il volo è
decisamente piacevole. Durante il tragitto continentale, nei piccoli
visori rotanti dell'aereo, vengono proiettati alcuni brevi filmati di
episodi dell'inglesissimo Mr. Bean che
mettono di buon umore tutti i passeggeri. L'atmosfera che si respira è
gradevole e rilassante e il tempo, come succede sempre in questi
casi, trascorre velocemente. |
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Durante il viaggio l'eccitazione aumenta e
all'arrivo la visione dall'alto della città del Tamigi ha per me l'effetto di un incontenibile
entusiasmo che mi procura a momenti un imperdonabile torcicollo nel
guardare dal finestrino la città sottostante a causa delle giravolte dell'aereo
nel cielo per il troppo
traffico a Heathrow. Dopo dieci minuti di attesa finalmente
l'atterraggio mi concede al dolce suolo inglese. In aeroporto all'uscita
del Terminal 2 dei voli europei,
compro la travelcard che mi dura un'intera settimana in modo tale
da non avere alcuna preoccupazione con i biglietti della metro e degli
autobus. Non compro invece una scheda telefonica internazionale perchè
per telefonare a casa sono in possesso di un ottimo cellulare Siemens
S25 regalatomi da mia madre in occasione del viaggio. |
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Ho sempre saputo che il
telefono in albergo è meglio non usarlo mai per le sue tariffe da
gioiellieri. So anche che a London Heathrow c'è il capolinea della metropolitana
chiamata Terminal 2 Heathrow che trovo quasi immediatamente all'uscita della sala sbarchi. Percorro il corridoio di uscita della sala
arrivi dell'aeroporto e prendo subito il trenino della Piccadilly
Line per Cockfoster,
linea viola, e osservo con
moltissimo interesse il panorama del lungo tratto scoperto di metropolitana.
Ciò che appare ai miei occhi è un autentico tuffo nel passato dei miei
ricordi di storia inglese. Il
percorso ferroviario si inserisce in un panorama romantico, fatto di
vecchie case
in mattoni rossi, con alcuni tratti di zone limitrofe alla ferrovia degradati a causa della presenza di
piccole fabbriche non più funzionanti e
di abitazioni fatiscenti per classi meno abbienti. Heathrow, Hounslow,
Osterley, Boston Manor, Northfields, Ealing, Hammersmith fino ad
Holborn. |
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Il paesaggio mi richiama alla mente la Londra del primo
dopoguerra quando nei film di spionaggio si vedevano scene girate nella
periferia della città tra agenti segreti dell'M5 e spie comuniste
orientali. Casette modeste cadute in disuso da decenni, reti di
recinzioni fatiscenti, orti per coltivazione di ortaggi abbandonati,
insomma il tipico paesaggio che si osserva peraltro in qualunque altra
grande città. L'ambiente, nonostante la povertà degli
elementi visivi, conserva, tuttavia, i tratti del mondo tipicamente
britannico. Avverto un po' di malinconia nel vedere
questi paesaggi lasciati ormai alla memoria storica che mi ricordano un
quadro molte volte immaginato e percepito come tale ma mai visto nella realtà. Dopo un cambio di linea della metropolitana
a Holborn prendo la linea rossa per Ealing e
arrivo alla fermata di Lancaster Gate sul lato nord di Hyde Park. Tutto ciò che vedo mi sembra
conosciuto, come se fossi vissuto qui da sempre. E' veramente
straordinario quello che provo in questa circostanza. |
Non mi sento per niente stranger, nel
senso che sono perfettamente convinto di non essere un indigeno, di
parlare una lingua diversa dall'inglese, di avere un regime alimentare
agli antipodi molto differente e, tuttavia, mi sento parte integrante del panorama e
vedo con normalità la vita che si svolge sotto i miei occhi. All'uscita
della metro vedo il bel viale di Bayswater Road.
Lo imbocco a destra e ne percorro
una piccola parte lasciandomi, sulla sinistra, il verde di Hyde Park. Lungo le poche centinaia di metri che mi separano dall'albergo, al
n. 66 scorgo una casetta a un piano in cui c'è un ristorantino chiamato
The Swann, ovvero Il Cigno. Nel recinto davanti
all'ingresso ci sono sotto una tettoia alcuni vecchi tavoli in legno, in
stile osteria medievale, con
alcuni avventori che bevono birra e parlano con complicità tra loro. E' un bar o un
ristorante? No, è
un pub, un
autentico e genuino pub inglese, per giunta storico, anche se assomiglia di più a una
taverna. Incuriosito dò uno sguardo all'interno. Vedo
un tipico locale in stile molto british, con gente ai tavoli che beve boccali
di birra. C'è una lavagnetta nera, di quelle che si incontrano spesso
nei modesti ristoranti, sulla quale col gesso c'è scritto che
si servono roast beef e fish and chip, ovvero gli immancabili
della tradizione culinaria inglese. Sicuramente ci sarà anche qualche portata di
patate con cheese and bacon. Prendo nota della sua
esistenza e continuo a camminare nella Bayswater Road.
Sul lato destro della strada c'è una fermata dell'autobus e una cabina telefonica
di colore, naturalmente, rosso. Mi colpisce
il senso contrario di marcia degli inglesi che guidano a sinistra. Dovrò
ricordarlo e abituarmi. L’albergo dove alloggerò per sei notti e
sette giorni si trova al prossimo incrocio sulla destra, nella part ovest della città, tra Paddington
Station a nord, Hyde Park a sud, Notting Hill a ovest
e Lancaster Gate, o se vogliamo essere più completi, Marble Arch in fondo ad est. All'angolo tra la Bayswater Road
e una breve strada perpendicolare che non ha nome, tra la fermata di Lancaster Gate
e quella di Queensway mi si presentano le impegnative quattro colonne dell’entrata della reception
dell'albergo.
L'hotel si
chiama
Plaza on Hyde Park Hotel (51° 30' 41.521"N - 0° 10' 37.911" E ). Da notare il piccolissimo
valore della longitudine est (ma poteva benissimo essere anche ovest), indice
che siamo vicinissimi al meridiano di Greenwich! Sfido io, Greenwich è a
poche miglia da qui sul lato sud del Tamigi. Non ero mai stato in vita mia in una simile
posizione di longitudine estrema in Europa. Di solito in Italia siamo a
circa 12° circa di longitudine est. Dodici gradi di longitudine sono
molti, tanto è vero che qui c'è un fuso orario che anticipa di un'ora
rispetto all'Italia. In realtà sono stato ad Amsterdam, come mio secondo
viaggio dopo Roma nelle capitali dell'UE e la bella "Venezia del Nord"
ha una longitudine che si avvicina molto a quella londinese, cioè quasi
cinque gradi est. L'indirizzo dell'albergo è
1-7 Lancaster Gate London W2 3LG
a poche centinaia di metri dalla fermata della metro di Lancaster Gate.
In realtà la Lancaster Gate è anche la via parallela alla Bayswater Road
e non ha nulla a che vedere con l'entrata dell'albergo che si trova
lungo la perpendicolare alle due strade. In ogni caso Lancaster Gate
è anche il nome della fermata della metro. Questa fermata del Tube viene da me eletta ufficialmente a fermata di
riferimento della “mia nuova abitazione”. Essa mi sarà preziosa per i
collegamenti con le dodici linee della underground londinese,
compresa la linea grigia detta jubilee line inaugurata in
occasione dell'anno giubilare 2000. A pochi metri dall’entrata dell’hotel,
sulla
Bayswater Road, sul bordo nord
di Hyde Park, c’è anche la fermata del bus rosso, numero 12, verso Marble Arch
e il centro. Il percorso del 12 è di mio totale gradimento perchè
effettua le fermate che mi interessano di più: parte dal capolinea di
Notting Hill Gate - Marble Arch - Oxford Circus - Piccadilly Circus -
Trafalgar Square - Westmister Bridge - Elephant e continua
oltre, verso sud-est che è una parte di Londra per me poco interessante. Eccellente. Questa zona di Londra mi piace per diversi motivi. In primo
luogo per l’architettura delle case e dei palazzi dell’intero quartiere,
con edifici di pochi piani che mi ricordano lo stile vittoriano della
regina Vittoria. Diciamo che questa tipologia di abitazione è molto
britannica e tradisce favorevolmente a mio parere le attenzioni
degli architetti inglesi. In secondo luogo è una zona
tranquilla, poco rumorosa e molto discreta. Ricordo che un po' più in là
in direzione contraria al centro c'è Portobello, il famoso
mercatino di Notting Hill: come dire la "Porta Portese"
londinese. In terzo luogo c’è Hyde Park, limitrofo al mio
alloggio, con tutto il corollario di immagini e suggestioni in grado di
richiamare alla mente la tipica atmosfera londinese dei parchi e del
verde per eccellenza. La presenza di Hyde Park a pochi metri della mia
camera mi mette addosso una sensazione gradevolissima di libertà e
fornisce alla mia visita una ulteriore carica di entusiasmo veramente
piacevole. Non vedo l'ora di andare a Speakers Corner per toccare
con mano uno dei luoghi comuni più conosciuti di Londra. Quante volte ho
sfogliato la guida del Touring Club e mi sono soffermato sulle immagini
delle foto 39 e 40 di Hyde Park! L'«Angolo degli oratori», con
quel signore con la barba e cappellino in testa, con in mano un manoscritto dal
titolo "The Guide to Life" e il cappotto appeso a un chiodo su un
abbozzo di scranno in legno, mi ha sempre affascinato perchè possiede
dentro di se l'immagine delle illimitate possibilità che ha sempre avuto
la società inglese di saper coniugare felicemente e concretamente
libertà di pensiero e di parola del cittadino oratore con l'ordine e la
trasparenza dei contenuti proposti. Insomma nessun tipo di carboneria e
massima libertà di espressione. Vi sembra poco? Ma torniamo alla felice
posizione dell'Hotel Plaza. Sappiamo
tutti che nell’economia di una visita turistica a una città la
localizzazione del proprio albergo è fondamentale per il turista. Si sa anche che la zona
dell’hotel diventa automaticamente la zona di riferimento principale per tutte le visite in città. Dal momento in cui si prende possesso della
camera in albergo, tutta la geografia della città acquista un "centro di
gravità", ovvero un riferimento e un orientamento panoramico sulla città, come se fosse l’origine di un sistema di assi cartesiani.
Dunque, Bayswater Road e Lancaster Gate per me diventano
da questo momento il "vero centro" di Londra. Avevo osservato con attenzione nello stradario londinese che
oltre alla Lancaster Road a Londra ci sono tante altre “Lancaster”, come
per esempio Lancaster Gate di cui abbiamo già detto, Lancaster Terrace e
Lancaster Walk. Quest'ultima si trova in Hyde Park, vicino al mio
hotel. Addirittura scopro che in altre zone di Londra si
trovano Lancaster Place, Lancaster Court, Lancaster Avenue, Lancaster Gardens, Lancaster Grove, Lancaster Mews e persino una
Lancaster Street. Capperi quante Lancaster ci sono a Londra. E’ come
se a Roma ci fossero molti luoghi con lo stesso nome di città, per
esempio Via Venezia, Vicolo Venezia e Viale Venezia,
Corso Venezia, Piazza Venezia, Largo Venezia, Salita Venezia e
persino un Rione Venezia. Mi piacerebbe sapere perché a suo tempo il signore addetto alla
denominazione delle strade di Londra in base a quale
ragionamento decise di scegliere la localizzazione di questi undici diversi posti differenti della città che portano tutti lo stesso nome
Lancaster. Invero c'è da ammettere che le potenzialità sono maggiori se
si pensa che teoricamente potrebbero esistere posti come Lancaster
Lane, Lancaster Yard, Lancaster Row, Lancaster Bridge, Lancaster Enbankment e Lancaster Argine,
Lancaster Pier, Lancaster Hill, Lancaster Gataway e Lancaster Appr,
Lancaster Rise, Lancaster Path, Lancaster Hill, Lancaster Mount. Ma
queste quattordici ultime possibilità
in realtà a Londra non si trovano per il semplice motivo che non
esistono. Ma avrebbero potuto esistere. Come non esiste a Roma alcuna Calle Venezia o Rione
Venezia. In compenso in Italia esistono una strada consortile
e una ruga. Adesso però non esageriamo. Il troppo è troppo. In
ogni caso devo ammettere che sul piano linguistico l'inglese batte
l'italiano come quantità di modi di chiamare una strada. E poi qualcuno
ha anche avuto la sfrontatezza di dire che l'inglese è una lingua
povera ed essenziale. Sarà. Ma è anche ricca di sinonimi e più che
adeguata nell'associare ambiti di significato. Non è poco. Tra le tante
cose esistono a Londra alcune strade di nomi italiani, come Florence
Street, Lombard Street e Turin Street. Arrivo in albergo e vado in camera.
