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Lisbona
(7 agosto - 11 agosto 2003) |
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Il mio ottavo viaggio nell'Unione Europea: Lisboa.
L'ottavo viaggio
nei paesi dell'Unione Europea mi vede protagonista della visita alla bella
città di Olisipo, nome greco antico della capitale portoghese Lisboa, in italiano Lisbona.
La capitale lusitana ha avuto altri nomi prima dell'era moderna. Dai
romani fu chiamata Felicitas Julia. Con i visigoti prese il nome
di Ulishbona, mentre gli arabi gli modificarono leggermente il nome
visigoto in al-ʾIšbūnah (in arabo الأشبونة).
Lisboa è l'unica
capitale dell'UE che si trova alla foce di un fiume, il Tago,
in portoghese Rio Tejo,
tanto grande da sembrare a prima vista, sempre alla foce, un oceano, il suo oceano, l'Oceano Atlantico. |
Premessa.
Questo viaggio e il relativo Diário de
viagem em Lisboa che qui di seguito riporto completano il primo ciclo del
progetto che mi sono imposto di realizzare visitando tutte le capitali dell'UE.
Questa fase iniziale del programma si riferisce alla
visita di quasi tutte le capitali fondatrici dell'Unione Europea,
cioè Roma, Amsterdam, Londra, Parigi, Vienna, Berlino, Madrid e Lisbona.
Mi mancano soltanto Bruxelles e Città del Lussemburgo che sono programmate alla fine
del progetto, per ragioni
che spiegherò in seguito. Dalla prossima capitale si "volta pagina" e
inizierò una nuova serie di visite nell'UE che riguardano le
belle capitali
dell'Europa dell'est. Quali? Eccole in ordine di programmazione
di viaggio: Budapest, Praga, Varsavia, Bratislava,
Lubiana, Sofia e Bucarest. La ex DDR, dopo l'unificazione
tedesca, non esiste più, come non esiste più la ex Jugoslavjia. Il
folto gruppo di capitali dei paesi dell'"Oltre-cortina" costituiscono
a tutti gli effetti l'obiettivo dell'europeismo più recente. Esse sono
le
benvenute perchè mi porteranno a
studiarle in profondità a motivo del loro interessante passato storico-politico
e, soprattutto, per i rilevanti aspetti storico-culturali che li
caratterizzano. Avremo modo di parlarne a tempo debito. Per adesso, con
la visita alla bella Lisboa, si chiude la fase iniziale della scoperta e
dello studio delle capitali europee. Mi rimane una domanda alla quale
rispondere, e cioè se ha ancora senso parlare di capitali delle nazioni
fondatrici e dei loro ruoli che possano fare da
traino per la realizzazione degli ideali di unificazione politica del
continente,
ancora non conclusi. Per esempio, l'attuale nascita della moneta comune,
l'euro, produce qualche conseguenza positiva per conseguire
l'obiettivo della creazione degli Stati Uniti d'Europa? Personalmente
sono sicuro di si. Ma ci sono anche gli euroscettici che dicono no. In ogni
caso mi sento di poter
dire che la fase pioneristica della nascita dell'UE federale sta
proseguendo bene e possiamo sperare in un futuro non lontano di "mettere mano" alla successiva
fase di completamento e di normalizzazione dell'Unione Europea,
in cui ciascuna nazione non sia considerata meno delle altre e la
complementarità sia il vero valore e motore dell'Unione medesima.
Se tutti gli sforzi saranno fatti nella logica dell'unità e del reciproco
rispetto non vedo perchè non possiamo non aspettarci miglioramenti di vita concreti e visibili per tutti i cittadini dell'UE.
L'alternativa sarà quella di dover trovare soluzioni sicuramente meno
facili. |
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Andare a Lisbona per visitarla in un'ottica di
viaggio europeista, come sto facendo io, senza aver visto il film LISBON
STORY, in portoghese Viagem Lisboa, si perde qualcosa di
prezioso per capire le motivazioni del mio viaggio. Il film è stato
prodotto esattamente dieci anni fa da Wim Wenders. Uno dei primi fotogrammi
della pellicola è la prima pagina del giornale tedesco Wochenpost
con la foto di Federico Fellini dal titolo "Ciao Federico!" La
stessa esclamazione la si può vedere alla fine del film, nell'ultimo fotogramma. Una
specie di omaggio di Wenders al grande regista italiano che, scomparso l'anno
precedente, è riuscito a superare i confini geografici e le barriere
linguistiche dei popoli con il suo modo originale e universale di fare cinematografia. Il
film vede come co-interprete la famosa cantante portoghese Teresa Salgueiro, voce solista indiscussa del gruppo musicale
Madredeus. La bella e brava cantante riesce a proporre in modo
impeccabile alcune sue bellissime canzoni, una delle quali è "Ainda".
L'inizio del film visto in una prospettiva europea è molto
interessante. Si tratta di un insieme visivo-radiofonico del viaggio
da Berlino a Lisbona che il protagonista fa in chiave non solo esemplare ma addirittura
pedagogica. |
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Si tratta di alcune scene che riprendono il parabrezza di una macchina che corre su un
lungo tratto di autostrade che attraversano alcuni paesi europei
(Germania, Francia, Spagna e Portogallo) e la voce di sottofondo che afferma:
"Europe has not border". E
subito dopo "The barriers have been lifted and anyone can cross over. I
realise that Europe is becoming a single nation... the languages change,
the music changes, the news is different, but...the landscape speaks the
same language and tells stories of an old continent filled with war and
peace". Sono parole importanti per chi ha sempre creduto negli
ideali dell'Unione europea. Ecco la traduzione:
«Niente
più frontiere in Europa. Tutte le porte sono aperte e chiunque può
attraversarle a suo piacimento. Sembra che l'Europa si sia fatta
davvero molto piccola. Cambiano le lingue, la musica, le notizie sono
diverse, ma i panorami parlano lo stesso linguaggio. Raccontano tutte le
stesse storie; di un vecchio continente pieno delle sue guerre e delle
sue tregue».
E conclude dicendo che "Here, I feel at home. This is my
homeland".
«Questa è la mia terra. Mein eine Land. Ma Patrie.
La mia Patria. My home country». Straordinario film e bellissima immagine di unità del nostro
continente che apre le porte al messaggio dell'Unione Europea che è riuscita a
eliminare muri e barriere fra tutti i popoli europei e introdurre più di
mezzo secolo di pace. Wenders mostra di essere un vero cittadino
d’Europa, l’unico cineasta veramente Europeo. Parto da questo
richiamo cinematografico europeo per descrivere nel migliore dei modi il mio viaggio
nelle capitali dell'UE.
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Torniamo a Lisbona, anzi Lisboa, e al mio ottavo viaggio. Lisboa è un'icona dell'immaginario che
propone la bella capitale del Portugal come un luogo appassionante e
ricco di emozioni e di prospettive turistiche. Pensare a Lisboa significa
avere la certezza di
trovare in essa luoghi e virtù tipiche dell'intero Portugal. Tram, elevadores
e funicolari della città; gastronomia portoghese con il suo
piatto forte di "bacalhau" di cui, si dice, esistono ben 365 ricette differenti, una
per ogni giorno dell'anno; tazzine di caffè e "fado" come via
maestra all'autentica tradizione lusitana; colori marcati dei tetti delle case in certi quartieri caratteristici
della Lisboa antica; architettura di
monumenti e di porte della città che più splendide di come sono state
costruite non è possibile immaginare; e tante altre centinaia di cose e luoghi comuni che da
secoli individuano i lisboetas (lisbonesi) come gente
ospitale, simpatica e alla mano. |
Una passeggiata nella Lisboa del
Lungotago non produce meno sensazioni di quelle che si producono
percorrendo le salite sulle piazzette dei "sette colli" di Lisboa. Sette
colli come a Roma. Mi domando se tra le due capitali ci possono essere
analogie e similitudini. Lo vedremo in seguito durante lo svolgimento
della visita alla bella e luminosa capitale portogues. Intanto mi
preme ricordare che cosa fu il Portogallo nei secoli passati. Com'è noto
tra il Quattrocento e il Seicento il Portogallo fu il paese europeo
leader nelle esplorazioni degli europei fuori dall'Europa,
perchè realizzò conquiste di enorme importanza in molti campi del sapere
umano oltre quelle geografiche. Lo si può leggere nel bel libro
«Lisbona
Oltre le mura»,
pubblicato da Frassinelli Editore, 1994 che consiglio di leggere per
avere un quadro di riferimento storico attendibile. |
Primo giorno
Giovedì 7 Agosto.
Iniziamo dal viaggio aereo che mi conduce da Roma a
Lisboa con un volo diretto dell'Alitalia.
Partenza in treno alle ore 8.45 dalla stazione ferroviaria di Roma
Ostiense, vicino a Piramide, per Roma Fiumicino.
Dopo
trentacinque minuti circa di viaggio ferroviario arrivo all'aeroporto
Leonardo da Vinci. Al Terminal B, gate5, mi
aspetta un aereo dell'Alitalia delle 11.30 per Lisboa
Portela. Il biglietto all'andata ha il codice AZ 20. Il ritorno
avverrà
l'11 agosto
da Lisboa
(LIS)
per Roma (FCO), codice di volo AZ 21 delle 18.25, gate
17 posto 09F. Rapide formalità
al check-in e piacevole sensazione al gate di imbarco di
trascorrere l'attesa passeggiando tra le varie sezioni del padiglione
delle partenze. Trascorro tutto il tempo
a passeggiare e a muovere i muscoli delle gambe nella prospettiva di un volo che si
preannuncia lungo almeno tre ore. Limiterò così al minimo la costrizione
di
rimanere seduto per tutto il tempo del volo. In aereo,
come al solito, sono un po' in ansia al solo immaginarmi sospeso al di
sopra delle nuvole, a quasi diecimila metri di
altezza, solo dalla forza prodotta dal basso verso l'alto dalla
differenza di pressione del flusso d'aria che arriva alle ali. Trascorro tutto il tempo di volo guardando, nei piccoli
monitor ancorati sotto i portelli del bagaglio a mano, i soliti
ma sempre piacevoli programmi televisivi "candid camera"
che mettono il buon umore. In alternativa, ho da ripassare il manuale di
viaggio della Mondadori sulla "città della luce", porta
dell'Atlantico. L'arrivo è
in orario.
