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T A R O T

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

L'interpretazione dei tarocchi sottesa a questa presentazione poetica è quella della torre mistica, metafora sufica dell'elevazione dell'individuo dal particolare e dal formale al cosmico e allo spirituale, secondo la tesi che riconduce l'origine, o almeno una significativa tappa evolutiva, dei tarocchi al sufismo (v. Idries Shah: The Sufis ; e J.D.Blakeley: La torre mistica dei tarocchi).

Seguendo il modello neoplatonico, i gradi dell'essere possono venire concepiti come una serie di emanazioni che divengono sempre più deboli e irreali, più materiali e meno luminose via via che si allontanano dalla luce purissima dell'Assoluto.

Come vi è un arco della discesa, vi è anche un arco dell'ascesa, mediante il quale l'uomo, prodotto finale della catena evolutiva, ritorna alla sua patria grazie allo "annientamento in Dio", e si fonde di nuovo nell'essenza divina, che è il solo vero essere, in armonia col detto sufico: "Tutto ritorna alla sua fonte".

Si presenta tale interpretazione tramite un modello di sette cieli concentrici, ognuno contenente tre arcani maggiori secondo una tricotomia tesi-antitesi-sintesi (riconducibile anche al triangolo Rajas-Tamas-Sattva della tradizione tantrico-induista), dipartentisi da un cerchio centrale, sintesi unitaria della trinità, associato alla carta "Il Mondo".

I sette cieli, completati nell'ottavo di partenza, sono collegabili ai sette trigrammi binari dello Yi Ching associati ai numeri da 1 a 7, lasciando il trigramma iniziale a simbolizzare l'ottavo cielo interno. In modo duale si possono scambiare i simboli di Yin e Yang e attribuire una diversa numerazione ai due flussi entrante e uscente.

I due simbolismi duali coesistono anche se antitetici in un sinergismo metasimbolico ( il "cerchio quadrato" spinoziano, metafora dell'ineffabilità di Dio).

Le ottave numeriche rappresentative della congruenza modulare dello zero e dell'otto, nonché del numero quattro come stadio di equilibrio, portano a criteri di complementazione dei simmetrici ai numeri 7,8,9, ossia ad una terna "corteggiante" 2x2x2, sintesi di polarita' e tridimensionalita'.

Tale schema a corone circolari concentriche può altresì essere trasformato in un albero ottenuto in modo che da ogni nodo partano tre rami e costruito partendo da un punto, corrispondente alla carta "Il Mondo", mediante una triramazione e successivamente operando una biforcazione in due rami con partenza da ogni foglia dell'albero precedentemente ottenuto. Reiterando tale processo fino ad ottenere 12 foglie e 22 nodi in totale si ottiene uno schema con un centro e tre rami settenari, corrispondenti alla struttura di tre sigilli salomonici (in matematica Z(7) ) o, equivalentemente, simboli di candelabro a sette bugie. Tale rappresentazione può essere immersa nello spazio tridimensionale per ottenere i 21 nodi non centrali tramite versori degli assi coordinati.

L'interpretazione numerica modulare corrisponde, tramite la codificazione binaria, a quella isiemistica che associa ai sette numeri iniziali (partendo da 1) i sottoinsiemi non vuoti di un insieme di tre elementi base (simboli, o altro) per dar luogo a 7 "costituzioni" composte ( cioè, partendo dai simboli a,b,c, desumerne le costituzioni a, b, c, ab, ac, bc, abc), pervenendo pertanto ad associare agli arcani maggiori 7 costituzioni rajasiche, 7 tamasiche e 7 sattviche, più una vuota, o indefinita, quella della carta del mondo.

Gli arcani minori, in numero di 56=14x4, sono introdotti tramite la loro base costitutiva, formata dai numeri( da 1 a 10, o da O a 9) dalle figure (re, regina, cavaliere, dama), e dai quattro elementi associati ai semi (fuoco-bastoni, aria-spade, terra- denari e acqua-coppe), aggiungendo al tutto l'elemento quintessenziale "etere", che non nasce come gli altri dalla combinazione delle polarità freddo-caldo e secco-umido, e associandolo, secondo quanto si usa fare nella teoria elementale dei tarocchi, agli arcani maggiori; e aggiungendo altresì lo yin e lo yang, come polarità interpretative di ogni carta. Si perviene così (considerando i numeri come personaggio collettivo) a 12 personaggi base che si aggiungono alle lame degli arcani maggiori.

