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Amsterdam
(13 luglio - 28 luglio 1981) |
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Il mio secondo
viaggio nella CEE: Amsterdam.
Premessa. La capitale dell'Olanda (in
olandese Nederland) è Den Haag. Tuttavia, la città che io ho
visitato è Amsterdam che è l'unica città della Comunità Economica Europea (CEE) che ha lo stesso nome in tutte le
sue lingue. Strano ma vero. La stessa Roma in inglese e in francese
cambia il nome in Rome; mentre in tedesco diventa
addirittura Rom. Ebbene, Amsterdam è la mia seconda tappa del progetto "visita
alle nove capitali della CEE". Dopo Roma, capitale della
Repubblica Italiana che è il mio paese di nascita, ho scelto Amsterdam perchè ho ricevuto l'invito di un amico a essere ospite a casa
sua per due settimane. |
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Com'è noto la Comunità Economica Europea
è nata ufficialmente il 1 gennaio del 1958 quando io ero un ragazzino.
Fino al 1972 i paesi appartenenti alla CEE furono solo i sei Stati
fondatori, che costruirono le basi del futuro dell'Europa Comune. Otto
anni fa, nel 1973, vi aderirono i tre paesi della Gran Bretagna,
dell'Irlanda e della Danimarca, allargandola a nove paesi in tutto. Il
progetto che mi sono imposto di realizzare è quello di visitare tutte e
nove le capitali dei paesi della CEE e qualora aumentassero la visita si
protrarrà anche ai nuovi. Sono del parere che dopo questo allargamento
altri Stati aderiranno alla Comunità, a cominciare da Spagna e Portogallo. Non credo
però che aumenteranno molto. Tra
paesi oltrecortina da una parte, dove vige peraltro la più stretta ortodossia comunista
antioccidentale, e paesi cosiddetti "neutrali" dall'altro, sono poche le nazioni
europee che
potrebbero ancora entrarvi. Almeno, in my opinion. |
Ho già in mente l'ordine di visita di tutte
le nove capitali delle nazioni della CEE. Roma innanzitutto, che ho già
visitato in profondità in occasione del giubileo nell'estate del 1975.
Adesso Amsterdam. Poi Londra e Parigi. Quindi Dublino e
Copenaghen. A seguire Bonn e Città del Lussemburgo. Per ultima Bruxelles
perchè vedo questa bella città come la capitale politica dell'Europa
Unita. La cosa strana che mi viene in mente, pensando all'ordine delle
visite, è che secondo quest'ordine le due capitali dell'Olanda e del
Belgio, nonostante i due paesi siano limitrofi e confinanti, saranno da me visitate:
una (Amsterdam) per prima e l'altra (Bruxelles) per ultima. Che
stranezza. A proposito di EU faccio presente che posseggo una
utilitaria, una Fiat 126, sulla quale ho incollato sul retro l'adesivo EU che mi
qualifica come un europeista convinto che desidera vedere nel futuro
l'Europa Unita. Il viaggio, nella stupenda capitale olandese,
durerà ben quindici giorni. Non sono pochi. Si tratta di un tempo più
che adeguato per vivere
questa mia esperienza con completezza e all'insegna delle emozioni della
mia prima visita all'estero in un paese
del "profondo" nord europeo.
La prima volta, dice un proverbio, non si scorda mai. E in effetti, credo
che non dimenticherò mai questa esperienza di viaggio. Se si escludono le
mie ripetute visite lampo a Lugano, nel Cantone della Svizzera
Italiana, escursioni peraltro effettuate dalla mia residenza di lavoro
in Lombardia, che non fanno testo, Amsterdam rappresenta una assoluta
novità nel panorama dei viaggi e delle visite turistiche della mia
vita. Non mi piacciono le frasi ad effetto ma in questo contesto mi
sento di dire che il viaggio è un'esperienza di vita. In verità la
mia scarsa conoscenza di viaggi mi induce a pensare che ciò che provo di
piacevole nell'effettuare questo spostamento fisico della mia persona
dall'Italia lo avrei provato lo stesso
anche se la meta fosse stata differente. Per esempio a Londra o a Parigi
o a Bonn, per non parlare di Bruxelles o delle rimanenti capitali della
CEE. Il mondo è
pieno di turisti che vanno e che vengono. Quelli che mancano sono i
viaggiatori che vedono il viaggio non per la destinazione ma per ciò che faranno nella città di
arrivo e per come
impiegheranno il tempo disponibile. Io, lo dico subito, sono interessato a
vedere "città e castelli", bellezze architettoniche, piazze, palazzi
e monumenti che mostrino la bellezza realizzata da architetti e ingegneri e,
soprattutto, musei di tutte le specie. Come insegnante di
matematica e fisica sono interessato all'arte ma soprattutto alla scienza,
alla scienza olandese in particolare e alla
cultura di questo straordinario popolo. Il viaggio, penso, mi aiuterà a capire. Credo molto nell'idea di viaggiare, perchè le trasferte in un
paese differente dal proprio, in cui si ha la possibilità di immergersi
anche se temporaneamente nella cultura di un altro popolo, aiutano molto i viaggiatori a comprendere
altre realtà, a conoscere altri punti di vista, altre modalità di
approccio alla vita, differenti dai propri, per poter effettuare confronti
e autocritiche che sicuramente possono migliorare gli scenari della vita di chi ha la
fortuna di viaggiare e di vedere cose nuove. Amsterdam, lo dico subito, è una tappa importante
di questo programma. E' una
capitale di grande interesse, bella, piacevole, libera, interessante, attraversata dal fiume Amstel, e, fra le altre cose, è la più popolata
capitale del famoso trio, chiamato
Benelux, che tante volte nei
giornali e nella televisione ho sentito nominare come l'insieme dei tre
paesi Belgio, Olanda e Lussemburgo. La trasmissione televisiva
"Giochi senza frontiere", condotta dai due bravissimi arbitri
svizzeri Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi - che narra di gare dove ogni nazione
partecipa con una diversa cittadina per ogni puntata - mi ha convinto da
anni della straordinaria avventura che è la costruzione dell'Europa
Unita fatta in pace, in una cornice di democrazia e di collaborazione
tra tutti. Dopo due decine di secoli in cui gli europei si sono combattuti
aspramente tra di loro, spesso fino allo stremo delle forze, con guerre, invasioni
e vittime ripetute nel
tempo, si rimane
meravigliati dalle piacevoli sensazioni che si provano in una parte
dell'Europa nello stare insieme in un progetto
di amicizia e solidarietà. Questa in parole povere è la prima
motivazione, per la verità banale e prevedibile, che mi viene in mente per giustificare le ragioni
della mia visita ad Amsterdam. In verità
ci sono motivi più seri e profondi per i quali mi sono mosso
dall'Italia e venire qui nel "profondo" nord Europa a scoprire radici e tradizioni
europee, cultura e senso della vita in un paese tollerante e democratico come l'Olanda,
chiamata in verità Nederland, cioè Paesi Bassi. Com'è noto il
paese non ha montagne e si sviluppa tutto in pianura. Anzi ci sono
porzioni del paese che si trovano sotto il livello del mare, diciamo a
-5 m e altri fino a -10 metri. Se si osserva con attenzione la cartina
geografica dell'Olanda si notano alcuni particolari interessanti. In
primo luogo la forma del territorio che assomiglia a un triangolo
rettangolo, in cui il cateto orizzontale è segnato a sud dal confine con
il Belgio; il cateto verticale è segnato a est dal confine con la
Repubblica Federale Tedesca mentre l'ipotenusa segue, grosso modo, il profilo della
costa lungo il Mare del nord. Ho sempre visto con simpatia questo paese.
Cominciamo col dire che i mulini a vento, i papaveri, il formaggio con
la crosta rossa, le birre Heineken e Amstel, i campioni di ciclismo su
strada, le olandesine con gli zoccoletti fiorati mi sono sempre apparsi
come potenti vettori pubblicitari di forza, di potenza ma anche di
grazia. La mia forse sarà una lettura ingenua e semplicistica. Tuttavia
questi simboli hanno rappresentato per me una immagine positiva di un
popolo lavoratore e meritevole dei suoi successi. Non parliamo dei trasporti perchè invidio
la vastissima rete di binari delle ferrovie, delle efficienti autostrade
e dei pratici canali con i loro vaporetti e barconi che trasportano
persone e merci. C'è un'altra ragione che tocca la dimensione della
cultura e riguarda l'arte pittorica e la scienza. Non dico nulla di
nuovo se ricordo tre nomi nel campo della pittura: Rembrandt, Vermeer e van Gogh. Straordinari nella loro diversità. In campo scientifico
ricordo poi che se non ci fosse stata la calvinista Olanda nel '600 il
nostro Galileo non avrebbe potuto stampare nè il "Dialogo sui massimi
sistemi", nè i "Discorsi sui massimi sistemi". In pratica saremmo ancora
al medioevo della scienza. Ricordo infine che uno dei motivi per cui ho
deciso di fare questo viaggio è di visitare non solo musei di pittura ma,
prima di tutto, musei di scienza. Ho già in programma visite approfondite a Leida e Utrecht.
Ma di questo ne parleremo successivamente. L'Olanda non è sicuramente un grande
paese dal punto di vista della sua estensione geografica. L'Italia è più grande
di lei otto volte. Ma l'Olanda è sicuramente un grande paese per le capacità
del suo popolo e per la caparbietà e l'ostinazione mostrate dai suoi
abitanti che sono riusciti "a fermare" il mare mediante gigantesche dighe,
chiuse, canali
e lunghi tratti di mare (polder) asciugati artificialmente. Ma dove
eccellono di più gli olandesi è nell'organizzazione e nei risultati che
riescono a realizzare con concretezza e rara efficacia. Nel mondo della cultura filosofica, scientifica e
dell'arte ricordiamo alcuni nomi di personalità olandesi per tutti: Erasmo
da Rotterdam e Spinoza, Snell e Huygens, van der Waals e van't
Hooft, Lorentz e Boerhaave, Rembrandt e Vermeer, Hals e Van Gogh, Jan
Leeghwater ed Esher, Grozio e van Leeuwenhoek, per non parlare
del francese Descartes che visse a Leida dal 1628 al 1649 : veri e propri giganti della cultura europea di cui
l'Olanda può esserne fiera. Avremo modo
di parlarne in modo più mirato in seguito. Adesso desidero rimarcare
il concetto che la
visita alla bella capitale del paese dei tulipani, dei mulini a vento e
delle belle olandesine con gli zoccoli a punta come le fatine incantate, ha a che vedere con la
mia curiosità a conoscere cultura, scienza e arte degli indigeni. Per quello
che sarà possibile è mia
intenzione visitare alcuni musei in tutto il paese (non solo
Amsterdam, ma anche Leiden, Utrecht e se ci riesco Den Haag) e osservare molte delle bellezze artistiche e
visive della città che è chiamata, lo ricordo, la "Venezia del Nord"
per i suoi innumerevoli canali come nella città lagunare veneta. L'Europa non è, e
difficilmente lo sarà, un
paese federato come gli Stati Uniti d'America. Noi europei, a
mio parere,
non abbiamo né avremo mai una lingua
comune, un sistema politico unico e la stessa moneta. Non parliamo poi di un esercito comune, che è una vera e
propria chimera. Qui siamo passati in pochi decenni da due catastrofiche guerre mondiali avvenute
tra molti di questi stessi paesi che adesso costituiscono l'ossatura della
Comunità Europea, all'improvviso e speriamo definitivo "scoppio della pace" del
dopoguerra. E' troppo presto e ancora molta acqua dovrà passare sotto i
ponti prima di avere elementi forti in comune. Ma sperare non costa nulla e se le grandi figure della
Comunità Europea - come Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi, Walter
Hallstein, Jean Monnet, Robert Schuman, Paul Henri Spaak, Altiero
Spinelli e altri - hanno dato una linea
di sviluppo ragionevole e concreta per raggiungere l'unità non solo
economica vuol dire che si può e si
deve tentare di conseguire l'obiettivo dell'unificazione politica del continente
Europa.