L'aeroporto di Portela Lisboa
è vicino alla città. La distanza tra aeroporto e centro città è di
appena 7-8 km, un vero record di breve distanza. L'aeroporto è collegato
con il centro da diversi autobus. Non esiste alcuna fermata della
metropolitana. |
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C'è il bus 91, che è chiamato Aerobus,
che fa meno fermate di un autobus normale che compie lo stesso tragitto e
in più risulta essere il collegamento più veloce,
oltre che più confortevole, con il
centro. Io ho preferito prendere uno degli autobus locali, il
n.44, che collega
direttamente l'aeroporto con la centralissima piazza, chiamata
Plaça do Marquês de Pombal, detta anche Rotunda, con la sua enorme rotonda
dove, a circa cento metri di distanza sul lato sinistro di Avenida de Libertade,
scendendo verso il porto, si trova il mio albergo. Il
percorso è
quello tipico di un autobus di città con tratti veloci e altri
molto lenti. Gli arredi interni del mio autobus sono un po' vecchi, i
sedili di plastica consumati dal tempo e i posti a sedere
pochi. Rispetto all'Aerobus 91 si impiega più tempo e si viaggia
meno comodi ma si osserva di più. Ci sono
voluti più di trenta minuti per arrivare a Marquês de Pombal.
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Ma
non importa. Ho volutamente preso questo autobus,
accuratamente evitato dai turisti esigenti, perchè
mi piace viaggiare tra la popolazione meno abbiente della
città e a diretto
contatto con poveri, anziani e bambini. Mi hanno sempre
interessato l'umanità e i comportamenti più genuini della gente
variegata del
popolo che non è ricca ma che è in grado di dare senso alle caratteristiche più positive e
generose dei cittadini della bella Repubblica do Portugal. L'autobus inizia a muoversi senza
accelerazioni e stancamente. Mi seggo nell'unico posto libero
presente nella parte anteriore
sulla sinistra, lato
finestrino, perchè voglio verificare il percorso in tempo
reale guardando le strade e la
mia mappa. Vicino
a me c'è un giovane che mi guarda con curiosità, forse a causa
della mia valigia che manifesta la mia veste di turista e, dunque, di
straniero che viene dall'estero. Anch'io da bambino quando vedevo un
turista straniero mi coglieva un senso di curiosità al solo immaginare
che parlava una lingua straniera e che aveva tradizioni e abitudini
differenti. Accanto all'interesse mi prendeva un moto spontaneo
di altruismo col quale avrei voluto aiutarlo nelle difficoltà di
rapporto con la città nella quale abitavo. Intanto, osservo le strade per cercare di trovare
agli angoli delle vie un nome
conosciuto presente
nella mia mappa. La prima strada che riconosco è Avenida do Brasil
che
lascio alle mie spalle quasi subito, perchè il bus imbocca una
strada laterale che
nella mappa non è indicata chiaramente. Nel frattempo ho modo di vedere le
case che si susseguono una dopo l'altra e che non sono
certamente di lusso ma molto modeste e malridotte. Il giovane che mi osserva
diventa sempre più
curioso. Non mi toglie gli occhi di dosso. Immagino che dovrò
esaudire il suo desiderio di conoscenza. Il bus adesso imbocca una strada
ampia che è Avenida Estados
Unidos da America.
L'andatura è più veloce di prima. Il giovane vicino a me non
riuscendo a contenere la
sua curiosità mi chiede in portoghese
dove voglio scendere perchè lui è disposto ad aiutarmi a
individuare la posizione del bus sulla mia cartina. Gli
dico che devo scendere a Plaça do Marquês de Pombal. Tutto contento mi
risponde dicendo che mancano poche fermate.
Ormai ha rotto gli indugi e si mette in piedi vicino a me per
osservare con maggiore attenzione la mia cartina della città.
Io con discrezione collaboro e lo "aiuto" segnando la posizione
dell'autobus col dito sulla mappa. Nel frattempo siamo arrivati in Avenida da Republica. Il ragazzo
mi dice che sto
per arrivare a destinazione e mi sorride con i suoi denti
bianchi e il viso illuminato con un misto di riguardo e di
soddisfazione. Lo ringrazio e
scendo dall'autobus con la mia valigia. La plaça è molto
ampia e devo osservare con attenzione la parte della rotonda che si
rivolge giù verso il porto per individuare la direzione del
mio albergo. Ci arrivo quasi subito, un po' stanco e desideroso di
rinfrescarmi. L'albergo si chiama Presidente Hotel e si trova in
Rua Alexandre Herculano,13.
Presento il mio vaucher e il
passaporto alla reception con la
dicitura One Single Room Bath, in 07 out 11 Aug 03 (4 NTS in BB).
Al banco della
reception l'impiegato ricorda la mia lettera che
avevo inviato una settimana prima all'hotel nella quale chiedevo di
ottenere una camera che avesse un letto con un materasso duro.
Ecco il testo: Prezado Senhor, mim desculpas para meu feito
português. Sou o senhor Calabro de Roma. Eu escrevo este email
curto a fim confirmar a reservation em seu bonito hotel
relativo ao período 7 agôsto-11 agôsto 2003, de um quarto para
uma pessoa. Eu espero chegar a Lisbona 7 agôsto com um vôo de
Alitalia às horas 16.00 aproximadamente nohotel. Eu peço à
cortesia de dar a mim um quarto que tem uma cama com um
mattress duro, pois que tehno dores da parte traseira. Fico
agradecidos pela atenção dispensada à presente. Ed ecco la
risposta:
Exmo Senhor, Com efeito está
tudon OK com sua reserva, tratou-se dum mal entendido apenas.
Tudo faremos para corresponder à suas necessidades e não
defraudar suas expectativas. Dep Reservas Hotel Presidente
Lisboa.
Dopo alcuni minuti sono in camera a rinfrescarmi
con una doccia e ad appendere camicie
e pantaloni alle grucce dell'armadio. Una mezzoretta dopo sono in strada a respirare
l'aria alla più bassa longitudine della mia vita. I numeri?
Eccoli: 38° 43' 24" latitudine nord e 9° 8' 50" longitudine
ovest. In coordinate decimali : +38,72359 e -9,14741 con arrotondamento
alla quinta cifra decimale. Come si vede i -9° circa della longitudine
testimoniano la posizione della capitale più a occidente di qualsiasi
altra capitale dell'Europa comunitaria. In questo caso specifico mi
viene da pensare che orientandomi verso nord, grosso modo verso Plaça
do Marquês de Pombal, per rivolgermi verso i paesi dell'UE dovrei
guardare a est per individuare l'Italia e dunque Roma dove abito e
risiedo. Viceversa guardando verso ovest oltre la foce del Rio Tejo c'è l'immensità dell'Oceano
Atlantico, cioè l'America. In verità, in Europa, più ad ovest di Lisboa
ci sarebbe Reykjavík, in Ísland (Islanda), che è a 64°
circa di latitudine nord e addirittura a quasi 22° di
longitudine ovest, cioè molto più spostata verso il continente americano
rispetto a Lisboa di ben 13° di longitudine. Con questo quadro geografico davanti ai
miei occhi mi avvio a fare la mia prima passeggiata lisbonense, partendo
da Avenida da Libertade. Come
destinazione mi propongo una dopo l'altra le mete di Plaça dos
Restauradores con il suo imponente obelisco ottocentesco che
commemora la liberazione del paese dalla Spagna; Plaça da Figueira,
con al centro la statua del re João I; il Rossio, ovvero Plaça
de Dom Pedro IV con al centro la statua dell'omonimo Dom Pedro,
una specie di Piazza Navona romana, pavimentata con mosaici dai
disegni ondulati; Plaça do Commercio tra il Rio Tejo e la
Baixa con al centro l'ennesima bella statua equestre del re José
I; e dulcis in fundo visto che c'è da commentare una
iscrizione latina, il monumentale, bellissimo e imponente Arco da Rua
Augusta (una specie di Arco del Trionfo parigino) che immette in
Rua Augusta all'uscita della Baxia, per me che mi sto
muovendo sulla direttrice nord-sud. In cima all'arco campeggia la scritta
latina VIRTVTIBVS
MAIORVM Vt. sit. omnibVs. docVmento. P. P. D. (le tre lettere
significano Pecunia Publica
Dicatum) che tradotto significa
«in
virtù del maggiore per soddisfare ogni insegnamento. Dedicato a spese
pubbliche».
Probabilmente è la passeggiata più famosa e significativa del centro città in cui
si possono vedere peculiarità tipiche della capitale e dei suoi abitanti
e trarre le prime deduzioni. Finora nella topografia della capitale ho
incontrato una «Rua»,
una «Avenida»
e una «Plaça».
Mi chiedo se non ci siano altri nomi e sinonimi che dovrei conoscere per
evitare abbagli nella ricerca di posizioni in città. In verità ci sono
anche una «Travessa»,
un «Largo»,
una «Estrada»,
una «Doca»,
un «Beco»,
un «Cais»,
una «Costa», una «Calçada»
e persino una «Calçadinha».
