Un viaggio tra natura ed archeologia

Indice

Introduzione

L’ambiente naturale:

Ø   Inquadramento geografico e geomorfologico

Ø   Il clima

Ø   Flora

Ø   Fauna

Cenni storici e testimonianze archeologiche

Come visitare Monte Cavo

Introduzione

  Volete cimentarvi nella scoperta di Monte Cavo? Se avete un po’ di pazienza e di tempo libero, nelle pagine che seguiranno, avrete la possibilità di scoprire e di conoscere ogni elemento che caratterizza una delle più belle zone del territorio dei Castelli Romani forse la più panoramica.

Vi assicuriamo che non ne rimarrete delusi, anzi, ne sarete talmente entusiasti e curiosi che, se non lo avete mai fatto, vi recherete sul posto e vi diletterete alla scoperta di un ambiente che merita di essere conosciuto e valorizzato.

 

L’ambiente naturale

1.     Inquadramento geografico e geomorfologico.

L’area è caratterizzata dalla presenza del Vulcano Laziale, costituito nelle sue linee essenziali da un gruppo collinare che emerge dalla circostante campagna romana, fino a raggiungere quote massime di circa 1000 m s.l.m. A partire dalle zone più esterne, il Vulcano Laziale sale con pendenze dapprima abbastanza dolci e poi sempre più accentuate fino a raggiungere progressivamente in elevazione le quote alle quali sono stati edificati gran parte degli abitati dei Castelli Romani.

Questa situazione è il risultato di un’intensa attività vulcanica che si è avuta in un periodo compreso tra 600.000 e 20.000 anni fa e suddivisibile in tre fasi.

·       Nella prima (tra 600.000 e 360.000 anni fa) a seguito di intense esplosioni, si è formato un grande edificio vulcanico. I materiali che venivano eruttati dalla bocca del vulcano e cioè piroclastiti (parola che significa cose di fuoco come ceneri e lapilli) e lave, ricadendo hanno formato un gigantesco cono con la base larga di 60 km. Successivamente il cratere del vulcano è sprofondato originando una grossa depressione chiamata “caldera Tuscolano-Artemisia” perché formata da quelli che oggi sono i monti Tuscolani e i monti dell’Artemisio.

·       Durante la seconda fase (tra 270.000 e 200.000 anni fa) si è avuta la nascita di un vulcano più piccolo all’interno della caldera, i cui resti sono oggi i monti delle Faete e Monte Cavo.

·       La terza ed ultima fase (tra 100.000 e 20.000 anni fa) è caratterizzata attività vulcanica di tipo idromagmatica (idro=acqua), avvenuta a seguito di potenti esplosioni, causate dall’incontro del magma e dell’acqua. In questo periodo si formano i crateri occupati oggi dai laghi di Albano e Nemi e dalla Valle di Ariccia.

 

2.     Il clima

Monte Cavo è inserito nell’area dei monti Albani,  caratterizzata da un clima mediterraneo temperato caldo, con  prolungamento della stagione estiva ed inverno mite in cui le minime assolute scendono raramente al di sotto di 0 ° C anche nei mesi più freddi.

I valori medi annui delle temperature massime, sono compresi tra i 15 e i 22 °C, mentre le minime tra 9 e 12  ° C.

L’esposizione, l’altitudine, i venti, le precipitazioni, la  distanza dal mare, il tipo di vegetazione e la presenza di bacini lacustri creano diversi microclimi.

E’ questa la ragione per cui Monte Cavo, situato in una fascia compresa tra i 700 e i 950 m, è  caratterizzato da temperature inferiori rispetto a quelle precedentemente segnalate.

 

3.     La flora

Prima di parlare della flora tipica di Monte Cavo, dobbiamo ricordare che una comunità vegetale (alberi, arbusti e piante erbacee) presente su un determinato territorio, si diversifica man mano che si cambia latitudine. Ad ogni clima, quindi ad ogni temperatura, corrisponde una determinata varietà di piante. Andiamo ora a scoprire quali sono le specie arboree, arbustive ed erbacee che popolano l’ambiente da noi esaminato.

