T A R O T
INTRODUZIONE
L'interpretazione dei tarocchi sottesa a questa presentazione poetica è quella della torre mistica, metafora sufica dell'elevazione dell'individuo dal particolare e dal formale al cosmico e allo spirituale, secondo la tesi che riconduce l'origine, o almeno una significativa tappa evolutiva, dei tarocchi al sufismo (v. Idries Shah: The Sufis ; e J.D.Blakeley: La torre mistica dei tarocchi).
Seguendo il modello neoplatonico, i gradi dell'essere possono venire concepiti come una serie di emanazioni che divengono sempre più deboli e irreali, più materiali e meno luminose via via che si allontanano dalla luce purissima dell'Assoluto.
Come vi è un arco della discesa, vi è anche un arco dell'ascesa, mediante il quale l'uomo, prodotto finale della catena evolutiva, ritorna alla sua patria grazie allo "annientamento in Dio", e si fonde di nuovo nell'essenza divina, che è il solo vero essere, in armonia col detto sufico: "Tutto ritorna alla sua fonte".
Si presenta tale interpretazione tramite un modello di sette cieli concentrici, ognuno contenente tre arcani maggiori secondo una tricotomia tesi-antitesi-sintesi (riconducibile anche al triangolo Rajas-Tamas-Sattva della tradizione tantrico-induista), dipartentisi da un cerchio centrale, sintesi unitaria della trinità, associato alla carta "Il Mondo".
I sette cieli, completati nell'ottavo di partenza, sono collegabili ai sette trigrammi binari dello Yi Ching associati ai numeri da 1 a 7, lasciando il trigramma iniziale a simbolizzare l'ottavo cielo interno. In modo duale si possono scambiare i simboli di Yin e Yang e attribuire una diversa numerazione ai due flussi entrante e uscente.
I due simbolismi duali coesistono anche se antitetici in un sinergismo metasimbolico ( il "cerchio quadrato" spinoziano, metafora dell'ineffabilità di Dio).
Le ottave numeriche rappresentative della congruenza modulare dello zero e dell'otto, nonché del numero quattro come stadio di equilibrio, portano a criteri di complementazione dei simmetrici ai numeri 7,8,9, ossia ad una terna "corteggiante" 2x2x2, sintesi di polarita' e tridimensionalita'.
Tale schema a corone circolari concentriche può altresì essere trasformato in un albero ottenuto in modo che da ogni nodo partano tre rami e costruito partendo da un punto, corrispondente alla carta "Il Mondo", mediante una triramazione e successivamente operando una biforcazione in due rami con partenza da ogni foglia dell'albero precedentemente ottenuto. Reiterando tale processo fino ad ottenere 12 foglie e 22 nodi in totale si ottiene uno schema con un centro e tre rami settenari, corrispondenti alla struttura di tre sigilli salomonici (in matematica Z(7) ) o, equivalentemente, simboli di candelabro a sette bugie. Tale rappresentazione può essere immersa nello spazio tridimensionale per ottenere i 21 nodi non centrali tramite versori degli assi coordinati.
L'interpretazione numerica modulare corrisponde, tramite la codificazione binaria, a quella isiemistica che associa ai sette numeri iniziali (partendo da 1) i sottoinsiemi non vuoti di un insieme di tre elementi base (simboli, o altro) per dar luogo a 7 "costituzioni" composte ( cioè, partendo dai simboli a,b,c, desumerne le costituzioni a, b, c, ab, ac, bc, abc), pervenendo pertanto ad associare agli arcani maggiori 7 costituzioni rajasiche, 7 tamasiche e 7 sattviche, più una vuota, o indefinita, quella della carta del mondo.
Gli arcani minori, in numero di 56=14x4, sono introdotti tramite la loro base costitutiva, formata dai numeri( da 1 a 10, o da O a 9) dalle figure (re, regina, cavaliere, dama), e dai quattro elementi associati ai semi (fuoco-bastoni, aria-spade, terra- denari e acqua-coppe), aggiungendo al tutto l'elemento quintessenziale "etere", che non nasce come gli altri dalla combinazione delle polarità freddo-caldo e secco-umido, e associandolo, secondo quanto si usa fare nella teoria elementale dei tarocchi, agli arcani maggiori; e aggiungendo altresì lo yin e lo yang, come polarità interpretative di ogni carta. Si perviene così (considerando i numeri come personaggio collettivo) a 12 personaggi base che si aggiungono alle lame degli arcani maggiori.
