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Tirana
(23 Giugno - 26 giugno 2014) |
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Il mio trentaduesimo viaggio nelle capitali dell'Europa:
Tiranë.
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Sono andato a Tiranë in Shqipëri (in italiano
a Tirana in Albania) a visitare la "città delle aquile" nella quale scorre
il piccolo fiume Lana. La ragione di questa mia visita
alla capitale della Republika e Shqipërisë (Repubblica Albanese), culla della civiltà Illirica e terra dalle grandi
tradizioni, è dovuta a
molteplici fattori alcuni dei quali hanno a che vedere con la mia
vecchia curiosità di vedere direttamente da vicino e "toccare con mano"
la città che fu di Enver Hoxha, il longevo e inflessibile Primo
Segretario Generale del Partito Comunista dell'Albania, definito
a suo tempo come il dittatore di uno Stato comunista isolazionista, stalinista e
anti-revisionista. In secondo luogo perchè l'Albania ha già presentato
la domanda di ammissione nell'Unione Europea. |
La Repubblica albanese è la terra dell'eroe
nazionale Giorgio Castriota Skanderbeg e di Ismail Qemali,
entrambi leader dell'indipendenza albanese dall'impero ottomano. E' la
terra del poeta romantico Naim Frasheri e del linguista e storico
Zef Schirò. E' il luogo dove nacquero la religiosa Madre
Teresa di Calcutta, cattolica fondatrice dell'ordine religioso delle
Missionarie della Carità e del compositore Feim Ibrahimi, nonchè
dello scrittore Ismail Kadare. Sono nati in Albania anche
l'artista e scultore Odhise Paskali e il premio Nobel per la
medicina il biologo Ferid Murad. In questa cornice, il mio
interessante ed emozionante viaggio a Tirana, il trentaduesimo
nell'Europa, è stato per me un viaggio denso di sensazioni e di
piacevoli immagini.
Tirana, nell’immaginario
politico e sociale di chi come me fu giovane negli anni '60 del
secolo scorso, mi è rimasta sempre impressa in mente per la
sistematica e martellante pubblicità radiofonica che propose alla radio,
sulle onde corte, negli anni della mia giovinezza attraverso la famosa Radio Tirana che, con la
voce femminile della lettrice che parlava un eccellente italiano,
affermava continuamente che la vittoria finale contro l'Occidente
capitalista e nemico del popolo sarebbe stata con certezza
della Repubblica Popolare Albanese. Com'è noto le cose andarono in
tutt'altro modo. Ed io,
oggi, dopo ventinove anni dalla morte di Enver Hoxha, mi accingo
a calcare il suolo che fu del più settario comunismo d'Europa. Devo dire
che sono proprio curioso di osservare direttamente, anche se dopo oltre
mezzo secolo da quegli anni, che cosa è rimasto da vedere di quel mondo
sebbene sarà difficile trovare ancora dei simboli del comunismo di
quegli anni. Naturalmente non è solo questa la motivazione che mi spinge
a fare un viaggio oltre-Adriatico. Come ho già detto sopra l'Albania è uno dei paesi
candidati a entrare nell'Unione Europea. E siccome io sono un profondo e
convinto europeista, avverto insieme il desiderio e la necessità di
conoscere direttamente con una visita il paese che speriamo tutti in
pochi anni diventi il ventinovesimo paese della Comunità Europea. Questo
diario di viaggio è pertanto il tentativo di evidenziare il punto di
vista di un europeo su una città, la capitale, che attende con fiducia e
speranza i prossimi anni nella consapevolezza di avere i requisiti
attraverso i quali mostrare all'intera Europa le sue bellezze e la
genuinità della sua popolazione. Gabriel Garcia Marques ebbe a
dire: "la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e
come la si ricorda per raccontarla". Mi auguro di ricordare bene
questo viaggio per raccontarlo altrettanto bene. |
Premessa. Dopo
avere visitato ben trentuno differenti capitali d'Europa mai e poi mai avrei
immaginato che il trentaduesimo viaggio nelle capitali d'Europa mi avrebbe ancora emozionato. In
queste numerose visite ne ho viste “di tutti i colori”. Ebbene mi sono
convinto che ci sono stimolanti scoperte e interessanti sorprese nel
visitare la bella e piacevole capitale della giovane Repubblica non più comunista di
Albania. In un certo senso, come scrive Marcel Proust, nel suo eccellente
libro capolavoro Alla ricerca del tempo perduto, della Newton
Compton Editori, mi sento appartenere a «quelli
che si mettono in viaggio per vedere con i propri occhi una città
desiderata e immaginano si possa godere nella realtà l'incanto della
fantasia». Adesso l'emittente radiofonica
albanese non trasmette più comunicati politici, voluti a quel tempo dal
suo Segretario Generale compagno Enver Hoxha, ossessionato da una invasione
straniera. Adesso Radio Tirana trasmette musica balcanica con
connotati turchi ma anche statunitensi che qualche volta ascolto con molto piacere,
apprezzando più le attuali trasmissioni di oggi che non quelle di ieri.
Dunque ci siamo. Il giorno della partenza
per Tirana è arrivato. Stranamente sono
agitato. Non dovrei. Eppure sento l'ansia del viaggio che mi produce le
stesse sensazioni di sempre, quelle di tentare ancora una volta la sfida
di conoscere concretamente, con l'esperienza diretta, il
miscuglio di cultura e tradizioni che caratterizzano i cittadini tiranesi attraverso il confronto su molti aspetti della
vita. Quali? Il senso civico, il modo di comportarsi davanti a me
straniero che non parla la loro lingua ma che tenta comunque di
avere con la gente del luogo un approccio concreto e positivo, il
rispetto per tutta la gente del luogo, manifestato con sguardi di riconoscenza
e/o di gratitudine, di saluto e perché no di
amicizia in qualunque occasione possibile della giornata. Un esempio?
Sotto un sole cocente il primo giorno di visita verso mezzogiorno vedo cinque persone anziane in Sheshi
Sulejman Pasha - una piazza centrale di Tirana situata a metà strada
circa tra Sheshi Skenderbej
e Sheshi Avni Rustemi, lungo l'asse orizzontale della città - a giocare a domino. A proposito "Sheshi"
in albanese significa piazza, sarebbe opportuno ricordarlo perchè sarà
una parola molto usata in questo diario di viaggio. Quattro di loro sono seduti sull’erba del
prato e uno è in piedi che li guarda con attenzione. Mi avvicino
lentamente e mostro di essere sorpreso da un gioco che ho imparato da
bambino ma che
faccio finta di non conoscere. Chiedo in italiano se posso osservarli
giocare per
alcuni minuti. Uno dei quattro mostra di conoscere l’italiano e mi dice
che stanno giocando a domino e che posso guardare senza problemi. Mi sforzo di apparire
molto interessato e con cenni della testa faccio intendere che mi sono
appassionato alla sfida. Alla fine vince qualcuno di loro e io faccio i
miei complimenti a tutti. In pochi minuti divento la causa della loro
curiosità e dico al signore col quale avevo interloquito in precedenza che sono
italiano e che mi trovo a Tirana non per lavoro ma per turismo e che mi sto trovando molto
bene. C’è mancato poco che non mi invitassero a giocare con loro.
Ringrazio con voce grata il signore che mi ha fatto da interprete e con alcuni
movimenti delle labbra e delle guance mostro loro riconoscenza per
avermi fatto partecipare, anche se indirettamente, al gioco. Grandi
saluti strette di mano e attestati di stima concludono il veloce scambio
di intesa sul fatto che sono riuscito a interloquire con successo
nella comunicazione. A questo proposito mi viene in mente una citazione
di Francis Bacon letta in Valter Baruzzi e Anna Baldoni, Le parole
chiave della cittadinanza democratica, Milano, Franco Angeli, p.16,
che disse: "Se un uomo è gentile con uno straniero, mostra d'essere
cittadino del mondo e il cuor suo non è un'Isola, staccata dalle altre,
ma il continente che li unisce". Che poi non è altro che l'impegno
culturale di tutti noi che viaggiamo sul tema dell'educazione alla
cittadinanza come investimento per il futuro democratico dell'Europa. Ecco cosa intendo quando parlo di “approccio
concreto e positivo”. Dunque, dicevo che sono al mio trentaduesimo viaggio. Non dovrei
essere in ansia per due buone ragioni: l'esperienza accumulata
nei trentuno spostamenti precedenti, tutti rigorosamente già effettuati
in Europa, e la relativa facilità della visita a una
capitale di una nazione piccola, a misura d'uomo, che intende bene come nessu'altra in Europa la lingua di Dante. Eppure sento dentro
di me che questo viaggio mi segnerà, forse più di altri apparentemente
più importanti. Il fatto è che proprio ieri sera ho finito di leggere un
libro di un'autrice indigena che è stato una schioppettata alle mie
certezze conoscitive sull'Albania e sugli albanesi. Il libro è Il paese
che non muore mai e l'autrice è Ornela Vorpsi, mentre la casa
editrice che ha pubblicato il libro è Einaudi. Sapevo che la vita degli albanesi è stata dura
negli anni della dittatura comunista di Enver Hoxha ma avevo dimenticato
di riflettere che oltre agli uomini, nel "paese delle aquile", hanno
vissuto anche le donne con tutto ciò che ne consegue nel difficile
rapporto tra una società maschilista e arcaica come fu quella albanese e le donne. La lettura del libro
della Vorpsi è stata un calcio sul mento tirato intenzionalmente per
fare male. Ne parleremo in seguito. Per adesso mi interessa giustificare
perché il viaggio a Tirana. L'Albania ha due aspetti culturali che mi
legano a lei. In primo luogo come ho già anticipato prima per Radio
Tirana e i suoi annunci insistenti in lingua italiana negli anni
della dittatura comunista che coincidono con la mia formazione politica
di giovane desideroso di capire come funzionavano a quel tempo il mondo
e la politica. In secondo luogo, la macchia dell'italianità fascista durante gli anni
dell'invasione militare al paese dell'eroe nazionale Skenderbej. Questa storia
dell'invasione di un paese e della conseguente concezione coloniale del
regime fascista è
sempre stata per me una specie di vergogna personale e nazionale di essere
italiano. Da sempre non ho mai potuto soffrire la lotta impari fra
un energumeno e un ragazzino. Ho sempre visto l'energumeno come il
cattivo e il debole come eroe. Pertanto mi porto dietro questa vergogna
che provo quando vado a visitare le città e soprattutto i musei storici delle
capitali che hanno avuto la sfortuna di essere stati invasi
dall'esercito fascista. Ho
già relazionato abbastanza su questa tematica nei miei precedenti diari di
viaggio di Lubjiana, Belgrado e Zagabria. E passiamo adeso al viaggio
vero e proprio. |
Primo
giorno Lunedì 23 Giugno.
Iniziamo dalla partenza da Roma. Sono le 5.45 quando chiudo dietro di me la
porta di casa e mi metto in viaggio. Osservo per la trentaduesima volta il panorama che si
presenta ai miei occhi all’alba e lo trovo identico alle volte
precedenti. Stessa strada, stesso numero di linea dell'autobus, stessi gesti miei e del
conducente del bus che trovo già pronto al capolinea ancora
sonnecchiante. Sembra che tutto sia
uguale da sempre. Anzi, forzando un po' la realtà delle cose sembra che
anche il guidatore sia la medesima persona che ha
guidato l'autobus della medesima linea tutte le altre volte che sono
partito per uno dei miei viaggi. Il suo volto anonimo avrebbe potuto
realmente essere la stessa persona di sempre. Appena dopo
il sottopasso della ferrovia e alla stessa fermata nella via Ostiense scendo
dal bus e inizio
il breve tratto di strada in salita che mi porta alla stazione
ferroviaria. Quante volte ho trascinato il mio trolley con animo
fiducioso per questa salita
e quante volte ho pensato alla bellezza dei viaggi e alle magnifiche
conseguenze di conoscere luoghi e persone sempre diverse. All’entrata della stazione di Roma Ostiense anche i
balordi che dormono la notte all’addiaccio sotto i portici dell’edificio
in classico stile mussoliniano degli anni del fascismo, sembrano essere le
medesime persone che ho visto quasi sempre nei miei precedenti viaggi. "Chissà come
andrà questo trentaduesimo viaggio" mi chiedo sottovoce.
Sarà lo stesso dei precedenti oppure sarà diverso? "Chi vivrà vedrà"
dicevano i vecchi anziani seduti al bar del mio paese con quell’aria da
conoscitori profondi dei misteri della vita. Sono le 6.28 quando timbro
il biglietto da 8€ per Fiumicino Aeroporto. Sto muovendomi verso il binario 12
che è da sempre il numero di binario dove transita il solito treno per
l'aeroporto. Negli scompartimenti ci sono anche qui le stesse facce di persone
che fanno i pendolari. Stessa aria condizionata
fredda e incontrollata all’interno delle carrozze. |
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Mi seggo e attendo fiducioso l’arrivo a Fiumicino Aeroporto. Sono in anticipo.
Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al Terminal T1.
Non ho fretta. Devo percorrere tanta strada prima di arrivare alla postazione delle
hostess che mi faranno espletare le formalità di rito del check
in relativo alla
partenza. Ho tutto il
tempo di guardare il tabellone degli orari e osservare il via vai della
gente nella grande sala dell'edificio. C'è una grande serenità nell'aria
e questo mi mette di buon umore. Al gate H18 mi aspetta un aereo della compagnia
di bandiera italiana Alitalia delle 8.50 per Tirana. Rapida procedura
di assegnazione del posto al check-in e alle 9.20 sono seduto comodamente
sull’aereo, lato corridoio, al posto 15C, con il mio smartphone S4 spento e
un quotidiano in mano. Il biglietto di andata e ritorno è costato 209 €.
