IL BOSCO di MARINO: DENOMINAZIONE e DELIMITAZIONE dell’AREA
Molti sono i nomi con i quali è stata ed è tuttora nominata questa area verde presente nel comune di Marino.
Fra le principali denominazioni storiche, ricorrenti soprattutto presso le fonti antiche e medioevali, vi sono: Selva Ferentina, Luco Ferentino, Bosco Ferentum, Ferentano; Barco, usato soprattutto al tempo della Signoria Colonna, nel senso di parco recintato riservato alla caccia e allo svago dei nobili; Macchia, cioè foresta che da Marino arrivava fino sotto Rocca di Papa e si ricollegava fino alla via Appia dopo le Faete e l’Artemisio.
Con la denominazione “ Bosco di Marino” si può intendere una zona più vasta che comprende:il “Barco” ovvero l’area del parco dei Principi Colonna , situato a sud-est della collina su cui sorge Marino, tra le vie Ferentum, Parco degli Eroi, Capo d’acqua , via di Costa Caselle e via del Prato della Corte;e il “Bosco Ferentano” indicato anche con il nome di “Intergo”, situato a sud-ovest del centro abitato, al disopra della valle, nella quale transita la linea ferroviaria Roma- Albano con le Cave di Peperino e l‘omonimo quartiere, fra la via dei Laghi nel tratto Marino-Ciampino e la via Maremmana Inferiore nel tratto Marino-Castelgandolfo.
Le due zone naturalistiche che sono simili per la cenosi boschiva sono diverse per la morfologia del terreno situato su diverse quote altitudinali. Infatti mentre il Barco si presenta come una forra, cupa per la vegetazione che ricopre i fianchi e il fondo della valle, la Macchia dell’Intergo emerge dal baratro delle cave di peperino alto circa 30 metri e s’innalza fino all’orlo del cratere del lago di Albano.
Le due parti dello stesso Bosco, originariamente unite da un tratto della valle Ferentina, che già i Latini avevano provveduto a disboscare e utilizzare come cava di tufo, furono definitivamente separate dal cavalcavia , o ponte Gregoriano, voluto da papa Gregorio XVI nel primo trentennio del 1880, per dare un migliore accesso alla città di Marino superando la marrana e il forte dislivello della vallata.
Il Barco, o Parco Colonna, venne fatto sistemare dai principi Colonna dal 1599 al 1606, da famosi architetti, inserendo al suo interno manufatti artistici che ben s’intonavano con le essenze arboree autoctone. Nel piazzale delle fontane furono poste ben 7 statue su piedistalli e 2 coricate, di grandezza superiore al naturale.delle quali oggi restano visibili, ma acefale e mutilate, solo due di esse in peperino Diana-Artemide e forse Oceano.
Il bosco Ferentano, che sorge sulla parte più alta del costone tufaceo che discende dal giro esterno del cratere del vulcano Albano a sud-est della capitale, è una forra (fossato folto di vegetazione ) che separa la città di Marino dall’invaso del lago di Albano. In origine il tutto era rivestito da un fitto manto forestale man mano ridotto dall’intervento umano.Ritagli delle foreste originali sopravvivono a millenni di deforestazioni causate da insediamenti umani, colture, eventi bellici e casuali incendi.
L’attività vulcanica che ha interessato la nostra regione ha avuto inizio circa due milioni di anni fa , concludendosi poche migliaia di anni or sono.
Il territorio dei Colli Albani, nel quale si trova il bosco Ferentano, inizia a formarsi circa 600.000 anni fa in tre distinte fasi.
I FASE
A seguito di violente esplosioni si forma un grande edificio vulcanico(fig.1). I materiali che vengono eruttati dalla bocca del vulcano e cioè piroclasti, (cose di fuoco: ceneri lapilli ecc..)e lave, ricadendo formano un gigantesco cono largo alla base 60km. Successivamente il cratere del vulcano crolla originando una caldera (fig.2). questa caldera viene chiamata Tuscolano-Artemisia, perché formata da quelli che oggi sono i monti Tuscolani e i monti dell’Artemisio.L’attività di questa prima fase termina circa 360.000 anni fa.
II FASE:
Inizia dopo un lungo periodo di pausa, intorno ai 270.000 anni fa. La principale caratteristica è la nascita di un vulcano più piccolo all’interno del vulcano che si era formato prima.