 

 

 

 

 

 

POEMETTO SINFONICO-SIMBOLICO

PER 22 LAME E 12 "PERSONAGGI"

 

 

di

 

Gae   Spes

 

 

mostra euritmica di poesia-pittura-musica

PASSI IN PASSIBILI

_____________________

Katholische Hauptschule

Salisburgo

1992

 

 

 

 

 

 

" Di qui catta orizzonte

ogn'un che schiuso sale. "

 

 

 

 

PASSI IN PASSIBILI

 

E' nella vera centrica pupilla

che non si lascia violare senza veli

la chiara fonte di stupore e voce

che intorno evoca e induce a soggezione

mentre nel letto precipita il cammino

dei chiusi astri complici perduti

da forza in folgore urtata e mutativa.

 

 

Quando s'eclissa dietro l'orizzonte

concede occhi lontani nel lucore

fioco confitto nei destini avvinti

all'ampia pallida madre che vicina

pare largo conforto al claudicante

che avversa nella rigida bufera

il nudo seme.

 

 

Nel primo giro di zodiaco incerto

nel mero seme è coppa di pace

prima che scoglio interno perituro

dischiuda l'angelo del fuoco all'equilibrio.

L'ottavo passo dà ristoro a morte

ma non pacifica brame d'un inferno

tinto d'olimpo.

 

 

E nella ruota l'albero del mondo

di terna in terna e interni settenari

chiude la perfezione in fermo accento

fredda misura simbolo del fatto

che si sigilla all'umida coscienza

nell'effezione assurta a presa d'atto

di convenienza che sospende al cielo.

 

 

S'apre qui il sogno del superamento

che nel costrutto vale di saldezza

ed in bellezza scorge l'onniscienza

nel sormontare sorge alla vittoria

che non piu' parte volta a corrosione

non piu' sollievo vanifico d'un solo

porta nel grembo sciolto alla saggezza.

 

 

Nell'arco che centripeta le sfere

balena il nocciolo d'una tal potenza

che non al fine vincola appetenza

e la creata pagina imbastita

redige con i segni dell'offerta

d'una purezza che domina forma

in accoglienza.

 

 

Dove la luce fissa era del giorno

regna ora il patto che motiva il ponte

che il naufrago reietto all'eiezione

conduce nel respiro d'una terra

madre dell'acque sale e mutamento

nel punto dove scampo e distruzione

ritornano nell'unica scintilla.

 

 

 

PROLOGO

 

TERRA

 

Le brine, i sedimenti, il gesso , il fango :

le implastiche anfore del tornio

di tattili allegorie dei sensi.

 

Simboliche grafie di lavico

pietrificante che muove dall'asperso

al sovrapporsi silente e lento, al cotto

secco di già contratti impasti in bianco lieve

dell'insenziente allo stridore al graffio,

 

all'indrenabile sordido del limo,

alla tangenza entropica di denso.

 

 

La prujnoj  l' sedimentoj  l' gips kaj  l' sxlimo:

l' amforoj neplastikaj de l' tornilo

de tusxosensaj sensalegorioj.

 

Simbolaj enskribajxoj de ia lafa

sxtonigadant' kiu el asperg' moviqas

al surmetigx' silentelanta, al bako

seka de kuntiritaj pastoj malpezblanken

de l' nesensem' je la grincad' kaj l' grato

 

al nedrenebla malpurec' del koto,

al l' entropia tangxeco de la denso .

 

 

 

I - IL PAPA

 

 

E' per filo di suono

 

che all'esilio è serbato spiraglio;

egresso discreto a comune sostrato

non inoltrabile nel visibilio

a vestiti usitati ad un erebo scelto.

 

E' segno, inciso ancestrale

ammesso, all'umile, al creso,

alienato o sofisticato,

aura che involve l'idea e l'emozione

e nel gesto svilisce la propria intensione.

 

E' bilatero marchio

che ferisce l'agire o l'esalta,

 

d'un miracolo abita il bilico

che l'estasi avvince alle spire d'un'idra

funesta o l'armonico espande

al pedestre e l'amore sull'abituale.

 

 

 

Estas per sonfaden'

 

ke al l' ekzil' konserviqas elluko

elvoj' konigxanta al komuna substrato

netransirigebla en ekstazigxadon

al vestar' kutimanta al ereb' elektita.