Non è nè bella, nè troppo pulita. L'impiegato alla reception, Mr.
aveva
confermato la mia prenotazione, inviata all'indirizzo di posta
elettronica plazaonhydepark@corushotels.com
il 16 Aug 2000, con la seguente mail: Dear Mr Calabro, Pleased to
confirm res no 364112 in 22/08 out 28/08. Regards. PLAZA ON HYDE PARK
RESERVATIONS. La camera ha una finestra tipicamente inglese dalla quale si possono vedere gli alberi di
Hyde Park. E' ancora pomeriggio e le foglie degli alberi si
vedono nitidamente. Penso a come sarà di notte, al buio, con i rumori
notturni della campagna e le possibili immagini di fantasmi che
pullulano nel verde del parco. E magari con Jack The Ripper (in
italiano lo "Squartatore") che si aggira nei quartieri malfamati della
vecchia Londra, e chissà forse anche qui. Vero è che Jack preferiva
lavorare nella zona di Whitechapel che è ad est di Hyde Park.
Ma è pur vero che uno dei cadaveri scoperti dalla polizia fu rinvenuto a
Miller's Court che è, com’è noto, a ovest di Hyde Park.
E’ probabile, quindi, che nel trasferimento da est ad ovest sia passato
proprio da qui, da Lancaster Gate dove mi trovo io adesso. Questa
sera su questa evenienza dovrò pensarci un po’ su, perchè non avevo
previsto niente del genere. Per ora ci concentriamo su altro e per
precauzione chiudiamo bene la finestra. Dopo pochi minuti, con in mano la piantina di Londra
datami dal gentile Mr. Gregg, sono in strada a
prendere l'autobus per scendere a Marble Arch e iniziare
l'avventura della mia prima breve passeggiata nella bella capitale britannica. Prendo il bus per il
centro e scendo a Marble Arch per due ragioni: vedere l’Arco da
vicino e imboccare l’inizio della Oxford Street. La voglio
percorrere a piedi tutta intera fino a Oxford Circus
all’intersezione con la Regent Street. Per poi scendere a sud
verso Piccadilly Circus. Curiosi questi inglesi nella scelta
della toponomastica. Tutto ciò che presenta intersezioni di strade
importanti anche con piccole piazze le chiamano “Circus”. Visto che
Trafalgar è chiamata Square vuol dire che essa non è una
Circus ma una
vera e propria piazza, grande, maestosa e spaziosa. Effettivamente
Piccadilly Circus non è una classica piazza, pedonalizzata, come a
Piazza del Popolo a Roma, e si fa fatica sedersi ai piedi del
monumento posto in mezzo alla piazza perchè c'è sempre gente.
Dunque,
imbocco Oxford Street, la bella, elegante e perfetta strada che
taglia orizzontalmente il centro città. Oxford Street l'ho osservata in
tutte le salse: in TV, in qualche documentario, al cinema in alcuni
film, in molte foto e persino con la web cam di cui sotto mostro
un esempio di Piccadilly Circus osservata da me a casa a Roma,
comodamente seduto davanti al pc, il giorno prima della
partenza. Naturalmente, l'immagine è centrata sul traffico perchè serve
all'operatore di polizia per monitorare il flusso degli autoveicoli. In verità in fondo dopo
Charing Cross cambia nome e si chiama prima New Oxford Street,
poi Holborn, indi Newgate Street e Cheapside per
arrivare nel centro della City alla Bank of England
lasciando un po’ prima sulla destra la maestosa St. Paul Cathedral. |
 |
Questo percorso lo farò domani mattina. C’è ancora un dettaglio che devo mettere in evidenza perché una delle
sette strade che immettono nella piazza vicino alla Bank of England è l’italianissima Lombard
Street e per me che ho lavorato più di un decennio in Lombardia una
strada che si chiama via Lombarda mi fa sentire un po’ meno
straniero. In questa strada dovrò andarci sicuramente perché c’è l’unica
succursale londinese della mia banca, in cui il mio bancomat non paga
addizionali e mi aiuterà a
sopravvivere. Oxford Street l’ho osservata sistematicamente ogni
giorno nel mese precedente la mia partenza perché in essa su un palazzo
si trova una Cam live che riprende la via a intervalli regolari
di un minuto. Ho potuto così osservare a scatti il via vai di bus
rossi a due piani, messi in fila uno dopo l’altro che procedono
nella strada come in una processione del Santo Patrono di un
qualunque paese del Sud Italia. Adesso che la sto percorrendo a
piedi nella realtà dello spazio e del tempo vedo lo stesso
spettacolo. |
|
Conto con meraviglia fino a venti bus uno dietro
l’altro. A Roma non è così. Sono rare le occasioni di vedere appena due
autobus di seguito. Più di una volta mi giro indietro per osservare se
riesco a contare un numero di autobus maggiore di venti, ma il record
rimane quello. La cosa più stupefacente che mi colpisce
nell'osservare il traffico in Oxford Street è che il numero delle auto
che si muovono nella via è molto basso rispetto al traffico caotico della capitale
d'Italia. Non riesco a spiegarmi il motivo. Un autentico mistero. Due
altri aspetti mi colpiscono. La prima sono i
taxi neri, i famosi Black Cabs. Sono delle auto spaziose con una struttura che mi ricordano
la fiat multipla costruita dall'azienda torinese in questi anni
riprendendo un modello che ha avuto successo negli anni ’60. La seconda è che
nell'area vicino all'attraversamento pedonale ci sono alcune mattonelle
speciali dalle quali sporgono delle piccole palline di materiale
durissimo che fanno male ai piedi. Servono a far fare attenzione alle
persone per attraversare la strada. Infine, sono colpito anche da un
fatto insolito e cioè che è rarissimo incontrare dei fruttivendoli in
centro. Di solito nelle città italiane ci sono un abbondante numero di
questi negozi che vendono frutta e verdura. Qui a Londra è difficile
incontrane uno e se proprio lo vedi ti accorgi subito che a gestirlo non
è un cockney della classe operaia dell'Est End di
Londra ma un immigrato asiatico, spesso un indiano o un pakistano
o un cittadino del Bangladesh. Devo verificare di persona nei prossimi giorni
se la mia ipotesi è suffragata da conferma empirica. E' già tardi
e la stanchezza comincia a farsi sentire. Pertanto decido di rientrare
in albergo e rimandare all'indomani la prima vera visita alla capitale. |
Secondo giorno. Il
mio secondo giorno a Londra inizia con l'idea persistente di visitare al
più presto la serie di preziose icone della città che ho elencato in
precedenza. Confesso candidamente che
questo è uno dei principali obiettivi della mia visita. Inizierò questo
resoconto partendo dalla premessa che per conoscere meglio la zona nella
quale risiedo in una città straniera adotto la tecnica delle visite a
cipolla. Cioè di ritornare nelle stesse strade a giorni diversi per
individuare ciò che mi è sfuggito in precedenza. Per esempio questa
mattina sono già in Oxford Street dopo aver preso il solito bus
ed essere sceso di nuovo a Marble Arch. Per la seconda volta rivedo la
strada di ieri pomeriggio. Oxford Street mi piace. Sarà perchè è
una strada diritta, facile da percorrere e da ricordare, sarà perchè è
il proseguimento della Bayswater Road
dove risiedo, sarà perchè ci sono tanti negozi che mi ricordano via
Cola di Rienzo a Roma, fatto sta che mi ritrovo con piacere nella
via "degli autobus in fila" come la definisco io. Sto camminando
sul marciapiedi di destra in direzione della City e via via che supero i palazzi leggo i nomi
delle strade. Prima di arrivare in Oxford Circus ho modo di vedere che
ci sono tre Bond Street: quella senza aggettivi e
le altre due chiamate Old e New Bond Street. E’ un classico.
A Roma mi ricorda via Appia Nuova e via Appia Antica.
Proseguo diritto fino a che la strada cambia nome e si chiama New
Oxford Street subito dopo Charing Cross Road. Uno degli
edifici più alti che colpisce la mia attenzione è il Centre Point,
l'altissimo grattacielo londinese di cemento armato degli anni sessanta
che svetta come un punto di riferimento sicuro nell'orientamento della
via. Sono curioso di osservarlo attentamente e nel mentre che alzo lo
sguardo in alto con un brusco movimento i miei occhiali mi cadono per
terra e una lente si toglie dalla sua sede naturale. Non c'è nulla di
rotto ma mi trovo un paio di occhiali, l'unico paio che possiedo qui a
Londra, con una sola lente. C'è da rivolgersi a un ottico e con un po'
di preoccupazione e molto ottimismo ne trovo uno vicino al luogo
dell'accaduto. Entro e mi rivolgo a una gentile impiegata che afferra al
volo la mia richiesta di aiuto e mi invita a sedermi dopo aver preso gli
occhiali e la lente. Dopo pochi minuti ritorna al banco con gli occhiali
perfettamente funzionanti e puliti. Sono senza parole e, soprattutto,
sprizzo gioia da tutti i pori della pelle. Le chiedo di pagare il lavoro
e lei mi dice che non vuole essere pagata. Alla mia sensazione di
riconoscenza si aggiunge anche lo stupore di prendere atto che non vuole
che io paghi nulla. Insisto ma la ragazza con un sorriso che non ammette
repliche mi dice che lei non prenderà denaro da me. O meglio, mi fa
vedere un totem con delle monete e qualche banconota dentro, che
deve essere una raccolta di fondi per un progetto di solidarietà nel
campo medico. Tutto contento metto una banconota di cinque sterline
manifestando gratitudine eterna per la classe degli ottici londinesi e
per le loro impiegate. |
 |
Ritorno indietro, supero Tottenham Court
Road e vedo un grande magazzino della catena M&S ovvero Marks e
Spencer. Per curiosità entro e faccio una passeggiatina per
osservare i prodotti tipicamente inglesi. All'uscita dopo un po' piego
a sinistra nella elegantissima Regent Street che mi porta a
Piccadilly Circus. Prima però voglio assolutamente vedere Carnaby
Street. La percorro due volte all’andata e al ritorno anche perché è
breve ed entro in un negozietto per acquistare un regalo per la
famiglia. La ragazza che si affaccia sulla porta d'entrata è una
ragazza italiana. Così ho modo di chiacchierare un po’ con lei
chiedendole come si trova a Londra. E’ una ragazza milanese che si
trova nella capitale per migliorare il suo inglese.
Un saluto ed eccomi finalmente arrivare a Piccadilly Circus. Che dire di
questa icona del british più autentico? Indubbiamente la piazza è
affascinante. Con meraviglia però noto che le dimensioni del monumento
al centro mi sembrano piccole. Mi aspettavo qualcosa di più
grande. Forse ho il senso della misura falsato ed è probabile che la
troppa attesa per vedere questo
famoso riferimento artistico londinese mi procura alterazioni spaziali.