Bene a sapersi. Dalla toponomastica
rilevo che qui a Lisboa c'è molto interesse e simpatia per
Roma. Infatti c'è una fermata della metro Roma; una avenida
Roma, una rua Roma, un Cafè Roma e un hotel Roma. C'è caldo e
la passeggiata la effettuo cercando di seguire tracciati
all'ombra, lato marciapiede, anche se è difficile trovare
continuità tra un breve percorso e il successivo. Cammino
lentamente perchè si suda facilmente. L'entrata nelle quattro
piazze è spettacolare perchè le piazze sono ampie e belle.
L'armonia delle forme è gradevole e mi fa pensare a quanto
ozio è stato prodotto in questi capolavori di architettura per
ammirarle con calma e per molto tempo. Infatti la loro visione
invoglia a sedersi da qualche parte e a rimanere ore e ore in
silenzio a guardare tutto ciò che c'è tutt'intorno. Manca solo
un sombrero e possiamo dire che una delle virtù messicane
della siesta sarebbe qui realizzata concretamente. Per parte
mia non ho premura. D'altronde sono qui per questo. Il
pomeriggio inizia bene. |
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Vengo preso
da intense emozioni e mi viene in mente un elemento storico religioso
che mi lega indissolubilmente alla città. Si tratta del fatto che dopo
aver scacciato i Mori dal Portogallo, verso la metà dell'anno 1100,
il primo re del Portogallo fece costruire una nuova cattedrale nella quale
furono portati i resti di São Vicente, cioè di San Vincenzo, santo patrono di
Lisboa giustiziato a Valenza nel 304. In particolare
São Vicente è il protettore dei poveri e il suo un nome proviene
dal latino Vincens, cioè vittorioso, che significa "colui che
vince il male". C'è da dire ancora che lo stemma della città
raffigura la nave che trasportò i resti mortali di São Vicente,
dall'Algarve a Lisbona, nella quale a poppa e a prua si vedono due
corvi, che vegliano sulle reliquie del santo. E siccome io mi chiamo
Vincenzo capirete subito che il legame che mi unisce alla città non
può non risentire positivamente di questo elemento affettivo. Il motivo della presenza dei due corvi nello
stemma è dovuto al fatto che il governatore di Roma Daciano,
per sbarazzarsi del cadavere di Vincenzo, decise di gettarlo in
pasto alle bestie selvatiche. Si racconta che il suo corpo venne difeso in
modo infaticabile da un corvo. Gettato successivamente in un fiume e
legato in un sacco insieme ad un grosso macigno, il suo corpo
galleggerà e tornerà a riva, dove finalmente i cristiani lo potranno
seppellire degnamente. |
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Ricordo che l'Algarve
è una striscia di terra al confine sud con la Spagna. Il nome è
chiaramente di derivazione araba. Furono infatti i Mori che
chiamarono Al Gharb (الغرب occidente) la parte
più occidentale del loro emirato. L'obiettivo della visita è anche quello di scoprire
alcuni dettagli che fanno parte dell'osservazione di un viaggiatore
interessato a conoscere anche i particolari. Dunque girovago un tantino
per le strade che conducono al porto e la città mi sembra affascinante. Le strade sono
piene di gente che in un certo senso e con linguaggio colorito mi porta
a dire che ozia in qualunque luogo e che si trova li perchè non
avrebbe potuto essere altrove. Da una prima e sommaria impressione
deduco che il tenore di vita degli indigeni non è dei migliori. Le mie,
per carità, sono impressioni
fugaci e superficiali che possono essere ingannevoli. Tuttavia le strade
sono piene di lustrascarpe, di barboni che chiedono l'elemosina e che
nel peggiore dei casi spulciano i cassonetti dell'immondizia per trovare
qualcosa. Lisboa è una città ricca di contraddizioni. In realtà, tranne
i barboni, la gente mostra molta dignità. Vi sono molti uomini e donne
di colore, sicuramente africani di area portoghese, ma nell'aria vi è molta
serenità e questo si avverte in ogni luogo e a tutte le ore. La città è
veramente bella. Certo è diversa dalle città italiane del centro-nord.
Diciamo che mi ricorda moltissimo le città meridionali, magari le più
grandi e con maggiori attrattive. Ripeto, le mie sono le prime
impressioni di viaggio, maturate più che altro nelle poche ore di visita
nella parte antica della città. Il sole è
ancora padrone del cielo quando superata a piedi Plaça do Commercio
mi inoltro sul lungotago (non lungolago, anche se
viste le dimensioni del Rio Tejo potrebbe sembrare così) alla ricerca di un bar per bere un
bicchiere di birra fresca. In lontananza, verso est, riesco a vedere
benissimo la lunga sagoma
del Ponte 25 de Abril in ferro che collega le due sponde
del fiume. Io mi avvio dalla parte opposta, verso il Parque das
Naçóes, lungo l'Avenida
Infante Dom Henrique che costeggia il Rio Tejo. A meno di cento
metri dall'estremità di Plaça do Commercio
vedo una struttura approssimativa di stabilimento
balneare, un po' isolata, con la presenza di un bar all'interno, vicino al fiume.
Il posto si trova in
Jardim Do Tabaco. Mi
avvicino ai tavoli e vedo un piccolo chiosco gestito da un giovane al quale,
dopo i saluti di rito "boa tarde senhor", chiedo sempre in portoghese se posso avere una "serveja
a copo, faz favor".
Con un sorriso e tanta simpatia l'empregado (il cameriere) mi
invita a sedermi a un tavolino di legno, sotto un ombrellone rivolto
verso il Rio Tejo a non più di una decina di metri. Sembra di
nuovo che davanti a me ci sia il mare, pardon il fiume (ma siamo sicuri
che è un fiume?). Agli altri tavoli non c'è nessuno. In
pratica sono il solo avventore che ha a disposizione l'intera struttura.
Mezz'ora dopo arrivano un ragazzo e una ragazza che bevono una coca cola
e quasi subito vanno via. Mi sento immergere in una sensazione
piacevolissima di dolce non far niente, come quando da ragazzo in
Sicilia andavo al mare a Marinello e trascorrevo le ore mattutine
sulla riva. Penso che questa vacanza mi farà ringiovanire di almeno un
mese. Continuo a provare forti emozioni anche per ciò che si osserva sul
Tejo. La grandezza del fiume sia in larghezza che profondità, con il suo
odore forte e intenso di mare mi crea uno stato di benessere piacevole.
Davanti a me uno spettacolo: gabbiani in volo per beccare qualche
pesciolino, un aliscafo moderno trasporta turisti nel mentre una leggera
brezza rinfresca tutto intorno. Ho modo di vedere il sole calare all'orizzonte dove il
Rio
Tejo
confluisce nell'Oceano Atlantico. Il quadretto sarebbe da immortalare
con una foto,
ma io non ho portato nessuna macchina fotografica e me ne pento. Rimango seduto ad
ammirare il tramonto, con stupore misto a nostalgia per i forti ricordi
che in questi casi vengono in mente a chiunque nel vedere questo straordinario paesaggio del
sole calante all'orizzonte sul mare. Prima
che la luce vespertina diminuisca troppo in intensità lascio la bellezza
del panorama e mi avvio a piedi, sempre lungo l'Avenida Infante Dom
Henrique, verso un ristorante suggerito dalla mia guida. Si chiama
Restaurante Jardim Do Marisco - Jardim Do tabaco e si trova
in
Avenida Infante Dom Henrique Pavilhão. E' un ristorante vicino
al mare. Si mangia all'aperto sotto una tettoia e la
specialità della casa è la tipica cucina portoghese a base di pesce e
crostacei. Arrivo in questo
locale quando è già buio. Mi seggo e chiedo il menù. C'è da aspettare un po'. I tavoli sono quadrati con lo stesso tipo di tovaglia a
quadretti bianchi e blu come quelli di una trattoria romana. Il menù è scritto solo in portoghese
e spero di avere ordinato giusto. Tra Camarões, Gambas, Açorda de
Gambas, Arroz de cherne à Jardim do Marisco, Esparguete Exótico com
Frutos do Mar, Feijoada do Mar, O nosso Caril de Gambas, credetemi,
c'è di che confondersi. Alla fine "un piatto vale l'altro", mi dico. Dopo la piacevole sorpresa di avere
mangiato pesce fresco, gustoso ed economico a Madrid qui mi aspetto di meglio perchè
siamo non "a due" passi dal mare ma "sul" mare. Ho ordinato un piatto
di marisco de gambas o qualcosa del genere, cioè
gamberetti e del vinho verde, che non è vino color verde ma una
tipica specialità di vino bianco portoghese. Non l'avessi mai fatto. Il
cameriere mi porta un piatto di gamberetti sgusciati e crudi da mangiarli
intingendoli in salsine variegate, una delle quali puzzava di aglio e
senape. Osservo gli altri commensali per vedere se hanno ordinato il mio
stesso piatto ma nessuno mostra una pietanza composta
da gamberetti crudi. Costretto dalle evenienze ceno con questa "crudità di
pesce" che ricorderò per sempre. L'unica cosa hot della
serata è il
conto. Esco dal ristorante un po' tardi
per i miei orari di turista giudizioso. Guardo la mappa delle fermate della metro per Marquês de Pombal.