POEMETTO SINFONICO-SIMBOLICO
PER 22 LAME E 12 "PERSONAGGI"
di
Gae Spes
mostra euritmica di poesia-pittura-musica
PASSI IN PASSIBILI
_____________________
Katholische Hauptschule
Salisburgo
1992
" Di qui catta orizzonte
ogn'un che schiuso sale. "
PASSI IN PASSIBILI
E' nella vera centrica pupilla
che non si lascia violare senza veli
la chiara fonte di stupore e voce
che intorno evoca e induce a soggezione
mentre nel letto precipita il cammino
dei chiusi astri complici perduti
da forza in folgore urtata e mutativa.
Quando s'eclissa dietro l'orizzonte
concede occhi lontani nel lucore
fioco confitto nei destini avvinti
all'ampia pallida madre che vicina
pare largo conforto al claudicante
che avversa nella rigida bufera
il nudo seme.
Nel primo giro di zodiaco incerto
nel mero seme è coppa di pace
prima che scoglio interno perituro
dischiuda l'angelo del fuoco all'equilibrio.
L'ottavo passo dà ristoro a morte
ma non pacifica brame d'un inferno
tinto d'olimpo.
E nella ruota l'albero del mondo
di terna in terna e interni settenari
chiude la perfezione in fermo accento
fredda misura simbolo del fatto
che si sigilla all'umida coscienza
nell'effezione assurta a presa d'atto
di convenienza che sospende al cielo.
S'apre qui il sogno del superamento
che nel costrutto vale di saldezza
ed in bellezza scorge l'onniscienza
nel sormontare sorge alla vittoria
che non piu' parte volta a corrosione
non piu' sollievo vanifico d'un solo
porta nel grembo sciolto alla saggezza.
Nell'arco che centripeta le sfere
balena il nocciolo d'una tal potenza
che non al fine vincola appetenza
e la creata pagina imbastita
redige con i segni dell'offerta
d'una purezza che domina forma
in accoglienza.
Dove la luce fissa era del giorno
regna ora il patto che motiva il ponte
che il naufrago reietto all'eiezione
conduce nel respiro d'una terra
madre dell'acque sale e mutamento
nel punto dove scampo e distruzione
ritornano nell'unica scintilla.
PROLOGO
TERRA
Le brine, i sedimenti, il gesso , il fango :
le implastiche anfore del tornio
di tattili allegorie dei sensi.
Simboliche grafie di lavico
pietrificante che muove dall'asperso
al sovrapporsi silente e lento, al cotto
secco di già contratti impasti in bianco lieve
dell'insenziente allo stridore al graffio,
all'indrenabile sordido del limo,
alla tangenza entropica di denso.
La prujnoj l' sedimentoj l' gips kaj l' sxlimo:
l' amforoj neplastikaj de l' tornilo
de tusxosensaj sensalegorioj.
Simbolaj enskribajxoj de ia lafa
sxtonigadant' kiu el asperg' moviqas
al surmetigx' silentelanta, al bako
seka de kuntiritaj pastoj malpezblanken
de l' nesensem' je la grincad' kaj l' grato
al nedrenebla malpurec' del koto,
al l' entropia tangxeco de la denso .
I - IL PAPA
E' per filo di suono
che all'esilio è serbato spiraglio;
egresso discreto a comune sostrato
non inoltrabile nel visibilio
a vestiti usitati ad un erebo scelto.
E' segno, inciso ancestrale
ammesso, all'umile, al creso,
alienato o sofisticato,
aura che involve l'idea e l'emozione
e nel gesto svilisce la propria intensione.
E' bilatero marchio
che ferisce l'agire o l'esalta,
d'un miracolo abita il bilico
che l'estasi avvince alle spire d'un'idra
funesta o l'armonico espande
al pedestre e l'amore sull'abituale.