Pertanto, anche se non avremo l'Unione Federale degli Stati d'Europa, possiamo fare molto
lo stesso; possiamo fare in modo che i futuri cittadini
dell'Europa non conoscano mai le brutture delle guerre e le barriere
geopolitiche e, viceversa,
comprendano la bellezza
della pace, tutti insieme, con la massima libertà di viaggiare e lavorare
in tutti i posti del nostro
continente. Questa in sintesi è la premessa alla mia
seconda tappa nelle
capitali della Comunità Europea dopo la prima, quella di Roma, avvenuta
sei anni fa. |
Primo giorno.
Partiamo subito dal viaggio di andata che avviene con un volo Alitalia da Milano Linate per Amsterdam
Schiphol. Non ho molta pratica di voli aerei se non qualche breve
esperienza tra città italiane. Pertanto sono preoccupato e avverto un
po' di ansia per il volo
a causa del fatto che viaggio da solo e non ho esperienze precedenti a
cui riferirmi. Il viaggio ad
Amsterdam inizia molti giorni prima della partenza vera e propria. Ho fatto la prenotazione del volo di
andata e ritorno con una agenzia di viaggi a Sondrio, la città lombarda in cui
risiedo attualmente per lavoro e ho avuto assicurazione che i tempi dei
trasferimenti da casa (in Valtellina) all'aeroporto di Milano Linate saranno
rispettati. Parto da Sondrio la mattina presto col treno per Milano Centrale
su un treno diretto delle 6.05 per essere alla Stazione Centrale di Milano
alle 8.35. Da qui prendo l'autobus per Milano Linate con una certa
preoccupazione per la eventuale irregolarità degli orari di percorrenza
e soprattutto di arrivo. Sono le
9,35. L'impiegata dell'agenzia viaggi mi ha assicurato che l'orario
limite del check in è alle 11.00. Sono pertanto in anticipo, ma mi
presento lo stesso al banco accettazione per sentirmi dire con
mia grande meraviglia che se fossi arrivato trenta secondi più tardi avrei
perduto l'aereo perchè considerato ritardatario. Infatti, l'orario
limite per la partenza per Amsterdam è fissato per le 10.00 in punto. Perle di sudore mi scendono sulla
fronte per lo scampato pericolo di rimanere a terra. Una
intollerabile leggerezza dell'agente di viaggio valtellinese che ha fatto le
prenotazioni stava per "mandare a monte" l'intera operazione. Arrivo di fretta con il fiatone, ultimo della lista,
all'imbarco vero e proprio pensando al detto che "fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio".
Penso che si tratti di una delle poche verità nel mondo dei
viaggiatori che vivono in un aeroporto tra un check-in e l'altro. Questo increscioso
incidente, credo, lo terrò sempre a mente nei miei prossimi sette viaggi
nella CEE. In aereo il tempo non passa mai. Ho tanta paura
del volo e la sola idea di trovarmi da solo senza un compagno di viaggio sopra le nuvole
e senza il terreno
"sotto i piedi" mi fa sentire male.
Mio padre mi ha sempre detto che il mezzo di trasporto più sicuro è di tipo
terrestre e di diffidare di quelli che si muovono nell'acqua e
nell'aria. Dunque, poca confidenza con navi e aerei e massima fiducia
nei treni. Penso che questo tipo di filosofia potesse andare bene molti
anni fa. Adesso, la tecnologia ha fatto passi da gigante e non
si dovrebbe avere più paura. Bisognerebbe. Ma è difficile non averla. Trascorro le due ore e mezzo di viaggio tra pensieri tragici di incidente aereo
e immagini di disastro con atterraggio impossibile di fortuna su una pista
impraticabile. Penso alla piacevole sensazione di come si viaggia sicuri
e sereni sui treni a lunga percorrenza, magari in vagone letto di notte ma anche
in una comoda cuccetta di uno scompartimento di
2a classe. Quante volte ho viaggiato sicuro e tranquillo sui treni
a lunga percorrenza, di notte in cuccetta, lungo la direttrice Milano Centrale
- Messina e ritorno. Quante volte mi sono sorpreso a pensare come era
bello riposare l'intera notte in cuccetta mentre il treno viaggiava di
notte lungo l'intero percorso dal sud al nord Italia e viceversa. Due sostantivi per
racchiudere tutto il senso di un viaggio in treno: la bellezza delle
ferrovie e la poesia dei treni. Quei fischi del
treno nella notte, il rullio delle ruote metalliche sui binari e le luci dal finestrino di qualche paesino
di notte in cui la
gente dorme hanno sempre procurato nel mio immaginario una sensazione romantica di bellezza
della vita e di grandi aspettative nel futuro. Chi non ricorda il lungo
elenco di romanzi, film, quadri, persino canzoni che hanno come elemento
scenico la ferrovia e i binari in cui il treno è forza simbolica
straordinaria? E poi le
magnifiche sensazioni della "sosta" sul traghetto da Villa S. Giovanni a
Messina, ovvero dalla Calabria alla Sicilia, che collega le due sponde dello
Stretto in grado di coniugare treno e nave, terra e mare,
dinamismo e avventura, velocità e progresso? Non esiste siciliano che non associ al concetto di ritorno, nei
cari luoghi della nascita e della propria fanciullezza, il ricordo del
ruolo che svolge il “ferryboat” nell'immaginario della sua terra natia.
Non si tratta di un semplice collegamento fisico con i luoghi della
propria infanzia. In esso c’è molto di metaforico e il senso di una intera vita
si può dire che si possa racchiudere nelle fortissime sensazioni dell’emigrante che parte
o che ritorna dalla Sicilia, con i profumi intensi del mare dello
Stretto e degli arancini di riso che si mangiano sulla nave. Le immagini
del porto siciliano e delle sue case che si avvicinano sempre di più, o,
nel caso inverso, che si allontanano decisamente verso un orizzonte che
lascia tutti in preda a una straziante nostalgia e solitudine,
costituiscono un elemento inscindibile nel dare “senso” al viaggio di
colui che è costretto ad emigrare che
parte ma non sa quando ritorna, che si allontana ma non sa quando
rientra. Partenza, viaggio, arrivo, lontananza, struggente nostalgia,
desiderio dei cari luoghi vissuti da bambino, immagini e memorie
d'infanzia.
Sono questi i pensieri in cui mi trovo immerso durante il volo quando il
comandante avverte che stiamo atterrando. Fortunatamente non è successo nulla e l'aereo atterra
"piacevolmente" sulla pista dell'aeroporto del luchthaven
Amsterdam Schiphol, posto a sud
ovest della capitale, con i freni tirati e il "piacevole" suono
sviluppato dall'attrito tra ruote e asfalto della pista. Solo adesso posso
affermare di aver fatto un "buon viaggio", allontanando l'idea che ci sarà un bis tra quindici giorni per il
volo di ritorno a Milano Linate. Tuttavia, a questo "intoppo" ci
penserò al momento giusto, fra quindici giorni. Adesso voglio godermi la
vacanza e le
novità. Dopo l'atterraggio
seguo la colonna di passeggeri verso il box del controllo passaporti. All'uscita mi aspetta un
caro amico col quale ho diviso tanti anni della mia infanzia, che
è venuto a prendermi per portarmi a casa sua, dove vive
con la moglie olandese. Entriamo nella stazione ferroviaria
dell'aeroporto Schiphol e aspettiamo il treno per Amsterdam. La
stazione è bella, nuova e pulita. Sembra di essere a una fermata di
qualche nuova fermata di metropolitana. Da una parte e dall'altra del binario ci sono
delle colonne colorate con i classici colori nazionali dell'arancione e
del giallo. Senza ombra di dubbio sento di trovarmi mille miglia lontano
dall'Italia. Lungo il percorso di viaggio dall'aeroporto per
il centro città osservo alcuni sorprendenti e inusuali elementi
architettonici dell spazio circostante. Arrivo a casa, nella centralissima Vijzelgracht 33b, a poche
centinaia di metri dalla trafficata Stadhouderskade e in
posizione intermedia tra il canale Prisengracht e l'altro canale
più esterno Lijnbaansgracht. L'abitazione è una tipica e
tradizionale casa di un paese del nord Europa che dista poche decine di
metri dal museo Van Loon, in Keizersgracht 67 e,
soprattutto, a poche centinaia di metri dal famosissimo Rijksmuseum, sito
in Jan Luijkenstraat 1, al di là del canale Lijnbaansgracht. Si presenta in verticale su due piani, con una mansarda
al terzo e ultimo piano, interamente occupata da un solo grande stanzone,
come lo sono le classiche abitazioni del secolo scorso che si sviluppano
in altezza, in mezzo ad altre case simili a fianco. Queste costruzioni
presentano una facciata importante che dà sulla strada principale, con
ampie vetrate sulle stanze centrali, impilate in verticale l'una
sull'altra con una stretta e ripida scala interna interrotta da un solo
pianerottolo che permette il collegamento tra le camere ai vari piani. |
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All'interno noto un arredamento spartano, ma confortevole.
Spesso le finestre non presentano tendine, forse per la libertà e la
disinibizione della gente del luogo. La
camera degli ospiti è nella mansarda. Il soffitto è il tetto stesso della
casa. Si vedono benissimo le travi che sostengono la parte alta del soffitto
che è molto spiovente. Ci sono due ampi finestroni luminosi, orientati a
ovest dove tramonta il sole, uno dei quali è vicino al mio letto. Esiste
anche una terza finestra laterale, che aiuta a migliorare la qualità
dell'ambiente. Nel centro della
stanza il soffitto è sufficientemente alto, ma vicino alle pareti è
necessario fare un po' di attenzione e camminare abbassati perchè c'è il
pericolo di dare delle testate sul soffitto spiovente. L'atmosfera,
nonostante le tre finestre, è
un po' buia perchè le pareti sono scure ma essendo in estate c'è
luminosità fino a quasi mezzanotte. Non c'è un vero e proprio
arredamento e i quadri con le finestre senza le tende attenuano la
pesantezza dell'oscurità dominante con una luce diffusa considerevole. Ci sono molti
quadri appesi alle pareti. Il mio amico è un artista,
un pittore, che dipinge quadri.
Questa mansarda sarebbe il suo studio. Ecco un quadro che mi ha regatato
qualche anno fa perchè dedicato a me. Mi rappresenta in pieno. |
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Nel suo immaginario artistico mi ha visto
come uno scrittore dell'Ottocento, seduto in una cameretta della Parigi
dai tetti spioventi con il cielo azzurro. Per strana combinazione il
soggetto dipinto mi rappresenta sia come soggetto, sia come luogo,
perchè è stato dipinto proprio in una mansarda come quella che il
padrone di casa mi ha gentilmente offerto come abitazione durante il mio
soggiorno. Il
padrone di casa vive ad Amsterdam da qualche anno con la moglie, ma la
sua città di lavoro è Parigi, zona Montmartre, Rue Chappe. La sistemazione è di mio
gradimento perchè mi permette di avere contemporaneamente libertà e
riservatezza, autonomia e privacy nell'unica stanza all'ultimo piano dell'edificio che è forse
l'unica camera indipendente della casa. In Olanda le finestre non hanno
tapparelle o persiane come in Italia. C'è solo una semplice tenda per finestra che
smorza l'intensità della luce,
ma non la oscura completamente. Nella luterana Amsterdam
e nell'intero paese del nord Europa non esistono le finestre con le serrande come nei paesi latini, dove si
può fare buio totale ed essere sicuri di non essere osservati nelle
proprie "cose". Quasi sempre ci
sono delle tendine merlettate bianche alle finestre che danno un tocco
di eleganza e una sensazione di
pulizia e di raffinatezza. Al contrario in Italia, soprattutto al sud,
si nota un certo modo trasandato di non curare i dettagli degli esterni
delle abitazioni, come se ciò che conta non è l'immagine della casa vista
dall'esterno nella sua interezza ma solo
ciò che sta dentro: il resto è ininfluente. Il risultato è che si
vedono, in maniera inelegante, una di seguito all'altra, case con i muri
esterni incompleti, disordinati, con le pareti scrostate, incompiute,
appena abbozzate, che danno una brutta impressione di degrado e
trascuratezza. Questa concezione mi ha
sempre colpito in negativo per il modo sciatto e inelegante del sud in
contrapposizione a un nord più attento. Prendiamo per esempio
tutte le regioni alpine, dove la cura per il dettaglio della casa e,
soprattutto, degli esterni è
addirittura ossessiva e maniacale. Tendine e merletti alle finestre, vasi di fiori
con gerani dai colori mozzafiato presenti nei balconi o sporgenti
dalle finestre, pareti esterne delle case che
hanno avuto più attenzione e cure delle stanze interne, sono la norma. "Paese
che vai, usanze che trovi" recita un vecchio proverbio. Ed è vero.