Fatto sta a che a me sembra piccolo. In cima sul basamento c'è la
statuina di Eros. Una cosa mi sorprende: come sia possibile al
piccolo piede della statuina reggere l'intero suo peso. Bravura
dell'architetto. La si ammira con piacere. E poi il contorno non è mica
male. |
L'angolo smussato e interamente ricoperto di
pubblicità come si vede nella mia foto, i bei palazzi di tutti i
tipi e di tutti i colori circostanti e il traffico che è intenso ma
fluido e poco rumoroso. Bello. Ancora un po’ perplesso per le
dimensioni del basamento continuo il mio
itinerario e dopo Haymarket imbocco Pall Mall - che
mi ricorda la marca di sigarette straniere che andavano per la maggiore nell’Italia degli anni ’60
-
arrivo in Trafalgar Square. Qui la colonna di Horatio Nelson è
decisamente più grande e impegnativa dell'Eros di Piccadilly Circus. |
 |
La
piazza è spaziosa, imperiale, piena di riferimenti storici.
Geometricamente è di una perfezione completa. Tra la simmetrie delle due
fontane dalla forma ovale e dei quattro leoni neri la piazza si fa ammirare con piacere.
Alle mie spalle nelle foto si nota la cupola della National Portrait
Gallery con il suo magnifico colonnato di otto colonne. A
fianco, sulla destra, c'è la splendente St Martin in the Fields
Church. In modo contiguo, verso Whithall, c'è la bella piazza
circolare di Charing Cross, con al centro la statua
equestre di Carlo I. Nell'800 in questa piazza accanto alla statua vi fu
un'importante gogna, dove molti malfattori furono frustati
pubblicamente. Se si vuole, anche a Roma c'erano nel '700 cose del
genere. La zona intorno alla gogna era un luogo popolare di
spettacoli di strada. Samuel Pepys scrisse nei suoi diari di
visitare le taverne circostanti per guardare i divertimenti e le
esecuzioni che vi si tenevano.
|
So per certo che dalla posizione della
statua vengono oggi convenzionalmente calcolate le distanze relative a
Londra. Un po' come al Campidoglio, sede del Municipio di Roma, nella
cui piazza c'è la statua equestre di Marco Aurelio che rappresenta il
centro convenzionale di Roma. Che coincidenza, vero? Whitehall,
Downing Street e
Parliament Street mi portano nel cuore dell’Inghilterra politica, cioè a Westminster Cathedral e alla House of
Parliament: come dire il massimo dei simboli religiosi e politici
britannici. |
 |
La
Cattedrale mi interessa molto e per visitarla in maniera approfondita
decido di virare nel Broad Sanctuary dove posso ammirare la
maestosa entrata principale della Cattedrale. L'interno è straordinario
ma non si può visitare la parte riservata che è delimitata da una
catena. Veramente bella. Trovo il tempo per farmi fotografare vicino
all'entrata di Westmister. Qui
fermiamoci un po' perchè alla vista del Palazzo del Parlamento le mie
precedenti perplessità sulle dimensioni della statua di Eros a
Piccadilly Circus sono meno forti di quelli che si riferiscono all'edificio della
House of Parliament. La mia impressione è che l'intera struttura
mi sembra un edificio decisamente basso. Non vorrei essere sfrontato ma mi viene in
mente la battuta "due piani e loggioni". |
 |
In genere, nelle immagini fotografiche,
House of Parliament appare impressionante, spettacolare,
grande, forse perchè i
fotografi l'hanno sempre fatto vedere molto più alta di quanto non
sia in realtà. Se si guarda nella foto il Big Ben sembra un
grattacielo di Manhattan. Nella realtà, senza la
mediazione della fotografia, ha delle dimensioni contenute. Certe volte
l'apparenza inganna perchè, come dice Giorgio Porro, "I
monumenti anche nel centro sono tutt'altro che imponenti: sembrano
quasi schivare con la relativa modestia delle dimensioni le occhiate
curiose del turista". Dunque, non sono solo io a dirlo. Rimane il fatto che sono
un po' deluso.
Non mi aspettavo delle dimensioni così piccine. Percorrendo la Bridge
Street, che si immette sul ponte che attraversa il Tamigi, si vede bene che è
un edificio a due piani, dalle dimensioni non certo enormi. Nulla a che
vedere con analoghi parlamenti in Europa. Intendiamoci, le mie sono impressioni
da turista esigente. Posso sbagliare, ma esco da questa visione veramente
perplesso. Trovo una gentilissima ragazza giapponese che mi fa una foto
sorridendo alle sue due amiche in maniera contagiosa. La foto mi ritrae
sul Westmister Bridge e mostra alle mie spalle il Big Ben e l'angolo
est
dell'edificio del Parlamento inglese mentre sul lato sinistro, oltre il
muro della balaustra del ponte, c'è il Tamigi dal colore argenteo. Ebbene questa foto mi ricorda
casualmente lo stesso tema con lo stesso sfondo sempre sul lato sinistro
del ponte e con il medesimo colore argenteo del fiume. Il quadro è intitolato Nubi
su Westmister ed è del pugliese Giuseppe de Nittis. Sul Westmister
Bridge c'è tanta gente che passeggia e tutto sembra piacevole come
in un circo. Si sorride e si è felici. |
|
Oltrepassato il Tamigi, sulla sinistra,
percorro la stradina che costeggia il fiume per andare al London Eye ovvero
della gigantesca ruota da
Luna Park più alta d'Europa e provare l'emozione del viaggio in
giostra in una capsula trasparente. Purtroppo c'è da aspettare più di due ore e
francamente non me la sento di attendere tanto tempo. Così ripiego sul London Aquarium
che si trova proprio all'inizio della stradina che costeggia il Tamigi.
Vedere squali e pescecani da vicino può essere certe volte una
attrattiva piacevole per attutire il dispiacere di non aver potuto
vedere Londra dall'alto del London Eye. La visione è altamente
spettacolare. Praticamente ci si trova accanto a delle pareti molto
grandi di vetro trasparenti che fanno vedere una quantità d'acqua
impressionante di colore verde cristallino che sembra il fondale del
mare. Fa paura l'idea che si possa rompere il vetro da un momento
all'altro ed essere invasi da
un fiume d'acqua e da squali pericolosi. All'uscita dall'Acquario percorro per
intero, la Westmister
Bridge Road fino in fondo per poi girare sulla sinistra nella
York Road fino in fondo alla bellissima scalinata dell'entrata della Waterloo Station.
Lungo la volta dell'arco, alla sommità dell'entrata, c'è la dedica "ai
dipendenti della Società caduti in guerra". Le stazioni ferroviarie,
soprattutto quelle
cosiddette storiche, sono sempre state per me una attrattiva da non
perdere quando desidero effettuare una visita un po' approfondita, perchè in esse, a
mio parere, si specchia il gusto, l'educazione e, perchè no, la
civiltà di una città. Le stazioni
ferroviarie sono anche memoria storica di un paese e spesso si
trovano immagini e realtà variegate impossibili da vedere in altri
posti nel centro. Nelle stazioni ferroviarie vivono o trascorrono molto tempo
della giornata persone spesso ai margini della società cittadina, che danno
senso all'osservazione e alla curiosità. La ferrovia e la stazione nell'immaginario
urbano costituiscono un punto di riferimento unico e certamente
originale. Certo in questi
ultimi decenni la stazione ferroviaria ha perso appeal e non è
più un centro di aggregazione sociale come prima. Rimane tuttavia la
possibilità di vedere qualcosa che ha a che fare con l'anima profonda di
una città. Il via vai di viaggiatori mi ha sempre incuriosito anche
perchè anni fa a muoversi lungo percorsi distanti il treno era il solo
mezzo di locomozione per gente dalle modeste condizioni economiche. |
 |
Questo anche perchè le stazioni
ferroviarie sono sempre state considerate in letteratura di viaggio
emblemi della nuova società industriale. Alcuni ricordi che meritano un
richiamo sono per esempio la
poesia Alla stazione in una mattina d'autunno di Giosuè Carducci
o
Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, o Zola che nel romanzo
La belva umana fece addirittura della ferrovia una delle categorie
della vita sociale. Se cambiamo registro e passiamo al linguaggio
pittorico dei futuristi italiani basta ricordare Carrà, Severini,
Boccioni, per non parlare del francese Monet e dell'inglese Frith con i
loro famosi dipinti sulle stazioni ferroviarie. Aggiungo la
rilevante considerazione personale che il viaggio che nasce con il treno
e la stazione che lo rappresenta, è un'occasione per trovarsi ma anche
per lasciarsi, come purtroppo è avvenuto a tutti noi nei lunghi addii
nelle stazioni.
|
Ho alcune immagini tremende nella mia
memoria di alcuni ricordi d'infanzia difficili da dimenticare che mi
perseguitano. Si tratta di due addii o, meglio, di due
distacchi da mio padre in una stazione ferroviaria. Il primo quando
all'età di tredici anni dovetti prendere da solo il treno per andare a studiare
in città a cento chilometri di distanza e ricordo sempre mio padre sulla banchina della piccola
stazione di provincia nella quale mi aveva accompagnato con la "vespa" che mi salutava con la mano mentre il treno
partiva. Tremendo. Il secondo, nel 1964 sempre con mio padre ma questa volta al
contrario, con lui che partiva per andare a lavorare in Germania ed io
che rimanevo, con
le lacrime agli occhi, che lo salutavo dalla banchina. Terribile. Ma la
stazione ferroviaria è stata per tutti anche il ritorno a casa da un lungo
viaggio e le emozioni, questa volta di tutt'altra natura, sono sempre
state di gioia e felicità. Dunque Waterloo Station come
momento catartico di ricordi e, in questo contesto, come luogo di vita e
di cultura. Si è fatto tardi e il ritorno all'albergo è veramente
desiderato.
|
 |
ll rientro avviene col buio ed ho
qualche difficoltà a individuare la fermata giusta del bus 12 perchè,
purtroppo, scendo a due fermate successive. C'è da percorrere a piedi un
buon tratto della Bayswater Road in condizioni non certo ideali.
L'illuminazione non è per nulla eccellente e la via è percorsa da veloci
auto che creano la sensazione dell'isolamento. Le case che costeggiano
la strada sono quasi tutte disabitate o almeno sembrano tali perchè non si vedono luci alle
finestre, nè aspetti di vita quotidiana. Qualche edificio addirittura è
in evidente stato di abbandono e la strada a quell'ora non sembra per
niente sicura. Sulla mia destra c'è la recinzione metallica di Hyde
Park con le scure sagome degli alberi, alcuni con una densità di
foglie ombrose e cupe talmente elevata da rappresentare una netta oscurità
sullo sfondo notturno del cielo. Nella posizione in cui mi trovo oltre la
ringhiera metallica, a poca distanza, c'è l'inizio del The Long
Water, il cosiddetto Serpentine di Hyde Park. L'acqua
del lago sarà scura e torbida. Non vorrei trovarmi dentro per nessun
motivo al mondo col rischio di vedere la testa del mostro di Loch
ness.
|
|
La sensazione che si prova a guardare verso
il parco è di timore e inquietudine dovuti all'esistenza davanti a me di
una zona piena di incognite e poco rassicurante. Vista l'ora, manca poco al paesaggio per vedere Jack the
Ripper in circolazione che mi viene incontro, magari con un coltello nelle
mani sotto il mantello e uno sguardo non certo raccomandabile. Decido
che è meglio affrettare il passo. Non posso però non fare alcune
considerazioni circa il debito di riconoscenza che deve avere avuto lo
straordinario regista Alfred Hitchcock, «maestro del brivido», nei
confronti dei paesaggi notturni della Londra di mezzo secolo fa per il
successo dei suoi film. Alla poca luce delle strade di Notting Hill
riesco a comprendere bene il senso di alcuni suoi film capolavori,
cosiddetti "triller". In poche parole, al panorama manca solo un
tema musicale adeguato perchè gli altri elementi di paura, come l'ansia di incontri
pericolosi, la solitudine del paesaggio e le ombre ci sono tutte. L'entrata nella hall dell'albergo è
un'autentica liberazione. Nella foto scattata di pomeriggio da dentro Hyde Park,
l'hotel è immediatamente dietro l'albero. La strada che costeggia la
recinzione è la Bayswater Road e si nota tutt'intorno
all'edificio il ponteggio montato per la ristrutturazione. |
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In
camera, la finestra della stanza che dà sul retro mostra un piccolo
cortile per nulla illuminato. Lo stato delle imposte e della
maniglia di chiusura della finestra non sono certo adeguati al numero di
stelle attribuite all'hotel. C'è nell'aria un senso di decadenza e di degrado che non
può essere rimosso facilmente. La camera, e più in generale l'intera
struttura alberghiera mostrano per intero la vetustà dell'edificio e
avrebbero bisogno di una manutenzione straordinaria che sta per
avvenire. La camera, ha parecchi aspetti negativi da farsi perdonare e
il bagno, com'era prevedibile, manca del bidè che qui in
Inghilterra è sempre stato considerato un elemento superfluo. C'è anche
qualche tratto di ringhiera arrugginita e la vernice delle imposte è da tempo
essiccata, mentre la carta da parati sui muri è scolorita. Forzando la maniglia riesco a chiudere l'imposta per un sonno
ristoratore augurandomi di non fare sogni con incubi. |
Terzo giorno.