Vicino a me si siede un signore anziano albanese mentre l’altro posto
vicino al finestrino è occupato dal nipotino che per l’intera durata del volo non
fa altro che muoversi con grande eccitazione. Siamo già in ritardo e la
coda degli aerei davanti a noi nella corsia parallela a quella del
decollo è un po' lunga. Alle 9.40, con venti
minuti di ritardo e l'assicurazione del comandante che recupereremo in
volo, l’aereo dell'Alitalia lascia Roma Fiumicino e si inoltra nel bellissimo
e intenso azzurro del cielo.
Dopo un'ora circa di volo con enfasi esagerata il comandante annuncia che siamo arrivati in
perfetto orario all'Aeroporto internazionale Nënë Tereza
di Tiranë mentre l'aereo atterra sulla pista. |
Dopo il controllo
passaporti,
in
pochi minuti con il mio bagaglio a mano, un vecchio trolley blu
che uso da molto tempo e con il quale ho visitato tante capitali europee, varco l'uscita ed entro
nella grande sala dell'aeroporto di Tirana dove trovo un cambiavalute per
rifornirmi subito di moneta locale ed essere autonomo negli spostamenti. |
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Cambio allo sportello della BKT una banconota da 50 euro con 6760 Lek, al cambio di
1€=136.20 Lek. L’aeroporto di Tirana è nuovo e piccolo e in poco tempo
nella sala arrivi si è osservati speciali dai tassisti più o meno
regolari, presenti nella sala arrivi uno dei quali mi rivolge la parola con insistenza per
fornirmi un taxi. La sua sfrontatezza mi irrita e dopo avere
risposto con un netto e deciso jo faleminderit (no
grazie) seguo l'indicazione "autobusë dhe taksi" ed esco sul piazzale
dell’aeroporto per vedere di individuare il bus navetta Rinas
pubblicizzato sulla mia guida di viaggio che dovrebbe, per una
tariffa di meno di 2 euro, trasportarmi nella centralissima
Sheshi Skenderbej
a due passi dall'albergo in cui alloggerò. Il motivo per cui non prendo
il taxi è che almeno all'andata voglio viaggiare su un mezzo di
trasporto pubblico a contatto con la gente comune del luogo. |
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Sono qui proprio per
questo. Considero questa fase
del mio viaggio molto istruttiva e interessante perchè mi permette di
osservare le persone nei loro momenti più autentici e personali. L'autobus ancora non
c'è ma arriva dopo dieci minuti circa di attesa, nell'area di sosta
situata nella parte sinistra
dell'edificio aeroportuale.
C'è un caldo afoso per cui mi metto in una zona d'ombra. Provo a limitare i danni della temperatura pensando
alla rinfrescante doccia che farò quando arriverò in albergo. |
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Ma è tutto vano. Il caldo è caldo e a me vengono in mente le parole
di Ornela Vorpsi che a questo proposito nel suo interessante libro
Il paese dove non si muore mai nell'incipit dice : «Di polvere e fango è fatto questo paese; il
sole brucia a tal punto che le foglie della vigna si arrugginiscono
e la ragione comincia a liquefarsi».
Frase forte che ben si adatta al caldo di questi minuti relativo al
carattere degli albanesi. Vicino a me sulla sinistra sono seduti due signori che parlano in continuazione.
Sono così impegnati nella discussione che, sono sicuro, non
avvertono il calore trasportato dai raggi del sole. Ornela Vorpsi nello stesso libro dice ancora: «Fortificati da
interminabili ore passate a tavola, annaffiati dal raki,
disinfettati dal peperoncino delle immancabili olive untuose, qui i
corpi raggiungono una robustezza che sfida tutte le prove. La
colonna vertebrale è di ferro [...] Siamo in Albania, qui non si
scherza». |
Efficacissime parole
per comprendere lo spirito di sacrificio di questo popolo che lo ha
portato a superare prove di sofferenza terribili cavandosela sempre da
solo. Dominati prima dagli ottomani, poi dai fascisti italiani,
infine dai comunisti indigeni, forse i peggiori, hanno attraversato i secoli soffrendo
molto ma al tempo stesso affrontando la vita con dignità e coraggio
che meritano rispetto e ammirazione. |
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Mentre faccio
questi pensieri l'autista
dell'autobus mi chiede se scendo in centro. Avuto il mio assenso
con un albanesissimo po (che al contrario di jo, significa si)
mi prende
il trolley e lo sistema nel bagagliaio. Non mi resta che
attendere la partenza che avverrà a mezzogiorno. L'autobus
navetta è
infatti presente un quarto d'ora prima della partenza perchè
parte dall'aeroporto per Tirana Centro in Sheshi
Paris a ogni ora
della giornata dalla stessa piazzola di attesa che si vede
nella foto. Nel frattempo un vecchio signore si siede vicino
a me e si mette a leggere il giornale prendendolo dal
cruscotto dell'autobus che è evidentemente a disposizione
dei passeggeri. Per l'intero viaggio non ha detto una sola
parola. Ha letto e basta. Il biglietto mi costa 250 lek,
meno di due euro. Lo ringrazio dicendo in albanese grazie,
che si dice falemderit, e osservo la sua reazione che
mi guarda e mi sorride. |
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Non se
l'aspettava ma fa finta di niente. Ha molto lavoro da svolgere
perchè deve dare i biglietti a tutti i presenti, saremo circa
quindici-venti persone e poi guidare per i diciassette
chilometri che mancano per arrivare a Tirana centro. Durante la
mezz'oretta circa di viaggio si ferma più volte in punti
strategici del percorso. Vedo ai bordi della strada tanti
capannoni e piccole industrie che caratterizzano senza soluzione
di continuità l'intero percorso. C'è di tutto: ditte italiane di
mobili, industrie tedesche di meccanica e società finanziarie francesi. Ci sono due banche pubblicizzate in
modo capillare la Raiffeisen Bank e la mia banca Intesa
qui chiamata Intesa SanPaolo Bank Albania oltre alla
locale Tirana Bank. |
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L'autobus imbocca la lunga e diritta strada che porta in
centro. Nella prima parte si chiama Rruga Dritan Hoxha.
Poi cambia nome e diventa Rruga e Durrësit al termine della
quale c'è il Museu Historik Kombëtar in Sheshi
Skënderbej, destinazione del mio arrivo. L'autobus però svolta improvvisamente a sinistra
in Sheshi Paris. Preoccupato che mi allontani troppo
dalla meta non faccio in tempo a richiamare l'attenzione
dell'autista che questi mi invita a scendere consegnandomi il
trolley. Lo ringrazio caldamente e penso non solo all'efficienza
dell'azione ma anche alla disponibilità e alla cortesia mostrate.
Un vero gentleman. |
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Mi incammino a piedi verso l'hotel che dista un centinaio di metri
circa, facendo attenzione a percorrere il selciato dove non c'è il pavè.
Arrivo in albergo
eccitato dall'atmosfera che respiro soprattutto perchè è situato strategicamente nel centro città.
Impiego
un po' di tempo alla Reception per capire che l'incaricata è decisa a trattenere la mia carta di
identità per ragioni di sicurezza.
Prendo atto che il bon ton in questo albergo è
sconosciuto. |
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Acconsento, tanto in borsa ho anche il passaporto.
Salgo in camera al dodicesimo piano nella stanza n. 1214 e
immediatamente mi rinfresco con una doccia salutare per essere
subito in strada a causa dei morsi della fame che si fanno
sentire e come! Ho però da fare molte critiche alla camera: il sistema doccia manifesta al bordo del dispositivo dove esce il getto di acqua
corrente un pericoloso rivestimento di ruggine e un fastidioso blocco
del suo spostamento
rotatorio che impedisce di variare l'intensità del flusso
d'acqua. Lo dovrò fare presente alla reception. In più
lo scarico del water non funziona bene perchè l'acqua defluisce in
continuazione senza poterla bloccare. |
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Mi vesto, cambio biancheria e subito sono in strada. So
dove andare. Seneca, a proposito
di idee poco chiare, ebbe a dire che: "non esiste vento favorevole per
il marinaio che non sa dove andare". A parte il fatto che io so
perfettamente dove andare devo dire poi che il mio non è un vento ma un
uragano. Così alle 13.30 mi metto in strada con un caldo asfissiante. Mi trovo nella
spiacevole condizione di provare contemporaneamente fame, sete e,
soprattutto, caldo. Fortunatamente il ristorantino che ho scelto per
pranzare è vicino all’albergo. Devo svoltare subito a sinistra
prima della bellissima moschea (di cui parlerò più
approfonditamente quando la visiterò) in Sheshi Skënderbej e imboccare Rruga
Ludovik Shllaku, avendo alla sinistra il bellissimo edificio in
travertino in stile fascista della Bibloteka Kombëtare (Biblioteca
Nazionale), superare i giardini di Sheshi Sulejman Pasha e
trovarmi all'inizio di Rruga Luigi Gurakuqi. Dopo poche decine di
metri sulla destra c'è Rozafa. Facile no? Sulla
semplice ma efficace guida in italiano di Tirana avevo sottolineato il
nome di questo
piccolo ristorante albanese vicino all’hotel.
Adoro andare a mangiare in piccole
trattorie o posti di ristoro per niente lussuosi e ricercati. Fa parte
del mio modo di vedere il viaggio quello di consumare pasti semplici e
tradizionali. Odio viceversa i posti dove si trangugiano panini, self
service e hamburger tipo
Mac Donald ma anche i
ristoranti di lusso che esibiscono manie di grandezza.
Arrivo un po' accaldato ed entro. Mi aspetto
un ambiente tradizionale, vecchio stile albanese e decisamente
autoctono. Trovo invece una specie di stanzone con tavoli da pizzeria
anonimi come quelli che si vedono nei festival dell'Unità in
Romagna. |
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Preoccupato che il menu sia
troppo commerciale chiedo al cameriere se fanno pietanze
tradizionali. Per tutta risposta mi dice che la trattoria serve
esclusivamente piatti di pesce e fa anche le pizze. Pesce e
pizza mi chiedo come possono convivere? Soffrirò di pregiudizi
ma questa miscela a mio giudizio non è un buon biglietto da
visita. Perplesso da questo accostamento un po' spregiudicato e deluso
dal fatto che non posso assaggiare subito qualche pietanza tradizionale
di carne della cucina albanese (come per esempio una classica
chorba alla gallina e delle famose e squisite salsiccette di
agnello alla griglia che qui vengono chiamate qofte) mi
vedo costretto a scegliere per primo un brodetto di pesce che si
rivela essere alla fine delizioso e squisito come non avrei mai
immaginato. |
La fame tuttavia non è svanita perchè è
dall'alba che non metto nulla sotto i denti.
Il grande scrittore spagnolo
Miguel de Cervantes a proposito di gusto e di salse ebbe a dire
testualmente che :"la migliore salsa del mondo è la fame". Ed io in
questo momento ne ho a volontà. |
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Ricordando tutte le parole
albanesi che ho imparato a memoria e con grandi difficoltà prima del
viaggio, cioè
«po, jo, falemderit, ju luten, ne
fatni, mirëdita, mirëmbrëma, më falni, nuk kuptoj, mirupafshim»
(cioè "si, no, grazie, per favore, mi scusi buongiorno, buonasera, mi
scusi, non capisco e arrivederci") richiamo l'attenzione del cameriere
con una di queste paroline nella speranza di avere collaborazione per
scegliere per secondo un'altra pietanza di pesce altrettanto gustosa
della precedente. Mi suggerisce
dei gamberetti alla griglia che sono, mi
dico, una
pietanza affidabile sul piano della freschezza e difficilmente
manipolabile. Il cameriere mi informa che ha anche dell'ottimo vino
bianco italiano che rifiuto perchè il mio scopo è assaggiare cibo
locale. |
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Mica sono venuto in Albania per bere vino
del mio paese! E visto che il ristorante non ha vino bianco
albanese opto per un boccale di birra alla spina del luogo. Il
giovane cameriere che mi serve mi porta due spiedini di
gamberetti cotti alla piastra, freschi e gustosi. Per
apprezzarli di più non prendo nessuna insalata. Una pietanza che
è una vera e propria delizia al palato. Devo riconoscere che è
veramente gustosa. |
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Difficilmente dimenticherò il sapore
di questo piatto che tra l'altro a me piace
particolarmente, per giunta con i gamberetti sgusciati nella parte
centrale perchè infilzati nello spiedino di
legno e, al contrario, completi di guscio solo nella
parte finale della coda. Sono così esaltato che chiedo ancora una
insalatina di mare per completare un pasto decisamente piacevole. Il conto è di
appena 2150 lek, ovvero 15 euro circa. Mi fermo vicino
alla cucina e faccio i miei complimenti al cuoco che li merita tutti
interi. Esco dal ristorante convinto che ci ritornerò, sebbene ci siano
altri locali del genere che meritano la precedenza prima del bis. Fuori
dall'altra parte del marciapiedi vedo molti conducenti di taxi che attendono i clienti. Vengo osservato
con attenzione ma io mi mostro disinteressato e percepisco subito di non
essere più un soggetto interessante per loro. |
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Rientro in hotel
per fare un riposino ristoratore. E' da questa mattina che non
mi fermo. Tra l'altro in camera c'è il wi-fi che mi permette di collegarmi in
rete per vedere siti web di informazione. Questa sera userò Skype per
telefonare a prezzi molto contenuti. Alla Reception mi
hanno dato il codice di connessione che risulta essere
12tiranahotel12. Il 12 riguarda il piano, mentre
tiranahotel è il nome dell'albergo. Ho un'idea chiara dei
successivi luoghi da visitare oggi. Devo darmi da fare subito
altrimenti non riuscirò a visitare tutto quello che mi sono
prefisso di vedere. Innanzitutto voglio percorrere a piedi
l'intero Bulevardi Dëshmorët e Kombit da Sheshi
Skenderbej fino a Sheshi Nënë Tereza e osservare
tutto ciò che è possibile vedere. |
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A parte l’ottima guida su Tirana di Benko
Gjata e Francesco Vietti, l’unica in italiano, che in modo semplice ed
essenziale permette di avere uno sguardo panoramico sulle
principali informazioni relative alla capitale albanese,
quattro sono i libri (tre della
stessa casa editrice Einaudi e il quarto della Salento Books) che ho letto con molto interesse e che mi
hanno permesso di andare più in profondità nella “psicologia” della
visita alla bella capitale albanese. Il primo è un libro che ho già
utilizzato in precedenza in altri miei viaggi nei Balcani. Si tratta di
F.Capitani-E.Coen, A EST Il volto della nuova Europa, Einaudi che
è rappresentativo di una tendenza azzeccata di mettere al centro
dell’interesse del lettore curioso la psicologia dei nuovi volti dei
cittadini delle capitali balcaniche, utilissimo nel comprendere che cosa
sia successo in queste due ultime decadi dalla caduta del muro in questa parte
dell’Europa. Il secondo e il terzo sono romanzi scritti dall’albanese Ornela Vorpsi.