Estas per sonfaden'
ke al l' ekzil' konserviqas elluko
elvoj' konigxanta al komuna substrato
netransirigebla en ekstazigxadon
al vestar' kutimanta al ereb' elektita.
Gxi estas prasigna gravuro
al povr-aw-krezul' allasita
alienigata aw sofistikemanta
kaj gestajxdenobligas sian propran ensencon.
Estas mark' dulatera
kiu agadon envund-aw-ekzaltas
de miraklo logxante labilon
kiu alligas l'ekstazon al volvoj de hidro
fatala aw al bas' alvastigas
harmonion, kaj l' amon
sur la rutinado .
II - LA PAPESSA
Quel che cova è esterno.
Ed i sordi sciacalli sono dentro
dalle fami governate ben lontano
e dal silenzio.
Lievi fragranze e intense
convezioni,altreapparenzecontro
il rinnegato... inevitabili estri
per il ballo (?)
Non è dato bruciare
le catene, lentamente senza pregio
attenueranno ilproprioduttile nel filo
delle vesti.
Cxiu kovant' as ekstera.
Kaj l'sxakaloj ja surdoj estas ene,
de malsatoj enregitaj malproksime
kaj silento .
Malpezaodoroj, egaj konvektadoj
pliaj aperoj kontraw l'
forneito...
neeviteblaj verve
porbalajxoj (?)
Ne eble estas bruligi
la cxenajxoj , malrapide, senmerite
maldurigados sian duktilon je l' vefteroj
cxe la vesto .
III - IL BAGATTO
Cerco il mio volto terso
che pure s'è trovato.
Passo al setaccio sabbie
ad ogni passo
che ha partorito proprio
il mio passato.
Forzo la rosa in un velato avanti
nel cui profumo sono
sempre stato.
IV - L'IMPERATORE
Rilàssati, serpente !
E striscia piano.
E' stato scritto, sai, già tutto
in altro luogo...
Non spetta certo a te vorace
trascinarti ovunque
e vomitare tutto.
Piuttosto impara un poco
a digerire
la tua fine !
V - L'IMPERATRICE
Porterà
quel vagito che un cielo di amnio
nuovamente tradusse in un giorno
e una bocca s'un latte innocente
e la pelle ad amore di mano.
Porterà
quella trave che alzasti coatta
a sorreggere proponimento,
aspra cote su cui lavorasti
le ardue lame dell'avanzamento.
Porterà lo sfinito raffronto
entro vicoli d'impari sorti
mentre vincoli d'inferi intorti
alimentano demoni ciechi
ad effimere stragi di sprechi.
Porterà alla partenza... ma dopo
un aver camminato.
VI - L'INNAMORATO
Che sia levarsi libero
del cuore cadenza
di tappe incasellata
alla memore mente...
Che sia fervido osare
d'un perduto senno d'un amore
vocare antichi picchi
di titano...
perso pregare,
o umile seguire passi
già segnati...
impervio, il cammino !
Non possiamo
che volare.
VII - IL CARRO
Sogni
che sorpassano al centro
verticali allusioni
dalle sfere ammorbate.
Cappi
che s'allascano, bolle
che svaporano... cosa?
Ricongiungersi all'aria.
Sono
equilibrio imbattibile
di spartiti coempatici
insufflati ad argilla...
come
ammagliati d'un velo
che da rigido ventola
quando levita il segno.
VIII - LA FORZA
Larvata linea va alle metamorfosi
di scogli in onda dondolante
latte della moltezza culturale
fluttuante.
Riparerà le sparte punte col lusorio
dal distacco del secco
dal marcire nel mero...
e le sfere sensate
espanderanno il fronte
rarefacendo dentro.
Le neurocellule han tolto
il loro gioco in tal guisa
alla gerenza del caso
o a una prescienza,
per intrecciare potenze
di palcoscenici in carta...
sorsi d'olimpica beva
centellinati nel sale.
IX - L'EREMITA
Contemplare silenzi rarefatti
respirandone sacro;
enucleare tesi da una cattedra
falsificando ipotesi...