La vegetazione dei Castelli Romani può essere suddivisa in fasce vegetazionali, ma noi andremo a prendere in considerazione soltanto quella relativa alla quota di nostro interesse, ossia dai 500 ai 800 m. e quella da 800 a 900 m. La prima è detta bosco misto di latifoglie ed è l’ambiente del bosco misto originario vero e proprio; la seconda, invece, chiamata submontana, è caratterizzata dalla presenza del faggio.

Per ciò che riguarda il bosco misto, esso viene chiamato anche bosco Q.T.A., che vuol dire Querce, Tigli ed Aceri, le principali specie arboree che lo caratterizzano. Nello schema che segue si possono ritrovare tutte le specie arboree ed arbustive presenti sul territorio analizzato.

·       LECCIO:  (Quercus ilex)

dimensioni: alto fino a 25 m., con un diametro che può superare i l00 cm.

chioma: albero sempreverde di color verde scuro, prima ovale, poi più o meno appiattita

corteccia: Il fusto è abbastanza  diritto e si biforca a pochi metri dal terreno. La corteccia è liscia e grigia negli esemplari più giovani, più scura e finemente screpolata nelle piante adulte

foglie: semplici, alterne, di forma e dimensioni molto variabili, con lamina coriacea da ovale ad ellittica

fiori:  fiori maschili in amenti cilindrici, penduli, lunghi a maturità circa 4-7 cm e fiori femminili in spighe allungate, composte da 6-7 fiori. Fioritura a maggio

frutto: achenio (ghianda) allungato, a volte appuntito, di color marrone scuro, coperto per 1/3 da una cupola a squame ben distinte ed appiattite. La fruttificazione si ha in autunno inoltrato

utilizzazione: il legno è di buon pregio come combustibile, carbone vegetale e legna da ardere. La ghianda, un tempo, veniva utilizzata come alimento per i maiali

·       TIGLIO SELVATICO: (Tilia cordata)

dimensioni: albero caducifoglio che raggiunge un’altezza di 20-25 m, con diametro fino a 150 cm.

chioma: densa e rotondeggiante, con abbondante ramificazione

corteccia: Il fusto è diritto, slanciato, con intersezione dei rami a poca altezza da terra. Inizialmente (fino a 20-30 anni di età) la corteccia è liscia e grigiastra, poi assume una colorazione brunastra con fessure longitudinali

foglie: caduche, semplici, alterne, cuoriforme, acuminate all’apice, con il margine seghettato nella parte alta e liscio alla base

fiori: ermafroditi, peduncolati, odorosi, riuniti in gruppo. Fioriscono all’inizio dell’estate e sono di colore bianco-giallognolo

frutto: la fruttificazione avviene intorno ai 20-30 anni e durante il mese di ottobre. I frutti sono ovali, molto grossi, grigiastri a parte molto spessa

utilizzazione: di scarso interesse, ad eccezione della produzione di carbone per la produzione della polvere pirica. Un tempo, con il legno, venivano fabbricati zoccoli, giocattoli, cornici ed astucci per matite

  ·       ACERO DI MONTE:(Acer pseudoplatanus)

dimensioni: albero che può raggiungere i 40 m di altezza e 2m di diametro.

chioma: larga e rotondeggiante, con grossi rami, non molto numerosi e rametti cilindrici

corteccia: fusto diritto e cilindrico con corteccia grigiastra sfumata di rossastro, liscia nei giovani individui, squamata in placche sottili in maturità

foglie: caduche, semplici, opposte, con lamina palmata, acuminata all’apice, consistenti, grandi, lunghe circa 10-15 cm.

fiori: giallo-verdognoli, piccoli, numerosi, portati in racemi penduli lunghi 5-15 cm. La fioritura si ha da aprile a giugno, dopo la fogliazione

frutto: disamara, con ali divergenti e parete interamente rivestita di peli. Le ali sono generalmente ad angolo retto, qualche volta a V, lunghe 15-40 mm e larghe 6-20 mm

utilizzazione: il legno è molto pregiato, di color bianco avorio, facile da lavorare. Ottimo per i lavori di falegnameria e usato anche da i liutai per la realizzazione di alcune parti degli strumenti musicali ad arco.