Il paese dove non si muore mai e l'altro, sempre della Einaudi,
Bevete cacao van Houten, che sono uno
straordinario caleidoscopio della realtà e della vita dell’universo
tiranese che mi hanno incuriosito non poco nella visita, mentre il
quarto è di Elvira Dones della Salento Books dal titolo
Senza bagagli, in albanese Dashuri e huaj. Tra l’altro, nel
secondo libro sono descritti in modo seminascosto alcuni luoghi
della città che vedono la tredicenne protagonista tiranese del romanzo
alle prese con la sbrigativa e scarsamente evoluta visione della vita
degli uomini albanesi negli anni ‘80. Non è questa la sede per parlare
dei libri citati ma consiglio molto a chi vuole viaggiare in questa bella
e piacevole nazione dell’Europa balcanica di leggerli.
Leggere libri non ha mai fatto male a nessuno. Dunque è
consigliabile, volendo, anche esagerare. |
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Eccomi dunque pronto a farmi una lunga passeggiata nel
Bulevardi Dëshmorët e Kombit. Voglio percorrerlo tutto,
fino in fondo, oltre il fiume Lana. C'è caldo e pertanto mi
metto per quanto possibile sul lato dell'ombra dei palazzi.
Sheshi Skenderbej è una bella piazza, ampia, a forma
tondeggiante quasi ellittica di verde al centro nella quale
spicca la statua equestre dell'eroe nazionale Skenderbej.
La percorro sotto il sole spostandomi velocemente verso la
parte ovest della piazza dove c'è l'ombra dei palazzi
pubblici di
colore giallo e ocra. A fianco c'è la moschea Xhamia e Et'hem
Beut che mi interessa subito vedere. In verità c'è anche
Kulla e Sahatit cioè la Torre dell'Orologio risalente
come la moschea a epoca ottomana nell'800. Ma quest'ultima
mi interessa meno. |
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Sono invece attratto come in tutti i miei viaggi a
vedere i simboli religiosi delle tre religioni
monoteiste con il corollario delle variegate chiese
cristiane che affollano il panorama cristiano delle
chiese qui a Tirana rappresentate dalle due
cattedrali cattolica e ortodossa di cui parlerò in altro
momento. Dunque la moschea di Tirana con i suoi
affreschi interni. Trovo all'entrata un nugolo di
visitatori asiatici tutti indaffarati a prepararsi ad
entrare. Con fare deciso mi tolgo le scarpe che sistemo
in un armadio aperto e mi avvicino al vecchio custode
salutandolo in arabo: "السلام
عليكم
" che vuol dire "la pace sia con voi". Lui abbandona lo
sguardo ai giapponesi e mi guarda incredulo con
attenzione. Io continuo dicendogli sempre in arabo "كيف
حالك؟", cioè "come
stai?". A quel punto mi sorride e mi prende sottobraccio
invitandomi ad entrare insieme a lui nella moschea. Il
colpo finale per ingraziarmi la sua simpatia è stato
quando gli ho ripetuto velocemente i primi quattro
versetti della prima Sura del Corano,
chiamata "basmala". |
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Probabilmente sono uno dei pochi italiani che si è rivolto a
lui in questo modo. Gli chiedo se posso fare alcune foto e
subito mi accorda il permesso. All'interno la moschea si
rivela veramente piccola con spazi inadeguati per funzioni
religiose del venerdì. Tuttavia è gradevole nelle
proporzioni e si presenta equilibrata nelle forme e
piacevole nelle simmetrie. Ci sono diversi affreschi sulle
pareti con alcune iscrizioni in lingua araba come in tutte
le moschee del mondo. |
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Qui nella
foto accanto è rappresentato un classico dei due nomi
più importanti presenti nella lingua araba. Si tratta
sia del nome di Allah (Dio) a destra e sia quello del
suo profeta Muhammad (Maometto) alla sinistra. Da notare
che la scrittura del nome del profeta Muhammad è nella
forma "a castello", con la
«mim»
in posizione superiore, la
«ha»
in posizione mediana, di nuovo la
«mim»
questa volta in posizione inferiore, appena accennata,
con la «shadda»
sopra la
«mim»
e alla loro sinistra la
«dal».
Non dimentichiamo che tra mondo albanese e mondo arabo
non c'è mai stato alcun rapporto diretto. La cultura
mussulmana dell'Albania (Shqipëria) ha
radici che affondano nella dominazione ottomana, cioè
turca, che ha imposto uso, costumi, alimentazione e
soprattutto religione coranica. Dicono che anche a
Skopje e Sarajevo ci siano moschee identiche a quella
tiranese. Poi c'è il fattore lingua che è anch'esso
legato al mondo ottomano perchè le due lingue (turca e
albanese) sembra che siano entrambe "agglutinanti". Ma
lasciamo questi dettagli ai linguisti e fermiamoci qui. |
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Dalla moschea all'inizio del Bulevardi Dëshmorët e Kombit
ci sono poche decine di metri. Ricordando che il viale è
dedicato a fatti storici diciamo che il significato della
traduzione è "Viale Martiri della Nazione". Il viale è pieno di bandiere di due tipi: la
bandiera nazionale con la doppia aquila nera su sfondo rosso
e uno striscione bianco con la scritta I love Camëria che
è la parte più meridionale dell'Albania al confine con la
Grecia.
I pali della luce sostengono una coppia di vasi pieni di
fiori colorati che danno un tocco di sensibilità artistica
al quartiere che io chiamo l'"Eur di Tirana". Vedo una bella
macchia di verde sulla mia sinistra.
E' il Parku Rinia
una bella isola di verde, con un laghetto artificiale, piena
di pensionati seduti sulle panchine, mamme e bambini che
giocano allegramente. |
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In un angolo del parco osservo oggetti strani di difficile
interpretazione. Si tratta di tre manufatti in cemento: una
stele sulla destra, il tetto di un bunker sotterraneo sulla
sinistra e una serie di
paletti a forma di scheletro di una casetta nel centro. Si tratta
di una specie di monumento alle vittime del comunismo,
inaugurato recentemente e vuole essere un monito e
contemporaneamente un ricordo affinché i cosiddetti
"relitti del comunismo" siano messi al bando come
strumenti di negazione delle libertà e dei diritti
civili della popolazione. I tre manufatti sono autentici
simboli riferiti alle manie ossessive del regime di
Enver Hoxha. Tecnicamente dovrebbe raffigurare ciò
che qui esistette durante il passato regime comunista:
una specie di "Check Point Charlie" come a Berlino. |
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Per l'esattezza si chiama Postbllok Memorial i
izolimit komunist.
C'è poco da vedere ma se le autorità volevano colpire
l'attenzione sui simboli peggiori del comunismo sono del
parere che ci sono riusciti. Quella che ho chiamato stele è
un pezzo del muro di Berlino donato a Tirana dalle autorità
tedesche. Mi viene il desiderio di
sedermi su una panchina del parco. Vedo appoggiati sul muretto che
cinge una parte del parco tanti libri in vendita da parte di
librai dell'usato ma è evidente che non conoscendo la lingua
albanese sarebbe inutile comprarne qualcuno. Dall'altra
parte del viale ci sono la Galeria Kombëtare e Arteve,
cioè la Galleria nazionale d'Arte e l'ex hotel Dajti.
Subito dopo c'è Lumi i Lanes, il fiume di Tirana del
quale potrei citare una frase di Giorgio Ohnet che nel
romanzo Il padrone delle ferriere, dice:
«un tenue filo d'acqua,
dagli abitanti chiamato pomposamente il fiume, brillava come
un nastro d'argento tra i salici inariditi, dalle foglie
tremanti, che pendevano sulle rive».
In italiano il fiume si chiama Lana, e più che un
fiume sembra un grosso canale di deflusso di acque non
proprio chiare, mitigato dalla presenza ai bordi di un manto
erboso ben rasato e ben curato che circonda
tanti alberelli ricchi di foglie variegate. Le due strade
che precedono e seguono il fiume sono dei bulevardi,
cioè dei viali, con molto traffico di auto. Si tratta del
Bulevardi Zhan D'Ark e del Bulevardi Bajram Curri. |
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L'occhio in questa zona della città spazia piacevolmente tra
prati verdi ben curati, qualche grattacielo con vetrate e bei palazzi in
travertino che danno la sensazione di essere all'Eur a Roma.
In mezzo a un grande prato verde spicca una specie di enorme
piramide di cemento fatta costruire dal dittatore Hoxha.
L'enorme costruzione è piena di graffiti, di cui uno enorme
con la scritta K65. Tutto sembra essere tranne che il
famoso museo che Hoxha avrebbe voluto che fosse per
celebrare la grandezza del comunismo albanese.
Abbandonata al suo destino di edificio inutile la
piramide sembra adesso vivere nell'indifferenza dei
cittadini come giusta risposta ai piani irrazionali
dell'ex dittatore. Parlare adesso di errori e scelte
sbagliate di Hoxha è facile. Non dovette essere facile
per niente a quel tempo, viceversa, la vita dei cittadini tiranesi,
soprattutto di coloro che per scelta o meno non furono ferventi comunisti. Sarebbe bastato un niente per
produrre una tragedia nella vita della famiglia di colui
che non si era reso conforme ai propositi del dittatore. |
Adesso è facile parlare, criticare, disapprovare e
biasimare le scelte di Enver Hoxha.
E mentre Radio Albania
diffondeva nell'etere i messaggi ortodossi del più
"puro" partito marxista-leninista di tutte le
"beneamate" Repubbliche comuniste del mondo e durante il
tempo in cui il compagno Henver costruiva, come
avrebbe detto il rag. Fantozzi, la
boiata pazzesca di una piramide enorme in cemento armato
per celebrare se stesso,
nel frattempo il popolo moriva di fame. Bella commedia e
bel teatrino è stato quel comunismo che avrebbe dovuto
rendere la vita terrena un paradiso, non c'è che
dire. |
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Nel frattempo davanti a me vedo la sede del albanese. C'è un
giovane che sosta davanti l'ingresso. Mi avvicino e gli
chiedo se può farmi una foto con la mia macchina
fotografica. Preoccupatissimo mi dice che non può perchè la
telecamera di sorveglianza lo riprende e non vuole correre
rischi di essere criticato dal suo superiore. Appena prima nel parco ci sono i busti
marmorei di alcune personalità famose albanesi. La più
importante forse è quella di Abdyl Frashëri artefice
dell'autonomia dell'impero ottomano. C'è anche quella di
Naim Frashëri poeta nazionale albanese. Subito dopo si incontra
una bella strada, Rruga Ismail Qemali, dal chiaro nome
di derivazione turca. A pochi passi il viale sbocca nella
bella Piazza di madre Teresa dal piacevole nome albanese di Sheshi Nënë Tereza.
Comincio a rendermi conto che Tirana è veramente bella
e interessante. Non avrei mai creduto di scoprire una città
così piacevole e a misura d'uomo. Sono proprio soddisfatto di avere scelto come meta di
viaggio la capitale albanese. Qui tutto sembra costruito e
fatto funzionare per rendere la mia passeggiata gradevole,
tranquilla e amabile. |
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Certo vivere e lavorare in una città per un anno intero
è cosa diversa dal visitarla per turismo e svago solo
per alcuni giorni. Tuttavia se le sensazioni sono così
piacevoli qualcosa di serio e affidabile per produrle ci
deve essere. Si è fatto tardi e i miei muscoli
soprattutto quelli delle gambe reclamano la loro
porzione di riposo. Non mi rimane altro da fare se non
prepararmi per la cena. Rientro in albergo per rinfrescarmi
ed esco di nuovo per mangiare qualcosa. Al tramonto, per l'esattezza alle ore
20.20, sono in strada e sento nell’aria un sottofondo di un canto che
percepisco essere l'Adhan, ovvero la preghiera della
sera del rito musulmano. Non l'avevo mai sentito prima
così nitidamente e melodiosamente nonostante io abbia
visitato molte città in cui sono presenti delle moschee
di credo mussulmano. Istanbul, Sofia e
Nicosia nella parte turca sono alcune delle città che
hanno tradizioni e patrimoni religiosi più o meno forti
e vincolanti di rito musulmano. |
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A questo
proposito devo dire che per strada non ho incontrato donne
col velo e alla moschea centrale di Xhamia e Et'hem
Beut in Sheshi Scanderbej non ho visto file di credenti
per partecipare alla preghiera dei giorni feriali. Tra l’altro la moschea
è molto piccola e sarebbe impensabile fare entrare più di
alcune decine di persone. Vero è che altre religioni non
stanno meglio. Mi ricordo di una mia visita a Stoccolma alla
cattedrale Luterana. Era una domenica e c'era la messa.