Semplice ! Questione di culture !
Consumarsi pian piano per amore
tremando d'esplosione d'infamia;
sorbirsi come facile gelato
gettarsi come carte sporche...
Semplice !
Questione di culture.
''O Dèmoni ! '' ...
eh già, ''tabù !'' ...
questione di culture ?
X - LA RUOTA
L'uomo che vaga non
può levigare
ore di pietra, pieghe di calvario
bucce di volti che
gli sono avanzi.
Passa a dividere rudi fotogrammi
da tanta strada che
gli passa intorno.
Restano ruote
sassi
ed un ritorno,
ombre di cielo...
l'ultima
contrada.
XI - LA GIUSTIZIA
Inconfutabile
il segno che finisce.
Il genio che recide smaliziando
e gongola in sinuosi labirinti
fortezza più estinguibile del vago
concime in questa traccia
sembra di pianta florida
di velenoso frutto.
Pirrica di riscatto
mi striglia le riserve
non so da quale patto
contro un avverso entrato
nel tenero neonato
karmico preparato
che ignaro un filo serve.
Preme la conoscenza
che dura si propone
curiosa di carpire
dov'è la sua mancanza
e che non vuol capire
(eppure ciò potrebbe !)
che l'inadeguatezza
non può essere adeguata
a intendersi adeguata.
XII - L'APPESO
Finché di flesso
sofferto sarà parte che vorrà
la sua ventura
la sua statura
sarà di forma ogni sua riva
che da rifranto bene-male,inganno-festa
sarà il sottile nesso delle grandi
vibrate estati incontinenti
fra le serie e gli effetti,
saranno riti e moti con i loro
interni greti
a contornare le acque
e turbinare cieli
intravveduti.
XIII - LA MORTE
Di quanti prevalere e rassegnare
si figge l'ignea corte ad epicentro
predato come modo, come brano,
embolo che per genio alla corrente
muti il corso segnato su una banda
che la cifra.
D'enchimosi languite marcescenti
s'infligge fitta il prossimo tessuto
teoria, che storia fosca sembra scordi
e invece tanto più ricalca quanto
più addietro data e più teorie scavate
fanno scavo.
Non monopolio della sofferenza
ascritto a canto, a conto , a resoconto
a cingersi di gloria o di memoria
supercoscienza che trascenda il giogo
o giusto verbo ad ingannare il luogo...
solo una fine può azzerare il conto (?)
XIV - LA TEMPERANZA
Sente...
l'incoercibile senso dell'onde
decifrato da suono che fugge
la presenza
del silente
di preludi di ombra.
...Niente.
Nulla tocca la sfera senziente
quando appena trafigge il profano
culto d'un raso
nel tellurico vaso
che la tema soggioga.
Mente.
Sola mente ritorna sul fronte
solo il fisso può accedere a mondo
oltre luce di fuoco
ove forza di denso
finta mente dimora.
XV - IL DIAVOLO
E' come satiro guida nelle danze
padre di desideri, ludri, bramosia
monta, scavalca il grado
degno di miglior simile
vitale, e tende e avanza col lubrico
morso ed elogia seducente.
E' come vipera che domina dal basso
nascosta affonda il suo doloso dente
fluida figura della fredda grazia
colore ornato di strisciare muto
corona rigida che al tocco scatta
mortale bifido che ipnotizza.
Tossico mescere a tardo silema
sfera di schiava ferrigna affezione
folle ricorrere a folle occasione
afferra l'anima sugge talento
magico provvido d'iniziazione
astuzia intrepida
sull'immortale.
XVI - LA TORRE
Mondo insolente !
O ti s'è schiavi,
o ti odiamo oltre misura.
Non è proprio possibile
esserti indifferenti ?
Perché dotarti di rivolta
d'amore, di rinuncia
e calore, di gioco
e dolore, in alterno ritorno ?
Perché perdere una terra
per poi nascerci sopra
per salvarla ?
Per dare al suono puro
un suo colore ?
Per dare al vuoto buio
il suo chiarore.
XVII - LE STELLE
Ti parlerà il mondo della gioia
di verità che sotto ciglia stanche
non chiederanno segni di stupore.