 

Gxi estas prasigna gravuro

al  povr-aw-krezul'  allasita

alienigata aw sofistikemanta

kaj gestajxdenobligas sian propran ensencon.

 

Estas mark' dulatera

kiu agadon envund-aw-ekzaltas

 

de miraklo logxante labilon

kiu alligas l'ekstazon al volvoj de hidro

fatala aw al bas' alvastigas

harmonion, kaj  l' amon

sur la rutinado .

 

 

 

II - LA PAPESSA

 

Quel che cova è esterno.

 

Ed i sordi sciacalli sono dentro

dalle fami governate ben lontano

e dal silenzio.

 

Lievi fragranze e intense

convezioni,altreapparenzecontro

il rinnegato... inevitabili estri

per il ballo (?)

 

Non è dato bruciare

le catene, lentamente senza pregio

attenueranno ilproprioduttile nel filo

 

delle vesti.

 

 

 

Cxiu kovant' as ekstera.

 

Kaj l'sxakaloj ja surdoj estas ene,

de malsatoj enregitaj malproksime

kaj silento .

 

Malpezaodoroj, egaj konvektadoj

pliaj aperoj kontraw l'

forneito...

neeviteblaj verve

porbalajxoj (?)

 

Ne eble estas bruligi

la cxenajxoj , malrapide, senmerite

maldurigados sian duktilon je l' vefteroj

 

cxe la vesto .

 

 

III - IL BAGATTO

 

 

Cerco il mio volto terso

che pure s'è trovato.

 

Passo al setaccio sabbie

ad ogni passo

 

che ha partorito proprio

il mio passato.

 

Forzo la rosa in un velato avanti

nel cui profumo sono

 

sempre stato.

 

 

 

IV - L'IMPERATORE

 

 

 

Rilàssati, serpente !

 

E striscia piano.

 

E' stato scritto, sai, già tutto

in altro luogo...

 

Non spetta certo a te vorace

trascinarti ovunque

e vomitare tutto.

 

Piuttosto impara un poco

a digerire

la tua fine !

 

 

 

V - L'IMPERATRICE

 

 

Porterà

 

quel vagito che un cielo di amnio

nuovamente tradusse in un giorno

e una bocca s'un latte innocente

e la pelle ad amore di mano.

 

Porterà

 

quella trave che alzasti coatta

a sorreggere proponimento,

aspra cote su cui lavorasti

le ardue lame dell'avanzamento.

 

Porterà lo sfinito raffronto

entro vicoli d'impari sorti

mentre vincoli d'inferi intorti

alimentano demoni ciechi

ad effimere stragi di sprechi.

 

Porterà alla partenza... ma dopo

un aver camminato.

 

 

 

VI - L'INNAMORATO

 

 

Che sia levarsi libero

del cuore cadenza

di tappe incasellata

alla memore mente...

 

Che sia fervido osare

d'un perduto senno d'un amore

vocare antichi picchi

di titano...

 

perso pregare,

o umile seguire passi

già segnati...

 

impervio, il cammino !

Non possiamo

 

che volare.

 

 

 

VII - IL CARRO

 

Sogni

che sorpassano al centro

 

verticali allusioni

dalle sfere ammorbate.

 

Cappi

che s'allascano, bolle

che svaporano... cosa?

 

Ricongiungersi all'aria.

 

Sono

equilibrio imbattibile

di spartiti coempatici

insufflati ad argilla...

 

come

ammagliati d'un velo

che da rigido ventola

 

quando levita il segno.

 

 

 

VIII - LA FORZA

 

 

Larvata linea va alle metamorfosi

di scogli in onda dondolante

latte della moltezza culturale

fluttuante.

 

Riparerà le sparte punte col lusorio

dal distacco del secco

dal marcire nel mero...

 

e le sfere sensate

espanderanno il fronte

rarefacendo dentro.

 

Le neurocellule han tolto

il loro gioco in tal guisa

alla gerenza del caso

o a una prescienza,

 

per intrecciare potenze

di palcoscenici in carta...

 

sorsi d'olimpica beva

centellinati nel sale.

 

 

 

IX - L'EREMITA

 

 

Contemplare silenzi rarefatti

respirandone sacro;

 

enucleare tesi da una cattedra

falsificando ipotesi...

 

Semplice ! Questione di culture !