Devo prendere una decisione. E, cioè, se ritornare indietro a piedi fino a Plaça do Commercio
camminando lungo l'Avenida
Infante Dom Henrique, da dove peraltro sono arrivato, oppure andare in senso opposto,
allontanandomi dal centro, verso la
Estação de Comboios, cioè in direzione della Stazione ferroviaria di
Santa Apolonia, vicino alla quale dovrebbe esserci una
fermata della metro come indica la cartina della mia guida. Ricordandomi
del "principio di minima azione" e visto che questa seconda alternativa
è più breve della precedente opto per l'ignoto ed esplorare un tratto di
strada sconosciuto. |
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Convinto
dell'esistenza di questa fermata, chiamata Santa Apolonia (è
in basso a destra) e con un po' di
apprensione dovuta all'ora tarda per le mie abitudini - sono oltrepassate le dieci di sera - mi dirigo verso la Estação.
"Mal me ne incolse", perchè
nella piazzetta antistante la stazione ferroviaria di Lisboa Santa Apolonia
non trovo alcun segnale di fermata della metro. A vista vedo insegne
con tutte le lettere meno quella della
«M». Guardo in tutte
le direzioni, nella piazza e nel perimetro esterno della stazione ma
niente. Non c'è nessun logo della metro. Entro all'interno della stazione e chiedo allo sportello
della biglietteria dove si trovi questa benedetta fermata. Lo sguardo di
meraviglia dell'impiegato e la sua successiva spiegazione mi fanno
capire che la mia guida Mondadori pubblicizza una cartina
(ristampa della prima edizione: marzo 2002) che prevede la
fermata di capolinea di Santa Apolonia della metro che sarà inaugurata il
prossimo anno! Sbalordito della risposta
ed essendoci una fermata dell'autobus nella piazza antistante la
stazione cerco di capire quale bus debbo prendere a quell'ora per
arrivare alla Rotunda o in alternativa in
Avenida da Libertade. |
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L'unico autobus che prevede di dirigersi nella
direzione del mio albergo è il bus n.12, che parte da Santa Apolonia
ed attraversa le stradine del vecchio quartiere di pescatori dell'Alfama
e/o della Graça. Non mi è chiaro quale sarà il percorso. Aspetto il bus per quasi mezzora. L'attesa è
decisamente antipatica. Guardo ripetutamente l'orologio con insistenza.
L'unica cosa che non mi impensierisce è il biglietto. |
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Meno male che in
aeroporto, oggi pomeriggio, all'uscita ho comprato l'abbonamento
settimanale (bilhete de sete dias) che mi consente di non avere problemi con i controllori. All'arrivo
del bus alla fermata, che è capolinea, salto su per prendere il posto più vicino
all'autista e gli chiedo con impazienza se è
prevista una fermata vicino alla
Avenida da Libertade. Al cenno
positivo della testa del mio interlocutore mi rassicuro e mi seggo al primo posto.
L'autobus finalmente parte e si inoltra in un dedalo di viuzze strette e
sconnesse a velocità sostenuta. In più, sul mezzo, c'è un ubriaco che
parla ad alta voce e aumenta la confusione e la mia preoccupazione. "Andiamo bene" mi dico. Per un po'
con molta difficoltà cerco di seguire "alla buona" il percorso sulla
cartina. Ci muoviamo lungo un quartiere popolare che non so se sia
Alfama o Graça. Qui di notte è tutto uguale. Non riesco a trovare nulla di scritto per
individuare i nomi delle fermate. Sento qualcuno parlare di Martim Moniz ma non so dove si trovi. Addirittura sento un Largo Portas Sol
che mi ricorda il viaggio predente che ho fatto a Madrid, dove c'è la
famosa Porta del Sol, ma sono costretto a rinunciare a vedere la
mia guida perchè la luce dentro il bus è scarsa, il rumore del motore
fastidioso e
i continui sobbalzi prodotti dalla allegra guida dell'autista - che
sembra stia partecipando più a una gara di velocità di un Gran Premio
che a una normale corsa di bus cittadino - mi impediscono di raccapezzarmi.
Non mi rimane altro che stimare la distanza di percorrenza alla
buona e richiamare "di quando in quando" l'attenzione dell'autista
per indicarmi la fermata di destinazione. |
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La sola cosa certa che so è che la prima stradina imboccata alla
partenza nella piazzetta della stazione è Calçada
do Fonte. Poi è tutto un susseguirsi di curve, dossi, cunette,
viuzze, piazzette alberate, strade malridotte con improvvise
scalinate che si aprono ai bordi dove batte sicuramente il cuore della
Lisboa popolare che mi ricordano il quartiere Trastevere a
Roma.
Non voglio soffermarmi sul concetto di regole perchè altrimenti dovrei
andare sul pesante e dire che l'autista ha un'idea personale e bizzarra,
tutta sua, degli obblighi
di fermata e di precedenza degli autoveicoli agli incroci. A me è sembrato
che il guidatore considerasse il codice della strada più un
optional che un complesso di norme prescrittive. In conclusione, un
viaggio da incubo. E la prospettiva di essere lasciato in un posto
lontano, solitario e al buio mi preoccupa non poco per un rientro in
hotel che, ne sono certo, a questo punto non sarà sereno. La scelta di
andare a Santa Apolonia per prendere questa fantomatica metro è stata infelice.
E' l'unica considerazione possibile che mi sento di fare a causa del difficile
equilibrio che devo mantenere sul bus sconquassato dalle forze apparenti
prodotte dalla guida frizzante e indomita del conducente della
Companhia de Carris de Ferro di Lisboa, che è poi l'azienda dei
trasporti della città. A un certo punto l'autista si
ferma e improvvisamente con fare risoluto mi fa segno di scendere. Mi devo fidare e dopo una
ansiosa ma per fortuna breve camminata notturna a passo veloce trovo la Rotunda, tirando un grosso sospiro
di sollievo. Sono salvo. Devo riconoscere che il conducente del bus è
stato di parola. Un po' scorbutico ma fidato. Il rientro in camera mi
produce un senso di liberazione
considerevole. A questo punto un sonno ristoratore in camera è
quello che più desidero fare, col tacito consenso "tra me e me" che
non commetterò più leggerezze del genere. |
Secondo giorno
Venerdì 8 agosto. Faccio colazione nel ristorante
dell'albergo ed ho modo di provare i gustosissimi Pastéis de
Belém. Tutti ne parlano come il vero sapore della tradizione. Non lo
metto in dubbio, soprattutto dopo averne mangiato alcuni. Domani mattina
li sostituirò alle anonime e monotone fette di pane imburrate con marmellata
della specie più commericale. Solo pastéis
e nient'altro. Dicono
che ci sia una antigua receta secreta originaria del Mosteiro
dos Jerónimos, il convento dove sono stati prodotti per la prima
volta. Si tratta di deliziosi dolcini di pasta sfoglia ripieni di crema
all'uovo, serviti tiepidi e spolverizzati di zucchero a velo e cannella.
Insomma, per farla breve decido che in questi giorni ne mangerò molti.
Esco dall'albergo con l'idea precisa di tuffarmi adesso nella "Lisboa
letteraria". Cercherò di far finta di
essere una specie di
Sherlock Holmes
che vuole scoprire un po' di
identità culturale della città. Naturalmente, viaggiando da solo, non è
presente con me nessun
dottor Watson. Pertanto la famosa
considerazione holmesiana: "elementare, Watson!" non potrò dirla. Decido, dunque, di fare una
passeggiata attraverso il quartiere storico del
Chiado
che è una parte del
Bairro Alto,
posto sull'omonima collina, che è famoso per la presenza di caffè letterari e di statue di personaggi
famosi nel mondo della letteratura portoghese, come
Fernando Pessoa. Aquilino Ribeiro e José Saramago invece non hanno
avuto questa fortuna. Per arrivare in questo posto caratteristico decido
di prendere l'Elevador
de Santa Justa,
il famoso ascensore verticale in stile neogotico, e qui non
posso non ricordarlo visto che sono stato
a Paris,
costruito da un ingegnere francese studente del più famoso Gustave
Eiffel.
Ricordo che a
Lisboa
esistono altri tre
elevadores:
da
Bica,
da
Glória
e do
Lavra. L'Elevador
è veramente caratteristico e prenderlo in salita mi fa sentire un vero
lisboeta.
A Roma non ne esiste esempio alcuno. Dal basso sembra una specie di
fungo sottile alto 30 metri circa e più grosso nella parte finale alla
sommità. Visto dalla parte bassa sembra che da un momento all'altro stia
per cadere. Ebbene, cose da non credere, non posso usarlo perchè è
rotto. Mi ricorda per certi versi il viaggio a Berlino quando arrivato
all'imbocco della
Unter den Linden
vedo
Brandemburger Tor completamente foderata da
una impalcatura per restauro. Anche lì grande delusione. Ho dovuto
pertanto fare il percorso a piedi salendo da una ripida scalinata. C'è
un bar alla sommità dell'ascensore, ma è chiuso anche quello. E poi io
sono preso dall'idea di passeggiare subito per le
rue
del quartiere. La prima cosa che vedo è la
Igreja do Carmo.
Anzi, mi correggo, dei resti di quella che fu la
Chiesa del Carmo.
Ciò che vedo è lo scheletro degli archi di questa bella chiesa ridotta
in questo stato dal terremoto di quasi centocinquanta anni fa. Doveva
essere bellissima e provo amarezza nel vederla ridotta così. Le
strutture rimaste sono bellissime. La passeggiata continua per le diverse
rue
fino ad arrivare in
Rua Garrett
che è il centro del
Chiado,
dove ho un appuntamento: devo andare a prendere un caffè "con Pessoa", nel famoso Cafè
«A
Brasileira».