A parte il vescovo che poi era una donna e altre cinque
persone che hanno partecipato alla funzione religiosa non ho visto altri. Lo stesso dicasi a Londra e ad
Helsinki. La melodia ascoltata tramite l'altoparlante mi
accompagna per un altro po' di tempo perchè girato l'angolo
in Rruga e Dibrës c'è il bar ristorante Ulqini,
l'unico che nelle vicinanze è in grado di servirmi un piatto
di riso. Infatti, ho chiesto ad altri due ristoranti nella
stessa via se avessero nel menù del riso. La risposta è
stata negativa. |
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Questa sera non voglio mangiare pesante e un piatto di
riso potrebbe essere l'ideale per permettermi una sana
digestione. Il cameriere sentite le mie richieste mi
suggerisce una
supe krem pule,
ovvero una zuppa di pollo, del riso pilaf e delle
focaccine calde (buke furre) con un krikel e vogel,
cioè un piccolo boccale di birra locale alla spina. Il
menù è azzeccato. Lo capisco subito dal fatto che a fine
pasto mi sento lo stomaco leggero e avverto la necessità
e il piacere di andare a dormire. L'unica mia
preoccupazione è stata la salsina presente sulla sommità
della semisfera di riso. Ne assaggio un tantino e
sebbene sia gustosa, per sicurezza, la lascio. Questa
notte ho bisogno di dormire profondamente e recuperare
le energie. Domani sarà una giornata impegnativa sul
piano dello sforzo fisico per visitare tante bellezze
artistiche. Ho mangiato quasi tutto il pane. E'
veramente squisito. Pago con piacere 410 Lek, cioè 3,50
euro circa e faccio i
complimenti al cameriere pregandolo di ringraziare il
cuoco per avermi permesso di mangiare ciò che
desideravo. |
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Le due focaccine di pane
albanese poi erano così calde e squisite che sono del parere
che hanno collaborato molto per migliorare il mio umore
serale. Il classico faleminderit è il minimo che
possa dire al cameriere. |
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Secondo giorno Martedì 24 Giugno.
Oggi devo fare molte visite a luoghi d'arte e di cultura della città. Sono molto irritato con
l'impiegata della reception perchè ieri pomeriggio, al mio
rientro in camera, ho trovato che il tirante dello scarico dell'acqua
del water era completamente rotto. Ho dovuto telefonarle più volte per farmi mandare in
camera un uomo "tutto fare" che ha dovuto sferragliare non poco per
risolvere il problema della perdita incontrollata di acqua dallo
sciacquone.
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Se aggiungiamo che il
rubinetto della doccia da dove fuoriesce il flusso dell'acqua è
arrugginito, che alla reception la stessa incaricata mi ha
rifiutato una mappa di Tirana (fornita gratuitamente dalla reception
di qualunque hotel d'Europa) con la scusa che in quel momento non ne
avevano una a portata di mano, costringendomi ad acquistarne una copia
in libreria e valutato il fatto che avevo chiesto una camera che desse
su piazza Skenderbej e mi sono trovato viceversa con le finestre
rivolte nella direzione esattamente opposta e,
considerato il fatto più grave, che mi ha letteralmente sequestrato in
modo sfrontato la mia carta di identità per vaghi e inaccettabili motivi
di sicurezza dopo aver pagato l'intero pernottamento tutto in
anticipo, penso
che la direzione dell'hotel si sia assunta la responsabilità di una
gestione allegra che definirei come minimo intollerabile. Comincio a
pensare che dovrò protestare per questo atteggiamento che denota grave
mancanza di professionalità.
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Chiarisco che l'eventuale protesta avrebbe carattere esclusivamente educativo, perchè desidererei che ciò che è
accaduto a me non accadesse anche ad altri futuri clienti. Deciderò cosa
fare nei prossimi giorni. Adesso mi preme fare mëngjes, ovvero
colazione, con latte, miele, pane, burro, marmellata e caffè. A colazione
non mangio molto la mattina. Inoltre ho sane abitudini alimentari che mi
impongono di mangiare cibi locali naturali in grado di farmi apprezzare
i prodotti della tradizione autoctona. Una tazza di
qumësht ngrohtë cioè di latte caldo, un cucchiaio di mjaltë,
cioè di miele, due fette di pane (bukë) casareccio imburrate
leggermente in superficie e coperte da un cucchiaio di bollokim,
cioè di marmellata locale e un kafe espresso macchiato
finale con sheqer (zucchero) non si può chiamare una
pantagruelica colazione in grado di sopravvivere a climi impossibili e/o
per un'intera giornata. Il fatto è che io, come si suole dire, non
mangio per saziarmi con la quantità. Sono del parere, viceversa, che è
necessario mangiare per nutrirsi in
qualità, con la netta consapevolezza che una vita piena e corretta
considera il mangiare e il bere come fame e sete di gioia. Piuttosto che
ingurgitare cibi preconfezionati e commerciali preferirei digiunare. La
giornata si presenta bene, con una temperatura più decisamente accettabile
di ieri.
Come inizierò questa mattinata di visite? Per prima cosa voglio gustarmi
con calma e attenzione Sheshi Skenderbej. Sotto la luce mattutina
la piazza sembra più bella del pomeriggio di sole abbagliante di ieri.
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Vedo numerose macchie di
verde dislocate in posti differenti della sua superficie e durante le
prime ore del mattino vedo offrirmi una piacevole zona d'ombra, proprio
nel centro della piazza a ridosso del Teatro dell'Opera lungo la quale
mi posiziono. Di fronte a me sulla destra vedo il Muzeo Kombëtar
e tre vie importanti che convergono nella piazza. Da sinistra a destra
sono: Rruga e Durrësit, Rruga e Kavajës, Rruga e Çamëria. Alcuni
edifici della piazza ospitano Ministeri statali con le facciate dipinte
di giallo e ocra e presentano la bandiera nazionale rosso-nera con
l'aquila bicipide come stendardo
riconoscibile dalla doppia aquila. C'è un intenso via vai di persone
nella piazza che è interessante osservare. Svettano su tutti nella
piazza le due punte del minareto e della Torre dell'Orologio sebbene
alle spalle fa sentire la sua supremazia nell'altezza un
grattacielo di vetro. Il profilo dei vari pilastri del Teatro dell'Opera
appare in tutta la sua maestosità. La statua equestre di Gjergj
Kastrioti Skënderbeu, in italiano Giorgio Castriota detto
Scanderbeg, troneggia al centro del prato mostrando possente audacia
e notevole fierezza. |
Non potrebbe essere
diversamente se si pensa alle incredibili vittorie che l'eroe nazionale
albanese registrò a suo tempo nei confronti dell'esercito ottomano. Gli
albanesi hanno di che essere orgogliosi di questo loro grande
condottiero che per tredici volte inflisse all'esercito ottomano delle sonore sconfitte,
mettendo in crisi ben due sultani. Dalla
mia posizione situata davanti al Bar Kafe Opera vedo un
giardiniere che sta innaffiando l'erba del parco. Noi non ci pensiamo
mai, ma questa categoria benedetta di lavoratori è indispensabile per
rendere belle e accoglienti tutte le città del mondo. Anche Tirana non
fa eccezioni e guardo con gratitudine al lavoro del giardiniere.
All'entrata del teatro vedo la locandina che pubblicizza per i giorni
dal 27 al 29 giugno tre serate di balletto dal titolo Coppélia.
Peccato che in quelle date io non sarò più in città. Alla fine
dell'edificio c'è la Libraria Adrion, cioè la libreria
internazionale Adrion nella quale ieri pomeriggio ho comperato la
mappa di Tiranë e all'angolo il Pallati Kultures, ovvero il
Palazzo della Cultura di Tiranë. Scrivo correttamente
il nome della capitale con la
«ë»
finale sormontata dalla dieresi per ricordare a me stesso com'è
difficile scrivere questo carattere con la tastiera del computer.
Tra l'altro noto che la dieresi è presente esclusivamente sulla
vocale
«e»
e non anche sulle altre.
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Non conoscendo la
lingua albanese non posso andare oltre questa banale osservazione. Subito dopo il Pallati Kultures, girato l'angolo in Rruga
Ludovik Shllaku, c'è la Biblioteka Kombëtare
situata nell'edificio dell'Istituto di Cultura Italiano. Sono
incuriosito. Salgo gli
scalini ed entro nella sala centrale della Biblioteca Nazionale che
si trova al primo piano. Entro
per curiosare un po'. Faccio qualche ricerca bibliografica di libri
italiani per tastare un po' la dotazione libraria. Alla lettera
«F»
trovo diversi manuali e classici di fisica in italiano e in
albanese che risalgono a molti anni fa. La disposizione degli armadi e la collocazione delle
schede mi ricordano in modo impressionante il periodo giovanile dei
miei studi universitari, quando in locali identici a questi
nella mia Università ho affrontavo approfondimenti di studio con libri
impossibili da trovare nelle librerie. Tutto mi ricorda il tempo
passato. Lo stesso odore delle schede ingiallite dal tempo o la
scrittura a inchiostro nero con pennino sulle schede medesime mi
riportano per alcuni istanti agli anni della mia giovinezza.
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Ricordandomi che non sono
qua per ricordare il passato decido di iniziare il secondo punto del mio
programma di viaggio della giornata, riguardante la visita alla parte
nord del centro città. L'obiettivo è percorrere l'intero Bulevardi
Zogu I fino alla stazione ferroviaria, dare uno sguardo al mercatino
ortofrutticolo locale che si trova lì vicino e ritornare di nuovo al
punto di partenza dove mi trovo adesso percorrendo la strada parallela a
Bulevardi Zogu I in senso inverso, che si chiama Rruga e
Barrikadave. Il viale intitolato a Zogu I è pieno di negozi,
uffici, farmacie e locali di servizio pubblico e privato. Sembra una
normale strada commerciale molto frequentata simile a qualunque città europea. A metà percorso
vedo il reparto di Ginecologia di un piccolo ospedale. Pullula di
giovani mamme in stato interessante. Sono molte donne col pancione
ed io vedo questo gruppo di giovani "mamme in attesa" con tenerezza,
simboli di fiducia nella giovane Repubblica albanese e con la speranza
che il loro futuro e quello dei loro figli possa essere sempre migliore
del presente. A pochi passi c'è una farmacia. Guardo l'insegna e noto
che c'è scritto «farmaci».
Probabilmente si sono dimenticarti di aggiungere la vocale
«a»
oppure in albanese si chiama proprio così, senza la
«a».
La domanda è lecita perchè ho visto altre farmacie in cui il nome
apposto nell'insegna è proprio farmacia. |
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Rimango col dubbio e
nel frattempo arrivo alla fine del viale. Il Bulevardi Zogu I
incrocia qui Rruga Reshit Petrela, una via a grande
scorrimento di auto. La zona è molto commerciale, è piena di
negozietti e uffici e c'è molto movimento. Cerco di fare
attenzione nell'attraversare la strada. Tento di trovare l'insegna
della stazione ferroviaria e invece trovo un cartello che mi
indica la direzione. Devo proseguire diritto ma io non vedo
alcuna sagoma di stazione ferroviaria davanti a me. Comincio ad
avere la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Non vedo alcun
profilo di stazione ferroviaria da nessuna parte guardi. Di solito l'edificio è
grande e visibile. Qui invece c'è una specie di piccolo cantiere in
cui ai bordi ci sono cumuli di terra e di pietre. Vedo una piccola
stradina non asfaltata che scende in un piccolo avvallamento del
terreno. Sulla mappa è una piccola strada secondaria chiamata
Rruga Karl Gega. Mi chiedo chi fosse stato questo signore al
quale è stato dato il nome della via della stazione. |
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Vengo a sapere che in
realtà fu un ingegnere viennese che ha costruito molti tratti ferroviari
nei Balcani, in Transilvania e nello Stato Austro-Ungarico di allora.
Dunque, ci siamo. Ma dov'è la stazione? Il dubbio viene sciolto quasi
subito perchè all'inizio della zona dove si trova questo cantiere di
costruzione vedo una specie di capannone abbandonato. Mi avvicino e con
mia grande meraviglia scopro che è proprio ciò che rimane dell'entrata
della stazione ferroviaria di Tiranë. |
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In pratica la
stazione ferroviaria non esiste più. Lo scorso anno, nel 2013, ha
cessato di esistere. Che pena. Un pezzo di storia, di cultura
e di tradizione si è praticamente volatilizzata, come mezzo bicchiere
di raki albanese lasciato evaporare all'aria aperta. Che
delusione. Io che ho sempre visto le stazioni ferroviarie come uno
dei luoghi simbolo delle città, prendere atto che di colpo si è
cancellato un pezzo di memoria storica della cultura di questa città
mi rende triste e malinconico. Nella mia guida, gli autori Gjata e
Vietti scrivono a questo proposito delle belle parole che desidero
riportare qui a futura memoria: «L'attuale stazione pare infatti
essere rimasta dai tempi del socialismo piccolissima, con
un'atmosfera da piccolo centro di campagna, le destinazioni e gli
orari dei treni ancora scritti a mano, su grandi pannelli di legno
dipinti a pennello». Avrei voluto vederli questi cartelli vergati da
un pennarello e una calligrafia d'altri tempi. Ormai, purtroppo, non
esiste più nulla di tutto questo. |
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L'oblio si sta
impadronendo della sua ex esistenza e fra non molto tutti avranno
dimenticato la realtà di questo luogo capolinea di treni e speranza di
viaggiatori. In molte occasioni della mia vita sono
spesso arrivato tardi. Per esempio ho deciso
di viaggiare e scoprire pezzi di Europa che non conoscevo come simboli
di passate civiltà o di regimi dittatoriali tardi, ed ora arrivo in
ritardo anche qui.
Mogio mogio mi sposto all'entrata della stradina che porta al mercato.