III FASE:
Tra 100.000 e 20.000 anni fa a seguito di violente esplosioni,causate dall’incontro tra il magma incandescente e l’acqua , abbondantemente presente nel sottosuolo si formarono i laghi di Nemi ed Albano.Questa fase è detta “idromagmatica”. Nello stesso periodo si formarono altri laghi che in seguito furono prosciugati dall’uomo per dare origine a valli che pian piano vennero popolate, formando i diversi paesi che oggi formano i Castelli romani.
Fu pure in questo periodo che si formarono i vasti banchi di Peperino che caratterizzano la zona, su cui poggia Marino e su cui si abbarbica lo stesso Bosco di Marino. L’orografia ne fu sconvolta: quasi metà dell’orlo del recinto esterno crollò più a valle insieme ai fianchi del lato sud-ovest del vulcano primordiale, lungo la direttrice Frascati-Velletri, sul versante dell’Appia, e quindi fu poi modellata nel corso degli ultimi 30.000anni dai corsi d’acqua, dalle piogge, dai venti e da altri agenti atmosferici, nonché dall’intervento umano.In tal modo il complesso del cratere vulcanico laziale, cui il Bosco appartiene, ha una struttura molto particolare con i suoi rilievi frastagliati e contrapposti a quote d’altitudine diverse, tali da offrire una differenziata esposizione ai raggi del sole e ai venti. In genere per questa zona si può parlare di clima mediterraneo temperato di tipo marittimo con estati calde , inverni non troppo freddi e con autunni più miti delle primavere; inoltre le piogge sono di media intensità e concentrate nel periodo compreso fra autunno e primavera.
Tuttavia a causa della sua peculiare conformazione orografica il vulcano laziale presenta all’interno della sua generale situazione climatica tutta una serie di microclimi che influiscono a loro volta sullo sviluppo della vegetazione e sull’ambientazione di certe specie. Infatti molte piante si sono adattate a vivere a quote diverse da quelle abituali, grazie alle speciali situazioni di luce e di calore e anche di precipitazione meteorologiche, causate dalla conformazione del terreno che presenta contemporaneamente a diversa altitudine zone esposte al sole e zone d’ombra.
Questo Bosco si formò nel corso di duecentomila anni, fra700 e 500 mila anni fa, per accumulo di materiali lavici su un territorio pianeggiante, formato da sedimenti alluvionali sparsi fra gli Appennini e il mar Tirreno
In questo Bosco trovano ospitalità varie piante latifoglie caducifoglie, che coabitano tra loro senza prevalere le une sulle altre: la Quercia, il Tiglio, l’Acero. A queste si aggiunge il Leccio che è presente sui fianchi anziché sul fondo del vallone,a causa di quel fenomeno, legato alla particolare conformazione orogenetica detta “inversione altitudinale delle fasce di vegetazione”, dovuto alla forma e all’orientamento della Valle Ferentina, piuttosto profonda, umida, fredda, e riparata dal sole che sorge dietro al recinto del Vulcano Laziale.Altre piante importanti sono:il Carpino Nero e il Carpino Bianco che con i suoi 105cm di diametro è fra gli esemplari più maestosi di questa specie in tutta la Penisola . Vi sono inoltre l’Acero d’Ungheria e l’Acero Campestre dei quali si segnalano due esemplari molto maestosi.
Nel bosco Ferentano ci sono diversi tipi di piante, come:
ACERO CAMPESTRE – Acer campestrer L -
FAMIGLIA: Aceraceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: albero caducifoglie di dimensioni medio- piccole, che normalmente raggiunge un’altezza di dieci o quindici metri, Il fusto è dritto e la chioma è ampia ed ha un accrescimento lento.
CORTECCIA: rosso- brunastro screpolata
FOGLIE: caduche, semplici, opposte, palmate- lobate, cordate alla base lunghe 4- 7 cm e larghe 4- 12 cm.
MARGINE: intero con cinque lobi ottusi ( i tre mediani più grandi)
NERVATURE: dritta e rilevata quella principale, le secondarie rilevate e con ciuffi di peli all’inserzione con la nervatura principale
FIORI: poligami, verdognoli
FRUTTO: disamare con ali opposte lunghe 20 o 30mm.
Con il suo legno si costruiscono manici di vilino, attrezzi agricoli, bastoni da passeggio e stecche da biliardo.
