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Quest’anno
noi della III Z e della III V del Cerreto abbiamo scelto di approfondire il tema
dei diritti dei minori, perché ci è sembrato un argomento molto importante e
perché, in seguito allo tsunami che ha devastato l’Asia, molti bambini sono
rimasti soli e rischiano di essere rapiti e/o venduti per il commercio degli
organi, per le adozioni clandestine e per il lavoro minorile.
Il
lavoro minorile. Una delle piaghe del mondo. Secondo l’UNICEF ci sono almeno
250 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano; quasi la metà è
occupata a tempo pieno.
A
questi vanno aggiunti i bambini soggetti a sfruttamento sessuale.
Dalle
statistiche risulta che il 61% del lavoro minorile è concentrato in Asia; il
32% in Africa e il 7% in America Latina. Ma questo fenomeno riguarda anche i
paesi ricchi.
Le
multinazionali occidentali sempre più spesso trasferiscono le loro filiali nei
paesi del Terzo Mondo, dove con un costo della manodopera molto basso si possono
produrre manufatti a basso contenuto tecnologico, ed è proprio qui che i minori
trovano facilmente occupazione nei settori dell’export.
I proprietari
delle fabbriche e delle multinazionali preferiscono sfruttare i bambini, poiché
questi non protestano e non si ribellano, anche perché spesso le loro famiglie
vivono proprio grazie al loro lavoro.
Credo
che tutto ciò sia una cosa atroce, quindi il mio consiglio è quello di
informarvi ulteriormente sull’argomento visitando siti Internet, guardando
documentari e film (vi suggerisco quello sulla storia di Iqbal Masih della
regista Cinzia Th. Torrini) per poter aiutare,
almeno un po’, questi bambini, che sono molto più sfortunati di noi.
Purtroppo,
noi possiamo aiutarli solamente facendo delle donazioni, anche piccole, alle
associazioni che si occupano dello sfruttamento minorile e non acquistando i
prodotti fatti dai bambini.
Non
voltiamoci dall’altra parte per non vedere. Loro hanno bisogno di noi…
UN
TRIANGOLO PIENO DI MISTERO
NELLE
ISOLE DELLE BERMUDA ACCADONO STRANI INCIDENTI
All'interno
di un'area delimitata da un triangolo immaginario che si trova tra le Bermuda,
la Florida e Puerto Rico un numero considerevole di imbarcazioni e aerei sarebbe
scomparso in circostanze a dir poco misteriose. Strani eventi sembrano essere
accaduti nell'Oceano Atlantico di fronte alle coste degli Stati Uniti.
Il
cielo risplendeva di stelle e il DC-3 si accingeva ad atterrare all'aeroporto di
Miami. Il volo, proveniente da San Juan, Puerto Rico, procedeva bene. Le luci
della città erano già visibili. Improvvisamente, le comunicazioni tra la torre
di controllo e l'aereo s’interruppero. Pressoché immediatamente scattò una
massiccia operazione di ricerca. Il tempo era ideale, la visibilità ottima, ma
del DC-3 e del suo equipaggio nessuna traccia. Scomparso nel nulla, all'alba del
28 dicembre 1948.
Stessa
sorte era toccata alcuni mesi prima allo Star Tiger, un aereo di linea delle
British South American Airways, mentre si stava avvicinando alle Bermuda
proveniente dalle Azzorre. Qualche settimana dopo la scomparsa del DC-3, lo Star
Ariel, gemello dello Star Tiger, faceva perdere le sue tracce tra le Bermuda e
la Giamaica. Il tempo era ottimo. Nonostante i numerosi mezzi impiegati nelle
ricerche, l'incidente restava inspiegato e il resto dell'aereo non fu mai
ritrovato.
Ma
è il 5 dicembre 1945 che si è verificato il dramma più incredibile. Quel
pomeriggio, cinque aereosiluranti Avenger della Marina degli Stati Uniti
decollarono dalla base navale di Fort Lauderdale per un breve volo di
addestramento. Era una missione della massima routine, ma si concluse in una
tragedia avvolta nel mistero, con la probabile morte dei quattordici uomini di
equipaggio. Malgrado non vi fosse alcun’evidenza di cattivo tempo, il
comandante della squadriglia comunicò via radio che tutti e cinque gli aerei si
erano dispersi ed erano incapaci di capire in quale direzione stavano volando.
Alcuni istanti dopo questo drammatico messaggio, le comunicazioni si
interruppero per non riprendere mai più. Due idrovolanti della Marina furono
subito inviati nella zona in cui si presumeva che la pattuglia aveva fatto
perdere le sue tracce. Alcune ore dopo, a causa del peggioramento delle
condizioni meteorologiche, fu impartito loro l'ordine di rientrare. Solo uno
tornò alla base. Le ricerche proseguirono per cinque giorni, ma senza alcun
risultato. Le autorità della Marina erano confuse. Un ufficiale commentò così
l'episodio: "Sono letteralmente scomparsi come se fossero volati su
Marte". L'episodio segnava l'inizio della saga moderna del cosiddetto
Triangolo delle Bermuda.