E' parallela a Rruga Karl Gega. Si chiama Rruga Skender
Kosturi. Dunque per intenderci chiamerò questo luogo mercato
Kosturi per distinguerlo dall'altro più importante, chiamato
Pazari i Ri di cui parlerò successivamente. La stradina è molto
stretta ed è fiancheggiata da entrambi i lati da piccolissime baracche
piene di frutta, verdura, prodotti per la casa e per la cucina nonché
abbigliamento povero di tutti i tipi. C'è di tutto. Percorro la stradina
sia all'andata e sia al ritorno. Si trova di tutto. |
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Vestito con un
abbigliamento comune osservo con discrezione ciò che viene proposto
sulle bancarelle. Un signore sui settanta anni si avvicina e mi
chiede se voglio essere aiutato per avere perduto la strada. Gli
rispondo in italiano dicendogli che non mi sono perduto e che anzi
sono interessato a vedere il mercato e tutto ciò che lo circonda.
Aggiungo che avrei voluto vedere anche la stazione dei treni. Mi
batte la mano sulla spalla e mi dice che gli italiani sono sempre
simpatici e gentili. Mi informa che la stacion treni
non è più attiva e sarà totalmente abbattuta. Sempre in un buon
italiano mi dice che la ferrovia non riusciva più a espletare il
servizio ferroviario per ragioni economiche. La municipalità ha
pertanto deciso di sacrificarla per ampliare il mercato. Ci
salutiamo amichevolmente con grande simpatia. Gli odori delle
piantine di origano e di altre erbe aromatiche essiccate che vedo in
un piccolo box sono straordinari. Le piantine sono così differenti e
variegate che mi confondono. |
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Oltre all'origano ci sono
la maggiorana, la lavanda, il rosmarino e forse il timo. Il resto non lo
so. E' inutile chiedere alla proprietaria tanto non parla italiano
e io non capirei nulla in albanese. Tanto vale passare oltre. Scatto
diverse foto. In alcuni casi chiedo il permesso che mi viene accordato.
Non vorrei che si offendessero per conseguire un risultato ottenuto con
poco rispetto ai danni delle persone e delle loro tradizioni. |
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Nonostante l'estrema
modestia e inadeguatezza sotto il profilo sanitario l'intera
struttura del mercato permette a molte persone di acquistare
prodotti importanti e appetitosi a prezzi veramente economici. La
prova mi viene data dal banchetto dove vengono cucinati alla brace
salsiccette tradizionali di carne, chiamate qofte zgare, e
anche i più conosciuti wurstel. Da notare che queste salsicce
vengono servite in panini nei quali viene messa una salsina di
yogurt con strisce di peperoni verdi. Il richiamo è fortissimo a
causa dell'eccellente odore del fumo dovuto alla cottura della
carne. C'è nell'aria un profumo di carne cotta alla brace da far
venire l'acquolina in bocca e, se non fosse che per le mie
abitudini siamo fuori orario per una colazione aggiuntiva, a
quest'ora ne avrei mangiati a sazietà. Vuol dire che le assaggerò
successivamente quando visiterò l'altro mercato, quello più grande e
centrale, che si trova nei pressi della rotonda in Sheshi Avni
Rustemi, vicino all'altra moschea Xhamia e Kokonozit.
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Ritorno sui miei passi
attraverso la stradina di Rruga Skender Kosturi per continuare la
mia visita. Prima di imboccare Rruga e Barrikadave vedo il logo
italiano della Veneto Banca. Anche questa strada è piena di negozi e in
molti appartamenti fervono lavori di ristrutturazione, segno questo di
una ripresa economica che fa dell'Albania un paese in cui il PIL cresce
a ritmi elevati. Qui non c'è recessione come in Italia ma sviluppo e
occupazione. Lungo il mio giro vedo sul lato destro il liceo
chiamato Gjmnazi "Sami Frasheri". Sono tentato di visitare
l'atrio e la biblioteca ma il custode mi impedisce l'entrata perchè ci
sono in atto gli esami. Rruga e Barrikadave si dimostra
essere meno lunga di quello che pensavo. Quasi senza accorgermene mi
ritrovo all'inizio di Rruga Luigj Guraquki. E visto che è
quasi l'ora del pranzo non ci penso su tre volte e mi avvio per andare a
visitare il mercato centrale il cui nome albanese è Pazari i Ri e
pranzare in un locale caratteristico del luogo. Il mercato si dimostra
tutto sommato inferiore alle attese. E' distribuito su diverse brevi
stradine e una piazzetta. In pratica finisce all'inizio nella rotonda di
Sheshi Rustemi. C'è molto caldo. Nella parte interna avrei voluto
fare delle foto, soprattutto ai tipi di carne in vendita ma alla mia
domanda se potevo scattare delle foto il macellaio di turno mi ha
risposto negativamente in modo tale che non ammetteva repliche. Il fatto
è che c'è una oggettiva difficoltà di raccapezzarsi dovuto al fatto che
molte strade non hanno cartelli stradali. In pratica non ci sono nè nomi
della vie e nè numeri all'entrata delle porte di ingresso. Sotto un sole
caldissimo ho cercato per esempio di individuare dove fosse la moschea
Xhamia e Kokonozit. Non mi vergogno a dirlo ma non sono
riuscito a trovare l'entrata. Le case sono ammassate tra loro così
vicine che praticamente diventa impossibile localizzare alcunché. |
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Alla fine, sudato per
la calura e irritato per non aver visto la moschea e deluso per non
aver potuto fare delle foto alle "stigliole" dell'agnello (specie di
frattaglie dello stomaco dell'animale arrotolate con un suo budello)
dal macellaio decido che è arrivata l'ora di mangiare. Il ristorantino si chiama
Kernace korce zgara korkare. Mi siedo su uno sgabello di un
tavolo e ordino quattro qofte zgare cotte su una griglia
fumante, un piatto di salsina di gustoso yogurt bianchissimo
nel quale si "nascondono" strisce di peperoni dolci di colore verde,
due metà di un panino riscaldate sulla griglia, un bicchiere di
birra e per finire non un amaro ma un bicchierino di raki.
L'atmosfera è quella di una trattoria alla buona, senza formalismi e
all'insegna del "vogliamoci bene". Nulla da eccepire sia per il
gusto eccezionale delle salsiccette, sia per le continue pacche
sulle spalle che mi vengono date dal giovane cameriere solo dal
momento in cui mi ha sentito ordinare la bevanda nazionale del
raki. Il tutto per 310 lek, ovvero 2,50 euro! |
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Nonostante sia
dell'opinione che il pranzetto non è stato certamente leggero e
probabilmente incontrerò difficoltà nella digestione sono talmente
soddisfatto che decido su due piedi di anticipare la visita al museo
storico nazionale. Il percorso che mi porta da Rruga Luigj Guraquki a
Sheshi Skenderbej è breve. Si tratta di oltrepassare Sheshi
Selejman Pasha, dove si trova al centro la famosa statua che ricorda
il Pascià vestito in completo abbigliamento ottomano, con la
spada al fianco, il pugnale nella cintura, il copricapo a forma tubolare
in testa e con in mano una pergamena. La piazza si interpone tra dove ho
testé pranzato e la sede del museo. In verità questa è la stessa piazza
nella quale ho incontrato quei quattro pensionati che giocavano a
domino di cui ho parlato nella premessa. Preoccupandomi di camminare
all'ombra onde evitare qualche colpo di sole, incontro una donna non più
ragazzina che indossa un jeans completamente tagliuzzato
in più parti dei pantaloni. Qui ho capito che l'Albania è pronta ad entrare
nel novero della stupidità occidentale della moda. Non voglio apparire
critico e conservatore. Tuttavia, l'idea che si possa acquistare un capo di
abbigliamento strappato intenzionalmente per buona parte della lunghezza
dei pantaloni, magari pagato profumatamente, perchè lo impone la moda mi
fa sorridere. Il minimo che posso dire a proposito di questa
insulsaggine è riconoscere quanto sia diventata grande la stupidità
umana. |
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Il Muzeu Historik
Kombëtar ovvero il Museo storico nazionale di Tirana si trova in uno
dei palazzi pubblici più famosi e appariscenti della città perchè offre al visitatore
il più grande spettacolo museale dell'Albania. Pago il biglietto ed entro.Dico subito che il museo si trova nella centralissima Sheshi Skenderbej
di fronte al mio albergo sull'altro lato del Bulevardi Zogu I.
Sulla facciata principale dell'edifico che ospita il museo c'è il
più grande e famoso mosaico murale dell'Albania che da solo merita una
menzione. Questo enorme murales è stato testimone di tante vicende
legate alla politica albanese e domina una parte importante dell’enorme piazza. A
me fa venire in mente
il famoso dipinto del pittore Giuseppe Pellizza dal titolo "Quarto
Stato", molto pubblicizzato da tutti i sindacati italiani. |
La visita a questo museo ha lo scopo
di
permettermi di conoscere
meglio lo sviluppo economico, sociale, politico e culturale che il
popolo albanese ha prodotto nel corso della sua storia.
Nelle sale ci sono molti custodi che
vigilano con cura. Mi sento sottoposto a un'attenzione particolare che
mi mette un po' a disagio. |
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Per cambiare l'atmosfera del sospetto in qualcosa di più accettabile chiedo a una custode di farmi una
foto. Colta di sorpresa balbetta qualche parola ma alla fine accetta, non prima
però di farmi spostare in un angolo
della sala per fotografarmi. Qui il concetto di selfie, ovvero
di autoritratto fotografico realizzato attraverso uno smartphone
non è ancora di moda. Ci sono molte cose interessanti da vedere.
Quelle che mi colpiscono di più sono i padiglioni dell'Antichità,
quello dell'Indipendenza del '900, quello della Guerra
antifascista e del Genocidio comunista. In questo ultimo padiglione
ci sono molti cimeli di militari e partigiani albanesi che sono morti durante la guerra
contro il nazifascismo italo-tedesco. All'uscita c'è un caldo
terribile. Nella mia camera di albergo sbircio
tra i canali
televisivi presenti in tv rimango colpito dai numerosi canali in lingua
albanese e turca. C'era da aspettarselo visti i legami esistenti tra i
due paesi. Quello che mi impressiona di più è però l'enorme varietà
della proposta televisiva. |
Tra l'altro
ci sono canali di tutte le lingue balcaniche e non solo. In Albania si
sta verificando quello che è successo in Italia quando fu superato il
monopolio televisivo RAI con l'entrata nell'etere delle tv
private. Un caleidoscopio di lingue e di posti di
vita che da soli fanno venire in mente la misura di quanto l'Europa sia
grande, completa, attraente, bella e vitale. Canali indigeni di musica
albanese e balcanica, canali serbi, turchi, canali di musica
folkloristica oltre quelli prevedibili italiani, inglesi, francesi,
tedeschi, statunitensi, ecc. c'è televisione per tutti i gusti. Ragazze
che corrono in campi di grano, giovani donne in costume folkloristico
che cantano e si muovono con balli lenti e musicali, cantanti di musica
tradizionale che coinvolgono pubblico presente in sala e spettatori,
insomma c'è di tutto. La cosa buffa per me che sono italiano è poi vedere una soap
televisiva parlata in turco con sottotitoli in albanese. Straordinario.
Tra poco esco di nuovo per fare un'escursione lungo Rruga e
Durrësit. |
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Prima
però mi voglio fermare un po' nella hall dell'hotel. Voglio
sedermi in una comoda poltrona e guardarmi intorno. Sono qui da più
di un giorno e non conosco per nulla l'albergo e i servizi che
propone. Tra l'altro desidero avere informazioni su come arrivare in
una certa parte della città. Uno dei pochi problemi di difficile soluzione
per il turista che desidera muoversi in città riguarda il trasporto con i bus. Detto in
poche parole a Tirana non esiste un'azienda unica dei trasporti
cittadini. Al contrario, ci sono almeno quattro e forse più società
private differenti che fanno circolare mezzi di diverso colore che si
fermano a fermate differenti. Tra l'altro alle fermate non c'è
alcuna cartina delle linee, né esiste una palina che permetta
l'individuazione delle linee percorse e delle fermate.
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E se
esiste qualcosa del genere, si riferisce a una linea precisa e non vale
per le altre. Insomma un bel rebus difficilmente risolvibile per
il turista ignaro. Aggiungete che non sono in vendita nè in
rete, nè alle edicole piantine della rete di autobus che aiutino il
turista ed avere un quadro di sintesi dei trasporti. La prospettiva è
quella di rischiare di aspettare un mezzo di trasporto che non arriva mai. La cosa
buffa è che se vi mettete ad aspettare un qualche bus a una fermata
osserverete un fenomeno inquietante. E cioè che ad aspettare il bus
sarete solo voi perchè la maggior parte dei viaggiatori compaiono
improvvisamente tutti insieme a una certa ora precisa, materializzadosi dal nulla
un minuto prima che arriva il bus. Bizzarro no? Io ho scelto di far funzionare i
muscoli delle gambe e muovermi a piedi anche per lunghi tratti.
L'alternativa è quella di servirsi di un taxi. Ne ho preso uno questa
mattina per andare alla Facoltà di medicina dell'Universiteti Katolik
Zoja e Këshillit të Mirë, cioè all'Università "Nostra Signora
del Buon Consiglio" di Tirana. Si trova in Rruga Dritan Hoxha.
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Troppo
distante per farla a piedi, troppo incerto per arrivarci con
l'autobus. Dunque, ho preso un taxi. L'autista si chiama
Arturo ed è un giovane dinamico pieno di energia che ha lavorato
alcuni anni in Italia a Milano. In pochi minuti abbiamo fatto
amicizia. Gli faccio presente che se avrò la necessità di prendere
un taxi so dove trovarlo. Dieci minuti di corsa al prezzo di 5 euro.
All'uscita del cancello l'usciere dell'Università mi aiuta. Mi suggerisce di
prendere l'autobus e mi informa che il biglietto costa 30 lek e che
si può acquistare direttamente dall'autista. Dopo pochi minuti sono
sul bus con tanti studenti universitari alle prese con i loro
smartphone. Il caldo è asfissiante e ci vuole una forte dose di
resistenza per arrivare a destinazione. |
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Scendo
dall'autobus e mi sposto
in Rruga Luigj
Guraquki. Questa strada mi piace. Ci sono tanti negozi,
ristoranti, bar e caffè dove ci si può sedere e osservare. Le
sedie invitanti di uno di questi caffè mi obbligano a sedermi a un tavolo
all'aperto. Ordino
un caffè. La cameriera viene subito. E' sdentata ma simpatica. Osservo
con piacere l'andirivieni della gente nella strada. È tutto un brulicare
di persone che vanno e vengono in un incessante movimento tipico da
mercato. Ricordo che il mercato principale
Pazari i Ri si trova qui vicino a due
passi da dove mi trovo.