 

Consumarsi pian piano per amore

tremando d'esplosione d'infamia;

 

sorbirsi come facile gelato

gettarsi come carte sporche...

 

Semplice !

Questione di culture.

 

''O Dèmoni ! '' ...

eh già, ''tabù !'' ...

 

questione di culture ?

 

 

 

X - LA RUOTA

 

 

 

 

L'uomo che vaga non

può levigare

ore di pietra, pieghe di calvario

bucce di volti che

gli sono avanzi.

 

Passa a dividere rudi fotogrammi

da tanta strada che

gli passa intorno.

 

Restano ruote

sassi

ed un ritorno,

 

ombre di cielo...

l'ultima

 

contrada.

 

 

 

XI - LA GIUSTIZIA

 

Inconfutabile

 

il segno che finisce.

 

Il genio che recide smaliziando

e gongola in sinuosi labirinti

fortezza più estinguibile del vago

concime in questa traccia

sembra di pianta florida

di velenoso frutto.

 

Pirrica di riscatto

mi striglia le riserve

non so da quale patto

contro un avverso entrato

nel tenero neonato

karmico preparato

che ignaro un filo serve.

 

Preme la conoscenza

che dura si propone

curiosa di carpire

dov'è la sua mancanza

e che non vuol capire

(eppure ciò potrebbe !)

che l'inadeguatezza

non può essere adeguata

 

a intendersi adeguata.

 

 

 

XII - L'APPESO

 

 

Finché di flesso

sofferto sarà parte che vorrà

la sua ventura

la sua statura

 

sarà di forma ogni sua riva

che da rifranto bene-male,inganno-festa

sarà il sottile nesso delle grandi

vibrate estati incontinenti

fra le serie e gli effetti,

 

saranno riti e moti con i loro

interni greti

a contornare le acque

e turbinare cieli

 

intravveduti.

 

 

 

XIII - LA MORTE

 

Di quanti prevalere e rassegnare

si figge l'ignea corte ad epicentro

predato come modo, come brano,

embolo che per genio alla corrente

muti il corso segnato su una banda

che la cifra.

 

D'enchimosi languite marcescenti

s'infligge fitta il prossimo tessuto

teoria, che storia fosca sembra scordi

e invece tanto più ricalca quanto

più addietro data e più teorie scavate

fanno scavo.

 

Non monopolio della sofferenza

ascritto a canto, a conto , a resoconto

a cingersi di gloria o di memoria

supercoscienza che trascenda il giogo

o giusto verbo ad ingannare il luogo...

 

solo una fine può azzerare il conto (?)

 

 

 

XIV - LA TEMPERANZA

 

 

Sente...

 

l'incoercibile senso dell'onde

decifrato da suono che fugge

la presenza

del silente

di preludi di ombra.

 

...Niente.

 

Nulla tocca la sfera senziente

quando appena trafigge il profano

culto d'un raso

nel tellurico vaso

che la tema soggioga.

 

Mente.

 

Sola mente ritorna sul fronte

solo il fisso può accedere a mondo

oltre luce di fuoco

ove forza di denso

finta mente dimora.

 

 

 

XV - IL DIAVOLO

 

 

E' come satiro guida nelle danze

padre di desideri, ludri, bramosia

monta, scavalca il grado

degno di miglior simile

vitale, e tende e avanza col lubrico

morso ed elogia seducente.

 

E' come vipera che domina dal basso

nascosta affonda il suo doloso dente

fluida figura della fredda grazia

colore ornato di strisciare muto

corona rigida che al tocco scatta

mortale bifido che ipnotizza.

 

Tossico mescere a tardo silema

sfera di schiava ferrigna affezione

folle ricorrere a folle occasione

afferra l'anima sugge talento

magico provvido d'iniziazione

 

astuzia intrepida

sull'immortale.

 

 

 

XVI - LA TORRE

 

 

Mondo insolente !

 

O ti s'è schiavi,

o ti odiamo oltre misura.

 

Non è proprio possibile

esserti indifferenti ?

 

Perché dotarti di rivolta

d'amore, di rinuncia

e calore, di gioco

e dolore, in alterno ritorno ?

 

Perché perdere una terra

per poi nascerci sopra

per salvarla ?

 

Per dare al suono puro

un suo colore ?

 

Per dare al vuoto buio

il suo chiarore.

 

 

 

 

XVII - LE STELLE

 

 

Ti parlerà il mondo della gioia

di verità che sotto ciglia stanche

non chiederanno segni di stupore.