E
andando indietro nel tempo, nell'agosto 1935 l'imbarcazione La Dahama fu
incrociata in perfetto stato nel Triangolo delle Bermuda diversi giorni dopo che
un'altra imbarcazione l'aveva vista in procinto di affondare. Nel 1931 la nave
norvegese Stavenger scomparve nelle Bahamas con quarantatré uomini a bordo, così
come accadde in una tranquilla giornata dell'aprile 1925 al Raifuku Maru dopo
aver lanciato il seguente messaggio: "Venite presto, è tremendo! Non
possiamo fuggire".
La
goletta Carroll A. Deering fu ritrovata incagliata nelle Diamond Shoals nel
gennaio 1921 con tutte le vele issate. Due gatti erano le uniche creature
viventi restate a bordo. La cosa più strana fu che un pasto completo stava
ancora sui fornelli, in attesa di un equipaggio che non lo assaggiò mai. Lo
stesso anno una dozzina di altre navi scomparvero nella medesima zona.
Nel
1918 la Marina degli Stati Uniti accusò un'ulteriore scomparsa: la Cyclops, una
carboniera lunga oltre 170 metri, in navigazione dalle Barbados a Baltimora con
309 uomini a bordo. Malgrado fosse una delle prime imbarcazioni equipaggiata con
radio a bordo, nessun SOS venne lanciato. Ad alimentare ancor più il mistero
contribuirono le scomparse, nel 1941, sulla stessa rotta altre due navi sorelle
della Cyclops, la Proteus e la Nereus.
L'infelice fama di questo tratto di mare sembra
trovare riscontri anche nei secoli addietro. Già uno dei primi ad aver navigato
in quelle zone, Cristoforo Colombo, nel suo primo viaggio alla scoperta del
Nuovo Mondo nel 1492 si imbatté in fenomeni che sconcertarono l'equipaggio
della sua nave: un lampo infuocato che cadde in mare, insoliti comportamenti
delle bussole e una strana luce che apparve in lontananza una notte.
Molti pensano che la zona sia maledetta oppure, come
affermano molteplici studiosi, la zona è vittima di correnti marine molto forti
che disturbano la navigazione, ma a riguardo degli strani fenomeni correlati il
mondo non sa dare risposte.
Sebastiano Maltese II Z
Guardo
fuori dalla finestra e vedo solo nebbia.
Sento
le urla strazianti di un bambino che chiedendo disperatamente aiuto penetrano
nel mio cuore.
La
gente è piena di dolore.
Sento
e vedo la guerra.
Mi
affaccio al mondo e tocco la tristezza. Anche il cielo è triste e piange sugli
uomini lacrime d'amore perché crede che essi possano cambiare
diventando più buoni: spera in una loro redenzione .
Mi
sento inutile; vorrei fare qualcosa per migliorare tale situazione, però, mi
chiedo, che cosa? Ci sono, a volte, dei momenti in cui l'unica cosa che si può
fare è quella di "esserci " e non dimenticare.
Penso a coloro che stanno vivendo la guerra e non riesco a capire come molti ,giorno dopo giorno, riescano a tenere un'arma in mano e ad usarla anche contro i bambini.
Il
mio pensiero va alle famiglie distrutte dall'odio e a tutte quelle persone che
inseguono un sogno per tutta la vita, ai tenaci, agli ostinati, a chi cade e si
rialza, a chi ci prova sempre e non molla mai. Sono proprio questi che guardano
avanti, credono nel futuro e non smettono mai di sognare che nel mondo c'è
spazio anche per la pace e per la Vita, sì, quella scritta con la lettera
maiuscola.
Sono
certa che nell'esistenza occorre avere qualche dubbio, perché nulla è certo e
perfetto, ma sono più che sicura dell'unica mia certezza: voglio la Pace e più
amore fra gli uomini.
Denise Di Via, III G
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I
miti più popolari tra noi ragazzi della classe I M sono: -
i
calciatori -
i
piloti di F1 e di moto -
i
cantanti -
un
personaggio dei fumetti: Spiderman I
calciatori sono per noi dei veri e propri modelli da seguire e da imitare
per la abilità con cui si muovono in campo, per la bravura con cui fanno
vincere la squadra e la loro classe. Anche
altri sportivi ci colpiscono per la loro agilità, in particolare i piloti
(Schumacher, Valentino Rossi, Max Biaggi), per lo sprezzo del pericolo con
cui affrontano le gare e la velocità. Tra
i nostri miti vi sono anche alcuni cantanti come Tiziano Ferro, i Blue e
Vasco Rossi. A noi piacciono per la loro voce, per la musica che ci
travolge con il suo ritmo. Infine,
per due di noi è un vero e proprio mito il personaggio dei fumetti
Spiderman, un autentico super-eroe che difende i più deboli.
Gli alunni della I M
|
All’alba del 26 dicembre
2004, mentre tutto il mondo si appresta a festeggiare l’arrivo del nuovo anno,
un terremoto scuote gli abissi di Sumatra, isola dell’Indonesia. Quest’avvenimento
catastrofico sconvolge il sud-est asiatico; è il più grande cataclisma della
storia più recente: lo tsunami.