  ·       PIOPPO TREMULO:(Populus Tremula)

dimensioni: albero caducifoglio alto fino a 25 m

chioma: arrotondata o conica con rami ascendenti

corteccia: fusto diritto con corteccia liscia, di color grigio-verdastro, screpolata in tarda età

foglie: se ne distinguono due diversi tipi : quelle portate su rami brevi laterali detti brachiblasti; quelle  sui rami allugati detti turionali. Le prime sono acuminate, sottili, troncate alla base; le seconde sono spesso più grandi, di forma triangolare, lungamente picciolate, con margine più o meno dentato

fiori: quelli maschili sono lunghi 8-10 cm, quelli femminili più lunghi, fino a 12 cm. La fioritura si ha da marzo a maggio

frutto: capsula conica, contenente numerosi semi lungamente pelosi

utilizzazione: il legno tenero e leggero e con durame rossiccio, compatto ed omogeneo è molto ricercato per la fabbricazione dei fiammiferi o, nell’industria cartaria, per la produzione di cellulosa

·       CASTAGNO:(Castanea sativa)

dimensioni: albero di grandi dimensioni, che raggiunge in media i 15-25 m di altezza e, eccezionalmente i 30-35 m.

chioma: portamento maestoso, chioma espansa e rotondeggiante negli esemplari adulti ed isolati

corteccia: negli individui giovani è liscia, lucida e di colore bruno-rossastro, poi più scura e spessa, con screpolature longitudinali, spesso contorte a spirale.

foglie: semplici, caduche, alterne, lunghe 10-25 cm e di forma ellittico-lanceolata, con margine seghettato

fiori: fiori maschili riuniti in amenti eretti, molto appariscenti, con odore forte e penetrante, lunghi 10-20 cm; quelli femminili sono isolati o riuniti in gruppi di due tre. La fioritura avviene nel mese di giugno

frutto: achenio (castagna), di forma emisferica e schiacciata, con pericarpo coriaceo, lucido, di colore marrone all’esterno, peloso e interamente racchiuso in una cupola pungente (riccio), che a maturità si apre liberando 1-3 castagne

utilizzazione: nel passato il castagno ha rappresentato una risorsa essenziale per la vita delle popolazioni montane. La produzione e l’utilizzo del frutto è stata spesso una fonte primaria nell’alimentazione umana e, per tale motivo, la pianta è stata definita “albero del pane”. Il suo interesse attuale è legato alla produzione di frutti di qualità per l’industria dolciaria e a quella legnosa, per la produzione di legname da sega, per falegnameria e mobilio, travame e paleria.

  ·       FAGGIO:(Fagus sylvatica)

dimensioni: albero caducifoglio alto fino a 35 m e con diametro che può raggiungere e superare i 150 cm.

chioma: è ampia, densa e compatta, inizialmente conica, in seguito ovale. I rami sono tipicamente eretto-ascendenti,

corteccia: Il fusto è diritto e cilindrico e la corteccia liscia, sottile, di color grigio, con macchie orizzontali di colore più chiaro per la presenza di licheni

foglie: caduche, semplici, alterne con lamina ovale-ellittica

fiori: unisessuali; i maschili sono lunghi 1,5-2  cm, penduli, pelosi, i femminili sono riuniti a 2 a 2, eretti, sferici, peduncolati, pelosi, portati da una cupola a 4 lobi. La fioritura avviene in aprile-maggio

frutto: achenio (fagiola), coriaceo, di color rossiccio, avvolta da una cupola legnosa che giunta a maturità si apre, liberando 2 fagiole

utilizzazione: il legno è utilizzato per la fabbricazione di mobili, arredamenti ed oggetti di uso domestico, per compensati o come legna da ardere

  ·       AGRIFOGLIO:(Ilex aquifolium)

dimensioni: arbusto o piccolo albero sempreverde che raggiunge un’altezza di 8-10 m e un diametro di 30-50 cm

chioma: è densa ed eretta, più espansa e cespugliosa nelle piante isolate

corteccia: . Il tronco è generalmente diritto, piramidale  negli individui cresciuti in bosco con corteccia verde, liscia in gioventù, con delle screpolature e di colore tipicamente grigiastro in maturità

foglie: persistenti, semplici, alterne, ovali o ellittiche, acuminate all’apice, coriacee, rigide. Il margine e dentato e spinoso nelle foglie basali, parzialmente dentate o intere nelle foglie della parte più alta della chioma.