Ricevo dai padroni di casa una copia della chiave del portoncino
d'ingresso della casa e sono subito in strada a gustare la grossa novità
dei 52° 21' di latitudine nord e 4° 52' di longitudine est. Siamo
veramente in alta Europa, lontani dai 41° 53’ 24″ N gradi di latitudine
nord di Roma. Lo stesso dicasi per la longitudine. Rispetto ai 12° 29’
32″ E di Roma qui ci troviamo spostati verso ovest sul meridiano di
quasi otto gradi, che sono tanti. Lo dimostra il fatto che la zona
oraria è spostata di un'ora. In pratica fa buio con un'ora di ritardo.
Note tecniche che sono piccoli dettagli in relazione alle sensazioni
piacevoli che provo nell'osservare le strade, le case, il traffico e, qui vicino, un
canale. Certo a Venezia è tutta un'altra cosa. E' vero. Per un italiano
Venezia non è solo una città nella laguna nel Veneto e i canali non sono
solo vie d'acqua. C'è tutto un immaginario collettivo, romantico,
storico, linguistico, teatrale, socio-culturale che ruota sulla Venezia antica e
la sua storia che condiziona e porta alla sua unicità. In verità
dovremmo uscire da questo modo stereotipato sbagliato di vedere le cose perchè per
esempio anche Amsterdam non scherza come bellezze architettoniche
associate alle vie d'acqua. Il viaggiare è anche questo. Vedere cose che
immaginavamo non potessero esistere, prendere atto della bellezza e
della varietà del mondo che ci dovrebbe portare a una più adeguata e
corretta relazione con la realtà che ci circonda e gli altri esseri umani. Le strade sono
pulite e mi colpisce l'ordine delle cose. E poi le scritte delle insegne
che vedo per la prima volta nella mia vita di persona sono piacevoli
ancorché oscure nel loro significato semantico. Vedo molte finestre con i fiori e
le tendine che ho descritto prima proprio come nella cittadina lombarda
nella quale vivo e lavoro. Ci sono molti ciclisti per strada. Non sono
abituato e devo fare attenzione perchè so che è vietato camminare lungo
le piste ciclabili e le bici hanno la precedenza assoluta su tutti i
mezzi di trasporto possibili e immaginabili. In Italia il tema delle
piste ciclabili è praticamente uno sconosciuto perchè non ne ho mai
viste in nessuna città. La gente è vestita in modo
pratico e sportiva. Non vedo persone eleganti in strada segno che siamo
nel vero centro di un paese luterano che bada all'essenziale e alla
praticità della vita. Nel sud Italia si vedono molte
persone eleganti in strada a bighellonare, che non lavorano e fanno i
fannulloni. Qui invece si ribaltano i ruoli. La gente passa veloce e non
ti guarda. In pratica son escluso da qualunque interesse. Eccellente
prospettiva di vita ed esemplare modo di rispettare le persone e
la privacy. Faccio una passeggiata veloce perchè ho fretta di
andare in un supermercato per vedere com'è nella realtà e quali
differenze possono esserci con uno analogo italiano. In verità non devo
comprare nulla perchè questa sera sono invitato a cena dal padroni di
casa e nei prossimi giorni sarò impegnato fuori casa a fare visite per
vie e musei e penso che farò conoscenza di pasti cucinati da qualche ristorante indigeno.
Mi muovo nella Vijzelgracht verso il centro e al primo incrocio
giro a destra lungo la Prinsengracht che costeggia il canale
omonimo. Come questa, ad Amsterdam, ci sono
centinaia di strade che costeggiano i canali. Mi colpisce l'enorme
quantità di barche più o meno piccole che sono ancorate nel
canale. E' come se fossero delle auto posteggiate lungo la strada. Solo
che invece di essere posteggiate sull'asfalto o su una carreggiata di
pietre di porfido, adagiate come in un mosaico, sono legate a un anello
lungo il canale. Una vera e assoluta novità per i miei occhi. Bella e originale. Non
avevo mai visto una cosa del genere in vita mia. E poi i colori. Colori
vivaci e stranissimi delle facciate delle case introvabili in Italia, ognuna per se, che vanno
dal giallo senape all'indaco, dall'arancione al lilla. E poi vetrate
di tutti i tipi con o senza tendine e, all'entrata, tante, tante scalette
di pietra con mini-balaustra personalizzata e lampioncini variegati
a produrre la sera fasci di luce originali. E un numero impressionante di biciclette posteggiate sul
ciglio della strada. Una vera oasi di ordinatissimo modo di vivere. Un
universo di piccole differenze che fa piacere osservare. Ritorno
nella Vijzelgracht e trovo un supermercato. Entro per vedere
com'è. Sono proprio curioso di vedere se segue il modello italiano.
Ordinato e completo in tutte le aree. Mi incuriosisce la zona
alimentare. Vedo il reparto ortofrutticolo completo di verdure e frutta
di vario tipo. Ci sono delle banane e decido di prenderne due per
mangiarle subito. Ma qui viene il bello, perchè non c'è alcun operatore
ad aiutare i clienti. La cosa mi sembra strana. In Italia l'area è
presidiata da un impiegato padrone della scenna che pesa e impacchetta. Decido di seguire,
senza essere osservato, una signora per vedere come fa. Tutti i clienti
sembrano muoversi a loro agio. Prendono un sacchetto di plastica e si
mettono un guanto. Poi vanno a una bilancia digitando qualcosa che non
capisco e ottengono uno scontrino da appiccicare al sacchetto. La lingua
complica maledettamente le cose. Non riesco a capire il senso di tutto
ciò. Non ho mai visto nulla di simile in un supermercato italiano.
Desisto. E' troppo complicato. Mangerò un po' di frutta a casa.
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Secondo giorno. |
Chiariamo subito che
Amsterdam ha una pluralità di mezzi di trasporto variegata e completa da
fare invidia a tutte le capitali del mondo. Tuttavia è necessario
chiarire che a mio parere il tram è il mezzo
migliore e più pratico per spostarsi in città. Ci sono molte linee tramviarie per la città e buona parte di esse hanno
come capolinea la
Station Centraal
chiamata
Amsterdam Centraal,
ovvero la stazione centrale. Fanno un percorso radiale, nel
senso che si diramano come raggi da un centro, simili a una ruota di
bicicletta, in tre direzioni: sud, est e ovest. A nord non è possibile perchè c'è il
porto che si apre sul
IJ-Buurtveer, ma volendo si possono prendere i vaporetti, come a Venezia per
andare ad
Amsterdam Noord. Visto che io non sono
abituato a noleggiare biciclette come "mezzo di trasporto" vero e
proprio e che non ho abitudine a prendere i taxi, la scelta si riduce a
treni, autobus, metro e tram. I treni, lo dico subito, non sono come
nella vicina Copenhagen dove praticamente sostituiscono la metro. Qui ad
Amsterdam tranne la stazione centrale non ci sono altre fermate in città
e poi costano tantissimo. Sono puntuali ma molto cari. Sarà un vero salasso spostarsi nei prossimi
giorni tra Amsterdam e le città olandesi, per vedere musei e gallerie d'arte. Gli
autobus sono poco pratici, perchè spesso sono costretti a fare giri
strani che disorientano e che portano fuori dalle direttrici turistiche. La metro poi
non so dove sia. Pertanto, il tram è d'obbligo ed è il primo mezzo che prendo per
fare il mio primo viaggio in città. E subito ho avuto il primo
"incidente" di percorso che ricorderò per la stranezza dell'evento
e per l'incontrollata dinamica.
Sul tram, vicino a me, dopo qualche
fermata sale un non vedente, accompagnato da un cane. Improvvisamente il
cane si mette ad abbaiare e morde il polpaccio di un signore che si
trova vicino a me. Panico per l'accaduto. Avrebbe
potuto morsicare me. Il tram si ferma e dopo
alcuni momenti di imbarazzo, su suggerimento del conducente, decido di
collaborare e accompagnare il signore che è stato morso, peraltro
straniero anche lui, all'ospedale più vicino chiamato
Juliana Ziekenhuis, un ospedale intitolato alla Regina Giuliana. Ma
l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e mi succede
un fatto inverosimile, e cioè che quando siamo arrivati al pronto soccorso
dell'ospedale abbiamo visto degli operai ch3e si muovevano alacremente
perchè stavano effettuando, incredibile ma vero, il trasloco
dell'ospedale con spostamenti di documenti, mobili e suppellettili sui camion
di una ditta di trasporti. Non
potendo lasciare solo l'«azzannato» ho dovuto darmi da fare per prendere
informazioni dove accompagnare lo sfortunato signore nel nuovo ospedale.
Tra richieste di informazioni e spostamenti vari siamo arrivati al
pronto soccorso dopo più di un'ora. E rivoluzione nei tempi del
programma della mattinata che prevedeva la visita al Rijksmuseum
con una piacevole passeggiata li vicino centro con tappa all'American Cafè
per un leggero spuntino di mezzogiorno. Pazienza; lo farò un altro
giorno. Così dopo un po' sono andato a mangiare in
un locale ebraico alcune pietanze speciali secondo il
pasto
Kosher. Sembra
che il cibo di origine animale come la carne sia permesso solo se
proveniente da animali cosiddetti
puri. Non ci interessa qui approfondire la questione perchè è molto
complicata. Sta di fatto che la macellazione prevede particolari
restrizioni e la pietanza che in questo locale ho mangiato si chiama shawarma, comunemente
preparata con carne di pecora. All'uscita entro in un piccolo pub, non so come
si chiamino in olandese questi locali, e vedo gli avventori rigorosamente impiedi
che bevevano come spugne birra Amstel. Ho trascorso una piacevole
oretta osservando la gente e ascoltandola parlare. |
Terzo giorno.
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Oggi voglio scuotermi di dosso l'abito del
turista vacanziero e distratto e dedicarmi a una visita
culturalmente e psicologicamente impegnativa e nello stesso tempo differente dalle altre.
Ho bisogno però di assumere un atteggiamento di sobrietà perché
l'evento lo pretende. La visita l'ho programmata da tempo. Oggi
realizzerò questo mio desiderio. Sono in procinto di andare a visitare la casa che
fu di Anna Frank (in tedesco il nome Anna muta in Anne) la sfortunata ragazza ebrea,
autrice del celebre diario "Het Achterhuis" (tradotto in senso
letterale significa 'il retro della casa'), pubblicato ad Amsterdam nel
1947 dal padre Otto Frank, unico superstite della famiglia.