Com'è noto, davanti al Cafè, c'è la statua di bronzo a
grandezza naturale di Fernando Pessoa, seduto su una sedia con la gamba
sinistra a cavallo. Pessoa fu un cliente abituale di questo Cafè e molti turisti fanno
a gara per farsi ritrarre in fotografie a ripetizione, sedendosi accanto alla
statua.
In verità a cinquanta metri da qui c'è
Praça Luis de Camões la cui statua al centro è dedicata a un'altra
grande figura della cultura letteraria lisboetas che è il poeta
nazionale Luis de Camões. Avremo modo di parlarne successivamente.
In realtà Garrett è il solo cognome dello scrittore e
poeta João Baptista da Silva Leitão de Almeida Garrett. In quest'area ci sono musei, librerie e teatri.
Una sosta al
Café A Brasileira
sulle orme di Pessoa e degli intellettuali portoghesi è dunque
d'obbligo. L'interno del
Cafè A Brasileira è grandioso. L'arredamento è in stile
Art Déco, con un ingresso dai colori verde e rosso della bandiera
nazionale. Il bar poi è in legno pregiato lunghissimo. Mi seggo a un
tavolo per bere un caffè accompagnato da un pasticcino di Belém. Mi
chiedo che cosa avrebbe osservato
Sherlock Holmes se fosse seduto qui al mio posto guardando tutto ciò che
c'è da vedere in giro. I camerieri più o meno cortesi, l'arredo degli
interni, i tavolini, il pavimento, il soffitto, i lampadari, gli
orologi, il logo del caffè, la forma delle tazzine e la gente, tanta
gente e tanti turisti di tutte le parti del mondo. |
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Qui, diciamo la
verità, ci si sente liberi e si sta bene. Riesco a provare
addirittura una piacevole sensazione dimenticata da tempo che mi
ricorda quando ero bambino e mio padre mi portava nel bar centrale
del paesino alle falde dell'Etna nel quale vivevo. Ebbene, quel bar
era di riguardo, di grande interesse, frequentato da persone
importanti del paese. Gli avventori si sedevano ai tavoli, molto
simili a questo nel quale sono seduto io e bevevano il caffè,
fumando sigarette. Io ero attratto dal lusso dell'arredo, dagli
ottoni lucidi e, soprattutto, dalla pasticceria. In particolare mi
piaceva la «pesca» all'alchermes rosso, il famoso dolce la cui forma
è particolare e ricorda tale e quale una grossa pesca, divisa in due
parti, con all'interno pan di Spagna e crema pasticcera. Il
sapore dell'infanzia non si scorda mai. "Il binomio di Newton è
bello come la Venere di Milo. Il fatto è che pochi se ne accorgono".
E' un aforisma di Pessoa che posso qui applicare al caso dei due
dolci, quello siciliano (la pesca) e quello lisbonese (i pastéis),
che hanno molto in comune pur non essendo identici. Ovviamente
entrambi sono belli (e gustosi) come la Venere di Milo. Senza ombra
di dubbio il ricordo della presenza di Pessoa e di altri grandi
scrittori portoghesi in questo quartiere è ricercato da turisti,
media e gente comune. Ricordo che Fernando Pessoa, decine di anni
addietro, scrisse un bellissimo libro che è da considerare un vero e
proprio manuale di guida turistica della città, dal titolo «Lisbona.
Quello che il turista deve sapere, Passigli Editore». Si è fatto
tardi ed è ora di rientrare nel quartiere Baixa per pranzare in un
ristorante caratteristico per le ricette del baccalà. Naturalmente
non posso prendere l'Elevador. |
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Poche centinaia di metri a piedi e mi ritrovo nella bianchissima e
abbagliante
Plaça da Figueira, sotto un
sole altrettanto
accecante. In uno
dei lati della piazza c'è Rua dos Correeiros nella quale trovo una "tasca",
João do Grão, una piccola osteria che
propone molte varietà di bacalhau. Qui
si gusta il merluzzo essiccato cucinato in molti modi. A proposito di
pietanze e quindi di cucina, dico subito che la mia infanzia è stata
caratterizzata da moltissimi pranzi a base di piscistoccu.
«Piscistoccu
a ghiotta»,
«'nsarata
di piscistoccu»,
«baccararu
frittu»
e
«baccararu
bugliuru»
sono quattro pietanze che hanno origine tutte nell'essiccamento del
merluzzo. Pulito e salato, all'aria aperta, secca e fredda dei paesi
scandinavi, questi pasti hanno caratterizzato un periodo importante e
delicato della mia infanzia e adolescenza. Come tali mi sono rimasti nel
profono del mio immaginario culinario. Non temo smentite se affermo che
il pescestocco (da "pesce" e "stock" o meglio da "stockfish",
oppure stoccafisso) è un fatto culturale, una filosofia, un paradigma
della cucina regionale italiana che non si inventa oggi, in qualche anno
di frequentazione di corsi di cucina o di ristoranti. Mangiare questa
pietanza qui nel cuore del magico Portugal, è una cosa seria. Il cameriere mi suggerisce di
prenderlo all'aglio, insistendo con molta sfrontatezza. Mi dice che è irrorato di una frittura di aglio in olio
che dà alla pietanza un gusto sapido e profondo. Per contorno del purè
di patate o un misto di vegetali bolliti.
Sebbene perplesso per una proposta fuori dalla norma (il baccalà così
cucinato mi ricorda l'italico piatto degli spaghetti "aglio olio e peperoncino",
che non è una pietanza da mangiare spesso ma è una ricetta originale per
rari momenti e, tuttavia, accetto.
Nell'attesa di questa scommessa dal gusto a dir poco "alla carrettiere" sono sorpreso di come i portoghesi possano aver
inventato tante ricette inusuali, strane e tuttavia originali. In Italia sono pochi i
piatti di baccalà che hanno radici e tradizioni culinarie regionali e
utilizzate anche in sede nazionale.
Quello "alla vicentina", per esempio, è il più famoso e accettato da tutti i veneti, ma con riserva dagli avventori
del resto del Bel Paese. Escludo che un ristoratore in Italia possa presentare ai clienti
del baccalà
all'aglio fritto. Non avrebbe più clienti e dovrebbe chiudere. Eppure a
me dopo averlo gustato con attenzione è piaciuto. Nel messinese i
palati per questo pesce, importato principalmente dalla Norvegia ma che
qui è prodotto ed essiccato anche in loco, sono molto più sensibili
del resto dell'Italia. E' il pesce più consumato di tutti. Qui esiste una forte tradizione con il piatto
famoso del "pisci stoccu a' ghiotta", una forma di
stoccafisso, cucinato in casseruola, con pomodoro, capperi, olive e
patate tagliati a tocchetti. Meglio se viene aggiunta della ventresca, che è più morbida e
gustosa dei pezzi di baccalà e aggiunge valore al gusto. E' un piatto unico e non prevede secondi.
Per i neofiti, aggiungo una piccola spiegazione, della differenza tra le
due qualità di questa pietanza: il pesce stocco (o stoccafisso) è il
merluzzo essiccato, mentre il baccalà è il merluzzo conservato sotto
sale. Da Plaça da Figueira a Plaça
Dom Pedro IV per
poi raggiungere Plaça dos
Restauradores il percorso che si snoda tra le tre piazze è il mio preferito.
Nel
Rossio noto la presenza di molti engraxadores, ovvero
lustrascarpe, che mi colpiscono per l'insolita attività di pulizia
delle scarpe ormai scomparsa in Italia. |
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In una piazza
non affollata, con zone sconnesse nella pavimentazione che avrebbero
bisogno di qualche intervento di ristrutturazione, i lustrascarpe sono sparsi
uniformemente lungo il marciapiedi vicino alla facciata in cui c'è l'ombra del sole.
A giudicare dalle sedie vuote dei clienti non sembrano
avere molto lavoro, almeno in queste ore pomeridiane. Immagino che per
la sera, con il passeggio nella zona pedonale e dello shopping che si
estende verso l'Arco da Rua
Augusta e Plaça do Commercio, ci saranno molte richieste.
Pensandoci bene mi viene voglia di farmi spazzolare le scarpe ma la
premura di rientrare in albergo e riposarmi dopo l'impegnativa mattina
sempre in movimento spegne in me qualunque velleità di
eleganza. Il pomeriggio lo dedico a visitare la parte
sud della città, vicino al Rio Tejo che mi attira per la sua acqua
dolce che scorre placidamente nel suo enorme alveo tanto da sembrare un
golfo marino. La cattedrale
del
Sé de Lisboa è particolarmente bella
ancorché poco curata.
Sembra più una fortezza che una chiesa. Si trova nel quartiere Alfama ed
è la chiesa più antica di Lisboa. Ha due torri campanarie ai lati che la
fanno sembrare un antico castello merlato di tipo medievale. E' stata costruita
sui resti di una antica moschea. Già questo le dà una caratteristica
storica di un certo rilievo. In effetti anche se si parla poco di storia
antica portoghese la dominazione araba fu presente non solo in Spagna ma
anche qui e in tutto il Portogallo. La cattedrale è semplice nella sua architettura. Presenta
un orologio solo sulla parte destra ed espone un
magnifico rosone al centro. Il tutto si presenta come una immagine di
equilibrio e di armonia così bella da "costringermi" ad ammirarla a lungo.
Salgo i pochi scalini del sagrato e subito dopo quelli del portone della
cattedrale. L'entrata ha due porticine frontali. L'interno è
a forma di croce, con tre navate e cappelle radiali. Costruita con una
specie di travertino bianco, che la fa sembrare più bella, è
circondata da una strada che si biforca davanti all'entrata principale
in modo tale che i binari del tram, chiamati qui carros eléctricos,
la costeggiano nella parte
sinistra della sua facciata esterna. Non c'è nulla di
straordinario e forse ciò che è più sorprendente è proprio la
semplicità con la quale si presenta al visitatore. Camminando per la
Lisbona antica vedo molti negozi di piccolissima superficie.