Oggi è il terzultimo giorno e il
programma prevede la visita la City attraverso l'altro percorso
importante che si snoda sulla sponda nord del Tamigi da Trafalgar Square,
allo Strand, a Fleet Street, a St.Paul Cathedral, The Thower, fino al Tower Bridge, con
alcuni diversivi. Si tratta del percorso in orizzontale lungo la
direttrice ovest-est della città, mentre ieri ho fatto quello
perpendicolare, cioè quello lungo l'asse verticale nord-sud. Percorso
interessante quello di oggi perchè mi permetterà di costeggiare il
Tamigi nella parte settentrionale dove c'è la City. Prima però ho da
visitare un museo speciale e poco conosciuto. Sono riuscito a trovare
l'indirizzo con molta difficoltà a un convegno sulla scienza inglese
nella bibliografia di alcune dispense ed è da qualche anno che sto
programmando questo evento. Pertanto la City può aspettare un po'. Il
luogo non è lontano dall'hotel. Anzi è a poca distanza da Old Bond
Street nel quartiere di Myfair tra Berkeley Square e
Piccadilly Circus. L'indirizzo è 21 Albemarle St, Westminster,
London W1S 4. Il nome del museo non dirà molto ai "non addetti ai
lavori" ed è Royal Institution. In pratica è il nome
omnicomprensivo di un ente di beneficenza indipendente, che si occupa di
collegare le persone con il mondo della scienza. In Italia non esistono
esempi del genere. In poche parole sto andando in questo edificio perchè
voglio vedere il Faraday Museum. In poche parole Michael Faraday
trascorse la maggior parte della sua vita in questo edificio della
Royal Institution, dove fece delle scoperte straordinarie. Con la
metro scendo a Oxford Circus e a piedi in Regent Street,
Conduit Street,
New Bond Street. Dovremmo essere vicini. |
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Albemarle Street è riportata sulla cartina topografica come
una strada del quartiere di Mayfair poco importante, a
sud di
Berkeley Square. Mi presento al n.21 ma è tutto chiuso.
Probabilmente ci sono lavori di ristrutturazioni nell’edificio e
il museo è inagibile penso con poca convinzione. Dubbioso di
questa ipotesi cerco di chiedere notizie su dove fosse questo
benedetto museo, ma i pochi interpellati, compreso un autentico
policeman, non mi hanno potuto aiutare perchè non ne
conoscevano il nome. Preoccupato di come stessero mettendosi le
cose e intestardito nell’idea di localizzarlo a tutti i costi
vedo da lontano l’insegna di un ristorante italiano ed entro per
chiedere informazioni.
Sento delle inequivocabili espressioni napoletane molto colorite
e chiedo “del principale”, il quale sentendomi parlare in
italiano alla mia richiesta di aiuto per la individuazione
dell’entrata del museo mette in moto un complesso e originale meccanismo di
voci da “uno a molti” in strettissimo dialetto del tipo: "Ahò,
guagliò, avete sentito?". Dopo un po’
sento qualcuno che dal fondo del locale mi indica con un dito
verso Berkeley Square. Poco convinto della risposta sono
praticamente costretto ad accettare la proposta di bere un caffè
“alla napoletana”. Ringrazio e seguo le sue indicazioni. In un
vecchio palazzo con vetrate all’inglese suono al campanello con
preoccupazione ed impazienza. La porta si apre e una gentile
impiegata dopo aver saputo da me che desideravo visitare il
Faraday museum, un po’ meravigliata della richiesta mi fa
entrare e dopo una breve attesa mi informa che c’è da pagare un
ticket. L’idea che mi faccio è che avessero sospeso o
diradato le visite per motivi interni e che per ragioni di
cortesia avessero esaudito il mio desiderio. Finalmente libero
di visitare la sezione museale faradaiana lascio sfogo alla mia
curiosità. Le foto mostrano alcuni momenti della visita in un
ambiente un po’ deludente, sottotono e poco curato. |
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Esco abbastanza soddisfatto ma sempre più perplesso per le
contraddittorie indicazioni presenti nel depliant pubblicitario
consegnatomi alla reception che riporta l’indirizzo della sede
storica di Albemarle Street. Si è fatto tardi ed io devo andare
alla City. |
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Ho l'esigenza di incassare delle banconote in sterline presso lo
sportello bancomat della mia banca Cariplo, in Lombard
Street. Questa a mio parere voluta coincidenza della sede estera
della mia banca lombarda che si trova, guarda caso, in Lombard
Street a Londra mi convince che i dirigenti della banca avranno
fatto il possibile, e l’impossibile, per far coincidere la sede
londinese della Cassa di risparmio per le province lombarde
con una delle rare strade che portano una radice italiana. In realtà
a Londra esistono altre due strade vicino al centro che hanno a che
vedere con l’idioma di Dante. Sono Genoa Road e Turin
Street. Il resto si trova a parecchie decine di miglia dal
centro storico. Chi vuole può trovare Messina Ave, Naples and
Bronte Close, Roma Como Padoa and Palermo Rd, tutte sparse
nella parte nord e sud esterne alla cintura della Greater London. Spero molto che
il mio prezioso tesserino, che è anche carta di credito, non venga
bloccato all'interno dell’apparecchiatura telematica da qualche
spiacevole imprevisto, secondo il famoso detto popolare di Edwuard Murphy che «se qualcosa può andar male, lo farà». Il
compendio di frasi umoristiche comprende anche dei corollari, uno
dei quali afferma che:
«se ci sono due o più modi di fare una cosa (ritirare del denaro a
un bancomat all’estero), e uno di questi modi può condurre ad una
catastrofe (blocco del bancomat), allora qualcuno la farà (il
sottoscritto) in quel modo». Fermiamoci qui e ritorniamo a parlare
di spostamenti nella città. Mi muovo adesso a piedi verso la
Piccadilly
e qui, alla fermata di Green Park, prendo la linea blu della
metro per Covent Garden. Sono appena tre fermate, ma dopo le
ripetute corse con l’autobus 12 un po’ di Tube mi distrarrà
meglio dal movimento su un mezzo pubblico e mi farà constatare una
volta di più la famosa efficienza della Underground
londinese. Da
Covent Garden giù nello Strand per passeggiare nella
curva di
Aldwich e immettermi in Fleet Street, la via dei giornali.
Strade piacevoli ed eleganti, negozi con molto charme ma né bombette
né ombrelli alla mia vista portati da austeri signori della finanza
internazionale della City.
Al 49 di Aldwych c'è l'Aldwych
Theatre. Mi fermo e osservo la programmazione. Il teatro
dall'esterno mi piace. E' un vero teatro inglese e la sola idea di poter
trascorrere una serata qui dentro mi entusiasma non poco. Sono deciso a
prenotare un posto. Entro, alla reception c'è una gentile
impiegata che dopo aver ascoltato con molta attenzione la mia richiesta
di voler comprare assolutamente un biglietto mi informa che tutti i
posti sono occupati per almeno dieci giorni. Aggiunge che qui a Londra è
normale e che è necessario prenotare molto tempo prima.
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Ludgate Hill mi introduce alla bella cattedrale anglicana di
San Paolo. Diciamo la verità, St. Paul Cathedral è
suggestiva e straordinaria. Fuori dal normale. Non arriva
all'altezza di
S. Pietro a Roma ma in molti tratti ne eguaglia la maestosità e
l'inimitabile
bellezza architettonica ed artistica. Dò uno sguardo interessato.
L'interno è veramente grande e gradevole. Con la Basilica di S. Paolo
fuori le mura di Roma ha in comune la forma e le dimensioni dei
campanili. La cupola poi è quasi come quella di S. Pietro. Il colore del
marmo mi ricorda il colore del classico travertino romano. L'interno poi
è eccezionale, ricco e dorato di ornamenti, con un organo centrale
bifronte, maestoso, con una navata centrale lunga e pregevolissima. |
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Prevedo di tornare qui Domenica per una visita più
mirata e con maggiore calma. Il programma prevede a questo
punto di completare la visita alla parte est della città e vedere i
due gioielli storici The Tower e del Tower Bridge.
Cannon Street mi porta diritto al
Monument mentre Lower Thames Street mi fa passare a pochi
metri lungo il fianco sud della Torre di Londra. Quanta
storia e soprattutto quanta sofferenza ha prodotto su tanti
disgraziati questo edificio. |
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Ma il tempo stringe perchè c'è il Tower
Bridge che mi sta aspettando e non ammette ritardi. Su questo ponte, che nella parte
bassa si apre come un ponte levatoio per far passare le navi di una
certa dimensione, ci sarebbero da dire tante cose. E' senz'altro una
della icone più caratteristiche della capitale inglese. Da sempre
ricordo che esso è rimasto associato nella mia mente a immagine
rappresentativa di Londra, come per esempio il Colosseo per Roma.
Faccio delle foto ma ritengo indispensabile sedermi su una panchina,
davanti a me nella foto, per gustarlo meglio con calma. La zona è
tutto uno spettacolo. Ci sono molti turisti e sembra di essere a una
fiera di paese. La gente è contenta ed eccitata, passeggia, si
ristora, mangia un panino e beve una bibita fresca. Insomma, il
clima sia meteorologico, sia psicologico è ideale e sa di piacevole
vacanza e di serena distrazione. Non si vedono in giro poliziotti e la gente è tranquilla.
Ammiro tante volte il ponte nella speranza che passi qualche grande
nave. Di piccole imbarcazioni se ne vedono molte ma di grandi
nemmeno l'ombra.
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Questo ponte per me è un vera icona
londinese, perchè è il più famoso ponte d'Europa in stile gotico
vittoriano. Immagino poi che ci sia tutta una tecnologia particolare per
permettere l'apertura delle due ante del ponte levatoio. Deve essere una
faccenda un po' complicata perchè la tecnica non è stata concepita oggi
con computer e software elettronico ma nel secolo scorso con metodi
esclusivamente meccanici. Il Tower Bridge si mostra ben solido, nel
centro del Tamigi. Dà l'idea di essere ancorato al suolo in
modo potente e sicuro, nonostante la larghezza del fiume sia notevole. Mi viene in mente di paragonarlo con il
Tevere a Roma e la sensazione è quella di una costruzione di alta
ingegneria mentre per esempio il ponte Garibaldi a Trastevere al suo
confronto è un ponticello. Se vogliamo poi passare a un confronto tra i
due fiumi allora il Tamigi è un vero fiume mentre il Tevere è un
fiumiciattolo, un rio. Chissà quante volte dei turisti inglesi sono venuti
a Roma e hanno fatto lo stesso confronto invertito. La considerazione
più banale che mi viene in mente è che duemila anni fa i romani
costruirono per i britannici grandi manufatti con una ingegneria
di altissimo livello tecnico. Adesso si mostrano le cose al contrario.