Le strade
non hanno numeri. Il bello è che anche le vie non hanno nome. Tranne che
nel centro città, dove ci sono pochi cartelli con indicate le vie
principali. In periferia le indicazioni e le insegne di toponomastica
sono totalmente assenti. Probabilmente nella prassi albanese non
servono. In una società che sta uscendo dal mondo arcaico precedente a
velocità ragguardevole è normale che ci siano contraddizioni e
incertezze in molti settori della vita sociale, compreso quello relativo
al servizio di numerazione civica delle abitazioni. Chi fino a qualche
lustro fa ha vissuto la vita secondo canoni e stili di una società non certo
di tipo capitalistico, oggi ha molte ragioni per accettare
provvisoriamente una organizzazione imprecisa indecisa e imperfetta perchè quello
che preme attualmente di più alla maggior parte della popolazione è il
benessere ottenuto col lavoro. Il resto verrà dopo. D'altronde, anche
nel meridione d'Italia si trova una situazione quasi simile a questa.
In Sicilia per esempio si narra che un signore alcuni decenni fa scrisse
una lettera a un suo amico indirizzandola come segue: "Al sig.
Vattelapesca che abita vicino alla farmacia vicino alla chiesa.
Città".
Accanto a me in tutti i tavoli ci sono seduti solo uomini, apparentemente
interessati a discutere dei fatti propri. Non mi sfugge però lo sguardo
maschilista e interessato di questi signori rivolto alle belle ragazze
che passano nella strada. Ce ne sono di tutti i colori, come le varie
tipologie di auto che si muovono incessantemente nelle strade. Macchine
nuove e vecchie, auto di piccola e di grande cilindrata, berline nere o utilitarie
bianche. Allo stesso modo passano giovani e belle ragazze con
pantaloncini bianchi o fuseaux aderenti, bionde e brune, con
capelli lisci o ricci, lunghi o corti. Insomma un universo di bellezze
balcaniche di tutti i tipi. |
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Decido
di rifare la passeggiata lungo
Bulevardi Dëshmorët e Kombit.
L'ho già percorso ieri ma in fretta. Questa volta vorrei farlo con più calma, per gustarlo meglio fermandomi in alcuni
punti nevralgici, uno dei quali è quello di sedermi su una panchina
nel verde del prato a respirare aria e atmosfera autenticamente
albanese. In genere a me piace passeggiare il pomeriggio verso sera.
Meglio se in un parco, con un abbigliamento adatto e comodo. I
pensieri corrono meglio e con chiarezza nella mente e l'atmosfera
rilassante invita a questa attività di riflessione e di ricordi.
Se aggiungiamo che questo viale presenta una architettura che mi
ricorda molto la Roma di altri tempi, capirete che è quasi come se
fossi a casa mia quando passeggio lungo un viale romano dell'EUR.
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Effettivamente la rassomiglianza con i palazzi dell'EUR è
impressionante. Se si guarda attentamente l'edificio raffigurato nella
foto è quasi impossibile non scambiarlo per un edificio dei palazzi
della politica romana. Per favore, osservate il colore dei muri e delle
facciate, la scalinata, la forma dell'edificio, la forma delle porte e
delle finestre, le stesse vetrate delle finestre, le piastrelle della
strada e ditemi se non sono incredibilmente uguali a quelli che si
possono vedere nella città di Roma. E' praticamente identico al
Palazzo Uffici dell'EUR costruito per l'Esposizione Universale
di Roma. Ma lo stesso si può dire per l'architettura razionalista del
Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, del Palazzo dell'Arte
Antica, del Museo della Civiltà Romana di Roma, etc. Non
parliamo poi del bassorilievo presente nella parte superiore destra
dell'edifico. E' dello stesso stile del
bassorilievo prodotto a suo tempo da Publio Morbiducci, uno dei maggiori
artisti del regime fascista.
Attenzione che qui non si tratta solo di un edificio. Buona parte
dell'architettura dell'intero Bulevardi Dëshmorët e Kombit
è così e quando si dice che sembra di essere all'EUR,
credetemi, non ci si sbaglia di molto. Aggiungo anche la ciliegina sulla
torta dicendo che ai lati del viale si nota la folta presenza di pini
mediterranei come quelli che si trovano a Roma e non aggiungo
altro. Quanto sto affermando adesso, relativamente a questi particolari
stilistici e architettonici, potrebbe valere per tutte le analoghe
situazioni relative ad altri paesi ed altre città. Per esempio, se un
austriaco di Vienna venisse a Milano e osservasse i palazzi del centro
probabilmente farebbe la stessa osservazione che ho fatto io
relativamente alla coppia Roma-Tirana che per lui sarebbe Vienna-Milano.
In verità l'architettura umbertina e liberty richiama per intero
l'originale 'architettura viennese. Non per nulla gli Stati coloniali del tempo la
prima cosa che facevano quando occupavano militarmente un paese era
quella di costruire case, palazzi, piazze e monumenti in stile con la
propria cultura e lasciare un segno indelebile sulle città e sui
cittadini del paese colonizzato. Lo stesso dicasi qui a Tirana per la
coppia Instambul-Tirana quando gli ottomani imposero la propria cultura
agli albanesi. La foto notturna che ho scattato in Sheshi Skenderbej
al rientro dopo la cena rappresenta la bellissima moschea Xhamia e Et'hem
Beut con il suo stilizzato minareto di forma ottomana.
La lunga passeggiata fatta fin qui e la pausa di riposo di cui mi sono
appropriato nel parco, seduto su una panchina insieme a molti
pensionati, mi ha consentito di richiamare alla memoria fatti e idee
relative alla mia vita e in genere dell'esistenza umana. Le domande che ci facciamo in questi casi
riguardano un po' tutto: scopo della mia vita, felicità, senso e problema della morte, per non parlare infine di come desidererei essere
ricordato, sono sempre le domande che mi pongo quando
sono all'estero ed ho la possibilità di riflettere sul senso della vita.
In un parco, meglio se sconosciuto come questo nel quale mi trovo in
questo momento, le domande di senso sorgono spontanee e la mia
condizione di estraneo a questa città mi aiutano a riflettere. E' impossibile porsi
domande di questo tipo vivendo la quotidianità nella città in cui si
vive, in quanto è in un contesto di serenità che il cervello acquista le
condizioni per riflettere. Il viaggio da questo punto di vista aiuta a riflettere e a fare
pensieri impossibili nel proprio paese. Il sole non è più a picco ed è
piacevole approfittare dell'ombra essendo seduti su una panchina.
Intorno a me ci sono tante panchine con molta gente seduta. Si respira
un'atmosfera di paese, rilassante, con gente simpatica che conversa a
bassa voce. Non capisco una sola parola di quanto dicono tra di loro ma immagino che
si tratti delle solite cose che si dicono con un amico quando ci si
incontra al parco. E poi non è importante "ciò che si dice", ma "come lo
si dice". Albert Camus disse che : "quello che conta tra amici non è ciò
che si dice, ma quello che non occorre dire". Non so se questi anziani
mettono in pratica l'aforisma di Camus. So solo che li vedo così sereni
nel conversare tra di loro che in parte è come se riuscissero a farmi
trarre beneficio dalla loro conversazione. Dicevo che questo quartiere
di Tirana mi ricorda l'EUR di Roma. Ma attenzione solo dal punto di
vista architettonico. Se invece si parla di interazione sociale e di qualità della
vita non è così. Anzi. E' da preferire senz'altro Tirana a Roma. L'EUR è
in verità un
gigantesco ingorgo di macchine ferme e in moto. Le auto sono la causa di
molti mali della città di Roma e fatto grave nessuna amministrazione comunale ha
mai avuto il coraggio di affrontare e risolvere. Tutto ciò è
semplicemente scandaloso. Ma più di tutto sono i romani che
rendono la vita gravosa e stancante, complessa e difficile. Indisciplinati, aggressivi,
volgari e spesso primitivi rifiutano la categoria delle regole e
sistematicamente le violano con una trasgressività da far impallidire
gli anarchici. Qui invece è tutt'altra cosa. Tranquillità,
serenità, la vita si svolge apparentemente a "misura d'uomo".
Probabilmente esagero ma questa è la sensazione che provo a riflettere
sulle analogie e, più ancora, sulle differenze tra romani e tiranesi.
Probabilmente i tiranesi mi appaiono così educati e civili perchè
probabilmente durante il regime comunista hanno sofferto non poco. Elvira Dones racconta nel suo libro denuncia Senza bagagli : «là dentro, in
Albania, è l'inferno, tu non puoi immaginare come sia là dentro. Perchè
l'inferno non sono i draghi che vomitano fuoco su strade e piazze
cuocendo gli uomini allo spiedo. Le strade sono povere, ma pulite e
piene di verde. L'inferno è nell'anima della gente, nella perenne paura
che un cugino o un parente ancora più lontano faccia una "follia" e
rovini tutti gli altri, tutta la famiglia». Nel
frattempo si è fatta ora di cena.
Avevo intenzione di cenare al ristorante Sarajet per assaggiare
la cucina turco-ottomana ma trovandomi vicino a Rruga Shyqyri
Berxolli faccio uno strappo e ceno al ristorante italiano
di pesce "Delicatezza di mare". In genere all'estero non vado quasi mai nei ristoranti
italiani. Con il fatto che sono italiani conosco la loro competenza nel
proporre pietanze scadenti spazziandole per piatti di qualità. Mi è
successo una volta a Copenhagen discutendo con un
ristoratore italiano del pessimo sapore che aveva il suo olio di oliva
in una pzza e non vorrei ripetere la stessa esperienza. Parodiando
Dante dirò: "Poscia, più che il principio, poté la
stanchezza". E ho sbagliato, perchè la cena si è trasformata in una
grave preoccupazione dovuta al fatto che mi è stato "proposto-imposto"
dal titolare un elevato numero di pietanze da antipasto che ho dovuto assaggiare a
più riprese dilatando i tempi della cena. |
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Dalle alici fritte
arrotolate a
mo' di olive ascolane (io che non mangio mai fritture) ad assaggini
di pesci cucinati con strane accoppiate, più per fare piacere
alla vista che al gusto tutto è un inno alla complessità. Insomma, un vero disastro per me che
preferisco mangiare al massimo due sole pietanze cucinate con
estrema semplicità e con poche ricercatezza di cucina moderna. Nulla
da dire sulla qualità del pesce. Tuttavia non sono il cliente adatto
per questi "assaggini ripetuti" da nouvelle
cuisine la cui peculiarità
non mi appartiene come cultura e tradizione. Il rientro in albergo
avviene per i miei gustia tarda ora, mitigato da una visione
notturna di Sheshi Skenderbej semplicemente perfetta. Credo
di avere colto nel viso della statua equestre di Gjergj Kastrioti Skenderbej
una espressione di conferma delle mie perplessità consigliandomi
di evitare in futuro di frequentare ristoratori che magnificano una
loro cucina italiana poco credibile. |
I profili del
minareto, della cupola della moschea e del campanile della Torre dell'Orologio mi
riportano una dose di serenità necessaria per addormentarmi in
albergo con una piacevole sensazione di soddisfazione. |
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Terzo giorno Mercoledì 25 giugno. |
Oggi il cielo è parzialmente coperto. Le
previsioni dicono che pioverà e, infatti, le nuvole presenti
in cielo stanno lì perconfermarlo. Dopo colazione prendo pullover e ombrello
tascabile, li metto in un sacchetto della libreria Adrion,
chiudo la camera e prendo l'ascensore al dodicesimo piano. Al piano
inferiore entra una signora. Credendomi ormai un "esperto" di lingua
albanese le dico in lingua locale mirëdita, cioè buon giorno.
Altre volte l'ho già fatto con altri clienti divertendomi a osservare la
loro reazione. Si va, da un estremo all'altro, dall'imbarazzo del cliente
straniero che non capisce il significato e non sa proprio rispondere a chi invece conosce la lingua
e mi risponde con una locuzione di saluto mostrandomi un colossale sorriso
di apprezzamento del mio sforzo linguistico. In entrambi i casi la
reazione è comunque di simpatia e riguardo. La signora imperturbabile mi dice invece che la parola é
inesatta. Mi guarda con insistenza e poi, a bruciapelo, mi chiede
conferma se sono io quel signore che ieri sera ha cenato al
ristorante "Delicatezza
di mare".
A rimanere di stucco questa volta sono io e per due buone ragioni. La
prima per non avere azzeccato la parola corretta e la seconda volta per
capire dove si trovasse seduta nel ristorante questa signora non più ragazzina ma
abbastanza matura e appariscente per non essere stata da me
notata. Avevo intravisto ieri sera dietro di me un tavolo di due
persone, un uomo e una donna, seduti che aspettavano le pietanze ma non
ci avevo fatto caso. E poi ho trascorso tanto tempo a negoziare in
italiano con il titolare del ristorante, con una raffica di rifiuti a certe sue proposte
che non mi convincevano, che non mi è rimasto molto tempo per osservare
nella sala i volti dei clienti. Tra l'altro, all'estero non guardo mai
direttamente
la gente con interesse e non cerco la compagnia di nessuno. Dunque, non
mi rimane altro che accettare il ruolo dell'osservato speciale in
entrambe le occasioni che mi hanno visto perdente su tutta la linea.
Aggiungo altresì che qui, nel metro quadrato circa di superficie del
vano ascensore, mi trovo in evidente imbarazzo e non vedo l'ora di
arrivare al piano terra per far cessare questa scomoda attesa.