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E poi ci sono tante salite e discese che
stancano enormemente. I rintocchi della campana di una chiesa che
scandisce lentamente le ore mi ricorda la chiesetta del mio paese.
L'architettura verticale della case interne nella parte vecchia del
paese è simile a quella di molti paesi del meridione d'Italia. I costumi
delle anziane signore, che trascorrono ore nelle viuzze interne della
parte vecchia del paese, sono identici a quelli siciliani. Il sapore poi
di un rametto di liquirizia non fa altro che aprire i miei lontani
ricordi come quando si apre un vecchio baule dimenticato in soffitta.
Quanti pensieri e quanti lontani ricordi della memoria si sovrappongono
nella mia mente. Trovo un internet Cafè e devo fare una
lunga fila prima di potere sedermi a una postazione. Ci sono solo 12
postazioni di cui due fora serviço. Per complicare le cose
la tastiera manca dei tasti degli apostrofi e delle vocali accentate.
Una vera e propria fatica per scrivere degli appunti di viaggio. A cena
mangio di nuovo nello stesso ristorantino del giorno prima. Assaggio di
nuovo il bacalhau ma questa volta lo scelgo con i ceci. Ottimo.
Da bere prendo una piccola bottiglia di vinho tinto suggeritami
dal cameriere. Sull'etichetta vi è scritta la seguente frase: Seja
responsavel, beba com moderaçao, cioè sia responsabile, beva con
moderazione . Mi chiedo: anche volendo, come avrei potuto ubriacarmi con
una bottiglietta di appena 33 cl? A proposito. Attenzione alla marca del
vinho porto, perchè ci sono ben cinque tipologie di questo
vinho quante sono le qualità del tenore zuccherino e di altre
qualità organolettiche presenti in esso. Abbiamo il "tawny" con gusto
leggermente zuccherino, il "crusted" che è un vino giovane, il "red"
anch'esso giovane ma dolce, il "ruby", forse il più conosciuto perchè
invecchiato di pochi anni e, infine, il "vintage" di qualità eccezionale
per palati esigenti. |
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Terzo giorno
Sabato 9 agosto.
Il giorno seguente, dopo una scorpacciata di
pastéis de Belém a colazione, parto
per visitare la parte sud-est della città che si affaccia sul Tejo, a
Belém. Non ho le idee chiare ma so
che in questo tratto esistono alcuni luoghi e monumenti importanti da
dover essere visti a tutti i costi. Li elenco: Monumento alle scoperte,
Torre di Belém, Museo delle Carrozze, Monastero di Jerónimos, Giardini
di Alfonso de Albuquerque e di Vasco da Gama, Fabrica de Pastéis de
Belém, Museo dell'elettricità, Porticciolo di Belém Marina, Centro
Culturale di Belém e altro ancora. Secondo me c'è troppa carne sul
fuoco. Sarò costretto a fare delle scelte e sacrificare qualche
obiettivo. Non mi piace fare troppe visite veloci e superficiali, del
tipo "mordi e fuggi", scappando di qua e di là, in fretta, con l'ansia
di vedere tutto. Io ho bisogno di tempo, di vedere con calma,
riflettere, fare confronti, individuare il periodo storico,
richiamare alla memoria pezzi di storia della scienza e della
letteratura , individuare personaggi famosi che hanno legato il proprio nome
a quel luogo o a quell'evento o a quel monumento. In poche parole, mi
piace "dare senso" alle visite. Niente di più, ma neanche niente di
meno. E poi sono sempre alla ricerca di emozioni che luoghi importanti sotto il
profilo culturale possano essere in grado di produrre in me passioni e
sentimento.
Colpiscono tanti aspetti caratteristici di questo quartiere. Intanto il
Ponte, quello costruito per primo lo si vede a sinistra e non più a destra come
ero abituato a vederlo dalla
Baxia. Il
Rio
Tejo
ha colori azzurri e per l'ennesima volta lo ripeto non sembra un fiume
ma un golfo con all'interno il mare.
Dico subito che il luogo dove è ancorato il Ponte del 25 de Abril
si chiama Alcântara. Chiaramente si tratta di un nome che ha
origini arabe. Deriva da Al Qantara (القنطرة).
E sappiamo anche che di "alcantare" è piena l'Europa mediterranea del
profondo sud. In Sicilia, per esempio, c'è un fiume chiamato
proprio
Alcàntara. Nasce nei Nebrodi e dopo un breve passaggio alle falde
dell'Etna si immette a Giardini Naxos nel mar Ionio fluendo
debolmente sotto
le campate del ponte di origine islamica Al Qantara (il ponte ad
arco), dal quale derivò il nome. Fin da bambino quando viaggiavo per
andare a Catania, sulla statale 116, dovevo attraversare obbligatoriamente un
ponte costruito su questo fiume e il nome del corso d'acqua veniva ripetutamente
richiamato con enfasi da chi guidava l'auto durante il passaggio sul fiume. Dunque, il
nome della località vicino al ponte mi colpisce perchè familiare.
D'altronde Al-Qantara non è la sola parola di derivazione araba
presente nella lingua portoghese. Per esempio le "azulejos", cioè le
famose piastrelle moresche di ceramica smaltata di colore preminentemente
azzurro, hanno una etimologia araba che vuol dire "tessera di un
mosaico" e la relativa arte decorativa fu introdotta proprio dagli
arabi. Col tram 15, il famoso e vecchissimo tram n.15, arrivo comodamente a Belém.
Prima però racconto una scena che ho visto con i miei occhi. Il
conducente del tram è una guidatrice, una bella donna biondissima che fa
volare il veichulo. A una fermata sale un signore anziano di
colore con dei denti bianchissimi che si mette vicino a lei in attesa
della partenza. Nel frattempo la conducente apre il finestrino laterale.
La corrente d'aria colpisce in pieno il poveretto, tanto che aveva
difficoltà a tenere il cappello con le mani mentre lei con aria severa
non lo degna di alcun riguardo. Improvvisamente al poveretto vola via il
cappello. Lei frena il tram apre la porta e attende che il signore
scenda a recuperare il prezioso copricapo e ritornare nel mezzo per poi
ripartire. Una scena di altri tempi. La prima cosa che
voglio vedere è il Padrão dos Descobrimentos. Cosa dire di questo
capolavoro? Intanto si trova di fronte al Monastero dos Jerónimos
altro capolavoro di architettura manuelina.
Poi celebra l'era delle scoperte realizzate dai navigatori portoghesi
fra il '400 e il '500. A seguire, sulla prua della caravella è
rappresentato Enrico il Navigatore (in
portoghese
Infante Dom Henrique) con una caravella
in mano. Dire che è bellissimo è riduttivo. Lo trovo emozionante, in
grado di entusiasmare. Infine, il materiale utilizzato rassomiglia molto
al travertino romano. Mi ricorda molti monumenti di Roma e vedo nelle
forme di questo capolavoro di scultura molti motivi che si trovano all'Eur,
vicino al Palazzo della Civiltà italiana, l'edificio a forma di
parallelepipedo ricoperto di travertino bianco senza finestre con tanti
archi su ogni facciata, in cui c'è la famosa scritta: «VN
POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI
DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI». In più, la scelta di mettere a prua,
tutti in fila, gli eroi portoghesi di molti campi della cultura, compreso il poeta Camões e il
pittore Gonçalve, è tipica di chi crede nei valori della cultura
in generale e della scienza, dell'arte e della letteratura in
particolare, vere fucine di creatività dei popoli. Su Luis Vaz
de Camões ci sarebbe da parlare molto in un resoconto di viaggio che
riguarda Lisboa. Intanto Camões nacque a Lisboa. Dunque è
lisboeta. Poi è l'autore
della celeberrima opera "Os Lusiadas", leggendaria opera epica che
riguarda i Lusiadi, mitici antenati dei portoghesi.
Successivamente perchè
Camões sta ai lusitani come Cervantes sta agli spagnoli e
Dante Alighieri sta agli italiani. Vi pare poco? Da notare che
l'opera principale Os Lusiadas è, a detta di Alois Weimer e
Britta Langer autori di una breve ma incisiva mini guida di Lisboa, un
"poema epico nazionale portoghese che ripercorre i momenti di gloria
della nazione portoghese il cui nucleo fondante è la narrazione del
viaggio di Vasco da Gama, colui che avviò la grandiosa epopea delle
scoperte geografiche". Come dire l'esempio più significativo della
portoghesità che inerisce all'essenza stessa dello spirito della
nazione. Non dimentichiamo che se gli spagnoli si definiscono
conquistadores, i portoghesi si definiscono descombridores
mentre gli italiani trasmigratori (ma questo è un altro
discorso). E il Padrão dos Descobrimentos ne è un esempio
illuminante. Per inciso la figura di Camões si trova sul lato
orientale della caravella, quella rivolta ad est tanto per intenderci,
ed è la dodicesima statua a partire dalla prima raffigurante come ho
detto sopra Enrico il Navigatore. Questo "Monumento alle Scoperte" per
me è bellissimo. Ci rimarrei qui tutta la mattinata a guardarlo. E poi
il paesaggio e la pavimentazione con la sua gigantesca rosa dei venti
sono assolutamente da vedere. A sinistra il Ponte 25 de Abril e Cristo
Rei. Alle
spalle il Monastero dos Jerónimos, di fronte l'Almada
e l'altra parte della riva del Tejo e a destra l'Oceano
Atlantico. Tra le tante cose il Rio Tejo mi ricorda lo Stretto di Messina,
fra Calabria e Sicilia, con
la sua enorme porta di entrata nella città di Messina dal mare. Cosa volete di più?