Da allora a Roma non è stato costruito nulla di rilevante. Triste e
amara considerazione sul Bel Paese che ha molte cose belle quasi tutte
costruite nei secoli passati mentre di moderno non ha nulla. A
chiacchiere tutti gli italiani si riempiono la bocca a proposito delle
bellezze del paese. In realtà l'Italia è bella di suo perchè è rarissimo
che qualche italiano abbia fatto qualcosa per la patria
disinteressatamente a parte gli eroi del Risorgimento. Ma questa è un'altra storia. Passeggio un po' lungo
il fiume guardando dall'altra parte. Penso però che le attrattive
maggiori siano da questa parte del Tamigi. Bene. Il programma prevede a
questo punto di andare nella parte nord della città che finora è stata
trascurata. La località è nella parte meridionale di Regent's Park,
in Marylebone Road. A due passi c'è la fermata della Tube
di Baker Street non lontano dalla London Marylebone Rail
Station. In pratica si trova lungo la direttrice nord del meridiano
passante per Marble Arch tanto che sento aria di casa vicino al
mio hotel. A fare che? La risposta è "a vedere le stelle". Finte ma
sempre stelle. In poche parole a vedere il Planetarium. In realtà
non c'è solo il planetario: lì vicino ci sono anche le famose statue di
cera di Madame Tussauds e addirittura c'è anche il Museo di
Sherlock Holmes. Purtroppo, il tempo è tiranno e andrò solo a vedere
le stelle. |
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Il planetario è una specie di cupola
orizzontale di circa 18 m di diametro che permette a circa 330 persone
seduti su comode poltrone ergonomiche montate in file concentriche di
vedere al buio sul soffitto la simulazione della volta celeste in cui le
stelle sono rappresentate da minuscoli punti luminosi creati da
microlampadine. Per fare tutto questo c'è nel centro sferico della
sala un proiettore speciale rivolto verso il soffitto che permette al
pubblico di vedere lo spettacolo della visione del cielo notturno visto
dalla Terra. Se questa descrizione non risulta chiara mettiamola così:
il planetario è una specie di cinematografo speciale che fa vedere dei
film dove si vedono le stelle e l'universo. A Roma come edificio si
trova da sempre nella storica Aula Ottagona delle Terme di
Diocleziano, a Piazza della Repubblica ovvero piazza
dell’Esedra. Quello romano è più piccolo di quello londinese e
soprattutto funziona a singhiozzo, quando funziona.
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La cupola ha un diametro di 14 metri e
dispone di appena 100 posti. Ultimamente non funziona per niente e
la bella sala non viene sfruttata. Qui a Londra è una vera e propria
attrazione e per questo vengo con piacere ad assistere a un programma
che si chiama "dalla nascita alla fine dell'universo". E' pomeriggio. La
sala è affollata. La sensazione che provo è quella come se fossi andato
a cinema. Stessa attesa dello spettacolo, stessa atmosfera gaia e
allegra. Veramente
piacevole. Lo spettacolo inizia. C'è un'acustica stupenda e abbastanza
intensa. Si sente una voce narrante che ricrea perfettamente l'atmosfera
di un viaggio spaziale. Si parla di un futuristico viaggio ad alta velocità che stiamo
per fare attraverso la nostra galassia e oltre. Questo viaggio va da
alcuni miliardi di anni fa fino a un futuro molto lontano di altri
miliardi di anni. Molte cose non riesco a comprenderle bene perchè il
mio inglese non è lessicalmente ricco, ma lo spettacolo lo si può godere interamente
indipendentemente dalla lingua narrante. Siamo quasi al buio. Dal centro della sala si levano queste
luci a forma di raggi laser che illuminano la sala che sembra di essere
su un'astronave. Un'ora e mezza di autentico spettacolo. Esco sulla Marylebone Road
soddisfatto. Altro che cinematografo. Ma mi rendo conto
che questo spettacolo non è per tutti. Eppure la sala era piena. Sarà
una questione di cultura ma non ho mai visto una normale famiglia
italiana dire che domani andrà al planetario della sua città per vedere
lo spettacolo delle stelle. In Italia l'astronomia è vista come noia non come
spettacolo. Salvo poi di parlare di astrologia, dove gli italiani sono
tra i massimi esperti mondiali. Contraddizioni tipiche degli abitanti
dello stivale. E' l'ora del rientro in albergo per un riposo ristoratore. |
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Quarto
giorno. Harrods è uno dei grandi magazzini che desidero vedere.
E' una tappa obbligata e necessaria. Harrods non è nè un grande
magazzino come UPIM o Standa, nè un centro commerciale. Harrods è tutti
e due e nessuno dei due. Harrods è Harrods. Probabilmente, tra qualche
anno non ricorderò nulla di questa visita. Ma essere stato qui è un
"dovere" del turista che vuole vedere e toccare con mano la fortuna del
nome e il tocco di classe del british market. Decido che pranzerò
nella sala ristorazione. Harrods vende di tutto ed è
una vera icona della città. Personalmente non nutro molto interesse per
i grandi magazzini ma come turista non posso non avere la curiosità di
verificare in cosa consiste questa fama e, soprattutto, desidero
metterlo a confronto con un analogo grande magazzino italiano.
L’indirizzo è noto a tutti i turisti del mondo che vanno a Londra:
87-135
Knightbridge SW1 Brompton Road, fermata della Tube di
Knightbridge. Da notare i numeri civici dall'87 al 135: ci sono
moltissime vetrine. Eccomi pertanto all'uscita della metro per la visita di
rito. Da fuori il palazzo sembra una specie di enorme albergo di 1a
categoria a cinque piani molto alto con il tetto che ricorda St. Paul,
perchè ha la cupola come la cattedrale e un solo campanile con lo stesso
torrione di quello originale della Cattedrale. Poi c'è il primo piano
che sembra la megasala del ristorante dell'hotel. Le bandiere di diverse
nazioni che sventolano sul tetto dell'edificio ne accentuano le
caratteristiche alberghiere e di ristorazione. In realtà la struttura
commerciale è bella, un po' vecchiotta ma fine ed efficiente. Alzi la
mano colui che non la vorrebbe nella propria città. Qui il motto sembra
essere quello che ho letto su una guida, e cioè che qui fanno "tutto per tutti
dappertutto". Bella come definizione. Chiarisce "tutto".
Ci sono diverse entrate e ciascuna di esse è caratterizzata dal logo Harrods.
Non avendo molto tempo a
disposizione spero di non perdere l’orientamento all’uscita. Sono
interessato quasi esclusivamente al reparto alimentare per vedere un po’
quale tipo di eno-gastronomia viene proposta. Non ha senso rimanere troppo
tempo qui quando c’è ancora da vedere molto in città. Il reparto
gastronomico si chiama Food Hall ed effettivamente c'è molto da
vedere anche se i prodotti sembrano sterilizzati. Nulla a che vedere con
un'onesta salumeria italiana dove nel banco dei salumi può emergere del lardo di
Colonnata o del
buon formaggio Bitto, mentre qui tutti i pezzi sono sistemati con
precisione millimetrica, facendoli sembrare dei monili gastronomici. Qui il cibo è visto come
un gioiello, i formaggi sistemati come orologi, uno accanto all'altro. Le bottiglie di vino,
soprattutto francese, di meno italiano e spagnolo, sembrano bijou
sistemati con maniacale precisione come se fossero dei piccoli contenitori di
chiodi in una parete di un ferramenta. Barattoli di ogni tipo e specie a
non finire sistemati accuratamente uno sull'altro. Dopo una sommaria ricognizione
abbandono il progetto di visita accurata perché è troppo impegnativo
seguire tutta quella montagna di prodotti ben allineati nelle vetrine e
negli scaffali. Francamente c'è un eccesso di proposte che disorientano.
L'idea che mi faccio è che in tutti i piani il direttore abbia insistito
efficacemente per far emergere in qualunque angolo il senso del
british a tutti i costi anche dove non sarebbe stato il caso. Ne viene fuori un qualcosa di unico, una
specie di melassa generalizzata, senza esagerazioni e con una discreta
sobrietà. Compro un regalino come il famoso modellino del bus rosso a
due piani che è un classico londinese. All'ora di pranzo mi sposto ai
piano superiore nella sala ristorazione, che mi delude per le dimensioni
contenute e per le inadeguate proposte culinarie che lasciano un po' a
desiderare. Comunque me lo aspettavo. Mi metto in fila per
mangiare al self service. Nonostante siano trascorsi diversi
giorni trascorse da turista a Londra non ho ancora fatto alcun accenno
ai ristoranti londinesi e più in generale alla ristorazione inglese. In
verità quello "del mangiare" è l'unico neo della vita londinese e il
vero problema di un italiano a Londra. E' come se un fidanzato, che
conosce bene virtù e difetti della propria amata, consapevole dell'unica
imperfezione che ella possiede, fa di tutto per tacere sull'argomento e
men che mai ne parla con gli altri. Alla stessa maniera io, amante della
bella Londra faccio fatica a ricordare questo tema. In un certo modo, mi
sembra che la questione del vitto la sto affrontando in questi giorni
come se non avessi mai fame. Non so fino a che punto sia consapevolezza
dei limiti della cultura alimentare di questa città o eccesso di
fatalismo in cui si ha la percezione netta che il problema è
irrisolubile. Tuttavia, almeno un cenno è necessario farlo se non altro
per amore di completezza e di verità. Sapevo che Londra dal punto di
vista della ristorazione lascia "un tantino" a desiderare. Ci sono una
montagna di studi di saggi sulla questione che sarebbe fuori luogo
affrontare qui in poche righe. Diciamo solo che la qualità della cucina
inglese soffre un po' nei confronti di quella mediterranea e in
particolare di quella italiana. La coda al self service non è
lunga ma il problema è che bisogna interloquire con l'addetto alla mensa
che dispensa i piatti. Sono un po’ preoccupato perché il mio
inglese nei momenti di veloce comunicazione lascia molto a desiderare e
il rischio è che non ci si intenda con il cameriere di turno. Non vorrei
trovare nel mio piatto una salsiccia indigeribile dello Yorkshire
quando io avrei voluto mangiare qualche leggera fetta di roast beef con purè di
patate. E’ pertanto smisurata la mia meraviglia quando, tutto
concentrato per non distrarmi da una frase inglese che ripetevo tra me e
me per non dimenticarla, che una cassiera mi fa cenno di avvicinarmi e
senza che io le avessi dato una qualche ragione mi chiede in italiano cosa
desidero mangiare. Rimango piacevolmente stupito e dopo un balbettìo a base di “ma …
non pensavo che …. sono fortunato che lei parla italiano” la giovane mi
confessa che è italiana di Bologna e che si trova qui a Londra per
mantenersi agli studi per approfondire il suo inglese. Grazie a questa
coincidenza il roast beef senza purè ma con patatine fritte non è stato
sostituito da alcun pesante piatto indigeno da digerire con difficoltà.
Ho sempre saputo che era necessario imparare la lingua di Shakespeare,
ma è sempre stato un sogno mai realizzato. E dire che più di una volta
mi sono impegnato per avvicinarmi a una conoscenza adeguata, ma non ci
sono riuscito. Una volta addirittura a Roma avevo accettato un annuncio su un
giornale di una ragazza inglese che viveva nella capitale per avere delle
lezioni di inglese a ore. Era l'inizio del 1985 e io risposi
all'annuncio informandola che ero disponibile. Ci incontrammo a Piazza
di Spagna. Per farmi riconoscere le dissi che avrei avuto un giornale
sotto il braccio e un cappotto color cammello come si fa di solito nei film degli
agenti segreti. All'orario stabilito, le cinque del pomeriggio, puntuale
mi misi ad aspettarla. Dopo un po' si presentò all'appuntamento
perplessa del mio abbigliamento che a suo dire era troppo elegante.