«L'avrò colpita con la mia determinazione nel contrattare la cena di
ieri sera» mi dico tanto per giustificare la rara
coincidenza accadutami.
All'arrivo al piano terra vedo che con grande sicurezza si dirige nella
grande hall dell'hotel in una zona riservata alla delegazione europea di Bruxelles, in
quanto oggi è in programma un convegno con all'ordine del giorno la
richiesta dell'Albania di aderire all'Unione Europea. Ieri sera
infatti in televisione quasi tutti i canali televisivi indigeni
hanno aperto i loro notiziari a proporre gli interventi del Capo del
governo e del Presidente della Repubblica albanese relativi alla comunicazione alla stampa della storica decisione di aderire
all'UE. Infatti, la grande sala brulica di addetti al convegno ed è tutto
un pullulare di personalità politiche che arrivano alla reception del
convegno con le telecamere della televisione albanese in continua azione. Lo si
capisce anche dalla enorme quantità di bandiere blu con le dodici stelle
dell'UE e di quella albanese che sono spuntate fuori come funghi in ogni
luogo, dentro e fuori l'hotel. Io sono felice di questo evento perchè la richiesta
albanese va incontro ai miei desideri di vedere nell'UE tutti i paesi
dell'Europa continentale che ancora non hanno aderito. Tuttavia non vedo
l'ora di uscire da tutto quel trambusto. Il progetto di visita della mattinata
prevede di recarmi a visitare i luoghi religiosi delle due cattedrali ortodossa e
cattolica. La moschea l'ho già visitata dunque, in ordine, prima andrò a
quella ortodossa Kisha Ortodokse e poi a quella cattolica Shën
Pali.
Il cielo è carico di pioggia e da lì a poco sono sicuro si metterà
sicuramente a piovere e anche in modo intenso. L'ombrello che ho è
tascabile, quindi piccolo. Mi riparerà solo la testa. |
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Speriamo solo che non ci sia vento perchè altrimenti mi
complicherebbe le cose. Riesco ad arrivare alla cattedrale prima che
inizi a piovere. L'interno è pieno di sedie alcune delle quali
spostate dalla donna delle pulizie che sta lavando il pavimento. Ci
sono solo due fedeli. Una donna che sta in piedi e un giovane che si
sposta continuamente da un'icona all'altra, facendosi continuamente
tre volte il segno della croce e baciando l'immagine fissata con
ostinazione. L'atmosfera è di una chiesa costruita di recente,
carica in modo massiccio di elementi decorativi color oro in tutte
le sue parti: dalle pareti all'altare e dalla cupola al lampadario
centrale tutto è laccato d'oro. |
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Aspetto qualche minuto
ancora nella speranza che smetta di piovere, ma il cielo è implacabile.
Penso a quanto abbiano penato i fedeli e il clero di tutte le
confessioni religiose durante il periodo del comunismo di Hoxha. Adesso,
che siamo in una fase di "postmodernità", tutto si è in qualche modo
"aggiustato", migliorando di molto la vita di credenti e cittadini. La
caduta del comunismo hoxhiano, la crescita del capitalismo con
sempre meno regole, la globalizzazione e soprattutto l'accresciuto
potere dell'UE con l'introduzione dell'euro hanno ridotto le
barriere antireligiose in tutti i paesi del blocco sovietico dell'est
europeo facendo molto bene alla libertà religiosa oltre che cambiando
mentalità a proposito dell'idea stessa di Europa. Adesso tutto è
possibile. Per esempio, il fatto stesso che io sia qui a visitare la
bella Tirana lo devo in primo luogo proprio a quell'UE che, come
dicono Ewa Mazierska e Laura Rascaroli nel bellissimo libro Girando
la nuova Europa, della Cremese Editore, "questi fattori hanno
ridotto le barriere e moltiplicato gli spostamenti, mettendo in
movimento persone da fuori e all'interno dell'Europa, a scapito
dell'immobilità sociogeografica di un continente di stati-nazione e
rivoluzionando l'idea stessa di Europa". Tra l'altro le stesse autrici
ricordano che oggi il viaggio "è inteso come critica culturale, come
esplorazione sia della società che dell'individuo[...] e si usa spesso
il viaggio come mezzo per investigare questioni metafisiche sullo scopo
e il senso della vita". Verissimo. Mentre io penso a queste idee fuori
continua a piovere. Aspetto qualche minuto
nella speranza che smetta di piovere ma il cielo è implacabile. Decido
di andare comunque alla Kisha katedrale e Shën Palite, cioè alla
Cattedrale cattolica di S. Paolo. Tuttavia, mentre la cattedrale
ortodossa si trova facilmente localizzabile nella mappa ed è a due passi
dalla centralissima Sheshi Scanderbej, quella cattolica è un po' più
lontana e di difficile localizzazione. Per arrivarci devo superare una
serie di stradine piene di panche e tavoli di legno messi su per far
vedere ai clienti le partite dei mondiali di calcio in
televisori di grandi dimensioni. Sono costretto sotto la pioggia a effettuare un giro abbastanza lungo
che mi vede fare slalom e salti di pozzanghere impreviste sotto la pioggia e il vento per passare
vicino al Parlamento albanese che è una tappa della mia osservazione. Mi
sposto quaindi da Rruga Ibrahim Rugova dove si trova la
Katedralja Orthodhokse 'Ngjallja e Krishtit' di Tiranë in
Shëtitorja Murat Toptan. Quindi in Rruga George Bush per
svoltare a destra in Bulevardi Zhan d'Ark lungo il quale si trova
la Kisha katedrale Shën Pali. |
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Costeggiando il parco
dal lato nord del fiume Lana vedo delle belle case situate
lungo la riva sud dello stesso. Entro nella cattedrale cattolica e
anche qui trovo un'addetta alle pulizie che lava il pavimento.
Insieme a me entrano un gruppo di una decina di anziane signore,
probabilmente americane perchè parlano l'inglese coperte,
furbacchione loro, da un impermeabile lungo fino ai piedi.
All'interno c'è solo una donna che prega inginocchiata a un banco.
Un
angolo della struttura della chiesa cattolica mi ricorda un'altra
chiesa, sempre cattolica ma di Roma che è praticamente identica a
questa. Tra le due cattedrali, la ortodossa e la cattolica,
l'atmosfera che si respira è in pratica la stessa. Mi chiedo perchè
da tanti secoli le due chiese sono separate e in modo vistoso. I
vincoli teologici che li stanno tenendo lontane tra loro sicuramente
saranno tanti, ma a mio parere non giustificano questa separatezza
rigorosa e inavvicinabile delle due fedi se non per motivi di
interesse egoistico giustificato più dal nazionalismo che da altro.
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Una brutta storia questa
della separazione dei cristiani in cattolici, ortodossi, anglicani, etc.
E' così brutta che impedisce a molti potenziali credenti di avvicinarsi
alla religione. All'uscita non piove più ed io proseguo lungo il
Bulevardi Zhan d'Ark perchè voglio vedere prima la Galleria
Nazionale d'Arte e poi il quartiere di Blloku dove sicuramente
pranzerò in qualche ristorantino tradizionale di carne. Le case
lungo il fiume sono immerse in prati verdi e ben curati. Chissà quanto può
costare qui un appartamento di 100 metri quadrati. In Bulevardi Zogu
I ieri mattina ho visto un cartello che pubblicizzava la vendita di
appartamenti a 390 euro/mq. Come dire dieci volte di meno di Roma. Non credo però che si trattasse di case
costruite qui nel centro. In ogni caso il prezzo è appetibile. Se fosse
vero un povero pensionato italiano qui con la sua pensione vivrebbe da
Pascià. |
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La visita agli
edifici religiosi è finita ed
io decido che è ora di visitare la Galeria Kombëtare e Arteve,
cioè la Galleria Nazionale d'Arte che è una delle mete più ambite di
questo mio viaggio a Tirana perchè contiene molti tesori di arte e
cultura. L'edificio è qui vicino e in pochi minuti sono all'ufficio informazione
del museo nel quale trovo una giovane impiegata che
conosce l'italiano molto bene. Mi informa che la visita alla sezione
moderna a pianterreno è gratuita mentre per il resto devo pagare il
biglietto. La ringrazio , compro il biglietto e salgo direttamente le scale per visitare
la sezione di maggior interesse che, più che antica, definirei
classica in quanto si riferisce ad appena agli ultimi due secoli di
vita. Nella
prima sala ci sono molti dipinti di artisti indigeni alcuni dei
quali raffigurano l'eroe nazionale Scanderbej a cavallo con
una espressione così torva e minacciosa che la statua equestre
presente in Sheshi Scanderbej è da considerare a mio avviso
come quella di uno scolaretto ingenuo e sprovveduto. |
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Ci sono diverse sale che
ritagliano un periodo storico differente a cominciare dal 1883 e a
finire al 2000. Nella seconda, se non sbaglio, mi colpisce il dipinto di
Ibrahim Kodra dal titolo Tirana. E' stato dipinto nel 1938
e nel quadro sono poste in bella evidenza la moschea e la Torre
dell'Orologio come sono adesso, mentre il panorama intorno a questi due
gioielli dell'architettura tiranese fanno apparire Tirana come un
villaggio, in cui ci sono intorno solo casette. Saltiamo le altre sale
che si riferiscono più o meno all'esaltazione folle del periodo del
Comunismo e/o del
Realismo socialista. Per dire la verità, in
quest'ultima sezione, che io definirei del "realismo", vedo una
pittura ingenua e naif. I quadri individuano soggetti dipinti in modo
essenziale e hanno cornici
di semplice
legno di falegnameria. Mi colpisce il quadro di Foto Stamo, Roma
18.11.41, Plaku, 1941. Si tratta di un vecchio uomo con la barba
bianca e il cappello, seduto con il bastone in mano. Andiamo invece alla
parte più interessante
della Galleria, che è la sezione che riguarda il fascismo e
l'aggressione militare italiana all'Albania. Ci sarebbe da parlare tanto
su questa sezione. Dico solo in sintesi una cosa. Il fascismo è stata
una delle cose più brutte che l'Italia abbia mai inventato nella sua
storia. C'è solo da vergognarsi di essere italiani. E non è
assolutamente vero che il fascismo abbia interessato "Altri". No. Per
non andare troppo lontano i nostri padri o nonni lo hanno sostenuto in
gran numero e
sono stati pochi i nonni italiani che si sono opposti a quel diavolo
della politica italiana che è stato Mussolini. Nella sezione dedicata al
fascismo ho visto in entrambi i lati del lungo corridoio pieno di
vetrine molti cimeli storici dell'occupazione fascista (abbigliamento,
divise militari, pistole, moschetti, effetti personali dei soldati,
lettere, etc.) che mi hanno lasciato in uno stato di grande amarezza. Il famoso luogo comune "italiani brava gente" è una colossale
menzogna perchè in tutti i musei che ho visitato nei Balcani (Slovenia,
Croazia, Serbia e adesso Albania) ho visto prove fotografiche e
conferme che le decisioni prese dallo Stato Maggiore dell'Esercito fascista con
la "brava gente" hanno poco a che vedere. |
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Chiudiamo qui questo
capitolo doloroso della mia visita al museo degli orrori fascisti e
parliamo d'altro. All'uscita non piove più anche se il cielo rimane
gonfio di pioggia. Vicino alla Galleria d'Arte c'è un rudere di
palazzo abbandonato che è l'ex hotel Dajti, il più lussuoso
albergo della capitale pre-rivoluzione. Da qui faccio rotta per
il Bllok, il quartiere più trend della città per il
divertimento serale e notturno con una quantità enorme di locali
alla moda, caffè e ristoranti di tutti i generi. In questo quartiere c'erano le
residenze dei dirigenti politici comunisti della città, compresa
l'ex villa di Henver Hoxha che qui si vede nella foto che ho
scattato pochi minuti fa. Se il compagno Enver la potesse vedere rimarrebbe di
stucco, perchè proprio la sua casa è diventata sede di un centro
statunitense di insegnamento della lingua inglese. Un vero smacco. Chi lo avrebbe mai immaginato! Le
stradine del bllok sono belle e piacevoli. Le abitazioni sono a pochi piani e
rilassanti perchè quasi tutte ex villette dei funzionari di partito.
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Elvira Dones nel suo
libro Senza Bagagli nel Cap. VI durante la rivoluzione di velluto
del 1991 racconta con sorprendente ironia un episodio che merita di
essere riportato. Dopo la morte di Hoxha le cose cominciarono a mettersi
male per il governo. Ebbene a pag 112 narra che
«Sui
muri dei palazzi, vicino a bllok dove abitavano quelli del
Politburo, apparvero dei necrologi, scritti a mano, con una grafia
da bambini delle elementari: "Vi invitiamo a partecipare ai funerali
della Carne, domenica alle 6 del pomeriggio. Con rammarico comunichiamo
che il Burro e il Formaggio, non sopportando la morte dell'amica, sono in
gravi condizioni di salute". Arrestarono due ragazzi sospettati di avere
a che fare con l'affissione e la diffusione dei necrologi».
E' proprio a pochi passi da qui che scelgo il locale dove pranzare. Il ristorante è molto
conosciuto. Si chiama ERA 2000 e si trova in Rruga Ismail
Demal,13. Attenzione che ci sono due ristoranti Era2000.