Turisti d’ogni parte del
mondo erano in vacanza in quelle località a godersi un bel mare limpido e
cristallino che in pochi istanti si è trasformato in un’onda di morte.
L’Oceano Indiano ha gonfiato un’onda anomala alta più di quindici metri che
si è abbattuta sulle coste del sud-est asiatico.
Le persone prese dal panico si
sono messe a fuggire perché avevano visto in lontananza l’onda che si
avvicinava velocemente verso di loro. Ma questo non è servito a niente, perché
l’acqua li ha raggiunti ed ha travolto tutto quello che ostacolava il suo
passaggio. Alcune persone si sono salvate rifugiandosi sopra la cima di una
collina e tornando a casa hanno raccontato storie terribili: bambini strappati
dalle proprie madri e persone che non hanno avuto scampo perché sono state
travolte dall’onda.
E’ passato ormai più di un
mese dalla terribile catastrofe che ha sconvolto il sud-est asiatico.
Pesantissimo il bilancio delle vittime, circa 300.000. Sulle mura di qualche
casa qualcuno ha scritto la data del tragico avvenimento. Nella religiosissima
Thailandia si celebrano cerimonie contro gli spiriti maligni per far sì che il
pericolo venga allontanato e ritorni il turismo. Nello Sri Lanka si stanno
piantando degli alberelli, uno per ogni vittima.
Quest’avvenimento ha avuto
conseguenze psicologiche sui bambini; sono stati costruiti campi d’accoglienza
per poterli ospitare. Il ritorno a scuola è importante per ridare a loro un
minimo di normalità, anche se molti stanno approfittando dello tsunami per
reclutare bambini soldati tra coloro che sono rimasti orfani.
Le conseguenze di questo
maremoto hanno turbato ciascuno di noi. Molte persone hanno cercato di
contribuire mandando SMS dal proprio telefonino, altri, invece, sono andati
personalmente a offrire un po’ di conforto a chi ha perso tutto.
Spero che questi paesi possano
al più presto riacquistare il proprio splendore e la gente possa ritrovare la
serenità per dimenticare questa immane tragedia.
Roberto Longo, I M
L' UOMO PIU’ ALTO
Il record per l'uomo più alto
di tutti i tempi è stato stabilito da Robert Pershing Wadlow che misurava 2,72
m. Il suo primato è uno dei record più popolari e si tratta di un vero
classico tra i Guinnes World Records.
I
PRIMI ANNI
Robert Pershing Wadlow (USA)
nasce alle 18:30 del 22 febbraio 1918 ad Alton, Illinois, USA. I genitori
americani, si chiamano Addie e Harold Wadlow. Dopo di lui avranno altri quattro
figli, due maschi e due femmine, tutti di pesi e altezza normali. Anche il peso
alla nascita di Robert 3,85 kg, non fa prevedere la crescita stupefacente cui
era destinato. In effetti, il ritmo di sviluppo di Robert comincia a crescere a
una velocità sorprendente, tanto che a 5 anni era alto 1,63 m e pesava 48 kg.
All' età di 9 anni era in grado di prendere in braccio il padre, alto 1,80m e
pesante 77 kg, e di trasportarlo su per le scale di casa. Con un' alimentazione
che arrivava a comprendere 8000 calorie giornaliere Robert toccò il suo peso
massimo di 223 kg all'età di 21 anni.
IL
RECORD GUINNES DI ROBERT
Oltre a essere l'uomo più alto,
documentato nella storia della medicina, detiene anche il record per mani e
piedi più grandi. Le mani erano lunghe 32,3 cm dal polso alla punta del dito
medio e i piedi erano lunghi 47 cm. Quando aveva 12 anni, i medici gli
diagnosticarono un'iperattività dell'ipofisi, la ghiandola che secerne tra
l'altro la somatotropina: l'ormone della crescita. Un intervento chirurgico
correttivo era rischioso e i risultati non garantiti, per cui i genitori
decisero di lasciare fare alla natura.
LA
VITA QUOTIDIANA DI ROBERT
Robert si sforzava di condurre
una vita il più normale possibile. Amava la fotografia e collezionava
francobolli. A 13 anni divenne il boy scout più alto del mondo, dato che era già
alto 2,23 m. A 18 misurava 2,53 m: i suoi abiti richiedevano il triplo della
stoffa normale e le sue scarpe lunghe quasi mezzo metro venivano a costare 100
dollari al paio. Harold, il fratello minore di Robert, una volta parlò in una
trasmissione di Guinnes World Records: Primetime dei suoi problemi della
vita quotidiana: "Doveva piegarsi per passare attraverso le porte. Non
trovava posto in autobus, in treno, in aereo, non poteva sedersi da nessuna
parte, tutto era fatto per persone alte un metro meno di lui. Probabilmente
avrebbe voluto non essere così alto, per fare una vita come tutti".
PIEDI
INCREDIBILI!