I brividi saranno fermi sassi.
Un'anima remata
li raccoglierà.
Sorreggeranno larghe boe
il tuo respiro
quando sull'onde
lo rilascerai.
XVIII - LA LUNA
Quieta il tuo carro
e...
ascendi al cielo delle gemme
alla sera protettrici luci aperte
per un sommo artista...
cosa dona
al confronto il tuo nartece ?
Quanti suoni per
la strada zeppa
delle fiaccole di adusta
piccolezza... al suo abbaglio
ogni bagliore ti si sbriglia
come perla d'un serto necessario.
Hai lasciato
nell'oscuro l'esperienza
di splendore d'un'antica notte
su altri occhi delle stesse stelle
...ma sarebbe posare
il ricordare ?
Sarà in questa
la chiusa del regista
delle cose, che dirà completa
la carriera della tua cometa (?)
Ma è per tutto
uno sfogo
nel mattino.
XIX - IL SOLE
Tu albero che hai smosse le radici
e punti al cielo le notti di rinuncia,
di linfa ancora ti ergi al nutrimento
che intendi da tuo legno e non da pietra
e sole ed aria e da messaggio innato,
e séguiti ed al duro togli il vanto.
Filosofo che adatti i tuoi modelli
che non rilasciano la presa dei tuoi lacci,
di essere e non essere s'imprime alla tua forgia
fine materia che appresti inscritta al tempo
che a nulla pace nel suo astratto volge
e imperscrutabile concreto non allevia.
Uomo che sperimenti e scuoti il mondo
che ti ritrovi a te stesso commento
e nella terra che tocchi ignori il seme,
fiorisci piante al tuo modificare,
contempla tavole carpite all'inviluppo
a esplicitarti con ciò, che t'ha distrutto.
XX - IL GIUDIZIO
Al suono dell'Arpa
le note appassiscono il sogno,
ne stillano agevole etra.
Entrerò nel tuo canto ?
Lascerò le lanterne del senso ?
E' un suono di terra.
Ed io sono terra...
Ma non è
la terra
del cielo ?
XXI - IL MATTO
Sono felice,
sì , sono felice !
Se i sensi e il mondo sono la parola
ponte fra muto mordere e coscienza
nesso ricetto agibile a portata...
allora parlerò :
''s o n o f e l i c e ! ''
Sì , sono felice :
che nido alla pienezza è la sostanza,
che guerre al patimento,
se è la struttura tenue che c'inganna,
funziona l'apparato come preparato
entro cielo celato
che dentro cuce il caso fortunato
e il secco pianto che t'incede accanto
e incide e incendia, e spento
si ricorda incanto ?
Allora canto...
muto l'inetto software,
esco da un me ammaccato,
e canto:
'' Sono felice !
sì ,
sono contento ''.
( XXII) IL MONDO
Sei mera cellula
composta in sangue ed ossa
figlio del suono
che nel piacere
disperdi ogni tuo regno
e nel dolore hai fremito
di pace ?
***
*** gli elementi ***
1 - LA TERRA
I
Canto che nella mente frulli e sotto
spandi e premi ed inciti al vero,
mentre attente manovrano nell'ore
plumbee leggi su cellule schiave ;
canto d'umana cetra non potrai
spronare l'infermezza e l'esitare,
smontare il tetto dell'infatuazione ;
ché crollo d'altra scossa gli appartiene.
Canto delle sere umide d'inverno,
d'estive notti dolce rinnegare,
se alte ragioni ti soffiasero alba,
non solo l'ombra avresti
dell'amare.
II
Avidi vuoti nell'oscuro
vagano a caccia di passione,
più che a sera vicini all'alba
sostano offrendosi '' libertà ''.
Sfidano rischi e la paura
cerca l'inconscio e distruzione.
Forse lì una presenza calda
sfregia il rifiuto alla società.
Resta diàstasi d'alto muro
anche sui monti d'abiezione,
duro più della terra salda
delle strutture d'una città.
Aridi volti dall'oscuro
vangano cocci e possessione.
Ogni sera spingendo l'alba
passa soffrendo la libertà.
