|

|
Belgrado
(27 Settembre - 29 settembre 2010) |
|
Il mio ventinovesimo
viaggio nelle capitali dell'Europa:
Београд.
 |
Sono andato a Belgrado in Cpбија (Srbija), in italiano Serbia, a visitare la città nella quale si
incontrano i due fiumi: il Danubio e la Sava. La ragione di questa mia visita
alla vecchia capitale della Jugoslavjia, paese che adesso non esiste più,
ha a che fare con il fatto che ho da poco concluso il mio progetto di
visita di tutte le ventisette capitali degli Stati dell’Unione Europea. Avendo
riacquistato la mia libertà di decisione nella scelta delle città
europee da visitare al di fuori dell’UE, mi è
sembrato logico scegliere Belgrado per una serie di fattori
storico-politici di grande interesse. Belgrado, nell’immaginario
politico e geografico di chi ha vissuto gli ultimi cinquant’anni di vita
europea, rappresenta una delle più importanti città d’Europa per essere
stata per decenni al centro dell’interesse politico mondiale perché
capitale dei cosiddetti Paesi non allineati. Pertanto, molto semplicemente,
ho deciso di fare una breve visita alla città che fu la capitale del paese
di Josep Broz Tito. |
Avverto l’esigenza di fare subito una
premessa alla quale tengo molto, non solo come innamorato di tutti i
popoli europei, nessuno escluso, ma soprattutto come cittadino europeo
che crede profondamente nell’unificazione degli Stati europei in un
processo che vada al di là dell'UE stessa. Mi riferisco all’ idea
ingiusta di pensare ai Balcani e ai popoli che vi abitano come a un’idea
minore di Europa in contrapposizione all’idea maggiore dell’altra
Europa, quella cosiddetta occidentale e capitalista, che le è superiore.
Non sono d’accordo. A parte il fatto che l’Europa è bella e sorprendente
proprio perché è varia e riccamente sfumata in mille aspetti differenti
della società ma tutti riconducibile a un’unica matrice culturale,
l’idea di una immagine stereotipata sud orientale, chiamata Balcani,
ottomana, arretrata, indolente e frammentata in tante forme fra loro
contrapposte non è accettabile. Spero che anche che con i miei diari di
viaggio effettuati adesso nei paesi balcanici lo dimostrino. La Serbia
da questo punto di vista è un esempio emblematico della "balcanicità"
dei suoi tratti geografici e culturali. A maggior ragione saranno
balcanici gli altri paesi meno influenti della Serbia ma comunque sempre
caratteristici della loro posizione strategica nella parte sud orientale
dell'Europa. l ventinovesimo
viaggio ormai non più della sola Unione Europea ma di tutta l'Europa,
pertanto, mi ha
portato dal 27 al 29 settembre 2010 a Beograd, anzi Београд,
visto che in Serbia la lingua ufficiale prevede l'uso dell'alfabeto cirillico
lo stesso di quello della Russia. Riporto qui di seguito qualche riflessione
personale su
questa ventinovesima e piacevole vacanza, allo scopo di lasciare testimonianza
di quanto i viaggi possano arricchire chiunque li effettua e, perchè no,
anche chi ne
legge i resoconti. |
 |
Primo
giorno.
Iniziamo dalla partenza. Sono le 8.03 quando a Roma Ostiense prendo il
treno per Fiumicino Aeroporto. Nell’attesa del treno, sulla banchina del
binario 12, osservo il movimento di treni e di persone davanti a me e
penso a tutti i miei viaggi che hanno avuto origine da questa banchina,
così ben nota alla mia mente e ormai gradevole nei miei ricordi di belle
giornate trascorse nell'attesa di volare e viaggiare per città e luoghi del nostro
Continente. Sul treno c’è il solito movimento di viaggiatori che vanno
all’aeroporto ma anche di studenti e lavoratori che vanno a lavorare.
Ore 8.35, arrivo alla stazione dell’aeroporto
di Fiumicino. Scendo dal treno e imbocco il tunnel per andare al
Terminal T3. Adesso si chiama così, mentre negli anni precedenti si
chiamava Terminal B. Al gate C3 mi aspetta un aereo della Jat
Airways, lo JU 405, delle 10.35 per Belgrado. Il
biglietto è un biglietto elettronico che ho prenotato in Internet col
codice 2MPPJ4 al prezzo di 195 € andata e ritorno. Rapide
formalità al check-in e alle 10.20 sono seduto comodamente
sull’aereo vicino al finestrino, al posto 16F, con il telefonino spento e
un quotidiano in mano. |
Vicino a me il posto rimane libero per l’intero tragitto; l’altro posto
accanto è occupato da un signore che per l’intero volo non ha detto
una sola parola. Siamo in anticipo sui tempi di partenza, il che per
Fiumicino è una novità assoluta. Ma ho
fatto i “conti senza l’oste” perché quando la torre di controllo dà il
via libera per muoversi dalla piazzola di sosta, l’aereo trova davanti a sé ben 18 altri
aeromobili che lo precedono in fila sulla pista. Il comandante si scusa e
noi rimaniamo praticamente fermi per circa 45 minuti sulla pista, muovendoci a passo
d'uomo, in attesa del nostro turno. Da questo punto di vista i tempi di
percorrenza si sono dilatati a dismisura in modo insensato, trasformando
un piacevole e breve percorso in un antipatico e lungo itinerario
temporale che ha
indispettito tutti i viaggiatori. Alle 12.30, con appena un quarto d’ora
di ritardo, l’aereo della Jat atterra sulla pista dell’aeroporto
“Nicola Tesla” di Beograd. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia. In
pochi minuti con il mio bagaglio a mano, un vecchio trolley blu
col quale ho visitato tante capitali europee, sono al posto di controllo
della polizia serba, in fila tra decine di giovani atleti svedesi in
tuta giallo-blu, per
ricevere il visto d’entrata da certificare con un timbro sul mio
passaporto. L’aerodrom, come si chiama qui l’aeroporto, è
piccolo e in pochi minuti mi trovo nella sala arrivi, osservato in modo
alquanto interessato da alcuni tassisti, più o meno regolari, che mi
rivolgono in un primo tempo sguardi di attenzione e, successivamente,
proposte sussurrate all'orecchio per fornirmi un taxi. La loro sfrontatezza mi irrita