 

I brividi saranno fermi sassi.

 

Un'anima remata

li raccoglierà.

 

Sorreggeranno larghe boe

il tuo respiro

 

quando sull'onde

lo rilascerai.

 

 

 

XVIII - LA LUNA

 

Quieta il tuo carro

e...

ascendi al cielo delle gemme

alla sera protettrici luci aperte

per un sommo artista...

 

cosa dona

al confronto il tuo nartece ?

 

Quanti suoni per

la strada zeppa

delle fiaccole di adusta

piccolezza... al suo abbaglio

ogni bagliore ti si sbriglia

come perla d'un serto necessario.

 

Hai lasciato

nell'oscuro l'esperienza

di splendore d'un'antica notte

su altri occhi delle stesse stelle

...ma sarebbe posare

il ricordare ?

 

Sarà in questa

la chiusa del regista

delle cose, che dirà completa

la carriera della tua cometa (?)

 

Ma è per tutto

uno sfogo

nel mattino.

 

 

 

XIX - IL SOLE

 

 

Tu albero che hai smosse le radici

e punti al cielo le notti di rinuncia,

di linfa ancora ti ergi al nutrimento

che intendi da tuo legno e non da pietra

e sole ed aria e da messaggio innato,

e séguiti ed al duro togli il vanto.

 

Filosofo che adatti i tuoi modelli

che non rilasciano la presa dei tuoi lacci,

di essere e non essere s'imprime alla tua forgia

fine materia che appresti inscritta al tempo

che a nulla pace nel suo astratto volge

e imperscrutabile concreto non allevia.

 

Uomo che sperimenti e scuoti il mondo

che ti ritrovi a te stesso commento

e nella terra che tocchi ignori il seme,

fiorisci piante al tuo modificare,

contempla tavole carpite all'inviluppo

a esplicitarti con ciò, che t'ha distrutto.

 

 

 

XX - IL GIUDIZIO

 

 

Al suono dell'Arpa

le note appassiscono il sogno,

ne stillano agevole etra.

 

Entrerò nel tuo canto ?

Lascerò le lanterne del senso ?

 

E' un suono di terra.

Ed io sono terra...

 

Ma non è

la terra

del cielo ?

 

 

 

XXI - IL MATTO

 

Sono felice,

 

sì , sono felice !

 

Se i sensi e il mondo sono la parola

ponte fra muto mordere e coscienza

nesso ricetto agibile a portata...

 

allora parlerò :

''s o n o f e l i c e ! ''

 

Sì , sono felice :

che nido alla pienezza è la sostanza,

che guerre al patimento,

se è la struttura tenue che c'inganna,

funziona l'apparato come preparato

entro cielo celato

che dentro cuce il caso fortunato

e il secco pianto che t'incede accanto

e incide e incendia, e spento

si ricorda incanto ?

 

Allora canto...

muto l'inetto software,

esco da un me ammaccato,

e canto:

'' Sono felice !

sì ,

sono contento ''.

 

 

 

( XXII)   IL MONDO

 

 

Sei mera cellula

composta in sangue ed ossa

 

figlio del suono

 

che nel piacere

disperdi ogni tuo regno

 

e nel dolore hai fremito

di pace ?

 

***

 

***  gli elementi  ***

 

1  -  LA TERRA

 

I

 

Canto che nella mente frulli e sotto

spandi e premi ed inciti al vero,

mentre attente manovrano nell'ore

plumbee leggi su cellule schiave ;

 

canto d'umana cetra non potrai

spronare l'infermezza e l'esitare,

smontare il tetto dell'infatuazione ;

ché crollo d'altra scossa gli appartiene.

 

Canto delle sere umide d'inverno,

d'estive notti dolce rinnegare,

se alte ragioni ti soffiasero alba,

non solo l'ombra avresti

dell'amare.

 

II

 

Avidi vuoti nell'oscuro

vagano a caccia di passione,

più che a sera vicini all'alba

sostano offrendosi '' libertà ''.

 

Sfidano rischi e la paura

cerca l'inconscio e distruzione.

Forse lì una presenza calda

sfregia il rifiuto alla società.

 

Resta diàstasi d'alto muro

anche sui monti d'abiezione,

duro più della terra salda

delle strutture d'una città.

 

Aridi volti dall'oscuro

vangano cocci e possessione.