2 - L'ARIA
I
Che senso avrà mai inappagato cercare
perenne appetire, cacciare, godere?
Io rido d'un gatto che insegue un gomitolo in gioco
eseguouna luna di voltocangiante e lestelle cadenti,
rincorro d'un filo di cieco sapore la chiusa matassa.
Che forza ha mai dato trovare appagato
per rapidi immemori istanti,
per poi rincasare nel vano delirio,
di nuovo apprestare bei miti di vento,
di nuovo librarsi in un'aria di nulla vincente?
Che senso avrà mai l'inarreso pensare?
E il freddo dentro d'un donare indigente
mi penetra l'ossa e la mente
che ha osato volare s'un irto cammino
fidando nell'ali del cuore e nel Sole distratto,
ignara dei venti del volo e del loro mordente
invisi all'ardire s'un lento progresso.
Il brivido inerte dell'accelerare
non ruba alle stelle un indegno favore.
Perché ci dotasti di ali d'immenso,
se poi quel volare è distruggerci piano,
se vento d'ignoto ne gela l'ardore?
Oppure sostieni l'inerme indigenza,
e il volo è d'un sogno,
il cadere miraggio di stella
che nasce, che vibra ed esplode
in tempo che dura
quanto Tu vuoi ch'appaia ?
Eppure è già volo il silente pensare.
II
Un soffio di vento
dall'imposta chiusa,
d'un inverno che piu' duro s'avvicina.
Un soffio di tutto,
da quest'anima occlusa,
d'una vita che confusa
s'allontana.
Ed aspetto l'estate
il calore d'un nulla.
Guarda
al confluire dei mondi
dove le ere sono istanti,
dove gli istanti sono ere.
Un souffle de vent
au volet fermé
d'un hiver
qui plus dur approche.
Un souffle de tout
à cette âme cachée
d'une vie
qui brouillée s'éloigne.
Et moi, j 'attends l' été
la chaleur d'un rien.
Regarde
au rejoindre des mondes
où les ères sont instants,
les instants sont des ères.
III
Altre onde, agitate sopra un mare
in movimento di motivi finti
forti di sale e munimenti persi,
comunque mosse anche nel vento fermo.
Altri incontri e inconsce congruenze
in un involucro dato ad ammuffire
largendo iperboli alle commozioni,
ipnotizzandosi ai numi e alla presenza
d'un alto patto che ci regga un senso.
E quante vite, quanti soli al tempo
delle ghirlande d'un ignaro pupo
che alla purezza ha volte le sue guide
e partorisce un utile guastato.
3 - L'ACQUA
I
Fluttuoso senso mi dirotta il gesto
che in esso ognora smarrito si corrode.
Senso nascosto...ma qual'è il suo senso?
E' questo virus che già mi s'addentra
prima che accinga i miei disegni al mondo
prima che sorga il sole sopra il sogno
prima che fugga inseguito nella notte,
che il gesto stesso violenti la sua idea.
Non posso cogliere lune nell'abisso
se non acquieto il pelo delle acque.
II
Ferme monadi incallite ed arse
nelle vostre morfine risvegliate
dalle fauci d'un tempo addormentate
prontamente ingoiate poi che apparse,
lentesupplici di sublimiforme
fuochi artefici dei fiumi d'oro
ali in volo verso quel tesoro
che fra viscide alghe dorme.
Se guadaste paludose farse
forse ne calpestereste l'orme.
Strette sotto il giogo delle norme
l'anse di tal guado sono scarse.
Progredite dunque, ed affinate.
Del lasciare non mitigherete ploro.
4 - IL FUOCO
I
Incube Efesto ubiquo
inestricato ravvolge
discisse incudini
di battere che mane
recluso , infino include
l'esalato che ange
chi disgiunto ne prese
da rimossi intercorsi
e non ne svolge lave
valicabili.
II
Quanti pesci potranno saziare
le mie polveri afflate sul mare.
O più vermi imbottire
le mie carni in un lesto marcire
un involucro freddo di/viso.
Spetta ad oggi sfamare il sorriso.
III
Occhi spine.
Occhi mine.