Accettò l'invito di bere una tazza di thè nella sala interna di
Babington's
Restaurant in Piazza di Spagna. Nonostante avessimo sul tavolo
dell'ottimo thè e dei gustosi pasticcini fece di tutto per evitare di
prendere una decisione e poco dopo, con una scusa banale, scomparve
lasciandomi sorpreso e incredulo. Decisi che si poteva vivere lo stesso
senza conoscere l'inglese bene come un giornalista della BBC. |
Ed eccoci ad Hyde Park, il parco
londinese più famoso al mondo. Ho già detto che ogni giorno percorro la Bayswater Road e lo osservo con attenzione. Questa mattina più in
là da dove abito nel mio albergo vedo un gruppo di giovani che hanno attaccato
e appoggiato alla lunga cancellata che delimita il parco decine di
quadri e di disegni in vendita, come quelli che si vedono lungo la Senna
a Parigi La presenza di questi giovani dà un tocco di buon umore alla
mattinata perchè
mi ricordano le bancarelle romane che vendono libri usati o fuori
commercio. Ho comperato tanti libri su questi banchi. L'intera serie di
libri economici su Ennio Flaiano l'ho comperata sul lungotevere.
In uno di questi libri, anni fa, lessi una delle più straordinarie
definizioni del popolo italiano. Flaiano scrive un aforisma che
sintetizza bene il modo di essere degli italiani, e cioè che "gli
italiani corrono sempre in aiuto del vincitore". Sono un sostenitore dei
mercatini rionali perchè ritengo che si tratti di un mezzo tra i
tanti in grado di aiutare un approccio culturale popolare nelle grandi città. A
due passi c'è l'entrata di Lancaster Walk nel parco. Ne approfitto
perchè ho da vedere da vicino l'oasi di verde. Il parco non ha nulla di straordinario: nè
cascate alla Niagara Falls, nè fiordi alla norvegese, nè Luna Park
avveniristici, nulla di eccezionale. Quello che mostra è invece una
straordinaria raziocinante normalità di verde con alcuni
luoghi comuni e forse anche mediocri nella loro normalità ma
eccezionali nel loro significato simbolico |
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Cosa di dire di Speaker's Corner dove
dovrebbero esserci spettacolari campioni di eloquenza che si
esibiscono a braccio? Non ne ho visto neanche uno. La mia guida dice
che in genere appaiono la domenica pomeriggio e forse è questo il
motivo della loro assenza anche se io ho qualche dubbio, perchè
credo che la Londra del 2000 non è più la Londra dei tempi passati
quando ancora non c'erano computer e cellulari in circolazione. E che dire del
laghetto allungato a forma di serpentello, tanto da essere chiamato
The
Serpentine? Uno specchio d'acqua normale e poco avvincente. Ma si
può nuotare se si vuole, e si può andare in barca se si ha
desiderio. Pochi lo fanno ma c'è, esiste, è utilizzabile, ed è questo che lo fa
diventare un luogo ricercato, meta di fotografie di culto. La foto
presa dalla cam live del giorno prima della partenza mostra la
bella e larga Park Lane che si snoda maestosa lungo la direttrice
nord-sud dell'estremità orientale di Hyde Park. |
Va dall'estremità nord
dove c'è, vicino Marble Arch, l'angolo di Speaker Corner
all'estremità sud dove c'è Hyde Park Corner. Evidentemente i due
"Corner" sono differenti ma rappresentano gli spigoli est del
rettangolo verde. C'è addirittura una passeggiata degli amanti chiamata Lover's
Walk. A Roma all'Eur c'è una passeggiata del
Giappone. Un po' poco per rivaleggiare in romanticismo, noi che siamo
stati definiti in passato i romantici per eccellenza. Purtroppo se le
virtù non vengono coltivate è facile che diventino difetti. E poi vogliamo
parlare di qualche cosa di italiano nel parco? Cosa c'è di meglio degli
Italian
Gardens? Sedersi su una panchina e ammirare gli zampilli
dell'acqua nelle varie vasche è una delle cose più rilassanti che si
possono osservare. Provare per credere. |
 |
Non è difficile fare incontri speciali,
come nella foto che ho scattato dove si vede uno scoiattolo sui rami di
un albero. Mai visto uno scoiattolo in un parco romano. Semmai roditori,
veri e propri ratti giganti.
Quelli si, ce ne sono in abbondanza. |
 |
Sulla leggenda di Hyde Park desidero
riportare un brano dello straordinario Giorgio Porro a proposito del
fatto che il parco londinese è una icona immutabile nell'armonia del
mondo british. Ma siamo proprio sicuri che c'è questa leggenda
del parco come meta obbligata e come soggetto degno di ammirazione?
Porro risponde alla domanda dicendo che forse c'è la dimostrazione del
contrario. Ecco le sue parole: "cioè che l'esistenza del vecchio parco
conosce essa medesima uno sviluppo e una decadenza, gli alti e i bassi
insomma che punteggiano le vicende di qualunque mortale". Insomma alla
fine si arriva sempre allo stesso punto, ovvero alla caducità della vita
e alla mancanza di certezze che riguardano la nostra esistenza umana e
il mondo. Meglio cambiare discorso. Rimane il fatto che il parco, di
giorno, è bello, grande e piacevole. Più tardi, prima di sera, faccio
una passeggiata nelle strade del quartiere. Ho voglia di vedere da
vicino le case, le strade, qualche piazza, dei giardinetti, le soglie
della casette a schiera, insomma è mio desiderio osservare e rubare
qualche sguardo relativo alle entrate delle abitazioni dei cittadini che
vivono qui. La passeggiata è piacevole e distensiva, ci sono poche
persone in giro. Vedo Craven Hill Gardens e Queen’s Gardens,
passeggio in alcune stradine con gli edifici a uno o due piani e alla
fine lo sguardo si posa su un negozio che vende frutta e verdura. Entro,
dò una sguardo, compro una banana e chiedo al gestore di dove fosse. Mi
risponde che è indiano e che conosce Roma dove vivono alcuni suoi amici
di famiglia. C’è la conferma che non ho visto male quando ho previsto
che sarebbe stato difficile trovare un negozio di frutta condotto da un
indigeno. Qui a Notting Hill, i pochi negozietti che ho visto
sono condotti da immigrati asiatici. Dunque, la notizia che gli
immigrati asiatici hanno sostituito integralmente la manodopera indigena
è vera. Me lo aveva anticipato una mia cugina a Roma prima di partire.
Nella capitale non si vede nulla di tutto ciò. Chissà se in un futuro
prossimo si verificherà qualcosa del genere. Nelle città italiane, allo
stato attuale, tranne qualche isolato Internet Cafè si vede poco
di questo genere. |
Quinto
giorno. Oggi è il giorno della
Regina d'Inghilterra. Andrò a
Buckingham Palace. Non credo che sarò ricevuto a Corte come lo fu
Alberto Sordi nel film "Profumo di Londra". Mi accontenterò di vedere
alcune icone pubblicitarie della monarchia relative alla residenza dei
reali inglesi. |
 |
Intanto c'è da dire che lo stendardo reale
non è presente sul palazzo, segno questo che The Queen non c'è.
Al mio paesello natio, quando ero piccolo, bastava socchiudere la porta
per informare i vicini di casa che si era assenti. Qui si fanno le cose
in grande e la preziosa informazione la dà la presenza o meno di una
bandiera svolazzante. Sono qui per due ragioni. La prima perchè non si
può venire a Londra e non venire a Buckingham, località tradizionale
dell'immaginario reale che tra le tante cose è un posto con tanto verde
ai lati della reggia. La foto a fianco lo dimostra egregiamente. L'idea
che più mi viene in mente è che questa bellissima costruzione può essere
paragonata alla reggia di Caserta. Ma forse il paragone non calza bene.
C'è tutta una architettura che riguarda la residenza reale da non
sottovalutare. Ci sono molte persone alla biglietteria che fanno la
fila. Non credo che mi accoderò. La fila è lunga e io non ho molto
tempo. |
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Il secondo motivo è vedere questo famoso
cambio della guardia. Ne hanno parlato tanto, tutti, che non vedo
l'ora di togliermi di dosso questo "impegno" ufficiale di
turista ligio, alla giapponese, per intenderci. La faccenda è comunque
un po' complicata perchè è necessario attendere una certa ora precisa.
Questo fatto mi ricorda l'attesa spasmodica dei turisti nella piazza del
Duomo di Messina, perchè ogni giorno, a mezzogiorno in punto, l'orologio
meccanico e astronomico del campanile fa vedere il carosello del giorno
della settimana, rappresentato da una divinità pagana portata in trionfo
da un carro, trainato da un animale diverso. Qui l'attesa è ancora più
accentuata dalla presenza delle famose guardie con la giubba rossa e
turbante in testa. Il cambio della guardia avviene alle 11 in punto.
Dunque, macchina fotografica pronta perchè c'è un esercito di turisti
che potrebbe compromettere l'istantanea. Di pessimo gusto. |
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Come disse il Mahatma Gandhi:
"qualunque cosa voi facciate sarà insignificante, ma è molto importante
che voi la facciate". Qui è fondamentale esserci e fotografare, anche se
non varrà nulla. Così va il mondo. |
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Questo pomeriggio ho qualche problema di digestione.
Diciamo la verità: in questi cinque giorni di vita londinese ho mangiato
veramente male. Da molto tempo non mi accadeva di essere costretto a un
regime alimentare completamente differente dal mio. Impossibile trovare
un ristorantino che servisse delle minestrine all’acqua con parmigiano
grattugiato e difficilissimo individuare un self service in grado
di proporre minestre di riso o zuppe o passati di verdure. Non parliamo
poi di insalate di verdure fresche (lattuga, radicchio, sedano,
pomodori, etc.) che normalmente costituiscono una parte notevole della
mia dieta. La mia alimentazione si è dovuta distribuire tra qualche
pizza margherita della catena PizzaHut e qualche insalatina di
patate prezzemolate, condite con pessimo olio e una porzione di formaggi
cheddar e stilton che conoscevo da anni ma che non sono
paragonabili né a un leggero stracchino, né a un piacevole taleggio.
Lo stilton mi ricorda una specie di gorgonzola a forma cilindrica con
venature sul blu e dei due è il meno attraente. L’unica insalata che non è mai mancata nella lista delle pietanze dove
sono stato è l’insalata russa che a me non piace. L’altra sera ho
cenato vicino all’hotel, al Swann. Avevo memorizzato questo
locale all'arrivo in hotel il primo giorno. Non potevo non visitarlo
almeno una volta. Se devo essere sincero ho
ancora il forte retrogusto del roast beef che non ho digerito. E
siccome non sono il tipo da frequentare Mac Donalds o chiedere un
hot dog nel primo chioschetto di una piazzetta, chè lo considero
da sempre un americanismo fuori dalla mia cultura alimentare, eccomi
qui a lodare solo la prima colazione dell'albergo, la quale da sola non
può sopperire alle esigenze di alimentazione di un’intera giornata in
movimento. Vero è che in Carnaby Street ho trovato una specie di
parafarmacia in cui si vendevano delle porzioni di macedonia di frutta.