Robert si faceva fare scarpe su
misura dall’International Shoe Company, e quando aveva 20 anni gli fu proposto
di svolgere un'attività promozionale per conto della fabbrica. Accompagnato dal
padre, Robert viaggiò attraverso gli Stati Uniti occidentali nel corso di
un'intensa campagna pubblicitaria che gli garantiva una fornitura gratuita di
calzature. Il fratello Harold commenta:
"Ovunque andasse si
ritrovava intorno una folla di persone a occhi sbarrati. Qualcuno lo importunava
anche per la sua altezza. C'era chi gli andava dietro e gli pizzicava una gamba
o altro, sapete addirittura cercavano di tirargli calci negli stinchi per vedere
che non nascondesse trampoli".
QUANDO
CONQUISTO’ IL RECORD?
Robert entrò nella storia nel
1936, quando era arrivato a 2,53 m di altezza. L'uomo più alto conosciuto fino
ad allora era stato un irlandese arrivato a 2,46 m, prima della morte nel 1806.
COME
MAI MORI’ COSI’ GIOVANE?
A parte le difficoltà connesse
con la sua altezza esagerata, Robert era perfettamente sano, ma per molti anni
fu tormentato da problemi medici, relativi ai suoi piedi enormi. La circolazione
era difficoltosa nelle sue lunghe gambe e la sensibilità ridotta, per cui non
avvertiva segni di sfregamenti o irritazioni finché non si formavano piaghe.
Nel 1940 quando aveva 22 anni, Robert fu fornito di un apparecchio ortopedico
per aiutare le caviglie a sostenere il suo peso. Purtroppo il sostegno, mal
applicato, gli provocò un'infezione alla caviglia destra. Per la carenza di
circolazione e sensibilità, l'infezione passò inosservata per qualche giorno e
quando, una settimana più tardi, arrivò a Manistee, nel Michigan, dove doveva
comparire come ospite, non era più controllabile. Robert morì nel sonno
all'1:30 di notte del 15 luglio 1940. Fu sepolto nell' Oakwood Cemetery nella
città natale di Alton, nell'Illinois. La bara lunga 3,28 m fu trasportata da
dodici persone. La città sospese ogni attività quel giorno e in 40.000
firmarono il registro del funerale. Dopo la morte di Robert, la sua famiglia
distrusse quasi tutto quello che gli apparteneva, per evitare che i suoi oggetti
personali diventassero pezzi da collezione.
Francesca
Ferrara, Elisa Roncella
III° A
Iqbal
Masih
Il
bambino-simbolo della lotta contro il lavoro minorile
Iqbal
Masih nasce nel 1983 a Muridka, in Pakistan. All’età di quattro anni suo
padre fu costretto a venderlo, per soli 12 dollari, come schiavo a un
fabbricante di tappeti per riscattare un debito contratto. Picchiato, sgridato e
incatenato al suo telaio, Iqbal lavora per più di 12 ore al giorno in
condizioni disumane.
Un
giorno, nel 1992, Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di
tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà
organizzata dal Fronte di Liberazione del Lavoro Schiavizzato (BLLF). Per la
prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini schiavizzati, come lui,
così decide di raccontare la sua storia; le sue parole creano sgomento e
vengono pubblicate dai giornali locali. Poi un avvocato della BLLF lo aiuta a
preparare una lettera di dimissioni da presentare al suo ex padrone.
Durante
la giornata della libertà Iqbal conosce Eshan Ullah Khan, leader del BLLF, che
rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei
bambini. Iqbal inizia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il
mondo, diviene portavoce dei bambini lavoratori nei convegni.
Iqbal,
nonostante abbia 12 anni, è alto come un bambino di 6 anni; i dottori lo
sottopongono a parecchi esami che stabiliscono che è molto al di sotto della
statura media, non ha ancora raggiunto la pubertà e gli diagnosticano un
“nanismo psicosociale”; la bassa statura è stata determinata, quindi, da
fattori ambientali, da posizioni innaturali e dalla malnutrizione. Gli anni
trascorsi chino su un telaio, spesso in catene, hanno rallentato la sua
crescita, incurvando la spina dorsale; le particelle di stoffa che è stato
costretto a respirare gli hanno indebolito i polmoni.
Iqbal
vuole diventare avvocato per difendere i diritti dei bambini, così inizia a
studiare, pur continuando la sua attività di sindacalista.
Iqbal,
nel dicembre ’94 riceve 15 mila dollari del premio Reebok per la “Gioventù
in azione” con i quali avrebbe voluto costruire una scuola affinché i bambini
schiavi potessero iniziare a studiare.
Ma
il 16 Aprile 1995, mentre va in bicicletta a prendere le medicine per curare il
suo fisico debilitato da anni di lavori forzati e torture, due pallottole
fermano il suo grande cuore, proprio nel giorno della sua Pasqua, facendo lui
parte della minoranza Cristiana.
Ullah
Khan dirà che era stato un complotto della mafia dei tappeti ad uccidere Iqbal,
ma molti aspetti di questa orribile vicenda rimangono ancora poco chiari.
Debora Bugliazzini III Z - Giulia Zibellini, Giorgia Marini III V
Venerdì
4 Febbraio siamo andati al Museo Zoologico con la I M e con due nostre
insegnanti, la prof. Tarantelli e la Prof Morsella. Siamo partiti alle 8.30 e
siamo arrivati verso le 10.30.