Ogni sera spingendo l'alba

passa soffrendo la libertà.

 

 

 

2 -  L'ARIA

 

I

 

Che senso avrà mai inappagato cercare

perenne appetire, cacciare, godere?

Io rido d'un gatto che insegue un gomitolo in gioco

eseguouna luna di voltocangiante e lestelle cadenti,

rincorro d'un filo di cieco sapore la chiusa matassa.

 

Che forza ha mai dato trovare appagato

per rapidi immemori istanti,

per poi rincasare nel vano delirio,

di nuovo apprestare bei miti di vento,

di nuovo librarsi in un'aria di nulla vincente?

Che senso avrà mai l'inarreso pensare?

 

E il freddo dentro d'un donare indigente

mi penetra l'ossa e la mente

che ha osato volare s'un irto cammino

fidando nell'ali del cuore e nel Sole distratto,

ignara dei venti del volo e del loro mordente

invisi all'ardire s'un lento progresso.

 

 

Il brivido inerte dell'accelerare

non ruba alle stelle un indegno favore.

Perché ci dotasti di ali d'immenso,

se poi quel volare è distruggerci piano,

se vento d'ignoto ne gela l'ardore?

 

Oppure sostieni l'inerme indigenza,

e il volo è d'un sogno,

il cadere miraggio di stella

che nasce, che vibra ed esplode

in tempo che dura

quanto Tu vuoi ch'appaia ?

 

Eppure è già volo il silente pensare.

 

 

II

 

Un soffio di vento

dall'imposta chiusa,

d'un inverno che piu' duro s'avvicina.

 

Un soffio di tutto,

da quest'anima occlusa,

d'una vita che confusa

s'allontana.

 

Ed aspetto l'estate

il calore d'un nulla.

 

Guarda

al confluire dei mondi

dove le ere sono istanti,

dove gli istanti sono ere.

 

 

 

Un souffle de vent

au volet fermé

d'un hiver

qui plus dur approche.

 

Un souffle de tout

à cette âme cachée

d'une vie

qui brouillée s'éloigne.

 

Et moi, j 'attends l' été

la chaleur d'un rien.

 

Regarde

au rejoindre des mondes

où les ères sont instants,

les instants sont des ères.

 

 

III

 

Altre onde, agitate sopra un mare

in movimento di motivi finti

forti di sale e munimenti persi,

comunque mosse anche nel vento fermo.

 

Altri incontri e inconsce congruenze

in un involucro dato ad ammuffire

largendo iperboli alle commozioni,

ipnotizzandosi ai numi e alla presenza

d'un alto patto che ci regga un senso.

 

E quante vite, quanti soli al tempo

delle ghirlande d'un ignaro pupo

che alla purezza ha volte le sue guide

e partorisce un utile guastato.

 

 

 

3 -  L'ACQUA

 

I

 

Fluttuoso senso mi dirotta il gesto

che in esso ognora smarrito si corrode.

 

Senso nascosto...ma qual'è il suo senso?

 

E' questo virus che già mi s'addentra

prima che accinga i miei disegni al mondo

prima che sorga il sole sopra il sogno

prima che fugga inseguito nella notte,

che il gesto stesso violenti la sua idea.

 

Non posso cogliere lune nell'abisso

se non acquieto il pelo delle acque.

 

II

 

Ferme monadi incallite ed arse

nelle vostre morfine risvegliate

dalle fauci d'un tempo addormentate

prontamente ingoiate poi che apparse,

 

lentesupplici di sublimiforme

fuochi artefici dei fiumi d'oro

ali in volo verso quel tesoro

che fra viscide alghe dorme.

 

Se guadaste paludose farse

forse ne calpestereste l'orme.

Strette sotto il giogo delle norme

l'anse di tal guado sono scarse.

 

Progredite dunque, ed affinate.

Del lasciare non mitigherete ploro.

 

 

4 -  IL FUOCO

 

I

 

Incube Efesto ubiquo

inestricato ravvolge

discisse incudini

di battere che mane

recluso , infino include

l'esalato che ange

chi disgiunto ne prese

da rimossi intercorsi

 

e non ne svolge lave

valicabili.

 

II

 

Quanti pesci potranno saziare

le mie polveri afflate sul mare.

O più vermi imbottire

le mie carni in un lesto marcire

un involucro freddo di/viso.

Spetta ad oggi sfamare il sorriso.