Totem della danza di brame.
Occhi lievi di aria e pazzia,
occhi muri di fumo e magia.
Sonde dell'instabile armonia.
Saggi di inetta libertà
raggi di netta opacità.
Paggi di complicità.
Sassi di rigore, e lame.
Passi nella morbida incertezza
lucidi nella scura asprezza.
Fermento dell'ispida amarezza.
***
I NUMERI
Via del fare, palestra incessante
di scontro ed incontro.
Se qui siamo è per fine di dire
e volere. Se vediamo
è per occhi di carne e di croci
d'un passato , che frustano e fanno
contemplanti in amore.
O è per causa del fare
del dire e volere
che qui siamo a vedere ?
Ma chi pone domanda
s'attraversa ignavo.
*** i semi ***
ADAMO ( IL RE )
Che tu m'ascolti o meno, tempo,
ora mi volgo a te come i poeti
sommi che tu vedesti alzare
lamento, gemere, rivolta o sdegno,
e pur agevole vincesti con l'andare.
Labile ti porgo
adesso la mia resa.
I tuoi feticci ingannevoli ho creduto
disdegnare, ed ho raccolto sempre
al fine soli simboli sparuti
delle sparite inconcludenti ascese,
di travolgenti pene pire accese.
Sassi steli petali biglietti...
ceneri misere agli abortiti affetti
che tu spargesti, anch'esse,
sull'oblio.
EVA ( LA REGINA )
Avevo snelle carni e gambe
levigate, pelle serena e viva
come petali d'iris in azzurro.
E questo era, e non chiedevo
al mondo la mia voluttà.
Erano fresca purezza alla natura,
nella potenza erano idea leggera,
cristallo pulsante di bellezza.
Erano per il cielo
erano per il mare
erano per il tutto
forma vibrante alla presenza.
Ed ho voluto
vedere solo sopra la mia pelle
la lucentezza
forma vibrata nella forma
carne per una idea pesante,
foglie nel vento del pensiero
voltemi contro da felicità stravolte.
E questo adesso è fitto bosco,
dove mi perdono gambe navigate,
cercando come sono,
se v'è una vita che sia petalo di luce,
levigando vane tinte forme in fuga,
cercando cielo oltre le nubi opache,
mare che accolga e eroda dura riluttanza,
ferendo un tempo invitto nel ricordo,
nell'aspettare ch'esso definisca
spento carbone porti a generare
diamante di riflesso all'Uno.
LA SFINGE ( LA DAMA )
Ha paura di perdere
ciò che pensa d'avere,
chi non sache nonperde
ciò che non sa d'avere.
Non ha perso paura
dell'aver da pensare
ciò che sache poiperde,
chi non sa non avere.
Sa d'avere paura
al pensare di perdere,
chi pensò di sapere
quello che avrà da perdere.
Non avrà più paura
di sapere di perdere
ciò che ha da pensare,
chi saprà non avere.
IL POETA ( IL CAVALIERE )
Per cosa il tempo canto e gli astri
e le fredde nottate,
i miei volumi accuccio e le ansietà
nel suono stanco ?
Può la parola catturare il cielo,
se esso non vuole,
e triste petulare
senza screziare il quadro
di grigi e fumo
sulle tinte di vita ed insidia ;
sulle note adagiare le nenie
di scheletri vuoti
ma ancora pesanti,
senza dentro succhiare le nadi convesse
ed intorno bruciare i sapori,
annerire i chiarori ?
Perché l'aspro cantare e l'amaro
e l'amore perduto trovato
e le lacrime secche e infangate,
lasciare dei segni per un sé futuro,
per spiriti pieni ed agiati
di forme virenti vestali,
alle muse dolenti votati,
a parole ancor piu' dileguanti,
a rapido e lento mutare ?
Anime piane di muti entusiasmi,
quanto più denso cercare
nell'intimo senso...
Nel silenzio.
* * *
L'ETERE
I
Ogni nota sottende un estenso
sua coscienza nell'ima incoscienza
che lì nasce assonanza nel tempo.