e così senza degnarli di uno sguardo esco sul piazzale dell’aeroporto
per vedere di individuare lo shuttle pubblicizzato sulla mia
guida di viaggio che dovrebbe, uso il condizionale, per una tariffa di 8 euro trasportarmi
in una delle tre fermate previste a Belgrado città. Ma di uno
shuttle in grado di farmi evitare le facce toste dei tassisti
belgradesi nemmeno l’ombra. Decido di rientrare nella sala arrivi e
prendermela più comodamente. Sia chiaro, non ho alcuna intenzione di farmi
spennare da un tassista serbo. Nella mia vita di viaggiatore e di
frequentatore di aeroporti, di tassisti
ne ho visto di tutti i colori e a tutte le latitudini (e longitudini). Finora pochissimi
sono stati i taxi che ho preso e nessun tassista mi ha mai spillato
più del dovuto. Non voglio iniziare oggi a fare il turista americano
gonzo e sorridente. Dunque, per prima cosa ho necessità di
cambiare dei soldi in valuta locale. Mi serviranno per pagare il mezzo
di trasporto (qualunque esso sarà) e i primi momenti di vita a Belgrado città. Il cambio delle
valute, fino al giorno prima pubblicizzato sul
sito web dalla Banca d’Italia, è di 1 € = 105,60 dinari. Mi aspetto
di trovare un cambiavalute con valori da strozzinaggio e invece trovo
una banca onesta, l’Alpha Bank, succursale
Aerodrom Nikola Tesla, che alle 13,15 circa mi cambia
100 euro con ben 10464,94 RDS. Si tratta di un buon cambio e,
tutto contento, esco dall’ufficio. In questi casi è meglio fidarsi delle
banche che dei cambiavalute locali. Con in tasca più di 10 mila dinari
in moneta serba attraverso la sala e vengo inevitabilmente fermato
dall’ennesimo tassista, molto probabilmente abusivo, che mi propone di
portarmi a Beograd per 50 euro. Si, ha detto proprio “fifty thousand”
euro! Rifiuto la proposta in modo sdegnato e lo stesso atteggiamento lo
mostro nei confronti di un altro abusivo che mi chiede un po’ meno, ma
sempre un valore spropositato, cioè 30 euro. Esco di nuovo nel piazzale
dell’aerostazione percorrendo il tratto di salita che porta al
marciapiedi della sala partenze dell’aeroporto. Continuo a non vedere
nessuno shuttle in vista e a un giovane che passa vicino a me
chiedo in inglese dove si trova la fermata dello shuttle. Mi
risponde che all’entrata della sala partenze c’è la fermata del bus. |
 |
In
effetti, anche se da lontano, vedo benissimo la fermata, ma è una
fermata degli autobus, in particolare del bus n.72 (nella foto a
sinistra), non dello
shuttle. Ricordando che nel sito web della
società dei
trasporti belgradese GSP questo autobus è l’unico che collega
l’aeroporto con il centro città, facendo capolinea nella centralissima piazza del
mercato di Zeleni Venac, e ricordando le facce antipatiche dei
tassisti, non ci sto su a pensare due volte e salgo sul bus pagando al
conducente 100 dinari per il biglietto. In pratica con meno di 1 euro ho
risolto il problema del collegamento con la città. E quel tassista ha
avuto la faccia tosta di chiedermi un prezzo equivalente a cinquanta
volte quello che ho pagato io. Per giunta, vengo a sapere che se avessi
fatto il biglietto prima di salire sull’autobus il prezzo sarebbe stato
ancora di meno, cioè 62 dinari, valido per la zona 1 e 2 mentre per la
sola zona 1 o solo la zona 2 il prezzo è addirittura 42 dinari: come
dire 40 centesimi di euro! |
Ecco cosa significa sul piano della praticità
e della concretezza del risparmio essere informati sui mezzi di
trasporto quando si va in un posto sconosciuto. Mi siedo vicino a un
finestrino sul lato sinistro dell’autobus e osservo fuori il paesaggio.
La strada all’inizio è ampia, ben asfaltata e diritta, e l’autobus la
percorre a velocità sostenuta. Poi cambia e diventa più stretta, con
frequenti curve, sintomo che ci troviamo a percorrere delle strade meno
importanti, di periferia. Lo dimostra il fatto che ai bordi della strada
ci sono molte discariche di immondizia a cielo aperto, situate tra case
successive poste ai bordi della strada. Il paesaggio mostra una
desolante povertà i cui simboli sono evidenziati dalla trascuratezza del
paesaggio, dal fondo stradale sconnesso, dallo stato di manutenzione
delle case e dalla qualità delle stradine che immettono nella statale,
che non sono asfaltate. Mentre osservo il mondo che mi circonda avverto,
insieme all'ansia di un viaggio emotivamente impegnativo, una piacevole
sensazione nel trovarmi in questo paese che non ho mai visitato e col
quale non avrei teoricamente nulla in comune. Invece, in questi momenti,
mi sento in forte sintonia con tutto ciò che vedo intorno a me. Che
strano. Tutto mi risulta gradevole, nonostante il paesaggio non mostri
nulla di interessante. Forse è proprio questo il segreto di questi
posti: la semplicità e il valore della naturalezza delle cose. Sono
contento e osservo con interesse il panorama. Dopo 30 minuti
circa di viaggio entriamo nella zona nuova di Belgrado. E’ la famosa
Novi Beograd di "titina" memoria. Il fiore all’occhiello
dell’ex comunismo jugoslavo che mostra palazzi e grattacieli immersi in
un verde curato e ostentato con orgoglio. Nel frattempo sale sul bus una
pattuglia di due controllori ai quali mostro il biglietto acquistato
sull’autobus. Con un cenno del capo mi fanno capire che è tutto a posto
ed io ritorno ad osservare gli alti palazzi di Novi Beograd con
le molte sigle pubblicitarie poste sul tetto, in attesa di attraversare
il ponte sul Danubio che mi porterà a
Zeleni Venac. Dopo pochi
minuti, infatti, ecco il ponte, chiamato
Brankov most. Ogni
volta che percorro un ponte su un fiume ho una maledetta paura di precipitare ed
essere inghiottito dalla corrente. E’ un pensiero ricorrente che mi
viene istintivo perché ho paura di nuotare nei fiumi, soprattutto in un fiume dalla grande portata com’è il Danubio.
