Gli spettri del passato di Vittorio Zucconi
WASHINGTON - Inisieme con l'infinita tristezza per le ennesime
immagini di morte che scorrono davanti ai nostri occhi, per quest'altra "inutile strage" che un Secolo
troppo lungo e troppo duro a morire ci infligge, la guerra per il Kosovo tra la Serbia e la Nato ci costringe a
una sorta di tremendo "Grande Balzo all'Indietro" verso luoghi, tensioni, drammi, timori che la Storia
sembrava essersi lasciata per sempre alle spalle: la guerra nei Balcani, il ritorno dei russi a un linguaggio da
Guerra Fredda, la constatazione dell'impotenza dell'Onu.
Quell'Onu che somiglia, in questo 1999, più alla triste Società delle Nazioni che a quel "governo
del mondo" nel quale molti avevano sperato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il XX secolo non ci perdona e
non ci risparmia nulla. Si ritorna a Sarajevo, al genocidio, a slavi contro europei occidentali, a musulmani contro
cristiani, a russi contro americani, alle bombe, in una sequenza deprimente di fotogrammi tutti già visti,
in un film che non promette un lieto fine.
Un film terribile eppure in fondo scontato, come un treno che viaggia contro un ostacolo che tutti vedono e nessuno
dei macchinisti riesce ad evitare. I progetti di egemonia politica e di pulizia razziale che Milosevic perseguiva
contro ogni ragione umana e contro ogni interesse reale della nazione serba non potevano che costringere, dopo
anni di silenzio e di acquiescienza, le potenze occidentali unite in un'allenza che ebbe sulle rovine del nazismo
genocida la sua regione di nascere, a reagire con la forza davanti a un altro genocidio dentro la casa comune Europa.
Lo sapevamo.
L'indifferenza divenuta poco a poco diffidenza degli Stati Uniti nei confronti di quell'Onu che Washington usa
come un autobus dal quale salire e scendere appena raggiunge la stazione voluta, non poteva che trasformarlo in
quello che oggi si dimostra: un veicolo vuoto e senza pilota. E l'attacco americano con etichetta Nato contro una
nazione fuorilegge, ma pur sempre sovrana e ortodossa e soprattutto slava, doveva necessariamente costringere la
Gran Madre Russia a ritrovare, pur nelle sue disperate condizioni, i toni burbanzosi della protettrice dell'intero
mondo slavo.
E' come se un angoscioso gioco delle parti avesse condotto tutti gli attori di questa tragedia verso il loro fato
inevitabile dal quale ora sono costretti a districarsi senza sapere bene come. Il ritorno di Russia e America a
una versione ridotta della Guerra Fredda non è certamente la crisi dei missili a Cuba, o l'assedio di Berlino
o il Vietnam, ma le parole usate da Eltsin e Primakov sono pesanti. Non si deve esagerare l'importanza di questo
scatto di nervi nazionalistico nella desolata Piazza Rossa, ma le parole sono state dette e non saranno facile
da dimenticare quando, al prossimo collasso dell'economia russa, il Fmi dovrà chiedere al Congresso americano
i fondi per un altro intervento di salvataggio per Eltsin o i suoi successori. Ma se questo cambio di stagione
fra America e Russia era prevedibile, più profondo e durevole è il vento di assenza che soffia dal
Palazzo di Vetro a raggelare.
L'Onu è oggi, davanti alla tragedia balcanica, un Palazzo Vuoto, nel quale il Consiglio di Sicurezza, l'Assemblea
generale, i diplomatici che si accapigliano fra di loro per trovare soluzioni alla cosiddetta "riforma",
sono simulacri di un potere reale che non c'è più o non c'è ancora. George Bush era stato
almeno formalmente corretto e politicamente astuto a usare la bandiera azzurra delle Nazioni Unite per vestire
la spedizione americana nel Golfo. Clinton ha semplicemente ignorato l'Onu. Lo ha messo davanti al fatto compiuto
e quel Kofi Annan al quale Washington non ha mai perdonato la mediazione a Bagdad che costrinse gli Usa a richiamare
i bombardieri in volo, ha dovuto abbassare la testa e avvallare l'attacco nel Kosovo. Punto e daccapo.
Il sogno di eliminare i conflitti come strumento di risoluzione delle controversie internazionali è finito
in Africa, nel Kurdistan, tra i rottami della vecchia Urss e nel Balcani, dove i serbi hanno "visto il bluff"
dell'Europa e dell'Onu, hanno costretto gli americani a intervenire e hanno riportato il "piccolo gelo"
fra i fratelli slavi di Russia e l'Occidente. Milosevic è stato formidabile e ha vinto la sua battaglia,
quando i primo missili sono caduti su Pristina, quando i primi duelli aerei si sono ingaggiati nel cielo del Kosovo,
quando civili sono morti, quando i partiti delle nazioni politicamente più fragili hanno ricominciato ad
azzuffarsi tra loro e il Cremlino ha rispolverato il linguaggio delle armi contro la Casa Bianca. Ha vinto esattamente
come vinse l'irredentista Princip sparando all'Arciduca Ferdinando: ha riportato i Balcani, l'Europa, il mondo,
e il secolo, indietro di 85 anni. Alla guerra.