TIGLIO SELVATICO –Tilia Cordata Miller-
FAMIGLIA: Tigliaceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: albero caducifoglie che raggiunge un’altezza di 20- 25m, con diametro fino a 150cm
La chioma è densa,ovale- tondeggiante, con abbondante ramificazione
CORTECCIA: liscia e grigiastra
FOGLIE: caduche, semplici, alterne, cuoriformi o suborbicolari, spesso asimmetriche alla base, leggermente acuminate all’apice, lunghe 2- 8cm e larghe1,5- 7cm
MARGINE: dentato o minutamente e irregolarmente seghettato, intero nella parte basale
NERVATURE: primarie e secondarie evidenti
PICCIOLO: sottile, con sfumature rossastre o violacee, lungo 2- 4cm
FIORI: peduncolati odorosi riuniti in gruppi di 3-10
FRUTTO: corcerulo ovale o subgloboso, indeiscente, legnoso, grigio-tormentoso, piccolo
Il suo legno si usa per fabbricare mobili, zoccoli, tacchi, matite, fiammiferi; i suoi fiori si usano per decotti depurativi.
ROVERELLA- Quercus Pubescens Wild
FAMIGLIA: Fagaceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: albero caducifoglie di dimensioni medio- grandi che può raggiungere un’altezza di 25m e una circonferenza fino a 8m. Chioma larga, irregolare, subrotonda e depressa
CORTECCIA: di colore grigio- scuro o brunastro
FOGLIE: caduche, semplici, alterne, lobate, coriacee e molto variabili nella forma e nelle dimensioni, Sono ovato- allungate con lamina cuneata o cordata alla base
MARGINE: lobato con un numero variabile di lobi, arrotondati e a volte acuti e suddivisi in brevi lobuli
NERVATURE: evidente quella principale e solitamente intercalata da quelle secondarie
PICCIOLO: di media lunghezza, da 1- 2cm
FRUTTO: achenio (ghianda) di forma variabile da ovoidale a subellissoidale
Il legno viene usato per costruzioni navali, traversine.
AGRIFOGLIO- Ilex aquifolium.L.-
FAMIGLIA: Aquifoliaceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: arbusto o piccolo albero sempreverde che raggiunge un’altezza di 8- 10m e un diametro di 30- 40cm.
Il tronco è generalmente dritto con chiome dense. Negli individui cresciuti in bosco è piramidale e più espansa nei soggetti isolati. La crescita è abbastanza lenta e la longevità è elevata, fino oltre 300 anni di età
CORTECCIA: verde, liscia e glabra in gioventù con sottili screpolature e di colore grigiastro con l’età.
FOGLIE: persistenti semplici, ovali o ellittiche, acuminate all’apice, coriacee e rigide
MARGINE: leggermente ondulato, dentato- spinoso
NERVATURE: principale evidente e di colore verde giallastro chiaro
FIORI: unisessuali, piccoli, solitari o in mazzetti di due- tre, corolla con 4 petali bianchi. La fioritura avviene in primavera da aprile a giugno
FRUTTO: drupa globosa, peduncolata, polposa, inizialmente di colore verde e rosso vivo a maturità. Ha un diametro di 5- 6mm, contiene da due a cinque mesi e fruttifica alla fine dell’autunno
CASTAGNO- Castanea sativa Miller-
FAMIGLIA: Fagaceae
Il castagno oggi presente nel bosco fu introdotto nel XVII secolo soprattutto per motivi economici. Il castagno è un albero che cresce più velocemente rispetto ad altri e quindi produce negli anni più legname che pertanto viene usato sia per costruzioni di arredi che come legna da ardere. Inoltre il castagno produce un frutto molto nutriente, la castagna, che veniva utilizzata per ricavarne una specie di farina molto importante per l’alimentazione delle diverse popolazioni.
DIMENSIONI E PORTAMENTO: albero di grandi dimensioni, che raggiunge in media i 15- 20m di altezza. Il portamento è maestoso, con fusto robusto e dritto, con grandi ramificazioni e chioma espansa e rotondeggiante. Ha un’elevata longevità, fino a 400- 500 anni.