Dal ponte
Brankov imbocchiamo la
Brancova Ulica e, subito dopo al capolinea, scendo. Eccellente
scelta la mia di prendere il
bus 72. Sono molto soddisfatto della
decisione presa. In pratica mi ritrovo in tasca 50 euro in più,
pardon 49 euro in più, per non avere
scelto il taxi. Decido fin da adesso che farò allo stesso modo al ritorno,
pagando in anticipo il biglietto di 62 dinari. Guardo l’orologio. Ormai
è tardi per andare in albergo, sistemarmi in camera e poi muovermi
di nuovo per il ristorante, onde mettere sotto i denti qualcosa da mangiare.
Non metto nulla tra i denti dalla colazione che ho fatto alle 6.15 del
mattino. Decido pertanto di invertire l’ordine. Andrò subito, con il trolley al
seguito, al ristorante e poi, con comodo e a pancia piena, mi recherò in
hotel. |
 |
Sulla guida
di Belgrado avevo sottolineato il nome di un ristorantino serbo vicino a
Zeleni Venac. Con il mio piccolo trolley mi muovo verso il
ristorante Mikan, in
Maršala Birjuzova 14. Si tratta di un
piccolo ristorante a impronta tipicamente serba, che serve piatti della
cucina locale tradizionale. Ho fame e l’idea di riempire lo stomaco
vuoto con qualcosa di caldo mi dà una carica ragguardevole. In fondo
nella foto vedo davanti a me in leggera salita un
grande tunnel
illuminato percorso da un notevole flusso di auto e bus ma per i pedoni
è impercorribile per la mancanza di corsie pedonali. Decido così di
seguire la corrente delle persone che salgono lungo la piccola via
accidentata in fondo a sinistra nella foto, piena di scalini della zona
del mercato. Mi trovo così in una via grigia e cementificata in
modo disordinato che per qualche verso mi ricorda certe stradine
orientali asiatiche, dove a cinquanta metri di distanza vedo l'insegna del
ristorante. |
 |
Non
credo ai miei occhi. Dopo un solo minuto mi trovo seduto a un vecchio
tavolo di legno scuro in un angolo della stanza poco illuminata a
ordinare il pranzo. Il menù da me scelto prevede una calda e piacevole čorba
di vitello
(una specie di consommé con piccoli cubetti di carne e piccoli
pezzetti di vegetali) e il piatto forte del pranzo, costituito da ben
dieci
ćevapčići (polpettine
di manzo alla griglia di forma allungata ) e insalata mista con
un bicchiere di birra Jevrem da 500 cl. Nel mentre aspetto la
zuppa un giovane alto e magro entra nella sala e appoggia sui tavoli
occupati dai pochi clienti presenti, me compreso, un libro, scritto in
caratteri cirillici. Si vede che ha premura ed è nervoso. Si avvicina al
mio tavolo indicandomi il libro. In un primo momento non capisco il
senso. Gli dico prima in serbo
ne govorim srbji
e poi in inglese che non capisco il serbo e lui prontamente
lo sostituisce con un altro scritto in inglese. |
Guardo la copertina del libro e riconosco la foto di un militare serbo
che mi ricorda, non vorrei sbagliare, il capo delle milizie serbe che
ha procurato una strage di civili in Bosnia. Gli dico subito che non mi
interessa e gli restituisco preoccupato il libro. In questi casi è meglio
farsela alla larga da questioni di politica locale: non si sa mai cosa
possa succedere interessandosi di politica in questi paesi. Il giovane
scappa via velocemente, guardato con complicità dal cameriere, nel
mentre arriva l'ottima e gustosa zuppa che divoro a cucchiaiate, aiutato
tra un morso e l’altro dall’ottimo pane serbo (tipo arabo) caldo
servitomi dal cameriere, un giovanottone alto
e dai movimenti lenti. Il piatto principale, che io
considero come secondo, arriva subito dopo. Al quinto
ćevapčić
sono
sazio e mentre mangio l’insalata decido di lasciare le altre cinque
polpettine perché non troverebbero spazio. Peccato. Il
prezzo è economico. Pago solo 800 dinari, meno di otto euro. Ringrazio
il cameriere, saluto con un semplice
dovigenia e vado via percorrendo di nuovo un tratto della Marsala Birjuzova
fino in fondo. Qui un semplice
frasario di
sopravvivenza serbo. |
Senza che me ne accorga, svoltando sulla sinistra su per una piccola salita,
mi trovo a sbucare improvvisamente nella strada principale di Belgrado,
in Terazjie (sotto nella foto), a due passi da
Trg Republike.
Si vede bene sulla sinistra il primo grattacielo della città che è il palazzo più
alto di Terrazije. |
 |
Per
certi aspetti questa felice novità di trovarmi improvvisamente nel
centro preciso di Belgrado, vicino al mio albergo, mi ricorda una
storiella, relativa
al fatto che a Roma, prima che il fascismo sventrasse le case vicino a
S. Pietro
per costruire l'ampia via della Conciliazione, si manifestava qualcosa di simile alla sensazione che ho
provato io adesso, quando l’ignaro turista che voleva visitare S.
Pietro era costretto a girare per viuzze strette e ammassate l’una
all’altra in un dedalo di stradine. Dopodiché, all’improvviso, usciva improvvisamente nella Piazza
della Basilica vedendo davanti a sé la maestosità della cupola di S. Pietro con effetti che
colpivano l'immaginario collettivo. Dicevo, dunque,
che da qui per arrivare al mio albergo in Via Kosovska 11,
all’Hotel Union, ci sono meno di 200 metri. Una prospettiva molto
soddisfacente per minimizzare i tempi e la fatica. |
 |
Arrivo in albergo alle 15.30. L'Hotel
Union è posto strategicamente nel
centro città. Dopo le formalità di rito alla reception, in pochi
minuti sono in camera, al 5° piano, nella stanza 509. La camera non mi
piace per niente. Purtroppo non è possibile cambiarla, non solo perché
le altre sono nello stesso stato ma, soprattutto, perché quella camera
era la sola camera libera quando l’ho prenotata in internet pochi giorni fa. E’ una
vecchia camera che avrebbe bisogno urgente di essere rimessa a nuovo. La
moquette è rovinata e vecchia, oltreché poco pulita. Le ante delle
finestre sono scrostate dal tempo e la vernice che le ricopre cade a
pezzi appena leggermente toccata. Ci sono le doppie imposte ed è un vero
problema riuscire a chiuderle entrambe ermeticamente, a causa del fatto
che le maniglie di chiusura sono logore, poco pratiche e vecchie
di decenni. Per non parlare dei muri della camera che hanno un colore
grigio e danno la sensazione del vecchio e dello sporco. |
 |
Sembra che le pareti non siano state rinfrescate da una tinteggiatura da
chissà quanti anni. Sul lato sinistro della foto della camera c'è un televisore enorme,
superato, con il tubo a raggi catodici. Con il telecomando riesco a
trovare un canale
italiano, RAI2 che funziona a intermittenza, che mi permette di seguire il telegiornale. Ci sono
tantissimi programmi televisivi, più di cento, di cui almeno la metà in lingua serba. I
più gettonati sono i canali musicali che riscuotono tanto successo.