Un vero e proprio gruppo di gioielli artistici non solo simbolici ma
effettivamente meraviglie indimenticabili di panorami che lasciano senza
fiato. Lisboa mi piace decisamente. Mi sposto adesso al
Planetario. Il Planetário Calouste Gulbenkian - Centro Ciência
Viva in Praca do Imperio si trova a Belém, di fronte al
Centro Culturale di Belém. La cupola del Planetario ha 25 metri di diametro.
La visita consiste nel mostrare il cielo stellato di Belém e il solito
viaggio immaginario attraverso le stelle, il sistema solare e la Luna. Per completare il percorso di
visite lato mare mi sposto di un chilometro verso la Torre di Belém,
luogo storico e simbolico che rappresenta il punto di partenza di
Vasco de Gama quando salpò per le Indie. Il posto è molto bello. La torre è un gioiello di architettura
manuelina. Sembra finta, tanto è perfetta. A vederla davanti a me sembra una specie di "veliero" con la prua nel mare e la poppa (alta quattro piani
di decorazioni e merlature sublimi) ancorata alla terraferma in procinto di salpare. La torre è stata costruita con
lo scopo di essere contemporaneamente faro, torre di avvistamento e fortezza a guardia del
porto di Restelo. All'interno la sensazione di trovarsi in una fortezza
è confermata da tutta una serie di elementi tipici della difesa
militare di un fortino. Cannoni, feritoie, merli, archi costruiti per produrre una
"macchina da difesa e combattimento" compatta ed efficiente. Non mancano
torrioni e finestroni in cima, in grado di fare scena su eventuali
attacchi dal mare. In più le pareti dell'edificio sono state scolpite ad
opera d'arte, la cui perfezione avrebbe sicuramente impressionato i nemici e
scoraggiato invasioni belliche. La successiva tappa è la visita alla
Igreja Dos Jerónimos che fa parte del meraviglioso Monastero dos
Jerónimos costruito anch'esso in stile manuelino. "Manuelino"
è un aggettivo che deriva
dal nome del re Emanuele I che durante la Sigla de Oro,
ovvero l'epoca di splendore portoghese degli inizi del '500,
decise la costruzione di questo capolavoro unico di architettura.
Ricordo che oltre allo stile manuelino a Lisboa esistono uno
stile moresco (Alfama), uno stile pombalino (Baixa)
e uno stile contemporaneo (Parque das Naçóes), senza
dimenticare la presenza delle famose piastrelle azulejos
che introducono uno stile tutto indigeno. A
osservarlo con attenzione si rimane senza fiato per la maestria degli
ornamenti e la bellezza delle facciate. Bellissimo è anche il magnifico
portale meridionale della chiesa nonché del chiostro interno e della
cappella nella quale riposano le spoglie di Fernando Pessoa. Nella
chiesa poi si può trovare la salma di Vasco da Gama. Le
preziosità di questo edificio sono costate moltissimo. Furono le
ricchezze provenienti dalle Indie a consentirne la costruzione e le
successive rifiniture. La chiesa poi è bellissima. Le colonne di pietra
la rendono affascinante e antica quanto basta per poterne apprezzare di
più gli interni soprattutto del soffitto, nel contrasto con le
decorazione dell'altare e le bellissime vetrate da cui filtrano colori
di luci splendidi. Il chiostro interno poi è un esempio di perfezione
stilistica e architetturale con le pareti dei muri intarsiate di
sculture di pietra. Tappa successiva al Museu Nacional dos Coches de
Belém, ovvero al Museo nazionale delle carrozze. Si, una specie di museo delle vetture
dei secoli passati. Si trova nell'antico Palazzo di Belèm, oggi
residenza della Presidenza della Repubblica Portoghese. Ce ne sono di
tutti i colori. Sono sessanta. Piccole ed enormi, reali e per ambasciate, dipinte
d'oro e intarsiate in mille maniere, a forma di cocchio o di
carrozzella, adibite agli usi più diversi come viaggi, sfilate,
passeggio e via discorrendo. E' incredibile la quantità e qualità delle
forme e delle dimensioni di queste carrozze. Ci sono anche carrozze per
ambasciatori enormi e rifinite così bene che è uno scandalo immaginare
quante risorse sono state sottratte al popolo. Una carrozza spicca in modo particolare ed ha a che vedere
con il Vaticano. E' stata costruita a Roma. Non si finisce mai di
stupirsi. Insomma, una vera e propria settima meraviglia del
mondo. La sensazione che si prova a vedere questo lusso sfrenato e
inutile che i regnanti dei secoli passati mostravano ai propri cittadini
è sconvolgente. Quante energie e quante risorse sprecate per il solo
motivo di esibire la propria ricchezza . Le varie didascalie presenti
vicino a ogni carrozza informano che alcune di queste sono state
regalate ad alcuni Papi, a Clemente XII in particolare, due carrozze
enormi, grandi quasi quanto un voluminoso TIR. E poi da notare i decori
barocchi, il lusso, i damaschi e i velluti interni. Un vero e proprio
furto alla società del tempo ai danni dei meno abbienti. Provo disgusto a
pensare quante fatiche e quanti ladrocini sono costati alla povera gente
del tempo questi mezzucci dei regnanti portoghesi per ingraziarsi il
Papa. Una vero e propria iattura che emerge tutte le volte che si
tenta di vedere come funzionava il mondo dei secoli passati nel
quale ha sempre regnato l'ingiustizia. Avverto l'esigenza di uscire
e di mangiare qualcosa di gustoso. Forse un
pasticcino potrebbe essere una soluzione. Avete capito che non posso non
fare una piccola sosta
all'Antiga
Confeitaria
Pasteleria di Belém
che si trova vicino al monastero. Sto parlando della
Fabrica de pastéis de Belém che si
trova in Rua de Belem, ed è l’unica
pasticceria al mondo dove è possibile acquistare gli autentici
pasteis de
Belém. E' inutile dirlo ma questo locale è meta di un vero e proprio pellegrinaggio,
chiaramente non di tipo religioso.
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Quarto
giorno Domenica 10 agosto.
Oggi è il giorno che precede la partenza. Per la prima volta da quando
sono arrivato in terra lusitana sono costretto a pensare al rientro a
Roma e, dunque, alla partenza da questa bellissima città. Finora ho
vissuto le giornate pienamente, senza pensieri, senza essere schiavo di orari e di
preoccupazioni per il ritorno in Italia. Cercherò di vivere questa giornata
non facendomi prendere dall'ansia del viaggio di rientro e
completare nel migliore dei modi il mio percorso di viaggiatore
innamorato della bella capitale portoghese. Oggi è domenica ed è giorno
festivo. Mi aspetto pertanto che la vita della città sia diversa dal resto della
settimana. Ho un paio di obiettivi da conseguire: per primo visitare il Pavilhao
dos Oceanos, ovvero l'Oceanário. Successivamente continuare
l'esplorazione di alcune parti della città e, infine, concludere la giornata con una
cena in un ristorante del Chiado a base di bacalhau e
fado nel cuore della Lisboa musicale. Iniziamo dalla mattina. L'Oceanário si trova sulla
riva destra del Rio Tejo, a nord-est del centro cittadino e
all'interno del Parque das Naçóes. Per raggiungerlo prendo la
metro, linea rossa Alameda-Oriente, che mi porta al capolinea,
fermata Oriente. All'uscita dalla stazione una giovane
donna, grassa, di pelle scura ma non nera, cade rovinosamente sul
selciato facendosi male a un piede. Poveretta deve farle molto male
perchè grida qualcosa che non capisco. Tento di sollevarla da terra ma
non solo non ci riesco ma è peggio perchè grida sempre di più. Finalmente sopraggiunge un'altra
signora che l'aiuta a parlare e a intendersi. Io vado via senza capire
assolutamente nulla di ciò che grida la poveretta. Maledette lingue.
Sempre loro. Penso che la maledizione peggiore che è stata data all'uomo
è proprio l'invenzione delle lingue, una vera maledizione. In un solo
colpo sperimento l'impotenza e la caducità della vita: se fossi caduto
io a quest'ora chissà cosa sarebbe successo. Com'è fragile la vita.
Il quartiere dove si trova l'Oceanário è moderno
ed è stato costruito in occasione dell'Expo 1998. Tra le tante
cose qui c'è il Centro commerciale "Vasco da Gama" costruito a forma di
veliero che vorrei vedere. Esco dalla metro e a piedi mi dirigo in una
piazza enorme e bianca dalla presenza di blocchi di travertino in tutti
i posti, chiamata Esplanada Dom Carlos I che mi ricorda ancora
una volta l'EUR a Roma. Mi muovo quindi verso l'edificio dove si trova
questo famoso Pavilhao
dos Oceanos. L'Oceanário è effettivamente enorme, interessante e
significativo sotto il profilo della fauna marina che riesce a proporre. Questo "museo" del
mare, che si trova all'interno di una enorme vasca piena d'acqua, è il più grande acquario d'Europa e, se non sbaglio, il secondo al
mondo. L'idea base dell'acquario lisbonense è che si possono riprodurre
in modo significativo tutti gli ambienti oceanici del mondo. Dunque, mi
aspetto ambienti acquatici non solo dell'oceano atlantico ma anche di
quelli che furono mete di Vasco da Gama per intenderci. La curiosità è grande.