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Anna Frank fu la ragazzina che rimase
nascosta insieme alla sua famiglia per ben due anni, dal luglio 1942
all'agosto del 1944, nella parte alta sul retro della casa che abitava ad
Amsterdam, all’ultimo piano. Purtroppo fu scoperta, insieme agli
altri dalla polizia tedesca, arrestata e deportata nel campo di
concentramento di
Bergen-Belsen dove morì nel 1945, poco prima della liberazione
americana dell'Europa dal nazismo. La sua casa è oggi diventata un museo
e io ho deciso, ripeto, da tempo di effettuare questa visita perché voglio
lasciare una traccia concreta nella mia memoria di quanto la cattiveria
umana possa aver prodotta una ignominia del genere. La casa-museo si trova
nella parte ovest di Amsterdam, a
Binnenstad,
in Prisengracht 263, lungo il canale che si trova dalla
parte opposta della mia abitazione ad Amsterdam. In verità non è distante da
dove abito e si può benissimo fare a piedi come sto facendo in questo
momento. Prima però
un’avvertenza. Ho letto qualche anno fa il libro di Anna dal titolo
italiano
Diario, per i tipi di Einaudi e credo che si tratti di un libro
splendido. Anzi, è qualcosa di più di un libro.
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Se non fosse perché non mi sono mai piaciute
le iperboli oserei dire che è una specie di "Bibbia dei buoni
sentimenti", un libro speciale che tutti da giovani dovrebbero leggere
per conoscere e non dimenticare mai la sua storia, il suo esempio. In genere mi succede spesso che i libri più interessanti
presentano alcune delle pagine più belle o all’inizio o alla fine. Nel caso del
Diario di Anna Frank, a mio giudizio, le ultime pagine sono un capolavoro di
narrativa. Le ha scritte il 1° agosto 1944, tre giorni prima che venisse
arrestata dalla polizia tedesca e due mesi prima che finisse la guerra. Parla delle due Anne che
convivono dentro di lei, una buona, l’altra sgradevole e meno buona. Sono
righe di alta liricità che manifestano un cuore e un’anima di una
purezza straordinaria che solo una ragazza come lei avrebbe potuto mostrare. Sono
convinto che sarà dura vedere nel museo tutto ciò che mi ricorderà il
suo Diario. Mi aspetto di vedere confermate, e sicuramente amplificate, le sensazioni che ho provato nel leggere il libro. Mi
ricordo che nella prefazione dell'edizione italiana, Natalia Ginzburg definì il libro “un
giornale di bordo di questa nave immobile nel centro di Amsterdam,
che naufraga lentamente senza saperlo”. Eccellente ma inquietante
definizione. Sono circa le 11 quando arrivo in Prisengracht
263. Trovo poche persone che visitano come me la casa-museo. Il luogo
sembra anonimo. Non sembra neanche che lì ci sia un museo così
importante. Le case vicine a quella che fu della famiglia Frank
sono, al solito, tutte slanciate in verticale, con finestre a
ripetizione, e sembrano tutte le stesse. All'occhio esperto di chi ci
vive questa mia osservazione sembrerà banale e anche inadeguata. Ma a
me, abituato a tutt'altra architettura cittadina com'è quella siciliana,
sembrano uguali. Nel grigio del contesto
architettonico le case sono tutte a tre piani, con facciate scure e con
lievi differenze nelle finestre. Al cospetto dell'entrata sono un po’ emozionato. Pago il biglietto e salgo le scale,
ardue e inclinate come al solito. Avendo letto il
libro mi sono formato nella mente una immagine della casa che in un
certo qual senso combacia con la realtà che osservo direttamente. Certo,
vedere con i miei occhi il mondo segreto dell’autrice del Diario
mi fa rabbrividire. Mi colpiscono gli ambienti angusti che incontro: il
corridoio, le dimensioni delle porte, le scale ripide (ma questo lo
sapevo già perché è lo stesso nella casa che abito), il forte odore del
legno che circonda tutto l’interno, la libreria e l’ingresso del rifugio
nascosto. Il panorama della casa è desolante. Tutto ciò che si vede ha
l'aria di abbandono, di vecchio, di inutile. E' come se il tempo si
fosse fermato per sempre. Le poche cose presenti sono
di una semplicità che sembrano messe là apposta. Probabilmente, ciò che
vedo non è l’originale ma non c’è molto da vedere. Ci sono alcune
locandine che informano il visitatore. Nessuna in lingua italiana. Cerco
di comprendere il significato in quelle scritte in inglese. Se ci si
concentra un po’ è possibile fare una specie di viaggio nel tempo, a
ritroso, e immaginare come doveva essere a quel tempo l’ambiente. C’è la
scaletta che porta in soffitta e anche qui l’ambiente fa pensare alle
ristrettezze di tutti i tipi. Terribile. Povera fanciulla che giornate
ha dovuto trascorrere in questo luogo inospitale. La frase mi sembra retorica. Non si tratta del
semplice fatto che per qualche giorno si vive male. Qui si tratta di
venticinque mesi vissuti in modo tremendo e angosciante. Altro che. Mi
viene voglia di andare via, di non guardare più nulla, di fuggire e
dimenticare. Ma non si può. Nel frattempo sono arrivati alcuni
visitatori. Devono essere tedeschi. Guardano insieme a me gli ambienti
angusti. Non dicono una sola parola. Guardano e basta. A voler essere
attenti al significato che svolge oggi la figura di Anna Frank potremmo
dire che quel mattino del 4 agosto 1944 è il momento preciso in cui il
dittatore Adolf Hitler viene sconfitto prima che dai cannoni (di russi e
americani) dalla leggera penna di una giovane ebrea dal nome Anna. Non
sembra vero ma la sensazione che provo a immaginare questa piccola
verità è che questo pensiero non mi basta. Immaginare una adolescente
che è costretta a vivere nascondendo tutto mi sembra una tortura più
grave di quella della sua morte. Esco dal museo
con un brutto stato d’animo. Mi sento giù. Percorro a piedi poche
vie, la Westermarkt e la Raadhuisstraat. Non ho intenzione di rientrare a casa. Il tram può aspettare. Dopo le
cose tremende che ho visto sento il bisogno di vedere altro. Mi devo
distendere. Mi dirigo verso la Centraal Station. Forse andando là potrò
cambiare umore. In fondo alla Raadhuisstraat c'è la piazza del Duomo di
Amsterdam. Forse qui posso svagarmi un po', mi dico. La piazza davanti
al Palazzo Reale si chiama Dam come il suffisso di Amsterdam. Penso all'origine
del nome. Probabilmente sarà l'unione dei nomi del fiume "Amstel" e della
piazza o diga "Dam". Ma così dovrebbe fare "Amsteldam", alla cinese. Mi ricordo
sempre che i cinesi non sanno pronunciare la erre e la
sostituiscono con una buffa e comica elle. Probabilmente si tratta di una
piazza particolare che anticamente era vicinissima al fiume Amstel o a
qualche diga che proteggeva l'abitato. Ma
quale piazza o diga e in quale parte del fiume non lo so. Piano piano arrivo
alle spalle del Dam dove in via Rokin vicino al Centro Diamanti
(Amsterdam Diamond Center), c'è un'agenzia turistica che funge anche da ufficio informazione più vicino da
casa mia. Chiedo una mappa tascabile con la quale posso vedere meglio la
pianta della città. La mia guida è avara di piantine adeguate. Alla fine della via Rokin c'è un piccolo
portico che sbuca direttamente nella Dam. Che spettacolo. Trovo
davanti a me a poche decine di metri la stele bianca dell'obelisco che
rappresenta il Monumento della Liberazione, tale e quale
come se fossimo a Londra a Trafalgar Square vicino alla colonna
di Nelson. Qui siamo nel cuore della
città. Questo obelisco monolitico commemorativo è circondato alla base
da un muro semicircolare e il suo colore chiaro
mi ricordano i monumenti in travertino di stampo fascista a Roma.
L'unica differenza è che questo ha la punta arrotondata mentre a Roma
sono tutti appuntiti a forma piramidale. Sul lato sinistro della piazza
c'è il Palazzo Reale e alla sua sinistra nell'angolo, c'è la Nieuwe Kerk.
Che strana sensazione provo nell'osservare la piazza. Non la trovo per
niente familiare. Non assomiglia a nessuna di quelle conosciute di
Parigi, Londra, Madrid, Vienna, etc. La visione è molto bella ma la
sento estranea. E' un peccato perchè ci sono tutti gli ingredienti per
essere gradevole. Il fatto è che è maledettamente difficile vedere
questa piazza nei servizi televisivi, cinematografici e anche nei
periodici settimanali. Pertanto diventa estranea a che la vede per la
prima volta. Il provincialismo italiano qui mostra uno dei lati peggiori
del suo modo di essere. Manifesta una visione parziale e riduttiva
dell'intera Europa che invece di diffonderla tutta e farne conoscere le
bellezze di tutte le capitali fa vedere solo Parigi e Londra. Tutto il
resto rimane escluso. Una folle corsa all'auto esclusione dalle belle
cose europee. Pessima Rai e giornalisti limitati e interessati alle sole
cose del proprio cortile. Dalla piazza prendo la Damrak che mi porta a nord
est verso il porto dove si trova lo scalo ferroviario centrale. La
Damrak è una strada abbastanza lunga e importante da permettere di
poter osservare tanti dettagli interessanti della città. Dagli elementi
architettonici alla miscela di sexy shop e trappole per turisti
distribuiti in questo quartiere a luci rosse, tranquillo di giorno e
animato la notte;
dalle insegne accattivanti ai negozi di abbigliamento. Tutte cose piacevoli da
vedere. Tanto piacevoli da avere la curiosità di vederci meglio. Davanti
a un locale con delle vetrine attraverso il vetro vedo una donnina che
mi fa cenno di avvicinarmi. Incuriosito mi avvicino per vedere meglio e
osservo una scena da teatro dell'assurdo. Una donna di circa trent'anni
in abiti succinti mi dice in inglese che desidera parlarmi e nel
frattempo si mostra nella sua nudità tra un fare cinematografico di
attrice ingenua e un modo di essere professionista di attrazioni
erotiche. Con voce suadente e ostentata mi chiede di entrare da lei
dalla porticina accanto. Fiuto il tentativo di esca e invece di entrare
scappo via, preoccupato di avere superato il limite della gratuita
visione. Se queste sono le famose donnine nude di Amsterdam e di
Amburgo, dico tra me, finora non ho perso nulla vivendo nella bigotta e
clericale Italia. E il pensiero vola a quando da ragazzo che era andato
a studiare in città riuscivo ad entrare nei cinema, con la complicità di
un gruppo di compagni di qualche anno più grandi di me e la
accondiscendenza del cassiere e della maschera del locale, per vedere un
film trasgressivo "vietato ai minori" di anni 14. Fu li che vidi, tra lo
stupore, i film di Bergman e la serie dei documentari che svelavano il
mondo del sesso e quello dietro le vetrine come qui ad Amsterdam. "Mondo
cane", "Europa di notte", "Mondo di notte", etc., sono stati i primi
tentativi di rappresentare la trasgressione, il sesso e l'erotismo
attraverso una macchina cinematografica. E adesso io mi trovavo davanti a
quel mondo che con tanta timidezza avevo scoperto durante la mia adolescenza.
E' il grande gioco della vita. Nel frattempo arrivo alla Stationsplein (piazza
della stazione) superando l'ultimo canale prima della piazza. Al di là
dell'imponente edificio c'è la parte nord di Amsterdam con il suo
veneziano CanalGrande, chiamato IJ-Buurtveer, che a
sinistra porta direttamente nel Mare del Nord, mentre a destra si va nel
Markermeer, il grande lago confinante verso nord con l'altro lago
IJsselmeer prodotto da uno sbarramento di dighe con il Mare del Nord. Sul
lato destro della stazione centrale vedo Sint Nicolaaskerk, la
bella chiesa di S. Nicola con la sua oblunga cupola e i due torrioni
centrali. La stazione è un magnifico edificio, ben
curato nella sua architettura che sembra essere sprecato come frontale
principale di una stazione ferroviaria, almeno nell'accezione che si dà
in Italia di un luogo da frequentare velocemente sia in entrata, sia in
uscita e subito dopo scappare via. Anni e anni di degrado delle stazioni
ferroviarie in Italia ci hanno abituato purtroppo a considerare questi
luoghi, un tempo prestigiosi, come luogo di sbandati e di barboni.