CORTECCIA: negli individui giovani è liscia, lucida e di colore bruno- rossastro, poi più scura e spessa con striature longitudinali
FOGLIE: semplici, caduche, alterne, lunghe da 10 a 25cm, di forma ellittica, lanceolate
MARGINE: seghettato
NERVATURE: evidenti e nettamente rilevate
FIORI: molto appariscenti con odore intenso e lunghi da 10 a 20cm. La fioritura avviene nel mese di giugno
FRUTTO: achenio (castagna) di forma emisferica e schiacciata con pericarpo coriaceo, lucido e di colore marrone all’esterno, peloso internamente e racchiuso in una cupola (riccio) pungente, che a maturità si apre liberando 1- 3 castagne
SAMBUCO NERO- Sambucus nigra L -
FAMIGLIA: caprifogliacea
DIMENSIONI E PORTAMENTO: arbusto o piccolo caducifoglie con altezza di 4- 7m. Chioma densa e ramosa, sviluppata in modo intricato
CORTECCIA: glabra e verde
FOGLIE: caduche, opposte imparipennate con 4- 5 foglioline
MARGINE: seghettato
PAGINA SUPERIORE: brillante verde scuro
PAGINA INFERIORE: opaca verde chiaro
NERVATURE: nervatura principale pennata ed evidente, nervature terziarie reticolate
PICCIOLO: glabro, lungo 4- 10cm, breve, lungo 7- 12mm, molto breve o assente nelle foglioline terminali
FIORI: ermafroditi piccoli, numerosi, molto odorosi, riuniti in corimbi terminali, grandi ombrelliformi appiattiti in alto, corolla a raggiera con 5 petali di colore bianco- giallastro
FRUTTO: nero e lucido contenente 3 semi
BERRETTA DEL PRETE -Eunoymus europeaeus L-
FAMIGLIA: celostraceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: arbusto o alberello caducifoglie alto fino a 6m. Chioma espansa e robusta
CORTECCIA: colore verde nei giovani rami, con l’età compaiono lunghe strisce e solchi longitudinali di colore giallastro
FOGLIE: semplici, opposte, caduche, lanceolate, lunghe da 5 a 8cm, acuminate all’apice e ristrette alla base, colorate di rosso in autunno
MARGINE: finemente dentato
PAGINA SUPERIORE: di colore verde intenso
PAGINA INFERIORE: di colore verde bluastro
FIORI: ermafroditi, piccoli, riuniti in corimbi, composti e portati da sottili peduncoli eretti, corolla con 4 piccoli petali di colore giallo verdastro chiaro tendente al bianco. Fiorisce da aprile a giugno
FRUTTO: capsula di colore rosa o rosso scarlatto composta da 4 valve appaiate contenenti 4 semi ovoidali arancione e maturanti durante l’estate. Le valve del frutto ricordano il cappello da prete a 3 punte, da cui il nome volgare della pianta
NOCCIOLO- Corylus ovellona L-
FAMIGLIA: Coryxlacea
DIMENSIONI E PORTAMENTO: arbusto o piccolo caducifoglie, alto in genere 2- 5m. Chioma densa e subrotonda e irregolare. Radici espanse e robuste
CORTECCIA: color terra di Siena scuro,con peli rigidi che finiscono con una piccola ghiandola
FOGLIE: caduche, semplici, alterne, lobate, cordate alla base e acuminate all’apice
MARGINE: doppiamente seghettato
PAGINA SUPERIORE : pubescente un po’ ruvida, colore verde scuro
NERVATURE: nervatura principale evidente, nervature secondarie pennate
PICCIOLO: lungo5- 20mm
FIORI: di colore giallo e comparenti fin dall’estate
FRUTTO: prima verdognolo, quindi brunastro- rossiccio peduncolato e portato a gruppi o solitario circondato da una cupola fogliacea
Il suo legno viene usato per lavori d’intarsio e si ottengono i carboncini.
OLMO COMUNE- Ulmus Minor Miller-
FAMIGLIA:Ulmaceae
DIMENSIONI E PORTAMENTO: albero caducifoglie che raggiunge un’altezza di 30- 40m. Circonferenza fino a 6m. Chioma rotondeggiante e a volte oblunga
CORTECCIA: liscia, grigio- nerastra
FOGLIE: caduche, semplici, alterne, ovate, acuminate all’apice, tipicamente asimmetriche alla base, coriacee e di dimensioni variabili lunghe da 2 a 10cm e larghe da 1,5 a 5cm
MARGINE: doppiamente seghettato
PAGINA SUPERIORE: più o meno lucente e di colore verde scuro
PAGINA INFERIORE: opaca e di colore verde più chiaro e con radi peli
NERVATURE: nervatura principale ben rilevata, nervature secondarie ripartite in 7- 12 o 15 paia
PICCIOLO: breve, lungo 8- 15mm
FIORI: ermafroditi, numerosi, piccoli, lunghi 3- 5mm
Il suo legno è usato per fare mobili.
Un tempo il BOSCO forniva un habitat ideale per una fauna molto varia; in particolare per mammiferi, quali cervi, caprioli e lupi. La crescente antropizzazione (=presenza dell'uomo) del territorio ha comportato una graduale scomparsa di queste specie, mentre si osserva ancora la presenza di piccoli mammiferi, quali la volpe, l'istrice, il tasso, la donnola ed il riccio, così come quella di alcuni rapaci diurni e notturni, quali il falco pellegrino, la poiana, il gufo, il barbagianni e la civetta ed inoltre il picchio, numerosi rettili quali la lucertola, il ramarro.