L'altro è più ampio e moderno non molto distante da qui. |
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Mi serve il
titolare col quale chiarisco che desidero mangiare due pietanze
tipicamente della tradizione culinaria albanese. Mi suggerisce per
primo una potente e squisita chorba e mikut, ovvero una zuppa tradizionale,
molto saporita, cucinata con piccoli pezzetti di carne di agnello in
un brodetto piacevole e gustoso, la cui ricetta proviene dalla città
di Argirocastro. Il vino è vere e lokalit, ovvero vino rosso
locale, diciamo della casa. Il secondo è anch'esso un
classico della cucina argirocastrese. Si chiama
fërgëse më mish viçi,
ed è un secondo di pezzetti di carne di agnello immersi in una
specie di purea vellutata di ricotta di pecora e servito in una
scodella di terracotta. Si, ricotta; e
di pecora per giunta, "alla laziale" tanto per intenderci. Molto buono. Questi
due piatti sono veramente tradizionali. A mio giudizio è come
mangiare a Roma per primo Trippa alla romana e per secondo
Coda a vaccinara. L'effetto è il medesimo e la pesantezza della
digestione ne è una prova. |
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Un po' pesante ma ne vale
la pena, anche perchè non credo che sia probabile che io possa mangiarlo di
nuovo. Domani si ritorna a Roma
e difficilmente potrò esserci. Totale 1119 lek. Non
mi rimane altro che fare una bella passeggiata a piedi e agevolare
la digestione.
A proposito di Argirocastro, di questa città
è lo scrittore poeta e saggista Ismail Kadare. Lo voglio
ricordare qui per due motivi. In primo luogo perchè albanese, di
Argirocastro, e soprattutto per le sue qualità di grande poeta. C'è una
seconda ragione però che riguarda il fatto che dopo l'abbandono
dell'Albania comunista di Enver Hoxha si trasferì a Parigi e nel 1996
diventando addirittura membro associato a vita dell'Académie des
sciences morales et politiques, prese il posto che fu del grande
filosofo della scienza Karl Popper, mio filosofo di riferimento preferito
. |
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Nella narrativa dal titolo "L'identità
europea degli albanesi" ha pubblicato recentemente un saggio
nel quale il grande scrittore sostiene l'idea dell'integrazione
europea dell'Albania che per le mie orecchie di "unionista"
è musica. Come si può notare i discorsi alla fine tornano sempre
all'idea dell'Unione Europea che in Europa è la vera madre di tutti
i suoi abitanti e ai quali sono dedicati i miei viaggi. Nella foto
si vede concretamente l'immagine della grande festa europea che ha
pervaso Tirana per l'inizio ufficiale delle trattative per
l'ingresso del bel paese balcanico nell'Unione Europea. In questi
giorni ho mangiato anche delle belle olive albanesi che mi hanno
richiamato alla mente sapori lontani nel tempo di quando ero
bambino. Ullinj te
mbushur ne sallamur, cioè olive tradizionali farcite in salamoia. Ma
anche Ullinj pa bërthamë cioè olive senza nocciolo. Mi ricordano
nel sapore quelle che mangiavo da bambino al mio paese sui Nebrodi.
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Sono olive alle quali è stato tolto il
nocciolo e al suo posto sono stati messi dei pezzettini di peperoni
di colore rosso o verde. Il gusto è molto forte e ci vuole un po' di
coraggio a mangiarne più di una. La stessa scrittrice Ornela Vorpsi nel suo Il paese dove non si muore
critica questa mania e onnipresenza delle olive sulla tavola degli
albanesi. Infatti nell'incipit afferma che sul loro desco ci sono
sempre «delle immancabili olive untuose». Quelle di cui parlo io non
sono in olio ma in salamoia e non hanno il peperoncino ma sono
terribilmente albanesi e molto siciliane. Sanno di qualcosa di antico
che portano un sapore lontano, sollecitando ricordi di tempi passati. |
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Quarto e ultimo
giorno Giovedì 26 Giugno.
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Oggi si
ritorna a Roma. Non siamo ancora ai bilanci di questo viaggio ma manca
poco. Mi sembra quasi
impossibile identificare la città di Tirana di oggi come la capitale
dell'ex regime comunista di Enver Hoxha. Quando penso che oggi l'Albania è un
paese della NATO e che ha presentato domanda per essere ammessa
nell'Unione Europea sorrido al solo pensiero di come Hoxha l'avrebbe
presa se fosse ancora in vita. Chi l'avrebbe mai detto. Dopo colazione
esco per un'ultima passeggiata. Il check out dall'albergo è
fissato alle 12 di oggi. Sono in dubbio se prendere il bus per
l'aeroporto oppure approfittare della disponibilità del tassista Arturo
e farmi accompagnare direttamente all'aeroporto. |
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Qui vicino a
Sheshi Paris, all'inizio di Rruga Mine Peza c'è il bus.
Nella foto che scatto con lo smartphone si vede chiaramente in
primo piano, attaccata al cartello che indica Rruga Mine Peza, la
tabella degli orari di partenza. Il servizio si chiama LUNA Rinas
Express e le corse sono per l'aeroporto e dall'aeroporto. In pratica
l'inizio di via Peza funziona come una vera e propria Stacion
Autobusi. Nella mia ultima passeggiata per le strade di Tirana mi
sposto in Rruga e Barrikadave dove sostano Arturo e il suo taxi.
Lo trovo in fila con gli altri. Mi saluta e mi chiede a che ora
partiamo. Il suo entusiasmo mi convince di prendere il taxi. |
Gli dò
appuntamento per il pomeriggio alle ore 15. L'aereo parte alle 18.15 ed
avrò così tutto il tempo necessario per fare le mie cose. Rientro in
hotel, compilo il questionario di soddisfazione che io chiamerei
piuttosto
questionario di insoddisfazione, aggiungendo i miei commenti critici
nella parte disponibile dal titolo Komentë al solo scopo di dare una
"scossa educativa" alla direzione dell'albergo. Alla reception mi
ridanno la carta di identità sequestratami tre giorni fa. Non mi rimane altro
che andare a pranzare da Rozafa dopo aver salutato l'impiegata.
Avrei potuto andare in
un altro ristorante. In zona ce ne sono altri come: Oda, Sarajet,
Mrizi i Zanave o Lulishte 1 Maji. Quest'ultima, anche se più
distante delle altre, è una storica birreria popolare avente per logo la
famosa immagine de "Il buon soldato Sc'vèik". Ma non mi va. Penso che
uno spiedino di gamberetti alla brace con una insalatina possano andare
più che bene. All'uscita mi seggo al caffè Dorgen in
Rruga Barrikadave, all'angolo con Rruga Luigi Gurakuqi e ordino
un espresso. Davanti a me c'è il verde del parco. Il luogo è pieno di
gente che cammina velocemente per stare il meno possibile sotto il sole. Ad osservare la gente
che si trova nelle vicinanze non si capisce
per niente che mi trovo a Tirana. Potrei benissimo essere in una
qualunque città europea. Provo infatti a guardare ciò che mi circonda
non focalizzando le scritte che sono le sole che permettono di individuare
la lingua del posto e quindi la sua geolocalizzazione. Mi dico tra me
con soddisfazione che l'Europa ha fatto enormi passi da gigante nel
processo di sviluppo della sua società. Vero è che rimangono resistenze e
contrarietà al processo di unificazione ma è indubbio che quello che i
miei occhi vedono oggi in un qualunque paese europeo era semplicemente
impossibile immaginarlo appena finita la 2a guerra mondiale.
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Al parcheggio taxi
trovo Arturo che mi sta aspettando. Sono in anticipo di qualche minuto e
quindi me la prendo comoda. Arturo è felice di vedermi. Probabilmente
non era sicuro che venissi all'appuntamento. Partiamo per l'aeroporto.
Prima però accende la radio e seleziona un canale italiano. È felice
perché crede di essersi reso utile nella scelta. Purtroppo Arturo non sa
che si tratta di una stazione radio vaticana che trasmette programmi
religiosi. Non voglio deluderlo e mostro un certo interesse facendo
finta di ascoltare le cose dette dal lettore. Benedetta ingenuità.
Lui non si pone il problema fede-ragione e non gli sembra importante la
contrapposizione credente-laico. Lui vive questo momento favorevole (era
ora) dello sviluppo caotico e disordinato dell'economia albanese. Questi
sono anni favorevoli al paese delle aquile. Ne sono felice per tutti gli
albanesi di Tirana e dell'Albania. L'economia albanese affronta
un periodo favorevole di sviluppo.
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Ci sono
molti posti disponibili nel mercato del lavoro. I giovani, e sono
molti, concorrono ad alimentate fiducia e speranza alla giovane
economia del paese. Proprio in questi
giorni i programmi televisivi sull'UE stanno intasando le tv a causa del
fatto che Bruxelles, qui chiamata Bruksel, ha accettato la
domanda di adesione dell'Albania come
prossimo Stato membro dell'Unione e qui a Tirana si vedono un via vai di
macchine nere di burocrati europei che partecipano a convegni
sull'adesione all'UE. Arturo non sa niente di tutto questo e vive il suo
tempo nell'entusiasmo della sua giovane età che gli permette di
guadagnare facendo il conducente di taxi. Dal sedile posteriore lo
osservo con tanta simpatia quando mi indica la costruzione di nuovi
edifici che creano posti di lavoro e fiducia nelle nuove generazioni. Possa questo
entusiasmo essere da stimolo per una muova vita della giovane Repubblica
non comunista albanese. Seppelliti i ricordi atroci del vecchio regime
dittatoriale di Hoxha mentre mi accingo a entrare nella sala partenze
dell'aeroporto vedo Arturo che mi saluta da lontano sorridendo vicino al
taxi. Possano tutti gli Arturo di Albania trovare quella serenità
per il futuro che non videro mai i suoi nonni e forse anche i suoi papà. Ciao
Arturo. |
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Il mio è
stato un piacevole soggiorno qui a Tirana. All'aeroporto ancora non sono
attivi i banchi dell'accettazione. Mi seggo fuori a un tavolo del bar
dell'aeroporto e osservo ciò che si presenta davanti a me. L'aeroporto
internazionale Nënë Tereza
di Tirana
è riposante, sicuro,
ordinato e silenzioso. |
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Vedo
macchine di familiari che accompagnano i loro figli e le loro figlie
all'aeroporto. Baci, abbracci e tanti saluti sono la costante di
queste partenze. L'aeroporto sembra una gigantesca stazione
ferroviaria di altri tempi quando si accompagnavano i propri figli
che dovevano partire per destinazioni più o meno lontane per studio
o lavoro all'estero. Il principio non è cambiato. Sono cambiati i
mezzi di trasporto e l'approccio che risulta più condiviso e
consapevole di prima. Ormai la lontananze non è come negli anni '60
del secolo scorso quando la partenza era una partenza che non
prevedeva alcun contatto di nessun tipo con i propri cari ma solo lettere scritte che
viaggiavano a velocità di lumaca rispetto alla velocità della luce con
la quale viaggiano oggi telefonate intercontinentali, sms,
facebook o whatsapp. La società di oggi è cambiata rispetto a
quella precedente. Elvira Dones nel suo libro Senza bagagli
al Cap.VIII scrive: "No, disse alla madre non voglio che veniate
allaeroporto.[...] Mi danno fastidio quelli che si portano tutto il
parentado all'aeroporto. [...] I passeggeri non parlarono fin quando non
raggiunsero il piccolo bar nella sala d'attesa". L'attuale aeroporto è
nuovo e il piccolo bar nella sala d'attesa adesso è un moderno a grande
bar da grande aeroporto. A rimanere piccini sono solo quelli che non
viaggiano mai e non conoscono il mondo. |
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Vengo preso da
un momento di malinconia. Mi vengono in mente le parole di Pascal
Mercier nel suo bellissimo romanzo Treno di notte per Lisbona,
della casa editrice Mondadori stampato nel 2008. Alla fine della
bellissima storia del protagonista che si congeda per rientrare a Berna
dalla distante Lisbona dice: "Lasciamo sempre qualcosa di noi quando ce
ne andiamo da un posto. Rimaniamo lì anche una volta andati via. E ci
sono cose di noi che possiamo ritrovare solo tornando in quei luoghi.
Viaggiamo dentro noi stessi quando andiamo in posti che hanno fatto da
cornice a periodi della nostra vita. Non importa quanto questi siano
stati brevi". Effettivamente è proprio così. Ma solo riflettendo
con spiragli di pensiero si riesce a condividere idee che troviamo
straordinariamente nostri anche se scritti da sconosciuti.
Che quasi tutte le
scrittrici albanesi moderne avvertano l’esigenza di richiamare nei loro
romanzi più famosi il fatto che sono partite dall'aeroporto non lascia perplessi perché
come dice Ornela Vorpsi nel libro Bevete Cacao Van Houten, la
partenza "dalla odiata prigione chiamata Albania" di Hoxha è sempre
stato il desiderio più grande degli albanesi che non volevano avere
rapporti con il regime di allora. |
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Al check in mi
accorgo che mi sono rimaste delle banconote in lek. Non sono molte
ma non voglio sprecarle. Non mi rimane altro da fare che acquistare
qualche prodotto al duty free. Vedo delle scatole della Pastiçeri LIKA
che produce e confeziona degli eccellenti Llokume me Arra.
Perberesit: sheqer, niseshte, acid citrik, arra. Si tratta di una specie di mostarda
di colore chiaro con granuli di
noci all'interno veramente squisita. Chiaramente è simile a quella turca. Tuttavia è necessario fare attenzione a non mischiare ciò che
è turco con quello che è albanese. La stessa Elvira Dones, sempre
nello stesso libro, nel Cap. II a questo proposito afferma che: "No,
non mi è passato mai per la testa di studiare il turco; l'albanese e
il turco non sono la stessa cosa". Viene marcato ancora una volta il
fatto che nonostante la dieresi sulla vocale le due lingue sono
differenti. Non mi rimane altro che dedicare l'attesa per l'imbarco
a che cosa scriverò nel diario di viaggio di Tirana. "Sarà come gli
altri", mi dico. Si; forse; credo di no. Ci penserò. |
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Intanto ringrazio la
piccola ma bella capitale albanese della magnifica vacanza che mi ha
fatto trascorrere in questa bella terra balcanica. Ciao Tirana, anzi
Tiranë: Ciao Albania. Sono stato bene qui da voi. Mi dispiace lasciarvi,
ma è la vita. Al prossimo viaggio. |
Manuali
e guide di viaggio adoperate. |
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