Sistemo le camicie e i maglioni nel vecchio e malandato armadio
appendendoli con cura. Osservo la camera con attenzione per vedere altri
difetti. L’elemento più
disgustoso di tutti è il bagno, piccolo, sporco e maleodorante. Insomma,
una pessima sistemazione. Anzi, facendo un leggero sforzo di memoria,
concludo che si tratta della peggiore sistemazione alberghiera in tutti
i miei ventinove viaggi effettuati finora nelle capitali d’Europa,
Istambul compresa. E'
ovvio che in queste condizioni non credo che farò alcuna doccia. C'è
però un punto di forza dell'albergo che è il wi-fi gratuito in
camera. Vai a capire le contraddizioni degli albergatori belgradesi. |
 |
Trovo questa comodità molto intelligente che mi fa dimenticare
per un po' i difetti della stanza perchè mi permette di collegarmi in
rete per vedere siti web in internet, leggere la posta elettronica e
usare il mio palmare come telefono con Skype, per fare
telefonate a prezzi veramente contenuti. Alla Reception mi
avevano detto che il mio username è
1234554321 mentre la password è union5. Il 5 riguarda il
piano, mentre union è il nome dell'hotel. Sorridendo con ironia mi dico
che la direzione ha scelto dei parametri di sicurezza notevoli. Entro
nel bagno, faccio buon viso a cattiva sorte, mi lavo con circospezione
nel lavandino con una mia saponetta portata da casa, facendo attenzione
a non toccare nessuna superficie del lavabo e dopo pochi minuti esco in
strada ad assaporare la mia prima passeggiata belgradese. I muri di
fronte all’albergo non sono certo piacevoli da guardare e, tuttavia,
pensando che appena una decina di anni fa Belgrado è stata bombardata
ininterrottamente per 72 giorni consecutivi dalla NATO devo dare atto
alle autorità cittadine che hanno fatto dei miracoli per rimettere la
capitale in piedi. |
 |
Mi trovo senza passaporto nel borsello perché alla Reception, con olimpionica indifferenza
e come se fosse una cosa normale, mi hanno
detto che mi sarebbe stato consegnato il giorno della partenza. In
pratica mi hanno requisito il passaporto come nel più classico romanzo
di spie di John la
Carrè. Ho l'impressione che in hotel non si fidano neanche di un turista tranquillo e sicuro
come me. Nella foto l'albergo si trova a poche decine di metri, a
sinistra nella via. Percorro un tratto della
Kosovska in
direzione del centro, cioè di Trg Republike che è il baricentro della
città.
Alla
fine della Ulica Kosovska, sulla destra, c’è una banca,
mentre guardando sulla sinistra vedo il tunnel di prima, questa volta
dall’altra parte. In effetti non c’è alcuna possibilità di percorrerlo
all’interno perché non ci sono dei passaggi riservati ai pedoni. Questo significa
che per transitare da qui al mercato di Zeleni Venac è necessario rifare la stessa strada
che ho fatto poco fa. Bene a sapersi per il ritorno, quando dovrò fare il
percorso inverso. Svolto nella
Nusiceva
Ulica e per fare il giro dell'albergo
imbocco la Svetogorska. |
 |
In
genere faccio una prima conoscenza della città percorrendo le vie
intorno all'hotel per individuare i negozi che vendono bottigliette di
acqua minerale. Mi serviranno durante il giorno per bere e alla sera
quando rientro in hotel per dissetarmi. Qui vicino vedo un orologiaio e
siccome ho il cinturino del mio orologio consumato e antiestetico entro
per sostituirlo. In vetrina c'è un modello che mi piace e con poche
parole serbe e qualcuna in inglese chiedo di sostituirmi il cinturino. Una
parola tira l'altra e dopo un po' chiacchieriamo amabilmente, almeno nei
toni non certo nei contenuti, con reciproca simpatia per l'essere io
italiano e lui serbo. Alle mie dichiarazioni di interesse e di simpatia
per la Serbia e per la cucina serba l'orologiaio, eccitato dall'idea di
poter far parlare con me in italiano un suo amico, lo chiama e me lo
presenta. Insieme conversiamo un po' e dopo una decina di minuti c'è
mancato poco che non mi invitassero a casa loro in segno di amicizia. |
 |
Li
ringrazio entrambi e vado via contento di questo piacevole intermezzo.
Mi muovo adesso verso Trg Republika che raggiungo subito. C’è
tanta gente. Molte persone stazionano nella piazza mentre altre si
muovono più o meno velocemente per immettersi nella pedonale
Kneza Mihailova, la via dello shopping e delle boutique.
Vengo colpito dai numerosi simboli architettonici tipicamente austriaci
presenti nella piazza. Si vedono benissimo le cupole di alcuni
importanti palazzi a forma di baldacchino austriaco. In fondo alla
piazza c’è la famosa statua del
Principe Mihailo a cavallo, vicino al quale agli inizi
degli anni ’90 l’opposizione politica organizzò una manifestazione
repressa brutalmente da Milosevic. La temperatura nell’aria
pomeridiana settembrina di Belgrado è più che accettabile anche se
c'è un po' di umidità nell'aria. |
 |
Alcuni passanti sono con le maniche corte, beati loro, altri con abiti leggeri. Il
traffico nelle strade è intenso e sento frequentemente suonare il
clacson. Raramente si vedono delle strisce pedonali
per attraversare le strade. In quelle più larghe sono previsti i
sottopassaggi mentre nelle altre ci sono semafori che prevedono la
scansione, in colore rosso, dei secondi che rimangono prima di
attraversare. Ma l'intervallo di tempo è oltremodo elevato, addirittura
più di settanta
secondi. Faccio una passeggiata prima verso Trg Slavija, e poi in
Terrazije. Percorro quest'ultima per circa mezzo chilometro
immergendomi nell'atmosfera belgradese pensando a come poteva essere
quella strada durante gli anni luminosi della Belgrado di Tito.