 

III

 

Occhi spine.

Occhi mine.

Totem della danza di brame.

Occhi lievi di aria e pazzia,

occhi muri di fumo e magia.

 

Sonde dell'instabile armonia.

Saggi di inetta libertà

raggi di netta opacità.

Paggi di complicità.

 

Sassi di rigore, e lame.

Passi nella morbida incertezza

lucidi nella scura asprezza.

Fermento dell'ispida amarezza.

 

***

 

I NUMERI

 

Via del fare, palestra incessante

di scontro ed incontro.

 

Se qui siamo è per fine di dire

e volere. Se vediamo

è per occhi di carne e di croci

d'un passato , che frustano e fanno

contemplanti in amore.

 

O è per causa del fare

del dire e volere

che qui siamo a vedere ?

 

Ma chi pone domanda

s'attraversa ignavo.

 

*** i  semi ***

 

ADAMO ( IL RE )

 

Che tu m'ascolti o meno, tempo,

ora mi volgo a te come i poeti

sommi che tu vedesti alzare

lamento, gemere, rivolta o sdegno,

e pur agevole vincesti con l'andare.

 

Labile ti porgo

adesso la mia resa.

 

I tuoi feticci ingannevoli ho creduto

disdegnare, ed ho raccolto sempre

al fine soli simboli sparuti

delle sparite inconcludenti ascese,

di travolgenti pene pire accese.

 

Sassi steli petali biglietti...

ceneri misere agli abortiti affetti

che tu spargesti, anch'esse,

sull'oblio.

 

 

EVA ( LA REGINA )

 

Avevo snelle carni e gambe

levigate, pelle serena e viva

come petali d'iris in azzurro.

 

E questo era, e non chiedevo

al mondo la mia voluttà.

 

Erano fresca purezza alla natura,

nella potenza erano idea leggera,

cristallo pulsante di bellezza.

 

Erano per il cielo

erano per il mare

erano per il tutto

forma vibrante alla presenza.

 

Ed ho voluto

vedere solo sopra la mia pelle

la lucentezza

forma vibrata nella forma

carne per una idea pesante,

foglie nel vento del pensiero

voltemi contro da felicità stravolte.

 

 

E questo adesso è fitto bosco,

dove mi perdono gambe navigate,

cercando come sono,

se v'è una vita che sia petalo di luce,

levigando vane tinte forme in fuga,

cercando cielo oltre le nubi opache,

mare che accolga e eroda dura riluttanza,

ferendo un tempo invitto nel ricordo,

nell'aspettare ch'esso definisca

spento carbone porti a generare

diamante di riflesso all'Uno.

 

 

 

LA SFINGE ( LA DAMA )

 

 

Ha paura di perdere

ciò che pensa d'avere,

chi non sache nonperde

ciò che non sa d'avere.

 

Non ha perso paura

dell'aver da pensare

ciò che sache poiperde,

chi non sa non avere.

 

Sa d'avere paura

al pensare di perdere,

chi pensò di sapere

quello che avrà da perdere.

 

Non avrà più paura

di sapere di perdere

ciò che ha da pensare,

chi saprà non avere.

 

 

 

IL POETA ( IL CAVALIERE )

 

Per cosa il tempo canto e gli astri

e le fredde nottate,

i miei volumi accuccio e le ansietà

nel suono stanco ?

 

Può la parola catturare il cielo,

se esso non vuole,

e triste petulare

senza screziare il quadro

di grigi e fumo

sulle tinte di vita ed insidia ;

sulle note adagiare le nenie

di scheletri vuoti

ma ancora pesanti,

senza dentro succhiare le nadi convesse

ed intorno bruciare i sapori,

annerire i chiarori ?

 

 

Perché l'aspro cantare e l'amaro

e l'amore perduto trovato

e le lacrime secche e infangate,

lasciare dei segni per un sé futuro,

per spiriti pieni ed agiati

 

di forme virenti vestali,

alle muse dolenti votati,

a parole ancor piu' dileguanti,

a rapido e lento mutare ?

 

Anime piane di muti entusiasmi,

quanto più denso cercare

nell'intimo senso...

Nel silenzio.

 

* * *

 

L'ETERE

 

I

 

Ogni nota sottende un estenso

sua coscienza nell'ima incoscienza

che lì nasce assonanza nel tempo.