Resta il fatto che la frutta era esotica, e solo esotica, con sapori
strani e poco gradevoli: mango, babaco, sapodilla, carambola e papaya
saranno stati probabilmente gli ingredienti di questo strano mix di
frutta fresca ma non gustosa che mi ha lasciato perplesso se non altro per i colori
ancora più strani di alcuni dei frutti mangiati. Ho deciso pertanto che questa sera, per tempo, tenterò
una sortita al bar della stazione ferroviaria di Paddington, nella
speranza di bere una tazza di latte caldo con qualche biscotto della
nonna o di una fetta di digeribile apple pie. Le stazioni
ferroviarie spesso forniscono soluzioni di bontà e genuinità nei pasti.
In ogni caso, a parte il problema della digeribilità dei cibi, era già
mia intenzione visitare Paddington Station perché è una bella
stazione che merita una visita. |
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Mi ricorda Milano Centrale con il suo
padiglione principale al centro. A questo proposito accosto di seguito
tre immagini di Paddington Station che la rappresentano in tre
periodi differenti nel tempo. La prima è un quadro di William Powell Frith
che rappresenta la
partenza di un treno dalla stazione
Paddington di Londra. Il titolo è "The railway station", olio su tela,
del 1862.
La seconda è una foto d’epoca dei primi del Novecento e la terza è
attuale di questi anni. Le tre immagini richiamano alla mente
sensazioni del tempo che fugge in sintonia con l’ambiente in cui
tutti hanno fretta di
muoversi da una parte all’altra. Il bar è al piano superiore.
Le foto sono straordinarie perchè
dal loro confronto emerge il contrasto del come eravamo e del come siamo
adesso. L'evoluzione delle stazioni ferroviarie è l'evoluzione stessa della
società, che cambia al cambiare dei luoghi più rappresentativi di essa
nella quale il servizio dei trasporti è un luogo deputato a mostrare
l'evoluzione della società. |
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Salgo le scale ed entro. Il locale è d’altri tempi.
Niente a che vedere con un normale bar di una stazione ferroviaria
italiana. Tavoli, sedie, bancone per la mescita e quasi tutto
l’arredamento mi ricorda gli anni ’60. C’è odore di pulizia e nel bar
non ci sono avventori. Al banco c’è una ragazza che pulisce i bicchieri.
Chiedo di poter consumare una tazza di latte caldo e una fetta di apple pie.
Solo latte aggiungo, nella speranza di evitare che ella intenda un thè
al latte, generalmente portato in una lattiera microscopica da
aggiungere alla bevanda scura. E siccome sono in vena di fare ironia “con del miele”
aggiungo abbozzando un sorriso. Il miracolo avviene, perché la ragazza è
italiana (per la terza volta) di Ancona. Mi fa notare che qui la mia è
una richiesta rara e insolita. Solo un italiano può farla, aggiunge. Mi
rassicura e mi invita a sedermi a un tavolo ad aspettare. Incredulo
aspetto più di un quarto d’ora ma alla fine questa benedetta tazza di
latte arriva. E quando arriva c'è tanto latte e c'è anche il miele che
avevo desiderato con un
panino e la fetta di torta alle mele. La mia salvezza. Ritorno in hotel
col buio. In camera la finestra lascia entrare un po’ d’aria e in fondo
si vedono le sagome scure degli alberi di Hyde Park. La chiudo a
doppia mandata e guardo un po’ di televisione. La giornata è stata
intensa e domani si continua. |
Sesto
giorno.
Oggi è domenica
e domani si parte. Siamo agli sgoccioli della vacanza. E' duro
ammetterlo ma è così. Il tempo, nonostante tutto, trascorre e passa
cinicamente senza fare sconti a nessuno. I negozi in città sono chiusi e si respira aria di festa. La
città rallenta i suoi ritmi. La giornata festiva dà un tocco di novità
alla mattinata. Esco per tempo dall'albergo perchè come avevo anticipato
prima ho da vedere meglio
la Cattedrale di S. Paolo e partecipare alla messa. D'altronde è
l'ultimo giorno pieno che trascorro a Londra Io che a Roma abito a poche centinaia
di metri dalla Basilica di S. Paolo trovo la coincidenza
sorprendente e piacevole. Ma la "S. Paolo" anglicana di oggi è diversa
dalla "S. Paolo" cattolica di tutti i giorni e, come si suol dire in questi
casi, quella londinese è "un'altra parrocchia". Bisticci di parole a
parte la differenza c'è, come d'altronde ci sono anche le similitudini.
D'altra parte la vita stessa è un magma complesso di contrasti e
analogie. Non voglio impelagarmi in una disquisizione di carattere
teologico. Tuttavia, non posso esimermi di non fare qualche digressione
in merito. E' bello mettere a confronto due straordinari edifici di
culto accomunati dallo stesso nome: St. Paul Cathedral e
Basilica di S. Paolo. Apparentemente le differenze sembrano esistere
solo nel genitivo che precede il nome del Santo, cioè
'Cattedrale vs Basilica'. Apparentemente. In realtà c'è molto altro perchè
qui stiamo parlando di religioni. Sono
religioni diverse? A prima vista non si direbbe perché i credenti di
entrambe le religioni sono cristiani e seguono gli insegnamenti di Gesù
Cristo. Non sono mica ebrei o ancor di più musulmani, per rimanere solo
nell’ambito delle religioni monoteiste. Credono entrambi nello stesso
Dio, stessa Trinità, praticano le stesse cerimonie religiose, ogni
domenica vanno a messa, usano la stessa Bibbia e credono negli stessi
Santi. Dunque, dov’è la differenza? Credete che un alieno, proveniente
da lontani mondi extragalattici comprenderebbe differenze motivate da
aspetti storici che riguardano Enrico VIII o da sottili ragionamenti
teologici? Il mondo anglosassone è sempre stato, dopo Enrico VIII,
antipapista. Lo stesso Isaac Newton fu uno dei più acerrimi nemici del
Papa cattolico romano. Ebbene, fra poco andrò a messa proprio nella
londinese cattedrale anglicana per dimostrare che volendo ci si può
intendere. Arrivo a St. Paul Cathedral in tempo per la
messa delle 10.00 . E' evidente che non verrà utilizzato l'altare
maggiore della cattedrale ma quello di una cappella laterale. Se non ho
capito male si tratta della St Dunstan Chapel. La cappella è una
delle tre presenti nella cattedrale. E' dedicata a S. Dunstan, un
vescovo di Londra che divenne arcivescovo di Canterbury nel 959. Tra le
tante cose la domenica
e i giorni festivi il servizio per i turisti è sospeso. Mi sposto quindi
verso la cappella ed entro. La cappella è piccola a forma rettangolare.
Ha due file di
banchi per i fedeli. In tutto ci sono circa trenta posti. Il parroco è
un simpatico e intraprendente prete, sui quarant’anni, dinamico e sicuro
di se. Lo saluto con un cenno del capo. Mi sorride e ricambia. Ancora
non ha capito che sono “un estraneo”. Mancano circa dieci minuti
all’inizio della messa ed io trovo il momento adatto per avvicinarlo e
salutarlo con il mio stentato inglese. Gli dico che sono un turista
italiano e vengo da Roma e desidero ascoltare la messa. Quando si rende
conto della ghiotta novità ha parole di soddisfazione per
l’incontro e mi invita al termine della messa di non andare via. Siamo
in pochi, circa dieci persone, officiante compreso. Metà donne e metà
uomini. Con molto interesse partecipo nei movimenti alla funzione
religiosa. Mi alzo e mi seggo al momento giusto e faccio il
raccoglimento quando lo fanno gli altri. Insomma, cerco nel mio piccolo
di concretizzare l’idea della "Promozione dell'Unità dei Cristiani", ma
non prendo la comunione. Nessuno si accorge di nulla e nessuno immagina
che io non sia un classico fedele anglicano fino all’omelia quando,
all’inizio del sermone, il sacerdote dice che ha il piacere di informare
l'uditorio che è presente tra noi “un pellegrino italiano che viene da
Roma”. E addio alla privacy. Imbarazzato cerco di resistere agli
sguardi curiosi sebbene contenuti degli altri fedeli. Alla fine, il
prete mi viene incontro e mi invita a partecipare all’abituale rinfresco
di dolcini e thè che si tiene in una sala attigua. Rinuncio a malincuore
all’invito, per il semplice motivo che ho molte difficoltà a
comprendere e farmi capire con il mio stentato ed elementare inglese. Mi
vergogno. E' inutile che lo nasconda, perché prevedo, nel caso accettassi, una
figuraccia nella conversazione. Sapete, gli inglesi sono esigenti quando conversano ed io ho paura di non poter reggere la sollecitazione
psicologica. Per loro è normale che tutto il mondo conosca la bella
lingua di William Shakespeare e non ammettono possibile che
esistano turisti, italiani compresi, che invece siano degli sprovveduti
sul piano linguistico, come me. D’altronde, è difficile, molto difficile che
siano loro a conoscere l’italiano. Pertanto, a malincuore, sono
costretto a declinare il generoso invito. Lo ringrazio dell’accoglienza,
lo saluto e via nella Ludgate Hill, prima che il prete cambi idea
e mi imponga di rimanere. Mi aspetta un
vero museo, anzi
il Museo per eccellenza: il British Museum. Da St. Paul a
Tottenham Court sono appena tre fermate della Tube, linea
rossa. Qui il British museum è a un tiro di schioppo. Nel panorama artistico e museale mondiale
dire di essere stati al British Museum è come per un
automobilista dire di avere la patente di formula uno. Mi
attendono alcune opere d'arte che è una vita che le desidero
vedere. La Stele di Rosetta è una di queste. Le sculture del
Partenone a seguire. Naturalmente sarà impossibile vedere tutto. Ma
non mi preoccupo: l'importante è vedere ciò che si può, senza
esagerare. Essere in questo grandioso museo è già molto. Non farò alcun
noioso resoconto della visita al museo britannico per eccellenza. Ho
visto poco, veramente poco per una visita veloce. Non me la sono sentita
di rimanere sei ore. Dico solo che è un Museo con la M maiuscola che si
vede subito dall'entrata: otto grandiose colonne principali e poi il
resto. Esco sulla Russell Street. Casualmente osservo una
vetrina di un negozio che vende profumi e prodotti di bellezza. Nella
vetrina in bella mostra vedo l'intera serie di prodotti per la barba
della toscana Proraso. Rimango di stucco, non perchè ci sono
prodotti italiani ma perchè per la prima volta vedo un negozio
(all'estero!) che presenta l'intera collezione di prodotti che in Italia
non avevo mai visto. Schiuma da barba di colore verde e bianco, dopo
barba in crema e liquida, pennelli per la barba, tubetti per i tagli
della rasatura, ecc.. Cose mai viste. E visto che si sono mi trovo in
una strada che ha lo stesso nome del liceo nel quale insegno:
Bertrand Russell, ovvero il grande filosofo e logico inglese. Più a
casa di così non potrei mai essere. Anche perchè domani so ritorna a
Roma. |
Settimo e ultimo
giorno. E' il giorno della partenza. O meglio, del ritorno a Roma.