Una
volta entrati nel museo ci siamo divisi, con la mia classe abbiamo parlato degli
animali erbivori, carnivori e onnivori, mentre la prima andava in laboratorio.
C’erano due esperte che ci hanno spiegato che gli animali che mangiano le
foglie sono chiamati “fillifagi”, quelli che mangiano i semi, come i
criceti, prendono il nome di “granivori” e quelli, invece, come i leoni che
mangiano le loro prede morte sono chiamati “necrofagi”.
La
nostra guida ed un nostro compagno ci hanno mostrato la loro diversa dentatura:
abbiamo notato che i canini della guida sono più appuntiti di quelli del
nostro compagno Valerio, perché oggi noi non mangiamo più strappando ma
tagliando la carne, perciò non ci servono i canini appuntiti.
La
guida ci ha mostrato anche varie tipi di bocche, come quella dello squalo con
quattro file di enti che servono per sostituire quelli caduti ed erano tutti
uguali. Poi vari tipi di uccelli, come il gabbiano il cui becco è lungo e alla
punta curvo perché una volta intrappolato il pesce non potesse più uscire.
Le
guide ci hanno chiesto cosa vuol dire “animale imbalsamato” e come è fatto.
Dopo tanti tentativi, abbiamo risposto che un animale imbalsamato è un animale
che all’interno del suo corpo non ha né organi né ossa e per renderlo
robusto è riempito di plastica perché è un materiale che non si deteriora.
All’esterno, invece, l’animale è come nella realtà.
Successivamente,
ci hanno accompagnato a vedere come si riconosce se gli animali sono maschio o
femmina; l’esempio era il gallo e la gallina. Abbiamo notato che quasi tutti
gli animali maschi sono più colorati perché si devono mettere al centro
dell’attenzione e più forti perché devono proteggere i propri figli e la
madre; le femmine, invece, hanno un colore più marroncino per mimetizzarsi
quando covano le uova. La guida ci ha spiegato che ci sono vari tipi di
corteggiamento tra animali; uno che abbiamo già detto è quello di essere
colorati, un altro ad esempio per gli uccelli è il loro canto e per le lucciole
l’illuminarsi nella notte. Camminando siamo arrivati dove l’embrione si sta
sviluppando, qui ci sono molti esempi come i girini che si dovranno trasformare
in rane.
Abbiamo
visitato alcuni ambienti dove vivono gli animali; ad esempio nelle grotte vivono
gli orsi e tanti piccoli insetti, non c’è né luce né cibo e per questo gli
animali escono a procurarselo. Un altro ambiente è il deserto: qui non c’è né
acqua né vegetazione e uno degli animali che riesce a sopravvivere in questo
ambiente è il cammello perché l’acqua la conserva nelle sue gobbe. Ancora un
altro ambiente è quello polare dove non c’è né cibo, né calore, né
vegetazione; la guida ci ha parlato dell’orso polare. Sotto al pelo bianco
c’è quello nero che serve all’animale a proteggersi dal freddo mentre
quello bianco serve a mimetizzarsi.
Una
volta finito di visitare il museo la guida ci ha lasciati in una stanza dove
c’erano tanti animali; quelli che mi sono piaciuti di più sono stati la
tigre, l’aquila, la giraffa, l’orso polare, la foca e lo scimmione.
Con
la professoressa Morsella siamo usciti dal museo a fare merenda; una volta
finita siamo ripartiti.
Questa gita mi è molto piaciuta perché mi ha fatto imparare molte cose sugli animali.
Viviana
De Martino IIM
Il
commercio equo e solidale: un aiuto per il Sud del mondo
Io,
in particolare, ho proposto un’intervista al proprietario della
bottega del mondo “Il fiore”, in via delle Dalie 11, per far riflettere
le persone su cosa significa far lavorare forzatamente e per molte ore i bambini
che hanno famiglie povere e disoccupate.
La
“bottega del mondo” è un negozio
speciale dove si vendono prodotti provenienti dai paesi poveri (il cosiddetto
“Sud del mondo”) per aiutarli a proseguire il loro percorso di sviluppo
economico e culturale.
Questi
prodotti, come si dirà nell’intervista, hanno delle caratteristiche
particolari: non vengono fatti da bambini, spesso sono biologici (quindi
rispettano l’ambiente) e i lavoratori che li fanno ottengono un giusto
compenso per il loro lavoro.
Tutto
questo prende il nome
di commercio equo e solidale.
Ecco ora l’intervista che ho
fatto al mio amico Aldo Piersanti, proprietario de “Il fiore”.
Allora Aldo, cos'è
esattamente il commercio equo e solidale?
Il Commercio Equo e Solidale è un commercio alternativo, che promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei consumatori, l'educazione, l'informazione.
Quando è nato? Perché?
Il commercio equo e solidale nasce prima in Olanda negli anni '60, per poi diffondersi nel resto d'Europa, Italia compresa, come risposta alle cause del sottosviluppo e della crescente differenza fra Nord ricco e Sud povero del Mondo.
Quali vantaggi porta questo
tipo di commercio?