fiori: unisessuali, piccoli, solitari o a mazzetti di 2-3, su brevi peduncoli. Fiorisce in primavera inoltrata  e i fiori sono di color bianco

frutto: drupa polposa, inizialmente di color verde, roso vivo a maturità. Fruttifica lla fine dell’autunno.

utilizzazione: pianta con valore ornamentale, utilizzata nei parchi e nei giardini.

·       VESCICARIA: (Colutea arborescens)

dimensioni: arbusto o alberello, generalmente, con un’altezza di 1-2, eccezionalmente 4 m.

chioma: i rami sono ascendenti ed arcuati, esagonali quando la pianta è giovane

corteccia: Il fusto è molto ramificato, di color bruno-rossastro chiaro, con peli brevi e sottili. Nei rami giovani è prima verde, poi verde- brunastro chiaro

foglie: caduche, composte, imparipennate, con un numero di foglioline da 7 a 11, di forma ovale e allungata. Il margine è intero

fiori: riuniti in infiorescenze su un rachide lungo, dove sono inseriti 4-6 fiori

frutto: legume a forma di grossa vescica, con piumette alla base, inizialmente è di colore verde, poi diventa rosso e, quando è maturo avana e trasparente

utilizzazione: pianta di interesse ornamentale per la particolare bellezza dei frutti. In campo officinale vengono usati i semi e le foglie che contengono principi attivi con proprietà purgative, diuretiche e depurative.

  4.     La fauna

E’ proprio in questo ambiente così rigoglioso e ricco di piante che vivono molte specie di animali,  anche se, a volte, la loro non è una vita molto tranquilla. La presenza umana è divenuta sempre più soffocante sul territorio e ciò non agevola la loro esistenza, né il lavoro di persone preposte alla loro salvaguardia, quali i guardiaparco o le guardie forestali.

Ma vediamo più da vicino gli animali che popolano Monte Cavo e cerchiamo di conoscere meglio le loro abitudini.

-       CINGHIALE: E’ un mammifero ed è riapparso di recente dopo il reinserimento da parte dell’uomo. Questo intervento è stato preso per scopi venatori, ossia per poterlo cacciare. Vive in branchi di venti o più individui e si nutre scavando nel sottobosco tuberi, radici, bacche, a volte, anche piccoli animali. Non è facilmente osservabile, ma si possono facilmente notare le sue tracce, grazie alla terra smossa che lascia al suo passaggio. E’ ungulato e le sue zampe terminano con degli zoccoli.

-       RICCIO: E’ un animale molto comune, con il manto ricoperto di aculei. Ha la capacità di aprirsi e di chiudersi “a palla” per difendersi dai nemici. Si nutre di lombrichi, piccoli roditori e lumache.

-       VOLPE: E’ un mammifero  e vive pressoché indisturbato in questo ambiente, non essendoci altri predatori, quali il lupo e l’aquila. Come tutti gli animali selvatici, non ama la presenza dell’uomo. Per attestare la sua presenza e segnare il suo territorio, è solito lasciare i suoi escrementi, su pietre o rocce.

-       ARVICOLA: E’ certamente il roditore più numeroso in tutto il Parco Regionale, grazie alla sua straordinaria capacità riproduttiva. Purtroppo, rappresenta “il pasto” di molti altri animali, come il gheppio, l’allocco, il barbagianni, la faina, la donnola e la volpe. Si nutre di diverse piante erbacee, frutti, chicchi di grano e semi di vario tipo. Per questo motivo è molto dannosa per l’agricoltura.

-       TALPA: E’ uno dei mammiferi più piccoli, instancabile scavatrice di gallerie che rappresentano il suo territorio di caccia. Si nutre, soprattutto di larve d’insetti e di lombrichi.