Ripercorrere le sensazioni da me provate durante gli anni della Belgrado
capitale dei paesi non allineati mi fa provare delle emozioni forti e un
velo di malinconia mi prende nel pensare agli anni del dopo guerra. |
 |
Ritorno sui miei passi e mi trasferisco nella zona di Trg
Republika. Percorro a sinistra un tratto entrando nella via Kneza
Mihala (nella foto a fianco). Mi fermo in un bar per bere un piccolo
bicchiere di birra e dopo un po’ riprendo la mia passeggiata. Svolto in
senso inverso da
Terrazjie verso la Kraljia Milana e percorro un po’ di strada
osservando le vetrine e la gente che si muove. Mi sposto successivamente
nella Trg Nicola Pasica dove mi attardo ad osservare i palazzi.
Le insegne luminose sono già accese ed io comincio ad avere di nuovo
fame. E’ quasi sera e la stanchezza si fa sentire. Il consiglio migliore
che posso dare a me stesso in questi casi è quello di andare a cenare in
una pizzeria mangiando una semplice pizza e poi in hotel a riposare.
Certo una minestrina all’acqua sarebbe da preferire, ma dove trovarla?
In quale ristorante? Decido dunque di mangiare una pizza vicino al mio
albergo. Ce una pizzeria in Svetovorska, che si
chiama Pizza Hut. |
Ricordo che a Londra,
dieci anni fa, mangiai in una pizzeria
simile. Entro, scelgo un tavolo centrale e ordino una pizza alla
serba, in pratica una pizza margherita con alcune foglie di insalata
verde sopra. Nel mentre che aspetto vedo una famigliola a un tavolo
vicino a me. Sono un giovane padre e una giovane madre con due bambine
piccole. Le bambine, con le posate in mano, aspettano diligentemente che
arrivi loro la pizza mentre il padre e la madre le intrattengono
chiacchierando felicemente. Il quadretto familiare mi fa un po’
tenerezza. |
 |
Secondo giorno.
L’indomani è il 28 settembre ed io ho tutta la giornata a mia
disposizione per visitare i posti più importanti di Belgrado che
prevedono delle passeggiate più o meno lunghe. La notte
ho dormito abbastanza perché se è vero come è vero che la camera è
insopportabilmente inadeguata agli standard comuni di oggi è anche vero
che il materasso è piacevolmente duro, mentre il cuscino è sdrucito.
La stanchezza accumulata nell'intera giornata di ieri sera ha fatto il resto. La mattina mi alzo con
poco appetito. Dalla finestra della camera vedo di fronte che gli uffici
sono in azione, con gli impiegati alle scrivanie che lavorano. Scendo
nella sala ristorante per la colazione. Mi servono una piccola tazzina
di latte con miele, due minipanini con burro e marmellata di ciliegie e
un caffè che più di quanto è diluito non può essere. Mi attende una
mattinata di movimento in giro per chiese e luoghi d'arte. Sono le nove
del mattino del 28 settembre quando esco dall'albergo. |
 |
Non fa freddo. Anzi la
temperatura è decisamente mite per l'ora mattutina. L'abbigliamento è quello di
sicurezza, pratico, a cipolla, che mi tiene caldo e all'occorrenza mi
permette di scoprirmi. Il cielo è poco annuvolato e
lascio in camera l'ombrello tascabile. Imbocco prima la Decanska e poi
da Trg Republike la Vasa Čarapića che mi porta in Trg Studentska
dove vedo il bel parco verde degli studenti dal nome indovinato di
Pjaceta. Sono tentato di passeggiarvi un po’ ma i tempi sono
terribilmente stretti e non posso attardarmi. Vedo una statua da lontano
e se le informazioni presenti nella mia guida di viaggio non sono
inesatte si dovrebbe trattare della statua bronzea di Petar II
Petrovic Njegos, principe di Montenegro. Devo dire la verità, questi
nomi non mi dicono nulla perchè fino a qualche decennio fa le città
dell'Europa dell'Est, in pieno realsocialismo, erano considerate segreto
militare e le notizie circa la loro topografia non sono mai circolate. |
 |
Peccato, perchè Belgrado è una bella e
piacevole città che vale la pena di visitare. I miei pensieri vagano nella mia memoria di
giovane studente universitario ai tempi in cui
frequentavo l'Università. Sulla falsariga di ciò che avevo visto
nei filmati del progetto PSSC dei college statunitensi che
presentavano studenti impegnati a leggere sui prati dei parchi americani
mi vengono in mente dei flash di me stesso in cui mi abbandonavo su una panchina a fantasticare
su come sarebbe stato il mio futuro e quale lavoro avrei svolto.
Pensieri in libertà, in verità un po' malinconici e velati da una tristezza
esistenziale per il fluire inesorabile del tempo che fugge via senza
possibilità di riacciuffarlo. I pensieri vagano nella mia mente mentre
osservo di fronte al parco Pjaceta un bel palazzo di due colori,
bianco e rosa. La mia guida mi informa che si tratta del palazzo del
Capitano Miša, un ricco commerciante dal nome
impronunciabile. |
 |
Vedo sfilare molti filobus davanti a me
mentre mi viene in mente una bella frase di Mark Twain che dice: "E'
bene occuparci del futuro, perchè è lì che passeremo la vita". Ed è proprio vero. Ma intanto il tempo
scorre ed io ho fretta di andare nella penisola di
Kalemegdan
per vedere alcune cose interessanti, non ultimo il panorama mozzafiato
del Danubio dalla sommità della rocca. Mi muovo verso Kalemegdan percorrendo la
Uzun Mirkova.
Nell’intersezione con la Pariska entro nel parco di Kalemegdan. La prima
cosa che mi colpisce è il Monumento di gratitudine ai francesi.