Il vantaggio sta nel dare a ciascuno quanto merita per il proprio lavoro e questo non è un atto di benevolenza, ma di giustizia: scegliere uno di questi prodotti significa influire concretamente sulle vite di uomini e donne dei paesi del Sud del mondo, legando i nostri acquisti di prodotti al loro futuro.
Quali sono i prodotti che
commercia? Da dove provengono?
Sono prodotti alimentari
come tè, caffè, zucchero, cacao... con ampio utilizzo dei metodi
dell'agricoltura biologica e prodotti trasformati da piccole industrie locali o
aziende italiane, utilizzando materie prime del Sud del mondo in sintonia con i
principi del commercio equo. Ci sono anche tantissimi oggetti artigianali come,
ad esempio, bomboniere, cesti, vestiti, mobili, ecc..
Tutti questi prodotti provengono dall'Asia, Africa, America Latina; i prodotti provengono da piccole comunità dei paesi del Sud del mondo, che rappresentano una via di sviluppo incentrata sul rispetto dell'uomo e del suo lavoro.
Siete in contatto con le
scuole per insegnare i vantaggi del commercio equo?
Sì, per noi questo è molto importante. Infatti, la Bottega del Mondo "Il Fiore per un commercio equo e solidale" è un luogo di incontro planetario: oggetti e cibi, ma anche idee, informazioni ed incontri per conoscere l'altra faccia del pianeta. "Il Fiore" funziona grazie anche al lavoro volontario degli “Amici della Bottega”, che investono il loro tempo libero in una comune utopia: combattere il sistema consumistico e di profitto con un altro ben diverso sistema che realizzi equità e solidarietà. Proprio su questi temi l'anno scorso abbiamo incontrato in Bottega più di 30 classi provenienti dall'intero comprensorio, non soltanto da Ladispoli, ma da Cerveteri, I Terzi, Fregene ed anche da Civitavecchia.
Gli alunni ti sono sembrati
sensibili al problema?
Sì, sono molto sensibili al problema, soprattutto a quello dello sfruttamento minorile. Gli alunni trovano interessante e importante che il commercio equo e solidale garantisce ai lavoratori condizioni di lavoro dignitose e una giusta retribuzione così da potere, ad esempio, assicurare ai propri figli una giusta istruzione.
Dunque,
ragazzi, è molto importante acquistare i prodotti e conoscere le idee del
commercio equo e solidale per agevolarne la diffusione.
A
mio parere, tutto ciò dovrebbe essere premiato dalla gente e bisognerebbe
introdurre i prodotti del commercio equo nei grandi supermercati, cosicché
potremmo porre fine alla povertà e all’inquinamento nel mondo.
Torneremo
a occuparci di questo argomento nei prossimi numeri, intanto chi volesse
approfondire visiti i seguenti siti:
www.assobdm.it
Sebastiano Maltese II Z
(la
canzone del bambino nel vento)
Sono
morto con altri cento
Sono
morto ch’ero bambino
Passato
per il camino
E
adesso sono nel vento
Ad
Auschwitz c’era la neve
Il
fumo saliva lento
Nel
freddo giorno d’inverno
E
adesso sono nel vento
Ad
Auschwitz tante persone
Ma
un solo grande silenzio
Che
strano non riesco ancora
A
sorridere qui nel vento
Io
chiedo come può un uomo
Uccidere
un suo fratello
Eppure
siamo a milioni
In
polvere qui nel vento
Ancora
tuona il cannone
Ma
ancora non è contento
Di
sangue la belva umana
E
ancora ci porta nel vento
Io
chiedo quanto sarà
Che
l’uomo potrà imparare
A
vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
Francesco Guccini
IL giorno della memoria
La Giornata della memoria
Incontro con Rosario Militello
Il 31 gennaio alle ore 9.00 la nostra classe, accompagnata dalla professoressa Pascucci, si è recata al comune di Ladispoli. Nell’aula consigliare varie scolaresche hanno potuto conoscere l’ex deportato Rosario Militello, esponente dell’associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti. Non è potuto essere presente il sindaco Gino Ciogli ed al suo posto c’era il presidente del consiglio comunale Crescenzo Paliotta. Il signor Militello ci ha raccontato la sua triste e dolorosa esperienza nei campi di concentramento.
Egli era un diciannovenne arruolato a Torino come meccanico aeronautico (1941-1943) poiché a quel tempo il servizio militare era obbligatorio. Quando finirono gli anni di leva, lui, insieme ad altri suoi compagni, decise di tornare in Sicilia. Quando la guerra riprese, dopo l’armistizio del 1943, Mussolini fece richiamare i soldati: tutti i militari dovevano presentarsi a Salò. Rosario Militello, insieme ad alcuni suoi compagni decise di rifiutarsi e si nascose nelle campagne in Lombardia, Piemonte, Liguria e Toscana, presso alcuni contadini e, per sdebitarsi della loro ospitalità, fece alcuni lavori per loro.