 

Ogni tratto è segno a un disegno,

si figura dal mondo dal regno

del silenzio, dischiude evidenza

che s'illumina in cifre iridate

e si lascia carpire pian piano.

 

Ogni sera rinnova un tramonto

che non sempre s'offre a sognare.

 

Ogni istante dispensa non nati

note e tratti, rievoca aborti.

 

Non rivivono giorni futuri

i passati tramonti...ove vanno

i perduti fulgori.

 

II

 

Così sarà, pienezza

che ti divora al ciclo delle pene

non nutrimento, non devastazione,

non in ali di credo un tuo motivo,

o da fragili moti il tuo respiro,

bensì guardare che ti scopre parte.

 

Porte non puoi

serrare

alla gelida mano sul cammino

di chi da un sé diparte sulla ferma

voragine d'ignoto

ad ogni guizzo d'occhi s'un pensiero,

e al baratro riporta tutto il mondo,

dalla sua coscienza

che è potenza uguale ... ed impotenza.

 

Palpare un tuo godere, adesso

un gaudio ''eterno'',

soffonderti del suono dei celesti

forse ti esalta , ma ...

costringe a un nome.

 

 

III

 

Salimmo al monte d'una nebbia persi

cloniche trasudanti proiezioni

variegature dagli scettri smessi

capricci spessi agevoli nell'aria

volteggiamento che ora ci separa.

 

Salimmo in erte per tragitti atri

ed ansimanti ad anodi stregati

alide particelle creaturali

già caricate previinsediamenti

vittime d'autoassedio negativo

riprogrammate per la commozione

solida nelle membra

idea pungente in aliti larvali

a bracconaggio d'implementazione.

 

Fummo avvisati ed anche scoraggiati

e d'altra banda sottilmente armati

alla conquista d'un novello ceppo

ciechi al disegno d'insito imporrare

ad acque che mai scorrono a pienezza

al giusto dileguarsi delle fasi

sia ch'indirizzino sia ch'immiseriscano

seccando tutto il lasso a introgolare.

 

 

Siamo ora sfatti ad una cima avvinti

dopo un'intorta serie di colture

e dalla densa albedine di nubi

intravvediamo pace alla pianezza.

 

Ed è più che scalar

duro smontare.

 

 

***  le polarità ***

 

 

YIN

 

Si stempera in mare

ogni acido efflusso di vecchio fermento

ogni acre di critico accento

ogni inclito avvento.

 

Desisti dal cielo ?

Irrori uno stelo di paglia ingannata

eccelso foraggio

di ''provvido'' raggio.

 

Quest'ampie vocali, riposo del tratto,

son giogo distratto

bel gioco redatto

ristoro contratto,

sposato ai colori nel simbolo arcano.

Poesia del tuo vano.

 

 

S'inondad'asettico sale l'oceano del pianto

nutrendo il suo fondo di sterile manto

col plancton del vanto.

 

E pronta l'insidia dell'evoluzione

stravolge le sane ed innate bilance

coinvolge le insane correnti

promette albe e vite metalliche foforescenti.

 

Poeti e mercanti,

guardate abissare in quel mare

sonore vocali di ugole od ance,

sonanti denari in rivalutazione,

 

la vista dannata

e gli esiti infranti,

le vostre pulsanti lampare.

 

 

 

YANG

 

Alza il tuo sguardo infermo

alle altere pupille

sugli scogli crucciati e impassibili

sulle voci maestre ed amiche

d'intrusioni pudiche.

 

Alza la preda sull'albero al leone

se all'impeto non sai cavare schermo.

 

Fida almi apoftegmi agl'infallibili,

pur obliandoli nelle frali argille

entro levate torri loro antiche.

 

Alza iltuo viso scarno sopra albasie apriche

scocca i tuoi fini quadrelli al vano agone...

 

ma vòlti contro l'intima prigione.

 

***

 

EPILOGO

 

 

Spenti i bei canti

di mille stanche lire

di mille lustri spersi

in fimo e luto.

 

Greve vestire nullo

nudi fantocci

di vieti segni

finto velluto.

 

Già m'eccitaste nella lotta

e mi giraste nelle brevi gioie

nere materne mani

chiuse sugli occhi ai lutti intatti.

 

E mi curò una lutea speme

d'essi vibrata,

di mille petali viva ragione

lenente liuto...

di mille note la chiusa prigione,

 

per affogare

 

nel lago placido

 

d'un solo loto .