Straordinaria scelta questa delle autorità serbe a intitolare ai
francesi la statua. Il monumento fu costruito nel 1930 in segno di
riconoscenza per l'aiuto fornito durante la I Guerra Mondiale alla
allora Jugoslavia ed è opera dello scultore Ivan Mestrović. Anche gli
USA a New York hanno la Statua della libertà. Fu loro donata dai
francesi nel 1886 in segno di amicizia tra i due popoli e in
commemorazione della dichiarazione d'Indipendenza di un secolo prima
(1776). |
 |
Che bella cosa questa dei monumenti che
rappresentano popoli in amicizia. Mi sposto sul belvedere verso ovest
attraversando il bellissimo parco immerso nel verde. Qui
trascorro un po’ di tempo facendomi fare una foto sullo sfondo del bel
Danubio. Dietro la mia testa i grattacieli di Novi Beograd e più
in basso l'ansa del Danubio dove sfocia la Sava. Il panorama è
bellissimo. Si vede una prospettiva completa. Sulla sinistra i due ponti
che collegano la parte orientale con quella occidentale di Belgrado. C'è
un magnifico sole ed è una bella mattinata di luce e di colori. Di
fronte a me la Fortezza di Kalemegdan e alla mia destra si trova
l'ambasciata francese e la Pariska ulica. Insomma la zona è una
felice sintesi di ricordi storici all'insegna della "pariginità".
Trascorro un'oretta circa a visitare la parte storica della Fortezza. Ci
vorrebbero almeno due giorni per visitare tutto, con calma. |
 |
Decido che è arrivata l'ora di abbandonare Kalemegdan e rientrare a sud nel
traffico cittadino. Dopo aver gironzolato un po’ mi muovo verso la Kneza Mihaila perché ho deciso di
andare a Piazza Slavjia facendo un percorso alternativo attraverso
Zeleni Venac, dove visito in profondità il mercato. Imbocco la Kraljice Natalije e subito
dopo la Kneza Milosa. Da qui mi muovo
verso Piazza Slavjia percorrendo l'ultimo tratto della Kralja
Milana.
In Trg Slavija, all'angolo sulla destra nella piazza c'è un
caffè. Mi seggo e ordino un cappuccino per ammirare il panorama della
piazza. Si tratta di una piazza grande, rotonda, la cui guida deve
essere molto impegnativa a causa dell'enorme flusso di traffico di auto
e di bus che circola nella rotatoria. La polizia presiede la piazza.
Vigili solerti impongono snervanti sensi unici, alternati da forzati
momenti di stop alla circolazione, e noto che alcuni passanti
polemizzano con la polizia per i lunghi tempi di attesa ai semafori. In
giro ci sono molte persone che si muovono velocemente. |

|
Vicino al caffè sulla piazza c'è una
bancarella che vende libri a prezzi scontati, molto frequentata da
giovani di tutte le età. Guardo i titoli di alcuni libri ma sono
tutti in lingua serba. Ci rinuncio. Il programma della mattinata prevede
adesso di spostarmi in salita alla sommità della collina per vedere da
vicino la
Cattedrale di S. Sava.
Ho previsto di andarci a piedi all'andata dalla Svetog Save e al
ritorno da Boulevard Oslobodenja. La Cattedrale è grande e
molto bella. Rappresenta
una ventata di eccellente architettura balcanica e una profonda spiritualità
ortodossa che si può notare bene se si entra nella chiesa e la si ammira
con la dovuta attenzione. Conosco molto bene l'atmosfera delle chiese
ortodosse e ogni volta che entro in una di queste, per rispetto mi faccio
sempre il segno della croce al contrario di quella del rito cattolico.
Sono stato in molte chiese e cattedrali ortodosse: da Atene a Sofia, da
Nicosia ad Helsinki, da Tallin a Bucarest, e in altri posti e sempre
ho notato una forte spiritualità nei fedeli intenti a seguire riti e
prassi uguali nel tempo da secoli. |
 |
La cattedrale è una delle più grandi del
mondo e pertanto i belgradesi ne vanno fieri. E' logico che sia così. E'
intitolata al patrono della serbia, San Saba, vescovo fondatore della
Chiesa serba. Fu figlio del principe Stefano Nemanjic e quando nacque
nel 1174 gli fu dato il nome Rastko.Entro nel Seminario attiguo dove scelgo
alcune icone di Madonna da portare a casa per regalo e ritorno in
Trg Slavija da un'altra strada che si trova sulla sinistra del
grattacielo che si vede nella foto sopra. Comincia a fare caldo e
io accuso un po' di stanchezza oltre che di fame. E' un'intera mattinata
che giro come una trottola e forse è arrivato il momento di fare una
pausa per il pranzo. La strada da percorrere è lunga così decido di
prendere l'autobus che passa nella Kralja Milana. Aspetto un po'
alla fermata e prendo l'autobus 21 che va a Trg Studentski. Il percorso è breve perchè si tratta di
poche fermate da Trg Slavjia- Kraljia Milana - Terazjie- Kolarceva - Trg
republike - Vase Carapica e subito dopo il capolinea Trg Studentski. |
 |
Devo pranzare in un ristorante serbo dal
nome impronunciabile per l’esagerata presenza di consonanti. Si chiama
Srpska Kafana e si trova in Svetogorska.Per arrivarci prendo un autobus che mi
lascia in Terrazije vicino
al
famoso palazzo, l'Hotel Moskva, con il tetto verde e i due pinnacoli che
mi colpisce per la singolarità della costruzione. In
pochi minuti sono nella Svetogorska, 25. Un gentile
cameriere, al quale ho più volte detto hvala, mi aiuta nella scelta del menu che comprende: Teleca
krem corba, Kuver, Sumadj jsko crveno vino, karadjordjeva snicla e
ariljska pita sa slad. Alle 14.20 chiedo il conto: prezzo 1630
dinari, poco meno di 16 euro. Ottimo pranzo, ancorché di difficile digestione.