-       GHEPPIO: E’ certamente il rapace più diffuso. Si presenta come un falchetto con la coda abbastanza lunga di color nocciola. Una delle tecniche di caccia più utilizzate, è quella dello “spirito santo”, che consiste nel restare fermo in aria battendo velocemente le ali a tenendo la coda aperta ed abbassata. Osserva la sua preda dall’alto per poi buttarsi in picchiata ad afferrarla. Si nutre di lucertole, ramarri, piccoli roditori.

-       ALLOCCO: Un rapace notturno molto comune e presente durante tutto l’anno. Normalmente utilizza, come nido, cavità di vecchi alberi. Un esemplare giovane, quando ancora incapace di volare, rimane sempre nei pressi del suo nido, per essere nutrito dai suoi genitori.

-       GUFO COMUNE: Rapace notturno meno diffuso dell’allocco. E’ facilmente riconoscibile grazie a suoi cornetti auricolari ed al colore degli occhi di un acceso arancione.

-       CIVETTA: Piccolo rapace notturno presente tutto l’anno. Come il barbagianni predilige utilizzare, per nidificare e per dormire durante il giorno, anche fienili e vecchi ruderi.

-       GHIANDAIA: E’ un uccello appartenente alla famiglia dei corvidi. E’ difficile vederlo ma è molto facile sentirlo grazie al suo verso gracchiante e metallico. Il suo piumaggio va dall’azzurro acceso, al nero, al bianco.

-       BECCACCIA: Presente nel periodo di passaggio dall’estate all’autunno, durante il quale, spesso, è oggetto di bracconaggio. Ha un lungo becco, del quale si serve per cercare a terra, nel sottobosco, larve d’insetti, coleotteri, lombrichi ed altri piccoli animaletti.

-       UPUPA: E’ un uccello migratore che giunge in questo territorio nel mese di marzo, per nidificare e tornare poi alla fine dell’estate nel continente africano. Si alimenta di lombrichi e vermi che cerca nel sottobosco, grazie all’uso del suo lungo becco.

-       FAGIANO: E’ un uccello che si può incontrare facendo escursioni. Esso viene immesso nella zona a scopo venatorio ma alcuni riescono a trovare rifugio nel sottobosco, dove hanno la possibilità di riprodursi.

-       PICCHIO : Sono diffuse due specie: il picchio rosso maggiore e quello verde. La loro peculiarità è la robustezza del becco, che viene utilizzato per diversi scopi: per la ricerca del cibo e per la costruzione del nido, per realizzare il quale occorrono dai dieci a quindici giorni. Il p. rosso maggiore utilizza il becco anche per un’altra funzione: nel periodo primaverile, in particolare tra febbraio e maggio, esso, con il suo becco, produce delle “scariche” di sei-dieci colpi al secondo, alternate da pause. Questo caratteristico segnale ha la funzione di manifestare la sua presenza agli altri p.: ai maschi per invitarli a non avvicinarsi, per le femmine è un invito a farlo.

Il p. verde, per raggiungere questo scopo, utilizza la voce, stridula e potente. Essi differiscono anche per il modo di procurarsi il cibo: il p. rosso ricerca il cibo (larve e insetti), creando dei buchi sulla corteccia degli alberi e, dopo aver trovato la preda, la estrae con la sua lunga lingua. Il p. verde, invece, cerca a terra il suo cibo, soprattutto ragni, formiche e insetti, trovate tra le foglie del sottobosco.

 

Cenni storici e testimonianze archeologiche

Sul monte più alto del Latium Vetus, ancor prima della nascita di Roma, i Latini ritenevano che vivesse la loro maggiore divinità, Giove o Iuppiter Latiaris. E’ proprio in questo posto, sul Mons Albanus, poi Monte Cavo (dall’antica località Cabum, sita dove oggi sono i Campi d’Annibale, distrutta da Roma nel 400 a.C.), che essi consacrarono un tempio al dio, dopo aver sterrato la vetta (il monte, infatti, ha la forma di un cono tronco). L’area occupata dall’edificio era di circa 280 mq. ed era circondata da robuste mura, realizzate mediante l’impiego di massi di pietra ben squadrata e di diversa grandezza. Prima del 1910-1911 si riteneva che l’edificio non avesse tetto ma, il ritrovamento di diciotto tamburi di colonne, di terracotte e di tegole, nella località Guardianone (immediatamente sotto monte Cavo), hanno permesso di capire che il tempio non solo era circondato da colonne, ma aveva una copertura e rivestimenti in terracotta. Probabilmente il modello seguito era quello etrusco e recava esternamente, a sinistra, l’ara sacrificale.