Dunque, pochi soldi da investire negli edifici che li ospitano e zero
investimenti per abbellimenti vari. Un errore colossale. Qui ad
Amsterdam tutto è diverso e la bella e fine facciata dai colori vivaci
lo dimostra. Troppo bello per essere una
semplice entrata di una stazione dei treni. In Italia, tranne il
bell'edificio della stazione centrale di Milano, è difficile trovare un
palazzo così bello. Non parliamo poi di Roma Termini che sembra essere
più una specie di capannone gigante con all'interno dei suq che un palazzo così ben curato e dai
tratti artistici ed architettonici piacevolissimi come è la Centraal
Station di Amsterdam. Non sembra neanche di entrare in una stazione
ferroviaria. Da qualche parte ho letto che la Centraal Station è
stata costruita dall'architetto olandese Petrus Josephus Hubertus
Cuypers che ha costruito pensate il Rijksmuseum e alcune delle
più belle chiese cattoliche presenti nella città del fiume Amstel.
Lo stile è quello del Rinascimento olandese classico, monumentale, in
cui predomina la cura del particolare. Compaiono ben quattro orologi
stilizzati: due frontali e due laterali. Particolare curioso non
mostrano la stessa ora. All'interno i binari sono come a Milano
Centrale, distribuiti su tre padiglioni di dimensioni differenti. Visto che ci siamo parliamo del nome: Centraal Station.
Il nome «Station» è chiaro nella sua semplice e comprensibile morfologia, con una
forma ortografica molto vicina all'italiano «Stazione». Sull'aggettivo
qualificativo
Centraal avrei qualcosa da dire. Se fosse stato "Central" nulla da
eccepire. Il raddoppio della vocale "a" dà l'idea di un termine tedesco,
molto teutonico, un po' lontano dalle mie esperienze di latino
mediterraneo. Penso alla varietà delle lingue europee. Ci sarebbe da
rompersi il capo dalla difficoltà di comunicazione che esiste tra
tutti questi popoli. Eppure a me sembra che è proprio la varietà il sale
dell'Europa. Dove lo trovi un continente così unito sotto il profilo
culturale, artistico, musicale ma molto diverso nell'architettura, nella
lingua, nel clima e, perchè no, nell'arte culinaria? Certo per un
italiano mangiare ad Amsterdam è una vera sofferenza. Ma non si può
avere tutto nella vita. La stazione dei treni è sempre stata per me
un luogo familiare e amico. Ho sempre trovato piacevole l'ambiente delle
stazioni ferroviarie. Si trovano sempre cose interessanti. Edicole
specializzate in stampe difficilmente rintracciabili altrove, come per
esempio la stampa straniera; tabaccai che espongono pipe e tabacchi
esotici; bar e rosticcerie che offrono a poco prezzo pietanze culinarie
gustose e originali; gabinetti pubblici per i bisogni fisiologici; negozietti vari
che hanno cose introvabili; e poi sale di aspetto, librerie e la
grande sala centrale che porta ai binari di testa, dove si trova il
grande tabellone degli orari delle partenze e degli arrivi. E gli
annunci al microfono. "E' in partenza al binario 4 il treno per .... ".
Quando ero studente alla scuola superiore rimanevo ore ad ascoltare gli
annunci. E nel frattempo che il tabellone cambiava le righe
delle caratteristiche di un treno - con il classico fruscio delle
etichette di plastica, con le scritte in bianco su sfondo nero, che
ruotavano una dopo l'altra velocemente modificando il numero, l'ora, la destinazione e
il binario - mi affascinava l'improvviso
fischio del treno che dava senso alla presenza fisica di tanta gente in
quel luogo memorabile che è la stazione ferroviaria. E poi i viaggiatori
in arrivo che velocemente camminavano verso l'uscita con o senza valige. Li vedi
muoversi, sicuri di se, sottraendosi allo sguardo curioso di chi li
osserva per balzare sul primo autobus, tram o taxi fermo
che li sta aspettando. Bello. Ho sempre visto con interesse, e al tempo
stesso con tranquillità, la vita di una stazione. La stessa presenza
delle forze dell'ordine dava ai frequentatori sicurezza e serenità. Affascinante. Avevo
completamente dimenticato le brutte sensazioni provate nel museo di Anna
Frank e adesso mi sento bene. Entro nella stazione e mi guardo intorno. Nei
prossimi giorni ho deciso di prendere il treno per andare a Leiden e a Utrecht per vedere alcuni musei scientifici che mi
interessano molto per motivi di lavoro. E visto che non parlavo una sola
parola di olandese ho in mente di vedere da vicino come mi dovrò comportare al cospetto dell'impiegato allo sportello per acquistare i
biglietti. Mi metto in fila alla biglietteria e cerco di ascoltare bene cosa
dicono i viaggiatori allo sportello. Dopo una breve fila un signore
straniero chiede in inglese di acquistare "one ticket for....".
Benissimo mi dissi, anch'io lo chiederò in inglese. Stranamente ero
talmente immerso nella realtà locale che non avevo pensato ad esprimermi
in inglese. Tutto bene, mi dissi, tranne il fatto non marginale che i prezzi degli spostamenti in treno
sono veramente considerevoli. |
Quarto giorno. Oggi visiterò
il Museo Nazionale. E' forse la visita culturale più
importante per chi desidera conoscere qualcosa di arte e pittura olandese. Il Rijksmuseum, è il più noto e
importante museo dell'intera Olanda. Vale la pena essere sottoposti al salasso
finanziario dovuto al
prezzo del biglietto. Sono al corrente di alcune opere famose esposte in
questo museo, come «La ronda di notte" e «La lezione di anatomia» di Rembrandt; l'«Autoritratto» di van Gogh, la
«Ragazza
con l'orecchino di perla» e la «Donna che versa il latte »di Vermeer.
Sono qui per vedere anche il resto. La mia curiosità è forte.
Infatti le emozioni che provo nel visitare le sale del museo sono
intensissime. Ma la vista del quadro di Rembrandt che più suscita in me
attenzione e pathos è "La ronda", in olandese
De Nachtwacht.
Su Rembrandt e la sua straordinaria opera che ho davanti a me posso
solamente dire che "fa fermare gli orologi". Questo quadro fa venire la pelle d'oca a
osservarlo con attenzione. Il sottotitolo è La compagnia del Capitano
Frans Banning Cocq. Quei bagliori di luce sulle figure del
Luogotenente e della ragazza, il rosso della fascia del Capitano e tanti
altri tratti esaltano e sublimano questa opera. C'è veramente da
rimanere stupiti dal genio rembrandtiano. Un po' meno
con Vermeer e van Gogh. "Nella lussuria, fa' attenzione" di Jan Steen
c'è di tutto. "Cristo nella tempesta sul mare di Galilea" del van Rijn
colpisce e impressiona. Tre ore al Museo nazionale di Amsterdam non sono
molte ma non sono neanche poche. Esco disorientato, contento, pieno di
ricordi e assolutamente soddisfatto per le sensazioni che
ho provato davanti a quei capolavori. E io che credevo che solo l'Italia
potesse vantare grandi musei con grandi opere. Devo assolutamente ricredermi su questa questione di complesso di superiorità sbagliato
degli italiani e passare decisamente all'idea "della complementarità". Ovvero, che l'Europa
tutta contribuisce a valorizzare l'arte, le lettere, la scienza e
la cultura. Da oggi non sarò più italocentrico, ma eurocentrico. I miei
sensi mi hanno dimostrato che conoscere è spesso sinonimo di rivedere
pregiudizi duri a morire. |
Quinto giorno. Piove, il cielo è
coperto e fa freddo. Meno male che ho portato un impermeabile. Ma non
basta. Nonostante siamo a luglio inoltrato sembra di essere in inverno.
Stesso clima, stessa atmosfera grigia. E poi la pioggia è sempre lì ad
aspettarti, battente, implacabile e fredda. Il mio abbigliamento non è
adeguato al clima che ho trovato. Non avrei mai creduto che nel mese di luglio potesse fare
freddo fino a tal punto. Sotto l'impermeabile ho un maglioncino di
cotone, la camicia con le maniche lunghe e una maglietta, sempre di
cotone. Sono insufficienti e mi sento impotente a risolvere questo
rebus. Se continua così dovrò entrare in un grande magazzino e
rifare il guardaroba. Tuttavia, il mio portafoglio non è gonfio come
quello dei mercanti olandesi e, quindi, devo andarci con i piedi di
piombo nelle spese. E poi devo ancora vivere altri dieci giorni e i fiorini nel
cambio con la lira sono sempre in quantità inadeguata e vengono divorati
da un sistema economico molto più ricco di quello italiano. L'alternativa è
di chiedere in prestito al mio amico una sua giacca invernale per
proteggermi nelle successive giornate di visita alla città. In ogni caso
oggi devo fare la gita sui canali in vaporetto. Parto in tram
per il porto, alle spalle della Station Centraal. Ormai mi sono
abituato al segni della lingua nederlandese e le doppie vocali
non mi fanno più impressione. Nella tarda mattinata mi metto in moto e mi presento alla
biglietteria dove c'è una coda di turisti che hanno avuto la mia stessa
idea. Sono tutti vestiti pesanti, i furbacchioni. Si vede che io sono il solo ingenuo nell'abbigliamento. Mi seggo vicino al finestrino del
vaporetto e trascorro un'ora e un quarto per i canali a vedere palazzi e
ascoltare con la cuffia le spiegazioni di ciò che si vede. |
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Peccato
che il selettore delle lingue prevede ben sei lingue diverse
(olandese, inglese, francese, tedesco, spagnolo, svedese) tranne
l'italiano. Ci rimango male e, soprattutto, non capisco bene tutta
la spiegazione. Nessuno se ne accorge. Prima ci addentriamo nella città vecchia e
successivamente facciamo la visita del porto. Sono veramente
sorpreso di quanti canali abbia Amsterdam. E' una cosa
inaspettata. Sapevo che Amsterdam avesse dei canali ma francamente
tanti, e così belli, è per me una novità assoluta. Mi convinco
sempre di più sulla inadeguatezza dei pregiudizi e sui luoghi
comuni. Fino a questa mattina ero dell'opinione che Venezia fosse
insuperabile. Continuo a crederlo tuttora ma non più in
tutto. Almeno per i canali ho la consapevolezza che Venezia abbia perduto
il monopolio. Fermo restando che i canali veneziani sono più belli
ma meno numerosi. A lato c'è una mia foto che mi ritrae mentre sto
entrando nel vaporetto per la classica gita turistica. Ho
l'impermeabile, l'ombrello tascabile e la guida del Touring Club
Italiano sotto braccio. Non mi sono accorto del fotografo che mi ha
"immortalato", il quale ha scattato la foto a mia insaputa. Adesso
che a conclusione della gita sono sceso dal vaporetto mi individua subito e mi dà la foto
dicendomi che si accontenta di qualunque cifra. Vuol dire che
durante l'escursione è andato in qualche laboratorio fotografico qui vicino ed ha sviluppato la foto. A
disagio per l'imbarazzante situazione, l'ho pagato con alcuni
fiorini e ho ritirato la foto. Di tutto il viaggio mi è rimasta solo
questa immagine che certifica la mia presenza sul bel suolo della
capitale de iPaesi Bassi. |
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Sesto giorno. Viaggio a Leida. Oggi vado a
Leida,
nella parte meridionale dell'Olanda. Leiden (o Leyden) in lingua
olandese non è distante da Amsterdam.