Fin dalle prime ore del mattino non sono lo stesso di prima e mi muovo come
un automa. Sono
triste. Non vorrei lasciare questo posto. La partenza è arrivata, quasi
all'improvviso senza che io potessi farci nulla. "Partire è come morire"
dice un vecchio adagio. Adattato al mio caso diventa "ritornare è come
morire". Ma è la vita. Vi risparmio il resto della giornata. |
Postfazione. E "ritornai a riveder la
grigia normalità romana". Mai parole furono così vere e rivelatrici di
stato d’animo pieno di tristezza. Desidero parlare adesso onestamente
del dopo-Londra, cioè di quella diffusa sensazione che si insedia
all’interno del cuore di tutti coloro che al ritorno di un viaggio
piacevole e gradito nel nord Europa sono consapevoli di avere visto e
contemporaneamente consapevoli di avere perduto qualcosa di interessante
nella loro vita. Non si sa che cosa, ma si percepisce diversamente da
prima che non si possiede ciò che si è imparato ad apprezzare laggiù. In
relazione a questa percezione in negativo, che potrei chiamare assenza
di “inglesità” nella società italiana, mi sento di dire con convinzione
che la breve esperienza turistica del viaggio a Londra è stata per me
altamente formativa. Confesso che accanto alla soddisfazione di avere
realizzato un desiderio nascosto da molto tempo coesiste il senso di
avere visto qualcosa di cui prima ignoravo l’esistenza: l’english
life. Più di una volta mi sono chiesto in questi giorni come sia
potuto succedere che io, per tanti anni, sia rimasto in Italia e non
abbia mai pensato di effettuare un viaggio a Londra. Solo adesso
comprendo che ho perduto molto. Pazienza. Vuol dire che il destino mi
aveva imposto di effettuare con molto ritardo questa lucida esperienza
di modo di vivere inglese, in grado di fornirmi un quadro di vita che
fornisce consapevolezza di una perdita. Quante cose mi vengono in mente
pensando alla Londra che ho lasciato. Intanto l'incredibile numero di
autobus rossi a due piani per le strade del centro e la conseguente
mancanza di confusione nel traffico. Un fatto quasi inspiegabile. Mi
chiedo come sia possibile conciliare questi due aspetti, apparentemente
contraddittori ma a mio parere strettamente interdipendenti. Da una
parte tanti mezzi pubblici per le strade e dall'altra la più assoluta
fluidità del traffico. Posso affermare che nell’anno del Giubileo del
2000 a Londra non esiste stress da trasporti. In altre parole si
può viaggiare da una parte all'altra della città e dalla mattina alla
sera senza stancarsi, rimanendo per giunta sempre seduti sui mezzi di
trasporto!
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Come sia possibile ciò l'ho capito
successivamente dalla somma di un concorso di cause ed effetti. Intanto
un autobus che è pieno di passeggeri non accetta più altra gente e tutti
rimangono comodamente seduti. In pratica si è trovata, in maniera
semplice e banale, la possibilità di viaggiare in molti e mai in piedi! E poi l'incredibile
numero di autobus permette di distribuire agevolmente i viaggiatori con
continuità nell'intera giornata. Questo perché il traffico è controllato
mediante telecamere poste negli angoli più strategici della città in
funzione 24 ore su 24 e quando la domanda di mezzi aumenta la London
Trasport immette via via nuovi autobus nelle strade. Eccellente
organizzazione! Chissà cosa potrebbe pensare a questo proposito il
Sindaco di Roma se mai fosse in grado di pensare qualcosa a proposito di
organizzazione dei trasporti urbani della città di Roma. |
E poi,
l'incredibile gentilezza degli indigeni. Con un semplice «Good morning,
is it possible...» (oppure «is il posto cercato near here?») si
ottengono tutte le informazioni possibili e immaginabili. In pochi
giorni sono stato in grado di smentire la famosa leggenda metropolitana
relativa al fatto che mai e poi mai un inglese avrebbe risposto alle
domande di uno straniero se questi non avesse mostrato correttezza
grammaticale, sintattica e perfetta pronuncia della frase rivoltagli per
chiedere aiuto. Nulla di più falso. Pensate che una sera sono stato in
un luogo in cui avevo difficoltà ad orientarmi. Mentre osservavo la
piantina di Londra senza che io avessi chiesto aiuto si è avvicinato un
signore che mi ha detto: «Can I help you?» e mi ha indicato sulla
piantina e poi a gesti dove mi trovassi e quale strada avrei dovuto
seguire. Un'altra volta, di mattina, mi si è svitata la piccola vite di
una delle due asticciole dei miei occhiali da vista, facendoli cadere
per terra. Panico. Mi sono detto: e adesso come farò con gli occhiali
fuori uso? Ancora una volta ho potuto ammirare concretamente la
gentilezza e l'efficienza inglese. Nel giro di pochi minuti un passante
mi ha suggerito l'indirizzo di un negozio di ottica vicino alla strada
dove mi trovavo. Nel negozio l’operatrice, una gentile signora inglese,
non solo mi ha aggiustato gli occhiali sostituendo la piccola vite
perduta nella strada ma addirittura mi ha pulito le lenti gratuitamente,
rifiutandosi di essere pagata. In pratica l'ottico non ha voluto un solo
penny! Alle mie rimostranze, se proprio lo desideravo, la signora
mi ha suggerito di mettere alcune monete nel grande barattolo di vetro
delle elemosine della Croce Rossa, presente in un angolo del
negozio. Straordinario paese l’Old England. E a proposito di
antico desidero qui affermare la mia ammirazione per la salvaguardia
dell’architettura delle case inglesi. Incredibile. Molte di esse sono
ancora ben conservate fino al punto di essere ancora perfettamente
funzionanti come se ci trovassimo nei secoli scorsi. Con quei colori
forti e scuri di varietà di marrone, con i loro caratteristici camini e
con le forme tipiche delle casette dell'Ottocento è uno spettacolo
osservarle in certe zone tranquille della Londra romantica. Insomma, il
paese delle meraviglie di Alice è stato a mia disposizione per quasi una
settimana senza che io ne avessi intuito in precedenza l’esistenza!
Poche cose mi hanno deluso a fronte di moltissime cose che mi hanno
entusiasmato. Una in particolare è stata la mia più grande delusione.
L'edificio del Parlamento inglese e il Big Ben mi sono sembrati
di piccole proporzioni! Me li aspettavo forse incautamente come edifici
mastodontici, alti, imponenti. Invece, sono alti come una semplice
palazzina di tre piani e poi sono poco estese. Nulla a che fare in
confronto a edifici come la reggia di Versailles o di Caserta
tanto per intenderci. Al loro confronto il Tamigi sembra un tratto di
mare e non un fiume. Da sfatare altresì un altro mito e cioè che non è
vero che le acque del fiume londinese sono pulite. Se non sono più
sporche di quelle del Tevere, poco ci manca! Altra piccola delusione è
stata l’estensione della piazza di Piccadilly Circus. Anche qui
si tratta di una piazza piccola e senza pretese, ancorché famosissima.
Insomma, me l'aspettavo molto più grande. In ogni caso sono felicissimo
e contento di questa esperienza perché sono riuscito a visitare quasi
tutto ciò che mi ero prefisso di vedere di importante a Londra. E tutto
quanto è stato da me realizzato senza sfruttare alcuna guida! Niente
visite guidate, niente viaggi organizzati e niente gruppetti di
vacanzieri preceduti da una hostess con la bandierina. Mi sono mosso e
sono andato alle visite sempre con le mie sole forze, viaggiando in
perfetta solitudine (anche a costo di camminare molto), e visitando i
luoghi con spirito di autentica sorpresa. Ho fatto visita ai più
importanti negozi di Londra: da Selfridge ad Harrods, da
Mark & Spencer a Liberty. Non ho comprato quasi nulla
perché la mia era fame di vedere icone del turismo londinese che hanno
riempito i miei occhi di oggetti della tradizione britannica. Un solo
strappo alla regola riguarda il famoso modellino rosso del bus a due
piani che qui presento nella versione della London Trasport
Sightseeing. Ho comperato dei regali (un paio di jeans in Carnaby
Street) in posti incantevoli. Ho passeggiato nella City, ho
visto il Tower Bridge e la Tower of London. Ho goduto
della vista di Trafalgar Square e ho gustato dei gelati
abbastanza buoni. Sono salito sulla cupola di S. Paul Cathedral
ed ho visitato persino due stazioni ferroviarie. Un altro fatto
importante che desidero ricordare è che la mattina che ho visitato il
British Museum, cioè domenica scorsa, sono entrato in una chiesa
anglicana londinese per ascoltare la messa. Non c'erano molte persone,
diciamo non più di una decina di fedeli al massimo. Il prete si è
accorto della mia presenza e all’inizio è venuto da me chiedendomi da
dove provenissi: "where are you from?". Appena ha sentito che venivo da
Roma ha avuto una reazione di meraviglia e di soddisfazione, dandomi il
benvenuto e salutandomi calorosamente. Durante l’omelia ha ricordato ai
fedeli che alla celebrazione liturgica della messa partecipa anche un
"pellegrino" proveniente da Roma e mi ha guardato con grande riguardo
mettendomi in forte imbarazzo. Anzi, alla fine della celebrazione, si è
fermato all'uscita e mi ha salutato con tanta simpatia chiedendomi se
volessi fermarmi con lui e con il gruppo di fedeli presenti per un
piccolo spuntino di metà mattina. Posso dire sinceramente cosa penso?
Credo che per gli inglesi ci sia più stima e considerazione per la Roma
del Vaticano che per la Roma della politica! E poi lo stupendo Hyde
Park, la bellissima, pulitissima ed efficientissima Underground,
l'incredibile ricchezza dell'Abbazia di Westminster, strapiena di
ricordi storici, che ricordano l'incredibile potenza di Enrico VIII; poi
l'imponente Buckhingam Palace con il cambio della guardia,
l'elegante Regent Street, la bellissima Cambridge Circus
(che nessuna pianta di Londra valorizza adeguatamente), la vecchia e
piacevolissima Paddington Station, il Planetarium di
Londra con i suoi incredibili effetti visivi e sonori (ho seguito un
percorso tra le galassie e i pianeti), il London Aquarium con un
paio di squali preoccupanti e minacciosi dietro la parete trasparente,
le statue di Madame Tussaud (in cui vi erano tutte, dico tutte le
statue di cera dei più grandi della storia ma solo due italiane: Galileo
e Papa Woityla), il Museo del Laboratorio di Faraday del quale
avrei voluto parlare ma che sono certo non interessa nessuno e tanti
altri posti che mi riesce difficile ricordare. Tutto ciò è stato
possibile per l'efficienza dei trasporti di Londra, altrimenti sarebbe
stato irrealizzabile qualunque progetto per riuscire a raggiungere tanti
posti in poco tempo. Cosa mi rimane? Una incredibile serie di
sensazioni, la prima delle quali è di rabbia nei confronti di tutto ciò
che la politica italiana non ha mai fatto e non fa per migliorare
l’immagine dell’Italia all’estero. Possibile che le stesse cose non si
possono avere qui in Italia? Non ci credo. Paradossalmente la presenza
italiana qui a Londra come in altre città dell’Europa è quasi nulla. La
sola visibilità riguarda al solito e quasi esclusivamente il
considerevole numero di locali in cui si serve la pizza e la pasta.
Presenza casuale, episodica, legata alla cucina e dovuta
all'imprenditorialità di qualche isolato lavoratore autonomo, spesso non
italiano, e poi basta. Il paradosso è poi che alcuni locali con logo
italiano in realtà sono gestiti da operatori asiatici! A Londra ho visto
una incredibile quantità di immigrati asiatici (indiani principalmente)
ma anche molte persone di colore, arabi e giapponesi perfettamente
integrati nel modo di vivere inglese. Svolgono tutte le principali
mansioni non intellettuali: controllori e autisti di bus, operatori
ecologici, guardiani dei musei, delle banche e dei grandi magazzini,
fruttivendoli, tabaccai, gestori di piccoli negozietti di profumeria,
ecc.. tutti impegnati nel lavoro che svolgono peraltro con correttezza e
impegno. Si pensi che su un autobus il controllore ha chiesto più di una
volta a tutti i viaggiatori di vedere il biglietto, scusandosi e
ringraziando. Era diventato ansioso per l'impegno che dimostrava nel suo
lavoro. E ogni volta che chiedeva il biglietto non mancava mai di
scusarsi e di ringraziare. Avete mai visto una simile scena a Roma? Mai.
Tra l’altro tutta questa gente, con i dovuti distinguo, erano felici di
lavorare e contenti del loro status. Se questo non è allegro
compiacimento ditemi voi che cosa sono la gratificazione e la felicità?
Appuntamento al prossimo viaggio. Arrivederci a Parigi.
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Manuali
e guide di viaggio adoperate.
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