Nella primavera del ’44 ci furono dei rastrellamenti per scovare i soldati che non si erano presentati alle armi. I fascisti per trovarli cominciarono a bruciare le proprietà di quei poveri contadini e Rosario per evitare di dare altra sofferenza abbandonò le campagne per unirsi ai Partigiani. La lotta partigiana contro i Fascisti e i nazisti era dura. Venne catturato nel luglio del ’44. Dopo la cattura, Militello e i suoi compagni vennero portati a Bolzano, da lì poi in Austria, nel campo di Mauthausen, il più grande e temuto campo di concentramento dell’Austria: poteva ospitare più di 80.000 prigionieri.
Il viaggio fu terribile: chiusi e ammassati nei vagoni, senza acqua né cibo; una notte i vagoni si trovarono sotto i bombordamenti degli Americani che colpivano la rete ferroviaria.
Una volta arrivati a Mauthausen, tutti i prigionieri scesero dai vagoni e camminarono per 6 km fino al campo: una volta entrati videro corpi magrissimi di uomini morti, baracche, uomini nudi. Privati dei vestiti, Rosario e gli altri deportati furono obbligati a fare delle docce, sia calde che fredde, per quattro, cinque volte. Poi la disinfestazione con la creolina. Fu un "trattamento bestiale", così ha ricordato Militello.
I prigionieri venivano trattati come dei veri e propri STUCK (pezzi, oggetti). Erano costretti a vivere in condizioni pessime: scarse provviste, alimenti scadenti, condizioni igieniche scarse e altro ancora. A dormire andavano nei "block", baracche con letti di legno su tre livelli.
Rosario e gli altri prigionieri indossarono le divise a righe (la sua divisa macchiata di sangue era appartenuta ad un altro prigioniero, morto) e fu dato loro il numero di matricola; 615 era il suo nuovo nome.
I deportati erano divisi in categorie: testimoni di Geova, ebrei, polacchi, omosessuali, politici e tutti marchiati con un simbolo per distinguerli.
Al campo le persone, giorno dopo giorno, subivano torture psicologiche e fisiche: venivano frustati, svegliati alle quattro di mattina per correre intorno alle baracche; dovevano portare pesanti pietre dalle cave passando sulla "scala della morte" composta da 168 scalini. Se le pietre cadevano tutti coloro che erano sugli scalini inferiori venivano travolti e, in alcuni casi, uccisi.
Alla fine di questa prima parte, sono stati eseguiti dal vivo alcuni brani musicali che hanno reso l’atmosfera cupa dei lager: due tratti dalla colonna sonora dei film "La vita è bella" e "Schindler’s list" e l’altro composto nel campo di concentramento da un deportato.
Il campo di Mauthausen aveva due sottocampi: Gusen 1 e Gusen 2: qui si producevano missili ed armi. I deportati lavoravano oltre dodici ore al giorno, nelle fabbriche vicine come la Henkel o la Bayer.
Militello lavorò nel campo di Gusen 2 che si trovava sotto al livello del Danubio e perciò era molto umido oltre che freddo: qui, ogni giorno per 12 ore, era nella galleria a scavare.
Sette mesi dopo, tutti i prigionieri sopravvissuti al campo furono liberati dagli Americani.
Purtroppo, anche l’Italia ha avuto due campi di sterminio, uno a Trieste, precisamente a San Sabba, ed uno a Fossoli.
Il sig. Militello era molto commosso mentre ci ha raccontato questi avvenimenti; ha detto più volte che non potrà mai dimenticare quelle atrocità.
Il dibattito che è seguito a questo racconto è stato molto interessante.
Una ragazza della scuola superiore ha chiesto a Militello che cosa gli abbia dato la forza di andare avanti. Egli non sa ancora oggi spiegarlo; forse la rassegnazione e la passività; certamente l’aver avuto un fisico forte, abituato alla fatica; infatti, da piccolo in Sicilia aveva lavorato nelle miniere di zolfo. All’inizio nella dura vita del lager, si pensava, ma dopo in po’ non si riusciva neppure a fare quello e così si andava avanti. Non si pensava più a niente: sopravvivere era l’unico pensiero.
Ha cercato di farci comprendere quanto potesse essere difficile sopravvivere quando la forza di volontà e la capacità di andare avanti, ad un certo punto, cominciavano a svanire.
Il suo racconto si è concluso con la speranza che simili crudeltà non si verifichino più. Secondo me, questa è stata un’esperienza significativa perché abbiamo potuto conoscere una delle più tristi pagine della storia dal toccante racconto di un uomo che ha vissuto in un lager e che è, miracolosamente, sopravvissuto.
Anthony Cacciotti - Manuel Singh III M
Al
Museo Zoologico
Siamo
partiti il 4 febbraio 2005 alle 9:00, circa, per andare a visitare il Museo Zoologico a Roma. Quando
siamo arrivati, la nostra guida (Fabio) ci ha scortato in una sala sotto terra
dove ci ha spiegato come preparare i vetrini con varie sostanze:
-
la
pellicina della cipolla;
-
l’acqua
dove erano cresciute le lenticchie d’acqua;
-
L’acqua
dove Fabio aveva fatto marcire il fieno.