Se si divide grosso modo in cinque parti il percorso ferroviario Amsterdam-Rotterdam,
ebbene Leida è a tre quinti e Den Haag (cioè l'Aia) a quattro quinti della distanza,
mentre la città più vicina è Haarlem a poco più di un quinto della distanza
totale, che è di circa 85 km.
Tutte queste città si trovano approssimativamente lungo la direttrice nord-sud
che costeggia il Mare del Nord. Utrecht, invece, è verso l'interno del
paese, a sud-est. L'ipotetica retta che unisce Amsterdam a Utrecht passerebbe a
metà tra le due capitali del Belgio (Bruxelles) e della RFT (Bonn) per
toccare, più a sud, prima Liegi e successivamente Città del Lussemburgo. Queste, in sintesi, sono tutte le mie conoscenze
geografiche pregresse e attuali del paese dei tulipani, che mi stanno aiutando a sapermi orientare in questo magnifico
paese.
E' mattina presto quando
prendo il tram per Amsterdam Centraal. Devo fare il biglietto di andata
e ritorno allo sportello della stazione. Viste le mie difficoltà linguistiche nel
comunicare con gli indigeni ho un po' di ansia. Mi presento all'impiegato
dietro il vetro e in un emozionato inglese
dico che desidero comprare un biglietto di andata e ritorno. Contrariamente alle mie
aspettative tutto fila liscio come l'olio, tranne il prezzo del biglietto
che trovo essere esagerato, almeno relativamente ai prezzi che le ff.ss.
italiane propongono in Italia. Non ho il tempo di fare il conto preciso da fiorini a lire che
sono nel treno a saggiare la qualità del trasporto su binario delle ferrovie olandesi. Il
treno parte in
perfetto orario e dopo un po' vedo dal finestrino il
classico paesaggio olandese, con qualche mulino a vento a ridosso di una
fattoria. A me piace viaggiare in treno, mentre non posso soffrire i
viaggi in autobus. Su questo tipo di trasporto potrei scrivere un intero
romanzo di cose negative e ogni volta che debbo prendere questo mezzo di
locomozione provo nausea. E poi l'autobus mi fa soffrire di cinetosi e
di claustrofobia, perché non ci sono gli spazi adeguati che invece sono
presenti nel treno. Non parliamo poi dell'aria inquinata e puzzolente
dei gas di scarico prodotti dal motore dell'autobus: semplicemente
insopportabile. Nei treni, invece, l'aria è pulitissima perché i treni
di oggi sono elettrici e, pertanto, non puzzano né inquinano.
Sull'autobus, altresì, non si può camminare, né andare in bagno, né
girarsi con facilità nel sedile, né avere spazio tra se stessi e il passeggero
seduto accanto. Insomma, si viaggia scomodi. In treno è tutta un'altra
cosa. Si entra e si esce dallo scompartimento, si passeggia lungo il
corridoio della carrozza ferroviaria, si vede tutto il panorama che
scorre davanti agli occhi attraverso i comodi e pratici finestrini, si
vede il paesaggio circostante con un'ampia visione che sfiora i 180°,
non viene mai il "mal di movimento” tipico dei viaggi in 'autobus e,
dulcis in fundo, è il mezzo più sicuro. Vi pare poco? Viaggiare in treno
è comodo e riposante; in autobus all'arrivo si scende più stanchi di
quando si è saliti. Succedeva così a me, tanti anni fa, quando da
giovane studente che doveva partire dal paesello natio per andare in
città a studiare ero costretto a ricorrere a questo unico genere di
trasporto. Mi ricordo che per raggiungere il capoluogo di provincia dove
studiavo dovevo partire la mattina alle cinque. Si, alle 5.00 in punto.
E a tredici anni non era uno scherzo. Il fatto è che era necessario
essere nella stazione degli autobus addirittura in anticipo, perché
c'era il rischio o che l'autobus partisse leggermente prima o che ci si
dovesse accontentare degli ultimi posti, che senza ombra di dubbio erano
i peggiori. Dunque, era necessario trovarsi in anticipo, col buio pieni
di sonno e in inverno anche infreddoliti, alla vecchia "corriera", così
veniva chiamato l'autobus. Il mezzo che aspettava sotto la pensilina
della autostazione aveva perennemente il motore acceso e il cattivo
odore del combustibile (la cosiddetta "nafta") si spandeva tutto intorno
e mi faceva star male. E siccome il viaggio durava tre ore e mezzo era
necessario avere uno stomaco forte e un sistema di regolazione
dell’equilibrio perfetto per non vomitare durante il tratto di percorso
di montagna, pieno di tornanti e di curve a gomito che facevano venire
la nausea. L’accorgimento che ho sviluppato in tanti viaggi in corriera
si basava nel guardare sempre avanti e verso l’orizzonte e mai leggere
un libro o una rivista. Mio padre, per aiutarmi a sopportare le
difficoltà del viaggio, mi comprava le "caramelle alla menta" e mi
consigliava di mangiarne qualcuna quando i sintomi delle vertigini e
della nausea iniziavano a manifestarsi. Ma il sistema non funzionava
quasi mai ed io ero sempre alle prese con un senso di malessere generale
che ha marchiato tutti i miei viaggi da giovane in autobus. Non era infrequente poi
che io pensassi ossessivamente con grande desiderio quando sarebbe
finita quella tortura. E poi, il viaggio era un vero e proprio
avvenimento. Si trattava non di un viaggio ma di una vera esperienza di
vita per la quantità di eventi che si vedevano e per la numerosa gente
che si incontrava. Adesso, invece, sono comodamente seduto su un treno,
tutto di colore giallo e arancione, pulito e veloce, e i pensieri che mi passano per la mente sono proprio
questi che producono in me tanta nostalgia.
Ma
ritorniamo a noi. Lungo il percorso
ferroviario scivolano via le stazioni, piccole e grandi: Amsterdam
Centraal, Sloterdijk, Haarlem, Heemstede-Aerden, Leiden Centraal. Haarlem
mi
colpisce più di tutte. Ma mi colpisce più di tutto il raddoppio della
vocale presente in ogni parola che rappresenta una città: aa-ij-ee-uu.
Haarlem è la stazione più importante. Le dimensioni e il flusso di
viaggiatori lo dimostra in modo lampante. Penso a
cosa vedrò all'arrivo a Leida e al motivo che mi ha indotto a muovermi dalla
comoda Amsterdam.
Dico subito che la mia visita alla città di Leida non è da
considerare una vera e propria visita alla città. Direi piuttosto che si
tratta di una gita "fuori porta". Una specie di mordi e fuggi. Lo scopo è quello di vedere
un museo verso il quale nutro un particolare interesse professionale e
un debito di riconoscenza. Sia chiaro che non ho alcuna
intenzione di mettermi in cammino la mattina presto per tutto il giorno
e girare
«per strade e castelli». Pertanto, non prevedo di effettuare un tour
de force, completo e pieno di iniziative volte a indagare
turisticamente l'intera città. Piuttosto, un breve percorso veloce, per
visitare con calma e attenzione il museo e lasciare traccia concreta di
immagini e sensazioni nella mia memoria. Il nome del museo che visiterò
tra poco è
Rijksmuseum Boerhave. Mi rendo conto che questo nome non dirà
molto ai lettori.
Herman Boerhave fu un medico e chimico olandese, vissuto a
cavallo tra il Seicento e il Settecento a Leida. E' degna di nota
l'osservazione che il grande Samuel Johnson scrisse addirittura una biografia
completa su Boerhave, a testimonianza della ottima qualità di scienziato
che aveva il dott. Jonhnson di Boerhave. La ragione della visita a questo museo sta nel
fatto che in questo edificio si trovano i più antichi strumenti e
dispositivi elettrici del mondo che hanno fornito le basi alla scienza
dell'Elettrostatica. Non voglio entrare nei dettagli della mia visita.
Ricordo solo che qui, e solo qui, si possono vedere gli originali
preziosi dei reperti che produssero molte conoscenze della scienza
meccanica ed elettrostatica. Si
tratta degli apparecchi di fisica del XVII-XVIII secolo, tra i quali c'è la
famosa "bottiglia di Leida" prodotta da Pieter (Petrus) van Mosschenbroeck, pompe che
producevano il vuoto, termometri costruiti da Fahrenheit, lenti e strumenti
ottici di Huygens, un vecchio planetario dentro una scatola di vetro e
appoggiato su un tavolo e, perla del museo, la
ricostruzione di un laboratorio di alchimia del '500. Sono
consapevole che ai più questo museo potrebbe sembrare una inutile
"perdita di tempo". In realtà per chi lavora nel settore delle
scienze empiriche si tratta invece di uno dei più rari momenti di
piacevole esaltazione. Vedere in prima persona e "toccare con mano"
questi antichi e preziosi strumenti è una esperienza unica. Scendo
dal treno ed esco dalla stazione. C'è una slanciata torre quadrata con in alto un
orologio sul padiglione d'uscita della stazione. Deve costituire un
riferimento per i viaggiatori. La strada è lastricata con pietre
ordinate, a pavè, e il marciapiede opposto è pavimentato con
mattoni quadrati bianchi e grigi. Il
museo non si trova distante dalla stazione ferroviaria. Anzi è
abbastanza vicino. E' localizzato
in
Lange St. Agnieten Straat 10
a
circa
mezzo chilometro dalla
Stationplein di
Leiden Centraal.
In pratica, dal
piazzale della stazione ferroviaria si percorrono solo poche strade:
Stations weg,
Steenstraat e Haarlemstraatte. Vero è che quest'ultima è
lunga più di un chilometro, ma dopo duecento metri circa si svolta in
una strada laterale a sinistra e si arriva a destinazione. La strada che porta
all'entrata del museo è stretta e breve, con i classici ciottoli per
terra. Il portone è basso e antico incorniciato su una parete di mattoni. Mi ricorda quei portoni delle città
venete: stesso colore, stessa forma, stessa atmosfera. Il tutto è
sobrio, piacevolmente classico ed elegantemente antico.
|
Pago il biglietto ed entro. Mi dirigo subito alla sezione
scientifica degli strumenti elettrostatici. Ricordo ai più
curiosi che il nome della città nel mondo della scienza è associato
a un dispositivo elettrico chiamato "condensatore", che il fisico
olandese
van Musschenbroek nel 1745 costruì per primo al mondo. Eligio
Perucca, nel suo datato ma eccellente libro di testo universitario,
dal titolo Fisica generale e sperimentale, definì la
Bottiglia di Leida "un tubo cilindrico di vetro, di bakelite, ecc.,
sulle cui facce esterna e interna sono incollati due fogli di
stagnola a far da armature". In realtà, questo dispositivo elettrico
in olandese si chiama fles van Leiden che non ha
la forma di una vera e propria bottiglia, piuttosto assomiglia più a
una giara di vetro con il collo largo che a una bottiglia con il collo
stretto. Sul tappo di sughero si trova una sferetta di metallo
grande come un mandarino con la quale si realizza il contatto per il
processo di carica. In ogni caso, nel museo non c'è l'esemplare originale, ma
altre copie per giunta a coppie o in batteria. Si narra, con
poche conferme, che Musschenbroek, con il suo assistente Andreas
van der Cun, fece alcune prove di carica e
scarica del dispositivo e una delle varie volte fu stordito da una
fortissima scarica elettrica che lo investì dopo
aver toccato con mano inavvertitamente lo strato metallico esterno della
bottiglia. Nel museo ci sono tante cose interessanti da vedere. Per
esempio
galvanometri balistici, spettrometri,
strumenti di osservazione del sole e delle stelle, sestanti di tutti
i tipi, modelli di universo e, dulcis in fundo, le copie
originali delle due opere di Isaac Newton: dell'Ottica (del 1706 in edizione
latina) e dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica
(sempre in latino del 1687).