Una lunga siesta pomeridiana in hotel mi permette di recuperare energie
e fiato che dedico la sera a un’altra soddisfacente passeggiata per le
strade del centro e lungo la Kralja Milana Ulica, con visita alla
Chiesa di S. Marco, vicino al Parlamento serbo, nella piazza intitolata
a Nikola Pašić, che non è distante dal mio albergo. |
Terzo e ultimo
giorno. Ore 8.00 mi trovo in sala ristorante per la colazione. C’è
freddo. Una finestra della sala è aperta ed entrano folate di aria
fredda mentre i pochi clienti dell’hotel conversano a bassa voce. La mattina
è dedicata ai musei. Obiettivo dichiarato e atteso è il Museo della liberazione.
Dunque vediamo un po’. Intanto il Dom Sindikata di colore grigio e
tetro, in perfetto stile real-socialista e vicino al mio hotel, all’angolo con la
Decanska, l’ex
sede del Partito Comunista Jugoslavo, nel quale c’è il Museo della
Rivoluzione che dovrebbe testimoniare la lotta di liberazione dei
popoli jugoslavi contro l’occupazione nazifascista dal 1941 al 1945.
Anni cruciali quelli per la svolta impressa alla storia europea della
seconda guerra mondiale. Ho usato il condizionale perché ho letto da
qualche parte che non è facile effettuare una visita a questo museo.
Spesso è chiuso e frequentemente non è aperto al pubblico se non in
orari particolari. Con una sensazione poco ottimistica mi muovo a
cercare l'entrata. Il custode dello stabile mi apre ma non mi fa entrare
perché, mi dice sbrigativamente, il museo è chiuso a tempo
indeterminato. Pochi fondi e poca attenzione verso la storia del
museo hanno probabilmente creato le circostanze della chiusura delle
sale.
|

|
Peccato. Avrei voluto testimoniare il mio interesse per i reperti
storici, magari lasciando scritto sul libro degli ospiti il mio
apprezzamento per la storia dell’ex Jugoslavjia, la quale ha
rappresentato nel mondo nel dopoguerra, a mio parere, un esempio equilibrato (almeno a
quel tempo) di
politica internazionale e di buon vicinato con l’Italia nonostante i
delicati problemi di frontiere nell’Europa divisa dai due blocchi. Onestà mi impone di osservare con angoscia
il fatto doloroso che in precedenza, durante l'ultimo conflitto
mondiale, l’Italia ha aggredito, in modo odioso e inaccettabile, l'ex Jugoslavjia
sul piano militare. Possa il tempo far dimenticare questo ripugnante
comportamento del fascismo italiano e ridare serenità alla nuova Serbjia,
affinché essa entri velocemente nell'Unione Europea, che è la più logica
e urgente conseguenza della sua ricca storia di cultura e tradizione
europea e dell'inevitabile progetto di integrazione dei popoli europei.
|
 |
Ho già detto in
precedenza quali sono stai i motivi che mi hanno indotto a visitare la
bella città di Belgrado. In verità c'è un'altra
ragione, molto personale, che finora non ho confessato e che non ho alcun motivo di nascondere. Si
tratta del desiderio che ho maturato in tanti decenni di visitare la
capitale della ex-Jugoslavjia perchè nel lontano 1943-1944, per quindici
lunghissimi mesi, mio padre Salvatore divenne, suo malgrado, "partigiano titino" nei boschi della Bosnia
all'indomani dell'8 Settembre 1943, al seguito della Brigata "Garibaldi".
Ho ascoltato il racconto di quei mesi direttamente da mio padre. Con
molta ritrosia me ne parlò raramente, ma sempre con tanta emozione. La mia curiosità mi spinge
pertanto a
visitare il paese che fu dell'ex Presidente jugoslavo Josip Broz Tito, per visitare il Museo della
Liberazione e recuperare, per quanto possibile oggi, un po' di
conoscenze di quel mondo che costrinse mio padre, subito dopo l'8 Settembre 1943,
a unirsi ai partigiani di Tito in alternativa alla fucilazione. |
 |
L'invasione fascista è da considerare un gesto di bieco disprezzo della libertà
e dell'autonomia di un paese. Possa l’onda del tempo far dimenticare
questo ripugnate comportamento del fascismo italiano e ridare serenità a
ciò che oggi rimane della ex-Jugoslavija, e cioè alla Repubblica di Serbjia
affinché essa entri velocemente
nell’Unione Europea. Nel 2010 è inaccettabile immaginare che un paese
europeo come la Serbia, ma anche la Croazia, e tutti i paesi dei Balcani,
rimangano esclusi dal progetto di unificazione europea. L’integrazione
dei popoli d’Europa è un dato oggettivo della storia e della politica.
Mi auguro che al più presto si verifichi anche questo fatto politico.
Si è fatto tardi e devo rientrare in hotel per il check out
delle ore 12.
Finalmente, dopo aver saldato il conto con la prosperosa
direttrice dell’albergo, rientro in possesso del mio passaporto e con il
mio trolley mi sposto dall’hotel verso il mercato di Zeleni Venac
per prendere il bus. |
 |
Alle ore 13.45 sono nella zona del mercato
che aspetto il bus. Uno
studente di circa 14 anni aspetta come me l'ora di partire alla fermata di
Zeleni Venac, che è lo ricordo il mercato della città vecchia. Qui c’è il
capolinea del bus n.72 che collega direttamente il centro città con l’aeroporto
Nicola Tesla di Belgrado, nel passato conosciuto come
aerodrome Surčin. Sta
mangiando un panino imbottito, probabilmente di prosciutto o qualcosa di
simile. Si muove nervosamente sul marciapiede, gira intorno su se
stesso attento a non addentare in profondità il panino probabilmente
per non farlo finire prima. Lo mangia a piccoli morsi, guardandolo
attentamente mentre mastica e gustandolo in pieno, probabilmente non
riuscendo a saziare la sua fame. Mi fa tenerezza e mi ricorda quando ero
studente anch’io, alla sua stessa età e addentavo un panino imbottito
simile riempito da una semplice fetta di coppa di maiale. Lo
osservo attentamente. Gli altri in attesa non lo guardano.