Ogni tratto è segno a un disegno,
si figura dal mondo dal regno
del silenzio, dischiude evidenza
che s'illumina in cifre iridate
e si lascia carpire pian piano.
Ogni sera rinnova un tramonto
che non sempre s'offre a sognare.
Ogni istante dispensa non nati
note e tratti, rievoca aborti.
Non rivivono giorni futuri
i passati tramonti...ove vanno
i perduti fulgori.
II
Così sarà, pienezza
che ti divora al ciclo delle pene
non nutrimento, non devastazione,
non in ali di credo un tuo motivo,
o da fragili moti il tuo respiro,
bensì guardare che ti scopre parte.
Porte non puoi
serrare
alla gelida mano sul cammino
di chi da un sé diparte sulla ferma
voragine d'ignoto
ad ogni guizzo d'occhi s'un pensiero,
e al baratro riporta tutto il mondo,
dalla sua coscienza
che è potenza uguale ... ed impotenza.
Palpare un tuo godere, adesso
un gaudio ''eterno'',
soffonderti del suono dei celesti
forse ti esalta , ma ...
costringe a un nome.
III
Salimmo al monte d'una nebbia persi
cloniche trasudanti proiezioni
variegature dagli scettri smessi
capricci spessi agevoli nell'aria
volteggiamento che ora ci separa.
Salimmo in erte per tragitti atri
ed ansimanti ad anodi stregati
alide particelle creaturali
già caricate previinsediamenti
vittime d'autoassedio negativo
riprogrammate per la commozione
solida nelle membra
idea pungente in aliti larvali
a bracconaggio d'implementazione.
Fummo avvisati ed anche scoraggiati
e d'altra banda sottilmente armati
alla conquista d'un novello ceppo
ciechi al disegno d'insito imporrare
ad acque che mai scorrono a pienezza
al giusto dileguarsi delle fasi
sia ch'indirizzino sia ch'immiseriscano
seccando tutto il lasso a introgolare.
Siamo ora sfatti ad una cima avvinti
dopo un'intorta serie di colture
e dalla densa albedine di nubi
intravvediamo pace alla pianezza.
Ed è più che scalar
duro smontare.
*** le polarità ***
YIN
Si stempera in mare
ogni acido efflusso di vecchio fermento
ogni acre di critico accento
ogni inclito avvento.
Desisti dal cielo ?
Irrori uno stelo di paglia ingannata
eccelso foraggio
di ''provvido'' raggio.
Quest'ampie vocali, riposo del tratto,
son giogo distratto
bel gioco redatto
ristoro contratto,
sposato ai colori nel simbolo arcano.
Poesia del tuo vano.
S'inondad'asettico sale l'oceano del pianto
nutrendo il suo fondo di sterile manto
col plancton del vanto.
E pronta l'insidia dell'evoluzione
stravolge le sane ed innate bilance
coinvolge le insane correnti
promette albe e vite metalliche foforescenti.
Poeti e mercanti,
guardate abissare in quel mare
sonore vocali di ugole od ance,
sonanti denari in rivalutazione,
la vista dannata
e gli esiti infranti,
le vostre pulsanti lampare.
YANG
Alza il tuo sguardo infermo
alle altere pupille
sugli scogli crucciati e impassibili
sulle voci maestre ed amiche
d'intrusioni pudiche.
Alza la preda sull'albero al leone
se all'impeto non sai cavare schermo.
Fida almi apoftegmi agl'infallibili,
pur obliandoli nelle frali argille
entro levate torri loro antiche.
Alza iltuo viso scarno sopra albasie apriche
scocca i tuoi fini quadrelli al vano agone...
ma vòlti contro l'intima prigione.
***
EPILOGO
Spenti i bei canti
di mille stanche lire
di mille lustri spersi
in fimo e luto.
Greve vestire nullo
nudi fantocci
di vieti segni
finto velluto.
Già m'eccitaste nella lotta
e mi giraste nelle brevi gioie
nere materne mani
chiuse sugli occhi ai lutti intatti.
E mi curò una lutea speme
d'essi vibrata,
di mille petali viva ragione
lenente liuto...
di mille note la chiusa prigione,
per affogare
nel lago placido
d'un solo loto .