Una
mi colpisce più di tutte: l'anfiteatro anatomico, in latino
Theatrum anatomicum tutto in legno antico. Semplicemente
spettacolare. Trascorro più di due ore
a gironzolare tra decine di sale piene di strumenti meccanici,
elettrici, termici e dispositivi di
tutt'altre finalità. Alla fine ne esco soddisfatto e contento. Penso
di avere visto abbastanza per fare un giro nel centro prima di
rientrare a casa ad Amsterdam. |
|
All'uscita del museo, nonostante i miei espliciti propositi di "minima
azione" espressi in precedenza avverto irresistibile il desiderio di
effettuare una incursione nel centro storico. Ad appena duecento metri
più a sud dal museo Boerhave trovo lo spettacolo del centro
città. Ci sono la Pieterskerk, il bel palazzo che ospita il
Rijksmuseum van Oudheden, l'Universiteit e l'imponente
Basilica protestante Hooglandse, in perfetto stile gotico al 100%
con il suo alto campanile a punta. A lato c'è la magnifica entrata dello
Stadhuis (il municipio) di Leida con la imponente facciata a due
piani e la bellissima doppia scalinata che immette nell'entrata del palazzo.
Mi ricorda l'analoga entrata dell'Università Normale di Pisa. C'è anche il
cosiddetto Burcht, una piccola fortezza
a forma cilindrica. Certo Leida è bella, non c'è che dire. La vista di
questi tesori architettonici mi rattrista un po' per la semplice ragione
che sarà molto improbabile in futuro visitarle di nuovo, a piacimento. Se non
fossi alloggiato in una abitazione privata ad Amsterdam mi verrebbe la
voglia di trasferirmi qui in qualche alberghetto e fare di Leida la mia base turistica. Tra
l'altro mi viene in mente che a Leida sono nati, tra i tanti, due grandi
figure: il pittore Rembrandt van Rijn e il premio Nobel per la
fisica Johannes Diderik van der Waals. Chissà in quali
abitazioni. In questa prospettiva si potrebbe parlare di Leida come
della città di pittori e fisici. Su questi due giganti olandesi della
cultura mondiale si potrebbe parlare per ore. Pittura e termodinamica
sarebbero i campi di riflessione. Su Rembrandt ho già detto sopra.
Aggiungo che la "Ronda di notte" è stata dipinta da Rembrandt nel 1642.
Pensate che è l'anno in cui morì Galileo e nacque Newton. Questa
coincidenza non è straordinaria? Di van der Waals potrei citare
l'equazione di stato dei gas reali e chiunque abbia studiato un po' di
termodinamica saprebbe di cosa stiamo parlando. La visita alla
bella Leida è terminata. Dopo il salasso del costo del biglietto voglio
gustare a fondo il viaggio di ritorno in treno. Me lo merito. |
Settimo giorno.
Dopo l'abbuffata di musei e palazzi a
Leida, oggi ho desiderio di camminare per le strade di Amsterdam. Prendo
il tram per la torre campanaria di Muntplein, eretta nella vicina
piazza Munttoren. Da qui voglio percorrere la
Kalverstraat fino al Dam in modo tale da avere una visione
più chiara della città secondo l'asse nord-sud. Per me che
sono abituato a vedere solo architetture barocche e colori ocra essere
qui, in un paese del nord Europa, che presenta esattamente il contrario
di quello a cui sono abituato ha di spettacolo puro e straordinario.
Certamente non dimenticherò facilmente questa bella visita alla città.
Posso affermare senza tema di smentita che sono affamato di vedere ciò
che desideravo osservare con i miei occhi. Mi colpiscono le forme delle
facciate dei palazzi. Cammino fino al Dam e poi mi immergo nella Rokin
risalendo verso casa. All'ora di pranzo trovo un caffè che mi permette
di fare un breve spuntino. Il cameriere mi porta il menu che è scritto
in olandese ma che in inglese. individuo nel menù la sola cosa che
per me è possibile mangiare: un
toast con prosciutto, formaggio e uovo: letteralmente "toast with ham,
cheese and egg". La presenza dell'uovo mi crea qualche fastidio e con
fare sicuro chiedo al cameriere di eliminarlo, cioè without egg e un bicchiere di birra
Amstel. Il cameriere non capisce la
mia richiesta e mi invita di nuovo a scegliere. Ripeto tutto come prima
"senza l'uovo". Quando comprende che desidero il toast senza
l'uovo si arrabbia. E' tutto irritato mi
risponde dicendomi che io non potevo ordinare un qualche cosa non
presente nel menu e che lui non poteva chiedere al cuoco di togliere
l'uovo. Insomma, mi tira le orecchie per la richiesta poco ortodossa di
cambiare il menù. Vista la piega che stava prendendo la situazione accetto la pietanza originale.
Dopo un po', mi trovo
davanti un piattone pieno di pezzi di uovo sodo con una quantità enorme
di cetriolini all'agro che sommergevano un po' di prosciutto e una fetta
di leerdammer. Mi chiedo se la cucina olandese non possa fare a
meno delle fette di cetriolo, tra l'altro con un sapore che non ha nulla
in comune con il cetriolo italiano. La sera a casa ho dovuto mangiare solo
minestrina all'acqua per rimettere a posto il mio stomaco. |
Ottavo giorno. Oggi
è domenica ed è un giorno speciale. Lo è non tanto perché si dovrebbe
andare a messa e riposarsi. No, oggi è un giorno speciale perché
sono stato invitato a casa di una famiglia indigena, olandese doc,
che è la famiglia di una sorella della mia padrona di casa dove
attualmente abito ad Amsterdam. Sono convinto che si tratti di un gesto
di grande generosità nei miei confronti, ma non posso escludere che ci
sia anche la curiosità di conoscere il “clandestino mediterraneo” che
attualmente occupa la soffitta della casa di un membro della famiglia e
osservarlo con interesse antropologico. Fin dalle prime ore della
mattina nell’abitazione c’è agitazione. Contrariamente
agli altri giorni sento rumori al piano di sotto, dove abitano i padroni
di casa. E’ necessario organizzarsi perché ad un’ora precisa dobbiamo
raggiungere una casa di campagna isolata, a nord del paese e a decine di
chilometri di distanza. E sembra che l’unico mezzo per raggiungerla sia
la macchina. Sono un po’ preoccupato perché la giornata è grigia e umida
e la pioggia continua a battere insistentemente su tutto ciò che è
scoperto. In queste condizioni non vorrei attraversare, sotto le
possenti ondate del mare del Nord, una di quelle
dighe sul mare che hanno reso famosa la comunità olandese in
tutto il mondo, per le costruzioni ardite che proteggono vaste aree
depressionarie del paese che sono abbondantemente sotto il livello del
mare. Nonostante il cattivo tempo in tarda mattinata siamo sul posto. La mia delusione è palpabile
perché la casa è sprovvista di mulino a vento. In subordine, posso
osservarne uno a distanza di centinaia di metri. In casa la famiglia è
al completo. Ci sono genitori, figlie, generi, nipoti e persino qualche
bambino e bambina. E poi ci sono anche io. Dopo le presentazioni la
conversazione avviene esclusivamente in lingua indigena. Pertanto, non
capisco nulla e se non fosse per la gentilezza del mio amico che mi
traduce la conversazione sarei
rimasto all’oscuro di tutto. Con un’interprete della famiglia ho detto
loro che ero entusiasta della città di Amsterdam e che si trattava della
prima volta che uscivo dall’Italia. Non era vero, ma speravo che facesse
effetto. Tanti sorrisi e poi l’eccitazione della mia sorpresa che, per
il pranzo, avrei cucinato per loro una ricetta italiana. La curiosità delle
donne era alle stelle. In breve, avrei fatto degli spaghetti
all’amatriciana e per l’occasione avevo portato dall’Italia una
confezione da mezzo chilo di spaghetti e una rara e genuina bottiglia di
salsa di pomodoro. Ma avevo fatto i conti senza l’oste. In primo luogo
perché il giorno prima, nel famoso supermercato sotto casa, non avevo
trovato la solita pancetta che serve in questi casi e mi ero dovuto
accontentare di una specie di prosciutto olandese sul quale non avrei
scommesso una sola lira italiana sul suo sapore. In secondo luogo
l’olio. Non ho trovato nessuna bottiglia di olio e solo perché mi
avevano assicurato che lo avrebbero portato altri della famiglia ho
accettato. Ma il terzo e più grave motivo, il più subdolo di tutti, l’ho
scoperto all'ultimo momento durante la cottura degli spaghetti perché l’acqua del
rubinetto della casa di campagna era imbevibile e sembrava più glicerina
che acqua naturale. Aveva una strana vischiosità e una colorazione che
non mi hanno convinto per niente nel considerarla acqua del tipo H2O.
Scoraggiato per le insormontabili difficoltà porto comunque a termine la
fatica, con la fronte perlata dal sudore che l’umidità dell’aria
accresceva aumentandone il fastidio. Non parliamo poi del formaggio
parmigiano grattugiato che non era nemmeno conosciuto. Ma la sorpresa
più grande doveva ancora avvenire, perché dopo la titanica sfida con le
forze della natura contrarie alla riuscita della ricetta, scopro che una
volta portato a tavola la pietanza, e aver messo nel piatto dei
commensali alcune forchettate di spaghetti, sulla pasta viene aggiunta,
da non so chi suggerito, della marmellata e delle fettine di cetriolini
all’aneto. Giuro che se non fosse stato sia per la mia qualifica di ospite,
sia
per l’amicizia che mi lega ai miei preziosi padroni di casa e anche per
l’educazione che ha sempre caratterizzato i miei rapporti con gli altri,
avrei dichiarato guerra alla Regina Giuliana d’Olanda e a tutti i suoi
sudditi che si trovavano in quel momento in quella casa di
campagna. Alla fine però, non solo non protestai ma addirittura sto al loro gioco, mangiando anche io un cetriolino all'aceto che era tutto
un contro programma culinario. Se lo avesse assaggiato l'Artusi
sicuramente avrebbe provato disgusto per il genere umano. Diciamo la
verità: nella mia folle speranza di colpire l’attenzione dei presenti si
mostrò per intero la completa illusione del mio sforzo confermato dalla presenza, negli avanzi dei piatti della sola
parte degli spaghetti probabilmente considerati una aberrazione dai
palati dei miei illustri ospiti. Il rientro ad Amsterdam mi salvò dal
protrarsi del mio pessimo umore. |
Nono giorno.
Viaggio a Utrecht.
Oggi vado a
Utrecht. Il nome mi suona un po' astruso e incomprensibile e sa molto di
tedesco. In fondo in fondo l’Olanda confina a est proprio con la
Repubblica Federale Tedesca e mostra molti caratteri antropologici
simili a quelli dei concittadini di Goethe. Lo dimostra il fatto che la lingua
tedesca in Olanda è di casa, e la stragrande maggioranza degli olandesi
la parla e la intende bene. Utrecht mi ricorda qualche evento importante in storia e
letteratura. Di storia, perché, se non ricordo male, c’è stata una “pace
di Utrecht” agli inizi del ‘700 a conclusione della guerra di
successione spagnola. In letteratura, perché qualche anno prima di
quella data fu
pubblicato un pamphlet da Jonathan Swift, intitolato “Sulla
condotta degli Alleati”, che contribuì a determinare in parte la stessa pace di
Utrecht. Infine, ricordo anche che la bella città della Domtoren
è stata per secoli la capitale
religiosa dei cattolici olandesi con tutto ciò che questo ha significato
nel campo politico e religioso del paese a maggioranza protestante. Dopo l’abbuffata di strumenti e oggetti museali visti a Leida
mi aspetto qualcosa del genere anche a Utrecht. Così, con molta calma, nella
tarda mattinata, prendo il treno per la seconda volta alla stazione di
Amsterdam Centraal. Questa volta non ho premura perché con la tappa
di Leida ho maturato l'esperienza necessaria ad avere sicurezza negli
spostamenti fuori dalla bella capitale olandese. E poi il museo utrechtiano che devo visitare
apre più tardi (e chiude prima) di quello di Leida. Il museo di Utrecht
è un museo universitario e probabilmente è più snob e meno disponibile negli orari
del Boerhave museum di Leida.