Secondo la tradizione, il tempio fu voluto da Tarquinio il Superbo per unire, con un unico culto e presso la medesima località, tutte le tribù del Lazio.

Ogni anno, gli ufficiali e i personaggi più importanti delle tribù laziali, Eque, Volsche ed Erniche, si riunivano per stabilire regole comuni, tenere i mercati, fare dei sacrifici per rendere grazie a Giove, per partecipare a giochi, organizzati sulla piana dei Campi d’Annibale. In questo modo, il tempio non aveva soltanto un valore religioso, ma anche politico e sociale.

Durante le “Feriae Latinae”, Roma rimaneva quasi del tutto deserta. Il momento più importante delle cerimonie era il sacrificio di tori bianchi dalle corna dipinte di oro, adornati con alloro e fiori.

Le carni venivano distribuite a tutti, tra danze, gare sportive e convegni.

Il monte Albano era sacro anche per il “piccolo trionfo” o “ovazione”: ai comandanti vittoriosi, al ritorno da imprese militari, Roma, con un decreto del Senato, organizzava loro una festa in Campidoglio. Se, invece, i comandanti non avevano partecipato ad imprese militari o quando non era loro permesso di salire al Campidoglio, ricevevano le onorificenze al Tempio di Giove Laziale, con il capo coronato di mirto. L’edificio veniva raggiunto per mezzo della Via Sacra e, alla fine del percorso, veniva sacrificato una pecora (pecora = ovino = ovazione).

A causa dell’avvicinarsi minaccioso di Annibale, le mura del tempio furono fortificate così come la zona circostante, strategicamente importante. Successivamente il tempio subì varie vicissitudini:

-       Nel medio evo decadde e, al suo posto venne costruito un eremo dedicato a San Pietro, il quale ospitò religiosi polacchi, missionari fiamminghi e spagnoli.

-       Il tempio, successivamente, andò in rovina per incuria degli uomini e per le intemperie Nel 1727 fu costruito un monastero e nel 1758 San Paolo della Croce portò i frati passionisti. Per la sua realizzazione sembra siano stati utilizzati materiali prelevati dal vecchio tempio, così come testimoniano alcuni operai roccheggiani agli inizi del XVIII sec.

-       Il monastero venne abbandonato nel 1889 e, dopo alcuni anni, trasformato in una trattoria.

Diverse persone si sono alternate alla gestione del ristorante ma fu grazie a Pacifico Grimaldi che venne realizzato un vero e proprio complesso alberghiero ove vennero ospitati personaggi illustri quali Pirandello, De Gasperi, De Sica, Fabrizi, i principi di Winsor ecc.

Attualmente, dell’area sacra dedicata a Giove, rimangono solo pochi blocchi di tufo del recinto, portati alla luce durante gli scavi del 1929, che però non sono state sufficienti per affermare la presenza del tempio, ma soltanto quella di strutture idonee alla realizzazione di un complesso sacrale.

Come abbiamo precedentemente affermato, l’accesso al tempio di “Iuppiter Latiaris” era permesso solo per mezzo della “Via Sacra”, erroneamente chiamata “Via Triumphalis”. Larga 2,55 m. è lastricata con basoli (sassi cuneiformi nella parte inferiore, infilzata nel terreno) di selce e fiancheggiata dalle crepidini, blocchetti di peperino e, in alcuni punti, da resti di un muro di contenimento in opera quadrata.

Estesa per una lunghezza di circa 3 Km., si staccava dalla Via Appia, all’altezza di Ariccia, attraversava risalendo il cratere del lago di Albano e risaliva, infine, a tornanti su Monte Cavo.