|
 |
La riservatezza serba è una delle
caratteristiche che si osserva subito guardando come si comportano le
persone. In questa tre giorni belgradese ho avuto
l’opportunità di osservare attentamente le caratteristiche di molti
cittadini belgradesi e la conclusione alla quale sono pervenuto è che si
tratta di gente riservata, seria, non curiosa e per niente indiscreta nell’osservare gli
altri. Ritornando al ragazzo, noto dall’abbigliamento che non deve essere
di famiglia benestante. Ha gli occhiali e un viso pulito, da bravo
ragazzo. Penso a come sarà il suo futuro quando crescerà e diventerà
adulto. Mi piacerebbe che si realizzasse nel migliore dei modi, con quel
viso acqua e sapone che lo caratterizza in pieno. Il panino finisce e
lui si allontana per buttare in un cestino l’involucro di carta nel
quale era racchiuso il prezioso alimento. Ci sono altre persone che
attendono l'autobus 72. Le fermate previste sono una sintesi di parole
tipicamente serbe. Da Zeleni Venac a Jug Bogdanova a
Pop Lukina,
quindi Brankov most dove si supera il Danubio e poi Bulevar Mihaila
Pupina.
|
 |
Si continua con Pariske komune - Studentska
- Tosin bunar - Zemunska - Vojvodanska - Surčinska -
Put za aerodrom e
infine Aerodrom "Beograd". I passeggeri scenderanno quasi tutti a fermate solitarie e
poco frequentate, in piccoli villaggi lungo i sedici chilometri della
distanza dal capolinea fino all’aeroporto. Tutto ciò che mi circonda è piacevole.
Nonostante ci troviamo in una zona non certo signorile della città c'è
in me una sensazione di grande serenità dovuta all'ambiente che mi
circonda. La gente che vedo intorno a me, anche se povera, ha una grande
dignità e tutti hanno un profondo rispetto della riservatezza. Non ci
sono persone che parlano ad alta voce, né ragazzi che scherzano, magari
pesantemente o che fanno schiamazzi. Com’è diversa qui l’atmosfera da
quella caciarona di Roma dove ci sono sempre rumori molesti, e si vede in giro
tanta aggressività degli studenti tra di loro e contro gli altri. Osservo la
strada che porta in centro e dico a me stesso che questa è probabilmente
l’ultima volta che la vedrò.
|
 |
Difficilmente potrò ritornare, purtroppo. Ho altri
viaggi da effettuare. Agata Christie ha scritto un giallo dal
titolo “L’assassino non ritorna sul luogo del delitto” che si adatta
bene al mio caso. Nelle mie fugaci e veloci visite alle capitali europee
non c’è tempo per ritornare e rivivere i dolci momenti delle mie visite.
I cari luoghi europei nelle capitali spesso lasciano in me una
sensazione di malinconia che mi fa provare brividi di felicità e
forti emozioni a causa delle associazioni di pensiero ai cari ricordi
della mia infanzia. Mi dispiace, mi dispiace profondamente
partire, ma è la vita. "Partire è come morire" dice un vecchio adagio
dei viaggi. Sarebbe bello se avessimo in futuro altre vite di cui disporre
per ritornare sui nostri passi e con calma ripassare dolci e lieti
momenti con altre visite. Ma qui non ci sono miracoli e la
tristezza di una atmosfera piena di emozioni e di ricordi mi
pervade per un po’, annullata dall’arrivo del bus. Il viaggio di ritorno
è caratterizzato dal mio interesse a osservare i luoghi vicino alle
fermate.
|
 |
I passeggeri scendono quasi tutti prima dell’aeroporto.
Alcune ragazze scendono dall’autobus sulla strada in piena campagna,
lontano da centri abitati. Si scorgono poche case raggruppate e
stradine non asfaltate e piene di polvere. Che contrasto con la zona di Novi Beograd,
dopo il ponte sul Danubio. La zona nuova di Belgrado, una specie di Eur
a Roma, piena di grattacieli e di viali larghi e pieni di verde
spartitraffico. Qui in periferia ci sono piccole discariche a cielo
aperto, con nessuna attenzione ai problemi ambientali. E’ il prezzo da
pagare per il passaggio all’economia di mercato. Si scarica tutto sui
più poveri. Ma è la vita. Mi chiedo
quanti anni dovranno passare ancora per avere città dell’est europeo in cui si
privilegeranno i motivi ambientali. Il cielo è grigio, ma non piove. E l’aeroporto è alla prossima fermata. La
vacanza è finita e il viaggio volge al termine. C’è ancora il tempo di
fare una foto veloce e poco convincente della facciata dell’aeroporto per lasciare una
traccia di memoria in questo luogo, ex Surčin, che
nell’immaginario collettivo del tempo passato fu considerato da tutti come l'aeroporto
della
capitale leader dei Paesi non-allineati. Adesso tutto questo non
significa più nulla. Adesso non c'è più la Jugoslavia e c'è la Serbia,
con i problemi di una nazione che deve fare ordine nella società per
rispettare i requisiti relativi all'entrata nell'Unione Europea. Per me
che considero questi itinerari di viaggio una sorta di strumento per
ricordare il passato, è importante confessare che i viaggi e i percorsi
geografici che mi portano in giro per l'Europa mi permettono alla
fine di ritornare a casa con un carico di suggestioni che mi producono
una velata malinconia per il mondo che a quel tempo mi ha visto giovane.
Si trattava di un mondo nel quale la storia ci ha insegnato che a quel tempo
la politica prevedeva i muri, mentre adesso ci sono gli attraversamenti.
Si tratta senz'altro di un progresso enorme, desiderato e fortemente
voluto.
|
C’è da provare i brividi se pensiamo a come eravamo negli anni ’60 e a
come siamo adesso negli anni del terzo millennio. Tutto un altro mondo.
Meglio così. L'aeroporto è piccolo e si manifesta in una sala partenze
limitata nelle dimensioni e nel flusso di traffico. La fila per il
check-in è invece insolitamente lunga nonostante sono in anticipo
sui tempi previsti. Alcuni passeggeri davanti a me chiacchierano
piacevolmente. Sento inflessioni dialettali di tutti i tipi: emiliano,
siciliano, lombardo, veneto, napoletano e anche alcuni passeggeri arabi
che discutono animatamente. Insomma si vede che sto ritornando a casa.
Ma godiamoci ancora il viaggio di ritorno. Anche questa è vacanza. Ciao
Belgrado, ciao Serbia. Sono stato bene con voi tre giorni interi. Mi
dispiace lasciarvi. Chissà che un giorno non venga a visitarvi di
nuovo. Ciao! |
Manuali
e guide di viaggio adoperate. |
Torna alla pagina
viaggi |