Per l'equilibrio dell'ambiente numerose sono le specie di insetti che vivono nel bosco di Marino e che intervengono nei processi di impollinazione e di fertilizzazione del terreno.
L'istrice: timido e riservato, è difficile da osservare in natura perché attivo soprattutto al crepuscolo e di notte; si nutre di radici e frutta. E' possibile trovare in terra gli aculei che ogni tanto perde.
Il riccio :è un animaletto molto comune. Ha la capacità di richiudersi formando una palla, sfuggendo così alla predazione. Non così rispetto alle automobili; infatti non è difficile trovare ricci morti investiti sulle strade, dove spesso si intrattiene nelle ore notturne, in quanto l'asfalto, durante la notte, rilascia gradualmente il calore. Si nutre di lombrichi, lumache e piccoli roditori.
La volpe: è presente un po’ ovunque in quanto mancano i suoi predatori, quali il lupo e l'aquila, ed è all'apice della catena alimentare del bosco. Come tutti gli animali selvatici è abile a non farsi notare dall'uomo. La volpe, per marcare il proprio territorio, usa lasciare bene in vista gli escrementi, specie su rocce e sassi. Qualche volta purtroppo resta vittima delle automobili.
La donnola: è uno dei predatori più diffusi, notturno e le sue prede preferite sono piccoli roditori, ma anche conigli selvatici, uccelli e serpenti che attacca alla gola. Date le sue piccole dimensioni può essere oggetto di predazione di animali più grandi ed in particolare dei rapaci notturni. Utilizza come tana cavità di alberi e rocce o tane abbandonate da altri animali. La donnola non deve essere considerato un animale nocivo, anzi, cacciando i roditori, svolge un'azione equilibratrice dell'ecosistema del bosco.
La poiana :è il più grande rapace diurno, è presente in tutto il periodo dell'anno.
Il gufo: comune rapace notturno, è caratterizzato dai cornetti auricolari e dal colore arancione acceso degli occhi.
La civetta: è un piccolo rapace notturno molto diffuso. Utilizza, sia per dormire di giorno che per nidificare, fienili e vecchi ruderi.
Il picchio rosso maggiore e il picchio verde sono uccelli abbastanza diffusi nel bosco. La loro peculiarità sta nella caratteristica del becco, assai robusto, che viene utilizzato per diversi scopi, innanzitutto per la ricerca del cibo e per la costruzione del nido per il quale occorrono dai 10 ai 15 giorni. Il picchio rosso maggiore utilizza il becco anche per altri scopi. Infatti nel periodo febbraio/maggio è possibile udire nel bosco dei "tambureggiamenti" alternati da pause più o meno lunghe. Questo segnale ha la funzione di manifestare la sua presenza ad altri picchi, è un avvertimento per gli altri maschi a non avvicinarsi, è invece un richiamo per le femmine. Il picchio verde, per lo stesso scopo, preferisce utilizzare la voce, che somiglia ad una stridula beffarda risata. I due picchi si procurano il cibo in modo differente. Il picchio rosso maggiore è un arboricolo e si nutre di larve di insetti, deposte sui tronchi degli alberi. Il picchio verde, invece, ama nutrirsi di ragni, formiche ed altri insetti che riesce a trovare tra le foglie del sottobosco.
Il falco pellegrino: è uno spietato predatore alato. Si nutre esclusivamente di uccelli in volo, come il piccione selvatico. Da qualche anno è tornato a nidificare nel parco dei Castelli Romani dove viene controllato e salvaguardato, in quanto le sue uova sono predate da persone senza scrupoli, per allevare i falchi in cattività e utilizzarli per la falconeria, un'antica forma di caccia dei tempi del medioevo e che oggi viene ancora praticata in alcune parti del mondo.
L'upupa: è un uccello migratore che giunge nel territorio del parco intorno alla fine di marzo. Non è inusuale osservarla in particolare di mattina presto tra i filari della vigne.
Il biacco e la vipera: in primavera o in estate può capitare di imbattersi, nel bosco, in qualche rettile che velocemente attraversa i sentieri: molto probabilmente si tratta di un biacco, serpente innocuo e scattante. Più difficile, ma non impossibile imbattersi nella vipera, unico serpente velenoso presente nel parco, solitamente più elusivo e lento che preferisce nascondersi piuttosto che fuggire. Ci sono periodi dell'anno in cui i serpenti cambiano la pelle. E' possibile, talvolta, imbattersi nel "vecchio vestito" che appare come un involucro intero del serpente stesso.