L'Universiteitsmuseum si trova nel centro storico di Utrecht e l’obiettivo che mi propongo di
conseguire è, tanto per non cambiare, la visita alla sezione scientifica del Museo
dell’Università, con le stesse finalità con le quali ho visitato quello di Leida. Il viaggio tra
Amsterdam e Utrecht dura poco, meno di mezz’ora. Il percorso prevede una sola fermata
intermedia per poi arrivare direttamente a Utrecht Centraal.
La stazione centrale di Utrecht è, in un certo senso, il nodo principale
dell’intera rete ferroviaria olandese, un po’ come Bologna, che è il nodo ferroviario principale in
Italia da cui si diramano le dorsali adriatica, tirrenica e la
direttrice Milano-Roma. Questo è il mio secondo viaggio ferroviario nel
paese dei tulipani e già mi viene in mente l’idea di fare il confronto
tra le due città universitarie di Leida e Utrecht. Questo entusiasmo da
piccolo presuntuoso mi rende da una parte un po' euforico e dall'altra
non mi permette di mostrare quella sana modestia che sarebbe necessario
possedere in questi casi, per la grossolana mancanza di conoscenze
dell'ambiente olandese. Ma io mi trovo in vacanza; e quindi mi sento un
po' svincolato dall'avere i tratti tipici della persona che fa cose solo
razionali e meditate. E, dunque, andiamo con il parallelo tra le due
città. Nonostante le
apparenze possano dar adito a molte somiglianze, in realtà le due città
sono molto diverse. Leida è una città vicino al mare mentre Utrecht è all’interno del paese. Leida è più a misura
d’uomo, con i suoi “appena” 90 mila abitanti mentre Utrecht è una città
commerciale e industriale e di abitanti ne ha più del triplo. Leida ha molti più canali di Utrecht e rassomiglia di più ad Amsterdam
che non Utrecht. E poi Leida ha molti più musei, e la sua università è
la più antica del paese. Utrecht no. Basta per sbilanciare il confronto
e affermare che Leida mi piace di più? Forse, ma non ne sono abbastanza
sicuro perché mi manca l’esperienza di vita che non può basarsi solo
sulle emozioni di un giorno di visita. Nei laboratori scientifici quando
si tenta di effettuare la conferma di una ipotesi scientifica si fanno
sempre esperimenti, misure, diagrammi, tabelle e si effettuano calcoli
matematici e raffronti scientifici. Qui di scientifico c'è solo
l'improvvisazione che è conseguenza del piacevole stato d'animo che le
belle città di Leida e di Utrecht mi hanno comunicato. Dunque, con molta
eleganza dico solo che lascio per ora in sospeso il
giudizio. Arrivo ad Utrecht in una giornata dal clima accettabile. Ad
Amsterdam ha fatto freddo. La stazione è carina e ordinata. Ha un
solo piano. E poi avrebbe di bisogno di essere rimessa a nuovo nelle
pareti. Esco nel piazzale della stazione e mi incammino per il museo. Supero il
Bartholomeibrug. "Brug" in olandese immagino che significhi ponte, imbocco la lange Smeestraat (notate la
doppia «e» e la doppia «a») e il suo proseguimento chiamato korte
Smeestraat. Capisco che una delle due Smeestraat è «lunga» e
l'altra è «corta». Indi svolto a destra nella Midden Nederland route
e
proseguendo verso sud c’è l'Universiteitsmuseum.
Almeno così mi sembra che sia guardando la mappa colorata della città sulla mia
guida. L’edificio che ospita il museo è anonimo. Nulla a che vedere con il Rijksmuseum di Amsterdam. Entro e visito la sezione degli” Strumenti
Scientifici Naturali”. Le stanze sono molto belle da vedere e le
apparecchiature, per me molto interessanti, valgono da sole l'intera visita. Non
c’è molta gente che gira per questa sezione se non un piccolo gruppo di
tedeschi, credo, che confabulano tra di loro ma osservano poco la
strumentazione e, fatto più
grave, mostrano poco
interesse. L'addetto alla sorveglianza mi osserva a lungo e più di una volta mi segue
nelle stanze. Alla fine della visita mi chiede se sono francese. Gli
dico di no. Tedesco? Rispondo di no. Svedese? Dico ancora di no.
Sconsolato mi guarda senza avere il coraggio di insistere. Gli dico che
sono italiano, «Italian from Milan». Rimane di stucco e mi fa capire che
è molto difficile vedere degli italiani visitare questa sezione del
museo con tanta attenzione come ho fatto io. Lui non sa che sono
insegnante di fisica e quindi mi ha visto come un alieno tra gli uomini
normali. Mi fa i suoi
complimenti per il comportamento esemplare mostrato. Lo ringrazio e lo
saluto con molto riguardo. Rimane basito. Come a Leida anche questa volta mi
incammino verso il centro cittadino risalendo la lande Nieuwstraatte verso
nord in direzione della Domtoren cioè, come viene chiamata
giustamente, la "Torre della Cattedrale che non c'è più" che voglio
osservare con attenzione perchè alla fine del '600 un uragano rase al
suolo l'antica cattedrale lasciando la sola Torre in piedi. In fondo c’è la piazza del Duomo, con vicino la Cattedrale di S. Martino.
Utrecht è bella ma Leida, più raccolta e meno grande, mi piace di più. Con questa convinzione rientro
ad Amsterdam col treno. |
Decimo giorno.
Visita a Zandvoort e passeggiata sulla
spiaggia del mare del Nord. Il titolo del programma della giornata è
lungo ma abbastanza preciso. Quella di oggi è una giornata grigia, senza
pioggia. Qui il sole si fa pregare per essere visto. Parto in macchina
col mio amico per vedere da vicino il mare del Nord. La distanza non è
molta. Si tratta di appena una ventina di chilometri da percorrere su
strade diritte e in pianura. La meta è la cittadina delle corse
automobilistiche del gran premio d'Olanda, ovvero Zandvoort o, per
meglio dire, la parte della città sul mare. Il panorama è monotono,
senza montagne o colline. Arrivo al mare e lo costeggio in macchina per
un po'. Il litorale presenta molti piccoli e grandi stabilimenti
balneari. Mi fermo vicino a uno di questi sul mare. Deve trattarsi di
uno stabilimento economico dove fare il bagno. Nonostante siamo in pieno
luglio non vedo molti turisti che prendono la tintarella, anche perchè
il sole sembra non esistere. Tira poi un vento fastidioso e freddo
vicino al mare e io ho la gola scoperta. Non vorrei prendere un
raffreddore. Mi dirigo verso un punto di ristoro che non saprei definire
bene. E' a metà tra un chiosco e un vero e proprio bar da spiaggia. Ci
sono alcune persone che fanno colazione. Ad una osservazione più attenta
vedo che la loro colazione è molto diversa dalla mia. In genere
prendo un cappuccino con cornetto o un bicchiere di caffelatte. Qui vedo
mangiare cose inverosimili. La gente mangia aringhe crude e beve birra
di mattina. Per me è un vero e proprio scandalo. Mi invitano a mangiare
con loro queste aringhe che a quanto pare si tratta di una specialità
indigena molto gustosa e nutriente. Dicono che è un "pieno di proteine"
digeribilissime. Non mi sono mai piaciuti coloro che usano gli aggettivi
assoluti in modo facile e superficiale. Purtroppo, il mio palato e il
mio stomaco non ne vogliono sapere di mangiare pesce crudo a colazione.
Inammissibile. Non posso crederci. Per certi versi mi ricorda quando nei
primi anni '70 al mio arrivo nella città di Sondrio, una città
autenticamente alpina in cui ho iniziato a insegnare, vedo bere al bar
per colazione un "grappin" come se fosse un caffè macchiato. Mi sembrò
talmente assurdo vedere bere alle sette e mezzo del mattino un liquore forte come la grappa,
magari a stomaco vuoto, che mi considerai un alieno. Poi, con
l'abitudine, tutto entrò nella normalità. Qui la cosa è, se non più
grave, almeno allo stesso livello della grappa mattutina. Mi allontano
per mostrarmi deciso del mio rifiuto e faccio una passeggiata sul
lungomare. La spiaggia mi ricorda quella della riviera adriatica. Solo
che qui il vento è molto più freddo e io non mi riconosco nè il
coraggio, nè il fisico giusto per sopportare il freddo dell'acqua. Entro
in un altro bar e prendo un bicchiere di caffè caldo. Forse mi rimetterà
più in sintonia con l'ambiente. La mattinata si trascina stancamente tra
uno stabilimento e l'altro col proposito di respirare aria pulita e
passeggiare vicino al mare. |
Undicesimo giorno.
Oggi desidero fare il turista a piedi che
osserva e prende nota e che dopo si riposa in un bel bar a oziare nel
piacere di gustare arte ed architettura che qui ad Amsterdam abbondano.
In poche parole intendo visitare a piedi la zona posta a sud-ovest del
centro vicino al Rijksmuseum. Qui si trovano il Vondel Park, gli altri
due musei del Vincent Van Gogh Museum e dello Stedelijk Museum. E si
trova anche un bar speciale presso l'albergo ristorante American. Tutti
mi hanno parlato di questo famoso bar-ristorante-albergo. Non è lontano
da dove abito. Anzi. La mia guida dice che si trova in Leidsekade, 97
che è una piccola strada a latere del Singel Gracht. A fianco
dell'American bar si trova lo Stadsschouwburg,
ovvero il Teatro municipale di Amsterdam. In realtà tutti questi
importanti servizi si trovano a pochi passi dal Rijksmuseum e sulla
bella piazza Leidseplein. La passeggiata dura alcune ore e mi permette
di vedere le bellezze di questa parte della città unite a ordine,
pulizia e gradevole conservazione del panorama circostante. Amsterdam si rivela essere
sempre più bella. Mi piace questa città. Nonostante le incomprensioni
linguistiche, culinarie e climatiche devo dire che ci vivrei benissimo.
Non è detto che anch'io come il mio amico non mi trasferisca qui come ha
fatto lui. Il Vondelpark è il più bel parco di Amsterdam e c'è di
tutto. Giardini, una pagoda per la musica, un bar all'aperto, qualche
monumento, fontane, piccoli canali, musei e un bellissimo viale.
Una passeggiata salutare e distensiva era quella che ci voleva. La
conclusione di alcune ore di movimento la faccio all'American bar.
L'edificio è stato costruito nei primi anni del '900 ed è considerato un monumento
dell'Art Nouveau. E' veramente bello nella parte esteriore con le
finestre originali in vetro come si usava una volta. Ordino anche un
toast facendo bene attenzione a non prenderlo con l'uovo e i cetriolini.
Ci riesco e qui il cameriere è decisamente più disponibile del
precedente. Meno male. |
Quindicesimo e ultimo giorno. La
partenza. I tre giorni precedenti sono pressoché inutili da ricordare.
Sia il cattivo tempo, sia la fastidiosa pioggia mi hanno bloccato a
casa tra freddo e ozio forzato. I preparativi della partenza hanno poi
mutato i miei interessi che si sono spostati dalle visite
a posti differenti della città all'organizzazione del rientro in Italia. Devo aggiungere poi che ho recuperato
del tempo prezioso da trascorrere insieme ai miei graditi padroni di
casa. Lo meritavano. Sarò loro grato per sempre per avermi permesso di visitare questa
splendida città vivendo a casa loro nella più totale indipendenza e
autonomia. All'aeroporto di Amsterdam Schiphol
mi attende un aereo Alitalia per Milano Linate. Sono stato accompagnato
là per non perderlo. Arrivederci a Londra. |
Manuali
e guide di viaggio adoperate. |
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