Poi,
dopo averci illustrato e chiarito alcune cose (come il microscopio e ciò che
dovevamo fare), ci siamo messi al lavoro per preparare i vetrini da mettere sul
microscopio.
Io
e Alessia abbiamo messo sul vetrino una goccia, prelevata con una pipetta, del
liquido con le lenticchie d’acqua poi ci abbiamo messo il copri-oggetti, un
vetrino ancora più piccolo e quadrato, che permetteva di pressare, e quindi far
appiattire, il liquido. Così si può vedere tutto ciò che è contenuto in
quella goccia così piccola.
Preparato
il vetrino, siamo andati vicino e ci siamo seduti. Fabio ha collegato il
microscopio al televisore e ci ha fatto vedere prima le cellule della cipolla.
Sono
messe in comunicazione da una via, una specie di autostrada con cui mandano tra
loro dei segnali.
La guida ci
ha spiegato come è fatta la cellula.
Le
cellule di microrganismi contengono
acqua, esempio i rotiferi che si muovono
grazie alle ciglia e sono molto piccoli. I nematodi
sono lunghi e lenti e apparivano al microscopio come strisce marroni.
Ci ha detto
anche che la clorofilla è contenuta nei cloroplasti che, a loro volta, sono
contenuti nel citoplasma. Finita l’attività di laboratorio, siamo entrati nel
museo e abbiamo ascoltato Fabio che ci ha spiegato come è organizzato il museo
e ci ha detto anche che gli animali vengono imbalsamati con la plastica e li
hanno presi o dallo zoo perché sono morti o per donazione. Poi ci ha lasciato
liberi di girovagare per il museo e di guardare tutti gli animali.
Le
specie che mi sono piaciute di più sono state: i felini e l’orso bruno.
Questa
gita mi è piaciuta molto e spero che ne faremo altre simili.
BIMBI A RISCHIO SPOT
Troppi spot fanno male alla salute dei bambini.
Ad affermarlo è uno studio dell’Osservatorio sull’immagine dei minori, presentato ieri in Campidoglio. Sotto accusa, in particolare, le pubblicità di prodotti alimentari: sono troppe, quasi il doppio (il 40% del numero totale) di quelle che vanno in onda sulle reti USA.
Un bombardamento di messaggi che rischia di compromettere un equilibrato approccio all’alimentazione: "Nei prossimi anni avremo sicuramente da ragionare su anoressia e bulimia", ammonisce la responsabile della ricerca, Maria D’Alessio , dell’università La Sapienza di Roma.
Lo studio, basato su due settimane di programmazione delle reti RAI e Mediaset dello scorso marzo, ha inoltre rilevato:
che i bambini si fidano della pubblicità (di più le femmine, 19% contro il 17,1% dei maschi);
che i genitori sopravvalutano la credibilità e il gradimento degli spot;
che su tre spot, uno ha per protagonista un bambino.
Infine, si verifica raramente che i bimbi negli spot svolgano attività diverse dal mangiare, come ad esempio fare sport o studiare "Non bisogna utilizzare i bambini per la televisione- ha detto il premio Nobel Rita Levi Montalcini – bisogna evitare loro lo shock che presenta un’immagine falsa del loro successo." Per Antonio Guidi, sottosegretario alla salute neuropsichiatra infantile, è invece più grave l’uso che si fa dei minori nei talk show, in cui sono eroi o vittime, o anche il modo in cui i Tg danno le notizie sui bambini. Forme che sono più devastanti della pubblicità.
Valerio Pugliese e Francesca Troiani II I
LA
DONNA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Non sempre e non dovunque le donne hanno avuto i diritti e i privilegi di cui godono oggi nel mondo occidentale, nel quale le ragazze danno per sscontata la loro condizione di libertà.
Eppure, nell'età moderna esistono ancora Paesi in cui essere donna equivale a vivere in uno stato di sottomissione, passività, ignoranza e, di conseguenza, emarginazione.
In Cina, le donne vengono considerate da sempre inferiori agli uomini e educate alla sottomissione. Dai fratelli e dal marito, le donne cinesi sono costrette ad una condizione di passività ed immobilismo.
Nel passato le figlie femmine erano considerate bocche inutili da sfamare e, spesso, venivano uccise. Verso la fine dell'Ottocento, si assiste ai primi tentativi di emancipazione, ma si tratta di un processo lento.
Al giorno d'oggi la Cina è divisa in due realtà, quella occidentalizzata e ricca e quella povera ed ignorante delle campagne.
In questa situazione la condizione femminile è ancora sinonimo di inferiorità.
Generalmente maschilista, resta ancora oggi la visione islamica del rapporto tra i due sessi: soprattutto nelle società islamiche più radicali la condizione della donna è essenzialmente relegata al ruolo di "regina della casa" ma creatura quasi invisibile all'esterno.
In Algeria, Iran e fino a qualche anno fa in Afganistan le donne non potevano studiare e dovevano persino nascondere la propria femminilità dietro pesantissimi veli detti burka.
Per fortuna nella nostra società tali disuguaglianze sono cose del passato e sinceramente spero che il futuro delle donne cinesi, algerine e africane possa essere migliore.
ALMA PERIN CLASSE: III H