"Pronti a una lunga guerra pur di fermare Milosevic"
di Franco Papitto e Maurizio Ricci
BRUXELLES - "Abbiamo obiettivi molto chiari. Li raggiungeremo. Non
accetteremo che ci sia pulizia etnica in Europa, alla fine del XX secolo". Il segretario generale della Nato,
lo spagnolo Javier Solana, ribadisce la determinazione di ottenere da Milosevic l'accoglimento delle cinque condizioni
poste dall'Alleanza: fine della repressione, ritiro delle forze militari e paramilitari, ritorno dei profughi,
presenza di una forza militare internazionale, un nuovo accordo politico per il futuro del Kosovo. Ma chiarisce
anche - alla vigilia del colloquio che avrà oggi con il segretario dell'Onu, Kofi Annan, prima che questi
incontri i leader europei - l'urgenza di coinvolgere Mosca nella soluzione della crisi. "Vogliamo la Russia
a bordo" dice, in un'intervista rilasciata ieri a Repubblica e altri giornali europei e americani.
Che prospettive si aprono dopo l'incontro di Madeleine Albright con il suo
collega russo, Ivanov? "Ho parlato con la Albright e le prospettive
mi sembrano positive. Quell'incontro vuol dire che i russi sono benvenuti nella discussione sul Kosovo".
Su che basi si può muovere il dialogo con Mosca? "Ricordiamoci che niente è stato rotto con la Russia, in questa vicenda, che
i rapporti restano intatti. Mosca ha anche confermato che non infrangerà l'embargo sulle armi. Sul Kosovo,
il ragionamento strategico della Russia e dell'Occidente è lo stesso: non dimentichiamo che, a Rambouillet,
uno dei negoziatori era russo".
Quali sono, allora, le differenze?
"La Russia, probabilmente, pensa a una presenza internazionale non militare nel Kosovo. Ma gli osservatori
internazionali, nel Kosovo, c'erano già a ottobre. La verità è che, senza militari, non si
può garantire, oggi, né il ritorno dei profughi, né la loro sicurezza".
A che tipo di forza internazionale pensate?
"Non c'è bisogno di andare molto lontano per immaginarlo. C'è l'esempio della Bosnia. Lì
si è formata una forza composta da 30 paesi (Russia compresa). Certo, i paesi Nato saranno comunque importanti,
perché possono fornire il maggior contributo di soldati e lo faranno attraverso l'organismo che hanno, cioè
la Nato".
La Nato continua a dire che invierà truppe dentro il Kosovo solo quando
la situazione militare sarà "non ostile" ma cosa intendete esattamente?
"Non chiedetemi di scoprire tutte le carte. Stiamo contemplando diversi scenari".
Lei ha detto, in questi giorni, che cominciano a manifestarsi crepe nella
leadership jugoslava. Può essere più preciso? "No.
E loro capiranno facilmente perché".
A quanto pare finora, comunque, dovrete trattare con Milosevic. Ma è
una strategia credibile quella di cercare un accordo con lui, mentre, contemporaneamente, minacciate di portarlo
come criminale di guerra davanti al Tribunale dell'Aja?
"La responsabilità di portarlo davanti al Tribunale non è nostra. C'è un Tribunale stabilito
dall'Onu che esegue il compito che gli è stato assegnato. Noi non c'entriamo".
Quanto possono durare ancora i bombardamenti?
"Sapevamo che questa era una guerra più lunga e difficile di quella in Bosnia, contro un esercito più
agguerrito, più preparato, più numeroso. Siamo pronti a continuare ancora a lungo".
Il ministro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, ha detto che lo sforzo militare
della Nato dovrebbe essere concentrato sul Kosovo e che la soluzione finale dovrà essere negoziata e concordata
con tutte le parti, altrimenti non durerebbe. Lei concorda?
"Non so cosa abbia detto Lamberto Dini ai giornalisti italiani. Mi sembra che le cinque condizioni della Nato
siano compatibili con queste dichiarazioni".
Suggerirà a Kofi Annan di andare a Belgrado?
"Sta a lui decidere. Ho la massima fiducia nel segretario dell'Onu".
Il futuro del Kosovo appare oggi molto nebuloso, anche nelle vostre intenzioni.
E' vero che la Nato sta pensando ad una sorta di protettorato?
"Io sono convinto che bisogna andare oltre l'accordo di Rambouillet.
Quanto, non so. Certo, la situazione è oggi molto differente da quando quell'accordo venne formulato".
Cosa intende?
"In questa vicenda non sono in gioco né petrolio, né
materie prime. Sono in gioco valori morali. Bisogna fermare la pulizia etnica. Non vorrei che, a forza di ripetere
queste due parole, diventassero una frase fatta e si dimenticasse quello che c'è davvero dietro: case bruciate,
famiglie separate, gente cacciata, ogni documento, ogni titolo di proprietà distrutto, perché non
rimanga più traccia di una presenza, di un diritto. Questo è quello contro cui combattiamo".
Alcuni sostengono che la pulizia etnica è scattata proprio con i bombardamenti.
"Niente affatto. C'erano già 400 mila profughi quest'estate. E noi abbiamo attaccato il 24 marzo, proprio
perché sapevamo quello che stava accadendo e quello che stava per accadere. Non a caso, avevamo 18 mila
uomini in Macedonia, ancora prima che l'attacco scattasse. Sia chiaro: la responsabilità, in questa vicenda,
è di Milosevic".
I bombardamenti hanno già prodotto parecchie vittime civili, per cui
voi continuate a scusarvi. Contemporaneamente, girano voci sui prossimi obiettivi militari. E si dice anche che
la Nato, in qualche caso, abbia avvertito preventivamente dove avrebbe sganciato le bombe. Cosa c'è di vero? "Non abbiamo nessuna prova che informazioni militari siano uscite dalla
Nato. Quanto agli avvertimenti, ribadisco che i nostri obiettivi sono militari e che la nostra strategia è
di evitare scrupolosamente danni collaterali. Voi capite che una cosa è bombardare un posto a mezzanotte
e un'altra bombardarlo a mezzogiorno".
Dopo la vicenda Kosovo, non è ancora più chiaro che la Nato
è una organizzazione dominata dagli americani? "Certo
che l'impegno militare americano in Kosovo è maggiore di quello europeo. Non lo sapevamo già prima
che c'erano differenze di capacità e di impegno? Per questo ci vuole una politica comune di sicurezza europea
che migliori la nostra capacità militare nei nuovi compiti del mondo di oggi, sia che si tratti di mantenere
la pace sia che si tratti di imporla con la forza".