La strada, inoltre, presenta, ancor oggi, alcuni particolari, come i cosiddetti falli apotropaici, scolpiti a rilievo su alcune basole, avente il potere di allontanare il male ed il “malocchio”; delle incanalature artificiali per le acque torrenziali e le lettere N e V diversamente interpretate( 1. Novus e Vetus, per indicare la parte vecchia della strada e quella che, in quel tempo era stata sistemata;

2. Sono le iniziali dei proprietari delle due ditte che realizzarono l’opera).

 

Come visitare Monte Cavo

  Non è poi così difficile raggiungere la vetta di Monte Cavo! Lo può fare chiunque: uomini, donne, bambini, ragazzi di qualunque età, perfino i meno giovani. Le strade di accesso e quelle più facilmente percorribili sono due:

1.     Sentiero “Monte Cavo – Monte delle Faete”

2.     Sentiero “Via Sacra”

 

1.     Sentiero “Monte Cavo – Monte delle Faete”

Partendo dal Km 12 dalla via dei Laghi (SS.217), 350 m. oltre il ristorante “La Foresta”, attraverso un breve tratto, si sale fino a Monte Cavo, per la Via Sacra che conserva quasi l’intero tracciato originario. Qui si possono ammirare i fitti boschi di castagno, con un sottobosco ricco di agrifogli, pungitopi, eriche ciclamini, anemoni e viole.

Dopo aver percorso circa 2,5 Km, si incontra, sulla destra, un terrazzo, il cosiddetto “Belvedere”, dal quale si può godere di un panorama mozzafiato: in lontananza si può osservare, nelle fredde e serene giornate invernali, la costa tirrenica ed il promontorio del Circeo. Più da vicino, invece, i paesi di Nemi, Genzano, Ariccia, Albano e Castelgandolfo. Tra il verde del bosco, inoltre, spiccano due “occhi “ blu: sono il lago di Nemi e quello di Castelgandolfo. Tra i due bacini lacustri, poco più a valle, si trova la Valle Ariccia, la cui morfologia mostra con chiarezza la sua origine: come le due altre caldere, anche questa ospitava un’area palustre, che venne poi prosciugato dai Romani.

Andando più avanti, dove l’antica strada sfiora quella asfaltata, percorrendo quest’ultima per circa 500 m., si può raggiungere la vetta del nostro monte (m. 949), sulla cui sommità si possono trovare superstiti della vecchia faggeta, attualmente sostituita da una “foresta” di antenne e di ripetitori e  qualche altro esemplare isolato della medesima specie.

Scendendo da Monte Cavo, percorrendo circa 2 Km di strada asfaltata, si trova, a sinistra, un sentiero di strada battuta che si snoda attraverso le macchie Barbarossa. Continuando il percorso, si arriva sul versante dei Monti delle Faete, Monte Pennolo, Monte Artemisio fino ad arrivare all’uscita del bosco, dove la vista si apre sui Pratoni del Vivaro.

 

2.     Sentiero “Via Sacra”

Si tratta di un sentiero specifico che percorre tutto il tracciato viario della strada romana.

Partendo da piazza G. Di Vittorio, si prende Via di Monte Cavo e, dopo aver percorso una salita, si giunge sulla Via Sacra, all’altezza della Cappelletta dedicata a S. Rita. Proseguendo, si arriva alla loggetta del Belvedere. Riprendendo il percorso all’indietro, si torna alla Cappelletta e, proseguendo in discesa, dopo una serie di curve, si arriva alla località detta Prato Fabio, un rilievo collinare ripido su tre parti, sul quale Monte Cavo sembra poggiarsi. Quest’area è stata indicata come probabile luogo ove risiedeva l’antico insediamento di Albalonga.

Lasciato Prato Fabio, sempre in discesa, la strada diventa più larga e dritta, fino ad arrivare al punto in cui la Via Sacra s’interrompe a causa dell’asfalto della strada privata di Monte Cavo. Il basolato riprende, però, poco dopo e continua la sua discesa fino alla località detta “Il Guardianone”.

L’intero percorso è caratterizzato dalla presenza di tabelloni con notizie storiche, archeologiche e naturalistiche relative alle vicende legate a questi luoghi.