Il carrettiere

Horace Vernet

Acquaforte acquarellata, cm 30 x39, 6, Roma 1850

<<verso sera i carrettieri partono da Genzano, e viaggiano tutta la notte dormicchiando seduti sul barile più vicino alla groppa del cavallo, appoggiandosi da un lato alla così detta forcina, che è un ramo d’albero fitto nel carretto, e che dividendosi come le dita della mano in rami minori, forma una specie di nicchia, che rivestono  nell’interno con una pelle di pecora. Viaggiano per lo più in parecchi, uno de’ quali veglia (disposizione prudente in campagna di Roma), e così una lanterna di tela pendente sotto un carretto serve per l’intera carovana.>>

Questa minuziosa descrizione del d’Azeglio che dimostra una volta di più l’amore e l’interesse per la misera vita della gente del popolo.

Come i carretti a vino, anche i carrettieri sono definitivamente scomparsi dalla scena, impietosamente sostituiti dai camionisti, dai TIR e, peggio ancora, dalle autobotti, funzionali quanto volete ma che non lasciano un minimo spazio al sentimento. Lo stato italiano, forse prevedendo la imminente scomparsa dei carretti a vino e dei carrettieri, tra i 19 francobolli della serie dedicata all’<<Italia al lavoro>> emessi nel 1950 ne inserì, per esaltare la tradizione regionale del Lazio, uno rappresentante un << carro a vino>> color <<bruno>> del valore di 40 lire.

La fine era già nell’aria. Il <<progresso>> cominciava a fare le sue prime vittime in nome della funzionalità, della velocità e della convenienza.

Romolo Lombardi così cantava:

Addio tracolle, antiche a la schiavona rose ar carretto e sciarpe a la romana: mo’ ognuno, se po’ di', veste a la bona.