L'edificio si trova come dicevo prima al centro di un laghetto artificiale e sembra una
moderna costruzione posta su palafitte per isolarsi dal resto come un
tempio religioso. All'interno ci sono gigantesche pareti piena d'acqua
trattenuta da una superficie trasparente che fa vedere pesci e squali di
tutti i tipi e di tutte le dimensioni ad altezze inverosimili dal
pavimento. Ci sono
anche tartarughe marine e centinaia di specie diverse di vegetazione
marina. Sostanzialmente la visita consiste nell'attraversare i diversi
habitat naturali tipici dei vari oceani del pianeta. Vedo razze e
anguille gigantesche e pesci sconosciuti più o meno enormi, tozzi e
brutti più di una maschera per terrorizzare. Mi chiedo quanti altri tipi
sconosciuti di pesci esistono negli oceani che non sono mai stati visti.
Ma la considerazione più delicata la faccio pensando all'eventuale
rottura del vetro della parete dell'acquario. In pochi secondi
verrebbero giù centinaia di tonnellate d'acqua da far rabbrividire anche
il più famoso regista di film sulla fine del mondo. Forse è meglio che
mi sbrighi nella visita e vedere il minimo possibile. Penso che la cosa
migliore sia di visitare subito il Centro commerciale "Vasco da Gama". Senza ombra di dubbio il supermercato di questo gigantesco
centro commerciale è enorme. Ci sono tante cose da vedere. Girando nei
vari reparti sono colpito dalla vastità di frutta tropicale. Ci sono
frutti tropicali di tutte le specie che in Italia normalmente non si
vedono. Noto con sorpresa delle confezioni sottovuoto di
tremoço.
Incuriosito le guardo con attenzione. Sembrano sacchetti sottovuoto di
lupini. Ne compro uno col proposito di assaggiarli e confrontare il loro
gusto con quello italiano. Lo farò appena sarò arrivato in albergo.
Finora non avevo mai visto alcuna confezione di lupini in nessun'altra
capitale d'Europa, tranne Roma naturalmente. Nel reparto salumi
vedo delle confezioni di prosciutto o meglio di coppe una delle quali mi
incuriosisce perchè viene chiamata touchinho. Con difficoltà
scopro che è del lardo. In Italia abbiamo il lardo di Colonnata e
il lardo di Arnad, mentre qui c'è il touchinho do céu,
cioè il "lardo del cielo". Però. Vedo che i portoghesi se ne intendono
di cucina. Trovo in un'edicola
il quotidiano il Corriere della Sera e in un bar sorseggio una bica.
All'ora di pranzo entro in uno dei self service per mangiare qualcosa di
leggero e rinfrescante. Una insalatina mista e della macedonia di frutta
tropicale mi permetterà di fronteggiare il caldo del pomeriggio.
All'uscita, lungo un lato del centro commerciale
vicino al Parque
das Nações, vedo chiaramente sul
Rio Tejo il lunghissimo
"Ponte Vasco da Gama" (più di una decina di chilometri) in grado di
collegare le due sponde del fiume. Il ponte, di spettacolare ha la
lunghezza e la sola prima parte, che si trova tra due enormi e alti
tralicci di cemento, che lo rendono spettacolare. Per il resto è
sostenuto da una serie di piccoli piloni molto ravvicinati e non molto
alti dalla superficie dell'acqua che non deve essere profonda.
Lungo la linea del bagnasciuga del Rio Tejo vedo una teleferica
in orizzontale, con due file di cabine che si muovono in versi
contrari. Capisco che collegano le estremità del parco per permettere a
coloro che lo desiderano di osservare lo spettacolo del Rio Tejo
attraversato dal Ponte Vasca da Gama. Lascio il
quartiere convinto sempre più che come Roma la capitale
portoghese ha molti punti in comune. Lo stesso Parque das Nações
alla buona mi ricorda il quartiere EUR della capitale italiana.
Certo ci sono molte diversità ma l'accostamento non credo sia sbagliato.
Nel tardo pomeriggio mi sposto al Chiado. Devo di nuovo "fare visita a
Pessoa" e gustare un aperitivo. Mi seggo di nuovo al Cafè "A Brasileira" nel
quale sorseggio del buon Porto con delle olive dolci. Il caldo si fa sentire. Questa volta nel quartiere
letterario ci rimarrò di più perchè intendo
cenare, come ho anticipato prima, in un ristorante tipico che
contemporaneamente mi proponga per la terza volta una pietanza di
bacalhau e il fado con la sua dolce musica. E' appena il tramonto
quando dopo una lunga passeggiata nelle stradine del quartiere entro nel
Restaurante Típico O Faia, nella cosiddetta Casa de Fados,
il ristorante situato in Rua da Barroca, 56 nel Bairro Alto.
Il locale non è certamente un cinque stelle. I tavoli sono molto
vicini tra di loro e i coperti non sono all'altezza di un ristorante di
buon livello. Mi seggo a un tavolo da due posti. Non c'è molta gente anche
perchè sono in anticipo sugli orari dei clienti abituali. Ma io voglio
sbrigarmi, cenare subito tra i primi clienti in modo tale da rientrare subito in
hotel e preparare la valigia per il viaggio di rientro di domani. Non ho
assolutamente intenzione di fare tardi e, soprattutto, non voglio
scherzi come la prima sera. Dunque, c'è ancora luce quando ordino al
cameriere un piatto di baccalà al pomodoro e del vinho Mateus Rosè. Per farmi comprendere lo
chiamo bacalhau com tomate, o qualcosa del genere, e spero che
sia del
baccalà cucinato in casseruola, con pomodoro, cipolla, patate ed olive.
Niente crudità anche se alcune volte l'ho mangiato crudo a insalata
perchè condito con olio e limone e una manciata di prezzemolo. In Sicilia, come ho detto
in precedenza, si chiama pescestocco "a ghiotta".
Al mio paese il pescestocco “a ghiotta” si mangia come piatto unico,
accompagnato da pane casereccio raffermo adagiato sul fondo del piatto sul quale si versa
il merluzzo cucinato. Alla mia sinistra, vicino alla parete, c'è una
pedana di legno sulla quale appare subito dopo una cantante
fadista, abbastanza corpulenta, non più giovane, vestita di nero e
accompagnata da due aitanti chitarristi. Inizia a cantare il fado nel
momento in cui il cameriere mi porta la pietanza ordinata, tra suoni
melodiosi e struggenti che mi ricordano la vecchia canzone napoletana
rivisitata in salsa portoghese.
Siamo in pochi e tutti turisti. Quando sono a metà pasto un signore e
due donne si seggono davanti a me a un tavolo vicino da quattro posti. Non presto loro
attenzione perchè sono impegnato a gustare il piatto e studiare la ricetta. Mi ricorda un po' la stessa pietanza che cucinava
mio padre in inverno quando io ero bambino, i cui ingredienti erano: olio
extravergine d'oliva, cipolle, capperi, sedano, olive verdi in salamoia, patate
tagliate a tocchetti, pomodori o salsa di pomodoro, pepe nero macinato,
un po' di peperoncino piccante, sale q.b. e pezzi di baccalà ammollato
prevalentemente della parte superiore vicino alla testa. Qui però non ci sono i capperi (che, insieme al
sedano caratterizzano la sicilianità e l'unicità della ricetta), le olive sono nere
e manca anche il peperoncino piccante. Faccio presente che con gli
stessi ingredienti e la stessa procedura è possibile cucinare il
pesce spada, tagliato a pezzetti o arrotolato in involtini. Orbene, mentre
ero alle prese con la piacevole pietanza sento una delle signore seduta
al di là del mio tavolo dire in dialetto siciliano: "bedda matri, ma 'ca si
po' manciari u piscistoccu a ghiotta"? Non ci crederete ma nei restanti
minuti in cui sono rimasto al tavolo ho dovuto sorbirmi le
considerazioni non proprio lusinghiere dei tre avventori sulla cucina
portoghese. Vi risparmio poi i luoghi comuni sui portoghesi non esattamente di riguardo
verso gli indigeni e avrete un'idea di come non ci si dovrebbe
comportare all'estero.
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Quinto giorno Lunedì 11 agosto.
"La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro". Lo
dice il grande scrittore e poeta portoghese José Saramago nel suo
bel libro Viagem a Portugal. E aggiunge: "Devo
vedere ciò che non ho finora visto. Devo vedere di nuovo ciò che ho
visto in primavera per vedere com'è in estate. Devo vedere di giorno
per vedere quello che ho visto di notte, con il sole dove è caduta la
pioggia [...] Devo iniziare il viaggio. Sempre". Straordinario.
Sono d'accordo al 100%. Un luogo da visitare dovrebbe essere visto due
volte. Una prima volta per vedere com'è e una seconda volta per
capire se è come è stato. Visitare un luogo piacevole in estate e in
inverno ha il sapore della profondità della visita. Purtroppo nei miei
viaggi non posso mettere in pratica il suggerimento di Saramago.
Parto da questa struggente città con tristezza
mista a nostalgia. Sono sicuro che la
ricorderò sempre. Di seguito
propongo le coordinate di cinque guide in lingua italiana oltre alle
altre di questa meravigliosa città che possono essere utili a chi desidera scoprirla
e gustarla meglio di me.
1) Matthew Hancock, Lisbona, Vallardi
Viaggi, 1999;
2) Laura Cipriani, Lisbona. Città dell'inquietudine, Unicopli, 2003;
3) Marco Moretti, Lisbona, Clupguide, 2002;
4) Luciana Savelli, Lisbona e dintorni, Bonechi, 2000;
5) E.Ferreira-J.Cabello, Lisbona, Bonechi, 1997. Arrivederci al
prossimo viaggio a Budapest. |
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Manuali
e guide di viaggio adoperate.
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